Cass. Sez. III n. 5470 del 4 febbraio 2014 (Up. 5 dic. 2013)
Pres. Fiale Est. Scarcella Ric. Bertagna
Rifiuti. Terre e rocce da scavo e materiali di risulta edile
Nel caso in cui, oltre terre e rocce da scavo propriamente definibili come tali, in un impianto vengano trattati materiali di risulta edile, la questione della qualificabilità come sottoprodotti e non rifiuti dei materiali non si pone (né, quindi, la nuova disciplina derivante dall'art. 41-bis della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del c.d. decreto "del Fare", D.L. n. 69/2013, che introduce nell'ordinamento alcune disposizioni tese a disciplinare l'utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, in deroga a quanto previsto dal D.M. 10 agosto 2012, n. 161, recante il regolamento per la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo) ed è conseguentemente necessaria l'autorizzazione.
RITENUTO IN FATTO
1. B.M. ha proposto, a mezzo del difensore - procuratore speciale cassazionista, tempestivo ricorso avverso la sentenza del Tribunale di VARESE in data 15/04/2013, depositata in data 30/04/2013, con cui il medesimo imputato è stato condannato alla pena sospesa di Euro 2600,00 di ammenda perchè, in qualità di legale rappresentante della "BERTAGNA SCAVI s.r.l.", corrente in (OMISSIS), effettuava una raccolta e deposito di rifiuti speciali non pericolosi derivanti da scavi e di recupero (mediante macinazione, vagliatura e selezione granulometrica) di rifiuti speciali non pericolosi derivanti da demolizioni edilizie in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione, utilizzando, per la raccolta, una superficie identificata dai mappali n. 3378 e 4758 del Comune censuario di Gavirate (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. A)); in (OMISSIS), in permanenza fino alla data del 19/05/2009.
2. Ricorre avverso la predetta sentenza l'imputato, a mezzo del difensore - procuratore speciale cassazionista, deducendo un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, in particolare, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. B), per l'erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche sovrannazionali, in relazione alla definizione del termine "rifiuto"; in sintesi, si duole il ricorrente, richiamando la disciplina introdotta dalla direttiva 2008/98/CE nonchè la interpretazione fornita dalla CGUE della nozione di rifiuto, per aver la Corte di merito qualificato i materiali rinvenuti sull'area in questione come rifiuti non pericolosi anzichè come "sottoprodotti" riutilizzati dalla società Bertagna Scavi s.r.l., non definibili quindi come "rifiuti"; rileva, a tal proposito, come la società amministrata dal ricorrente avesse ottenuto preventivamente le autorizzazioni al riutilizzo di terre e rocce da scavo dal Comune di Gavirate; risulterebbero, quindi, soddisfatte, sia la condizione della certezza dell'ulteriore riutilizzo del materiale (art. 5, lett. A), direttiva n. 2008/98/CE) sia quella del riutilizzo diretto del materiale predetto (art. 5, lett. B), direttiva n. 2008/98/CE), senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; quanto, poi, alle ulteriori condizioni indicate dall'art. 5 citato alle lett. c) e d), non vi sarebbe alcun dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
4. Ed invero, emerge dall'impugnata decisione che, a seguito di una segnalazione ricevuta via mail, personale dell'ARPA di Varese eseguiva un sopralluogo presso la sede della società di cui l'imputato era amministratore; all'atto del sopralluogo, risultava presente un impianto per la macinazione dei rifiuti inerti ed un cumulo di terreno derivante da scavi; il materiale terroso accumulato aveva natura di terreno di coltura, mentre il materiale inerte, prodotto dalle operazioni di macinazione e vagliatura di quanto derivante dai cantieri ove operava la società, veniva utilizzato per riempimenti e sottofondi; la ditta dell'imputato risultava autorizzata in ordine all'attività di trasporto dei rifiuti prodotti dalla propria attività, ma non risultava in possesso di alcuna autorizzazione D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 208, nè risultava operare secondo le procedure semplificate di cui al D.Lgs. citato art. 214; dunque, dagli accertamenti esperiti era emerso che la società del ricorrente aveva svolto attività di deposito e di recupero di rifiuti non pericolosi tramite macinazione, vagliatura e selezione granulometrica, in assenza di autorizzazione; infine, sentito in dibattimento, il ricorrente tra l'altro, per quanto qui di interesse, dichiarava che il materiale residuo, all'esito della vagliatura, veniva conferito in discarica,confermando che in relazione al materiale temporaneamente depositato presso la sede della società, poi oggetto di vagliatura, non veniva tenuto alcun registro di carico e scarico e che la società non aveva richiesto alcuna autorizzazione per lo svolgimento dell'attività di vigilanza.
