Cass. Sez. III n. 15305 del 19 maggio 2020 (Cc 3 mar 2020)
Pres. Ramacci Est. Zunica Ric. Delfino
Rifiuti.Miscelazione
La miscelazione di rifiuti, operazione vietata dall’art. 187 del d.lgs. n. 152 del 2006, consiste nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, in modo da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa l’8 agosto 2019, il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria confermava il provvedimento con cui il G.I.P. presso il Tribunale di Palmi, l’8 luglio 2019, aveva disposto il sequestro preventivo della Ecoservizi s.r.l., con sede in Gioia Tauro, del terreno adiacente in uso alla stessa in virtù di comodato d’uso, nonché di tutto il materiale ivi rinvenuto, nei confronti di Rocco Delfino, legale rappresentante della Ecoservizi s.r.l., indagato in ordine ai reati previsti dall’art. 256 commi 1 e 2 (capo 1), 256 comma 3 (capo 2) e 256 comma 5 (capo 3) del d.lgs. n. 152 del 2006, reati accertati in Gioia Tauro in data 27 giugno 2019.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale reggino, Delfino, tramite i suoi difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui la difesa deduce la violazione dell’art. 256 del 2006 e l’illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, rispetto a ciascuna delle fattispecie contestate all’indagato, osservando, quanto al capo 1, avente ad oggetto la presunta attività illecita di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti, che il Tribunale aveva compiuto un’erronea lettura del materiale investigativo, con un travisamento della prova su un punto nevralgico della contestazione, ovvero l’esercizio abusivo dell’attività sospesa: si osserva al riguardo che l’area sottoposta a sequestro era autorizzata e provvista di tutti i requisiti di legge, con provvedimento del 30 settembre 2010, valido fino al 30 settembre 2020.
L’autorizzazione all’esercizio all’attività di impresa era stata sospesa non per questioni ambientali o per carenza dei requisiti tecnici, ma solo per effetto di informativa interdittiva antimafia della Prefettura di Reggio Calabria; peraltro, tale sospensione concerneva solo i materiali in ingresso, ma non anche quelli presenti, afferendo la documentazione relativa alla movimentazione di rifiuti, successiva alla data di sospensione dell’attività, solo ad operazioni di svuotamento, mentre, quanto alla visione del filmato riferito al giorno prima del sequestro, si trattava di un mezzo dell’azienda che stava trasportando rifiuti da un’area all’altra del sito.
Quanto al reato di cui al capo 2), riguardante la presunta gestione di una discarica abusiva, i giudici cautelari non avrebbero tenuto conto del fatto che i materiali rinvenuti in zone diverse non erano stati affastellati al suolo, ma si trovavano su alcuni semirimorchi di proprietà della Ecoservizi, non trattandosi comunque di rifiuti pericolosi; in ogni caso, non vi era prova né del degrado dell’area, stante l’assenza di rilievi delle Autorità preposte, né del fatto che il quantitativo di rifiuti rilevato al momento del controllo fosse superiore al limite di 29.800 tonnellate, quantitativo questo che la Ecoservizi era stata autorizzata a trattare.
Infine, in ordine al reato contestato al capo 3), avente ad oggetto la presunta gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti speciali in evidente stato di miscelazione, la difesa rileva che non era prova della miscelazione dei rifiuti, in assenza di caratterizzazione degli stessi, fermo restando che l’autorizzazione sospesa prevedeva lo stoccaggio di diverse categorie di rifiuti, compresi quelli pericolosi; il punto, dunque, non era se sull’area fossero presenti rifiuti pericolosi, ma se quei rifiuti fossero conservati secondo le statuizioni di legge e se quei rifiuti fossero miscelati ad altri definiti non pericolosi, il che non risultava comprovato.
In definitiva, conclude la difesa, l’ordinanza del Tribunale aveva mancato di confrontarsi con i rilievi difensivi, ignorando il fatto che, dopo la sospensione dell’autorizzazione dei rifiuti, risalente al 27 febbraio 2017, la Ecoservizi ha licenziato i dipendenti e non ha ricevuto in entrata alcuna tipologia di rifiuto, per cui la società ha trattato solo materiali presenti alla data del 28 febbraio 2017, essendo il materiale in entrata visionato dalle telecamere quello già depositato nel sito adiacente, trasportato per la trasformazione con mezzo proprio della società.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
2. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame illustrato in modo compiuto le ragioni poste a fondamento della propria decisione, confrontandosi adeguatamente con le obiezioni difensive.
