Cass. Sez. III n. 16191 del 18 aprile 2024 (CC 10 apr 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Russo
Rifiuti.Responsabile tecnico

L’articolo 12 del d.m. 3 giugno 2014, n. 120 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Regolamento relativo all’istituzione dell’Albo dei gestori ambientali), a norma del quale il responsabile tecnico di una impresa deve porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa, nonché svolgere tali compiti in maniera effettiva e continuativa, costituisce in capo al medesimo una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti di cui al d. lgs. 152/2006, con la conseguente responsabilità per gli illeciti connessi alla violazione di tale normativa

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12/09/2023, il Tribunale della libertà di Catanzaro rigettava l’appello proposto dall’indagato avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura interdittiva del divieto di esercizio dell’attività di impresa nel settore ambientale per un periodo di mesi 12, applicata in data 25/05/2023 dal GIP di Catanzaro in riferimento all’articolo 452-quaterdecies cod. pen..

2. Avverso il provvedimento ricorre Giuseppe Russo.
Lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli articoli 273, 274 e 192 cod. proc. pen., nonché omessa valutazione delle argomentazioni difensive.
Il ricorrente sostiene che, nell’ambito della autonoma valutazione, cui è tenuto il Tribunale del riesame, esso deve dare conto delle ragioni per cui ritiene sussistente il requisito della gravità indiziaria del reato contestato.
Al contrario, l’ordinanza impugnata si limita a richiamare, per relationem, l’ordinanza genetica, senza proporre una sua autonoma valutazione.
In particolare, il provvedimento non replica alla deduzione difensiva secondo cui il russo, essendo mero «responsabile tecnico» della G&D Ecologica S.p.a., non aveva il dovere di impedire la mala gestione dei rifiuti all’interno dell’azienda, al contrario del c.d. «direttore tecnico», limitandosi a richiamare la delibera n. 1/2019, che traccia genericamente i compiti del responsabile tecnico.
L’articolo 2 della citata delibera, peraltro, limita i compiti di controllo del r.t. nel mero «esame visivo» dei rifiuti, a differenza del direttore tecnico, cui spetta la responsabilità della gestione operativa dell’azienda (v. circolare ministeriale n. 1121 del 21/01/2019).
Il Tribunale del riesame si limita ad una motivazione apparente, non confrontandosi con le deduzioni e le produzioni difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
    1. Il ricorso è inammissibile.

2. Preliminarmente, il Collegio osserva come, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’ordinanza in materia cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullità, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante (da ultimo: Sez. 1, n. 8518 del 10/09/2020 - dep. 03/03/2021, Rv. 280603 - 01; Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019 - dep. 13/01/2020, Rv. 278122). 
Del tutto legittima appare pertanto la motivazione per relationem operata dal Tribunale del riesame in riferimento all’ordinanza genetica.

3. Le considerazioni svolte al paragrafo che precede renderebbero di per sé pacificamente inammissibile il ricorso.
Il Collegio aggiunge tuttavia che il ricorso stesso è anche manifestamente infondato.
Ed infatti, il riferimento alla determinazione n. 1/2019, che ha natura negoziale, assume una valenza meramente integrativa (e certamente non derogatoria) rispetto alla disciplina normativa di ragno secondario vigente in materia.
In proposito, il Collegio evidenzia come la figura del «responsabile tecnico» dell’impresa è disciplinata dall’articolo 12 del d.m. 3 giugno 2014, n. 120 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (“Regolamento per la definizione delle attribuzioni e delle modalità di organizzazione dell’Albo nazionale dei gestori ambientali, dei requisiti tecnici e finanziari delle imprese e dei responsabili tecnici, dei termini e delle modalità di iscrizione e dei relativi diritti annuali”), il quale definisce i compiti, le responsabilità ed i requisiti professionali del responsabile tecnico (tra cui un titolo di studio idoneo, esperienza nel settore e idoneità specifica attestata da verifiche quinquennali). 
Il comma 1, in particolare, prevede che «compito del responsabile tecnico è «porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa». Egli, inoltre, «svolge la sua attività in maniera effettiva e continuativa ed è responsabile dei compiti di cui al comma 1». 
Come appare evidente, il responsabile tecnico, pur formalmente non destinatario diretto del precetto penale, viene investito dalla legge (rectius: regolamento) di una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti. 
Egli quindi, del pari del legale rappresentante, risponderà dei reati commessi e connessi in riferimento alla (mala) gestione dei rifiuti in azienda.
E’ quindi corretta l’affermazione dell’impugnata ordinanza (pag. 2), secondo cui emerge in capo al responsabile tecnico un «dovere di vigilanza e controllo anche alla corretta applicazione delle disposizioni del d. lgs. 152/2006».
Il Collegio esprime quindi il seguente principio di diritto:
«L’articolo 12 del d.m. 3 giugno 2014, n. 120 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Regolamento relativo all’istituzione dell’Albo dei gestori ambientali), a norma del quale il responsabile tecnico di una impresa deve porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa, nonché svolgere tali compiti in maniera effettiva e continuativa, costituisce in capo al medesimo una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti di cui al d. lgs. 152/2006, con la conseguente responsabilità per gli illeciti connessi alla violazione di tale normativa».
Il motivo quindi è manifestamente infondato.

4. Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/04/2024.