5. Premesso, quanto alla normativa applicabile, che, tenuto conto dell'epoca di consumazione dell'illecito (19 maggio 2009), trova applicazione il D.Lgs. n. 152 del 2006, - la cui natura di norma transitoria, pur a seguito della sua abrogazione disposta dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 39, comma 4, destinata ad applicarsi ai fatti commessi fino all'entrata in vigore del D.M. n. 161 del 2012, ai fini della qualificazione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto, è già stata affermata da questa stessa Sezione (Sez. 3^, n. 33577 del 04/07/2012 - dep. 31/08/2012, Digennaro, Rv. 253662) - è indubbio che, a fronte di un simile quadro probatorio, destituite di ogni fondamento paiono a questo Collegio le censure mosse dal ricorrente con il motivo di ricorso, essendo evidente come la dedotta violazione di legge è del tutto insussistente, in quanto è evidente che il ricorrente, non solo trasportava (attività per cui era autorizzato), ma anche depositava nell'area di pertinenza della società da egli amministrata non solo terre e rocce da scavo propriamente dette, ma anche materiale proveniente dai lavori di scavo effettuati presso terzi, effettuando attività di macinazione, vagliatura e selezione granulometrica anche di quest'ultimo materiale, ossia un'attività - non autorizzata - di recupero, atteso che l'impianto della società era impiegato per effettuare un'operazione di trattamento dei rifiuti, consentendo di separare del materiale utile al successivo riutilizzo per riempimenti e sottofondi. Tali residui da demolizione vanno qualificati come rifiuti speciali e non sottoprodotti, donde la corretta affermazione di responsabilità del giudice di merito che, nell'accertare l'assenza di autorizzazione, ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 256, T.U.A. Del resto, come già recentemente affermato da questa stessa Sezione la non assimilazione degli inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il D.Lgs. n. 152 del 2006 (v., Sez. 3^, 13 settembre 2013, n. 37541, Paglialunga e altri, non massimata; in precedenza: Sez. 3^, 12 giugno 2008 n. 37280 - dep. 1 ottobre 2008, P., Rv 241088 che, peraltro, precisa che le terre e rocce da scavo devono essere distinte dai materiali di risulta da demolizione, in quanto mentre lo scavo ha per oggetto il terreno, la demolizione ha per oggetto un edificio o, comunque, un manufatto costruito dall'uomo).
Non rileva, pertanto, nel caso in esame, la questione della qualificabilità come sottoprodotti e non rifiuti dei materiali costituiti da terre e rocce da scavo (nè, quindi, la nuova disciplina derivante dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, art. 41 - bis, di conversione del cd. decreto "del Fare", D.L. n. 69 del 2013, che introduce nell'ordinamento alcune disposizioni tese a disciplinare l'utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, in deroga a quanto previsto dal D.M. 10 agosto 2012, n. 161, recante il regolamento per la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo), atteso che, oltre terre e rocce da scavo propriamente definibili come tali, nell'impianto della società di cui l'imputato risultava amministratore venivano trattati, per sua stessa ammissione, materiali di risulta edile, diversi dalle terre e rocce da scavo, con conseguente necessità dell'autorizzazione.
6. Il ricorso dev'essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2014