In particolare, i giudici cautelari hanno osservato che la sospensione dell’autorizzazione a effettuare l’attività di gestione dei rifiuti del 27 febbraio 2017, al momento del sopralluogo (27 giugno 2019), era ancora persistente, per cui l’attività di raccolta e smistamento dei rifiuti non poteva ritenersi autorizzata, tanto più che la Città metropolitana di Reggio Calabria, in data 21 marzo 2017, aveva autorizzato unicamente il trattamento di tutti i rifiuti stoccati presso l’impianto di contrada Cicerna in ingresso fino a tutto il 28 febbraio 2017, richiedendo che, prima dell’avvio delle operazioni di smaltimento, la società trasmettesse un documento attestanti i quantitativi di rifiuti stoccati sul predetto sito, specificandone i singoli codici Cer, date di invio e conclusioni delle operazioni di trattamento, documento che nel caso di specie non risulta essere stato acquisito.
A ciò il Tribunale ha aggiunto che le richieste di riattivazione dell’autorizzazione del 29 gennaio 2018 e dell’11 maggio 2019, lungi dall’attestare la buona fede del ricorrente, in realtà erano sintomatiche del contrario, posto che, se Delfino avesse avuto la consapevolezza di operare lecitamente, non si comprende il motivo per cui egli non si sia limitato a una presentare una richiesta nel gennaio 2018, ma abbia avvertito la necessità di presentarne un’altra nel maggio del 2019.
Peraltro, nel solo registro di carico, attestante l’ingresso dei rifiuti, per l’anno 2018 (dunque non solo fino al febbraio 2017), la Ecoservizi s.r.l. aveva annotato 54 operazioni di movimentazioni di rifiuti, per cui in maniera non irragionevole è stato ritenuto sussistente il fumus del reato contestato, e ciò anche alla luce del contenuto delle videoriprese eseguite nell’area il giorno prima del sopralluogo, non avendo trovato adeguato riscontro probatorio l’affermazione difensiva, peraltro di per sé non decisiva, secondo cui si trattava dei rifiuti presenti nell’altro sito, di cui la Ecoservizi aveva la disponibilità in virtù di un contratto di comodato d’uso.
Quanto poi al reato di discarica abusiva, il Tribunale del Riesame, nel richiamare gli accertamenti fattuali desumibili dall’informativa di P.G., in modo pertinente ha rimarcato, ai fini della configurabilità del reato, la eterogeneità dei rifiuti presenti nell’area e la loro consistente quantità, elementi questi rivelatori dello stato di degrado del sito, a nulla rilevando la provvisorietà della collocazione dei rifiuti.
Per quanto concerne invece il reato di cui al capo 3), i giudici cautelari hanno ricordato che, presso la Ecoservizi, erano presenti rifiuti di tipologia diversa, con codici identificativi differenti, come imballaggi in plastica, in legno, pneumatici, metallo ferrosi e non, risultando dall’informativa di P.G. la presenza di materiale proveniente dalla frantumazione delle autovetture (plastica, gomma, imbottiture, tessuti, cavi elettrici), materiale “miscelato a rifiuti di altra natura, stoccato in quantitativi tali da raggiungere altezze paragonabili a un edificio di due piani”.
Alla stregua di tali risultanze investigative, di cui è stata compiuta una disamina razionale e dunque non sindacabile in questa sede, deve ritenersi immune da censure l’inquadramento del fatto nello schema del reato previsto dall’art. 256 comma 5 del d. lgs. n. 152 del 2006, dovendosi al riguardo richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 4976 del 18/10/2018, dep. 2019, Rv. 275694), secondo cui la miscelazione di rifiuti, operazione vietata dall’art. 187 del d.lgs. n. 152 del 2006, consiste nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, in modo da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo, come risulta avvenuto nel caso di specie, avendo il Tribunale precisato che elementi contrari alla configurabilità del reato non erano ravvisabili nella consulenza tecnica del dr. Gullo, sia perché l’accertamento in esso compiuto è stato preliminare e non definitivo, sia perché lo stesso dott. Gullo non ha comunque escluso la presenza, accanto ai rifiuti non pericolosi (la quasi totalità), anche di alcuni rifiuti pericolosi, quali batterie esauste al piombo, un veicolo fuori uso e una lampada al neon.
3. In definitiva, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa potranno essere eventualmente sviluppate, soprattutto a livello probatorio, nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato argomentativo non apparente, ma al contrario logico e coerente, concernendo in ogni caso le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo tuttavia non deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, e ciò a prescindere dai pur evidenti limiti di autosufficienza del ricorso nel frequente richiamo a fonti dimostrative, il cui contenuto non è stato né riportato né allegato.
4. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di Delfino deve essere dichiarato quindi inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 03/03/2020