Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2261, del 6 maggio 2015
Rifiuti.Approvazione di progetto di revamping dell'impianto di ricondizionamento di rifiuti speciali anche pericolosi

La soluzione adottata dalla Giunta regionale veneta nello stabilire nel dettaglio l’applicazione dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010 appare corretta rispetto alle norme fondamentali statali di cui al D.Lgs. n. 152/2006 chiamate a definire ciò che è esistente, ciò che non lo è e le modificazioni sostanziali all’esistente ed in secondo luogo consente di ritenere la correttezza dell’approvazione regionale del progetto di revamping e della connessa autorizzazione integrata ambientale ed inoltre che tale revamping legittimamente autorizzato ricomprenda anche la possibilità di un numero diverso e superiore di CER in ingresso, elemento questo rientrante nella gestione dell’impianto medesimo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02261/2015REG.PROV.COLL.

N. 09688/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9688 del 2014, proposto dalla Alles- Azienda Lavori Lagunari Escavo e Smaltimenti Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea Manzi, Domenico Giuri, Alessandro Veronese, con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via Federico Confalonieri 5; 

contro

Il Comune di Venezia, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Iannotta, Nicolò Paoletti, Nicoletta Ongaro, Maurizio Ballarin, con domicilio eletto presso Nicolo' Paoletti in Roma, Via Barnaba Tortolini 34; la Regione Veneto; 

nei confronti di

La Provincia di Venezia; il Comune di Mira, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Perulli, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, Lungotevere Flaminio 46; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. III n. 1007/2014, resa tra le parti, concernente approvazione di progetto di revamping dell'impianto di ricondizionamento di rifiuti speciali anche pericolosi e valutazione impatto ambientale;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Venezia e del Comune di Mira;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2015 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Andrea Manzi, Nicolò Paoletti, Gianfranco Perulli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Nel territorio comunale di Venezia, a Malcontenta, gestito dalla Alles – Azienda Lavori Lagunari Escavo e Smaltimenti S.p.a., di seguito Alles, è ubicato dal 1996 un impianto di ricondizionamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi, con strutture industriali e portuali situate nell’area che lo circonda, esterna alla laguna propriamente detta e non vincolata sotto il profilo paesaggistico.

Successivamente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale da parte della Giunta regionale veneta in data 29 maggio 2009, Alles presentava domanda di approvazione del progetto di revamping e contestualmente di valutazione di impatto ambientale con rilascio di nuova autorizzazione integrata ambientale; il progetto prevedeva una serie di modifiche impiantistiche e logistiche, con demolizioni e rifacimento di parte delle vasche di stoccaggio esistenti, realizzazione di nuovi box per le stesse funzioni, ripristino di guaine, ristrutturazione dell’attuale magazzino con possibilità di stoccaggio coperto, impianti per il recupero dei rifiuti e varie opere edilizie connesse. Oltre alla modifica dell’impianto in esercizio, con la nuova domanda di a.i.a., Alles chiedeva di ampliare la tipologia di rifiuti gestiti, di aumentare la capacità di stoccaggio innovando le tecnologie utilizzate e di incrementare il processo di inertizzazione dei rifiuti.

Le tre differenti domande, progetto di revamping, la collegata valutazione di impatto ambientale e nuova autorizzazione integrata ambientale, venivano accolte dall’amministrazione regionale – la v.i.a. a maggioranza con il voto contrario del Comune e della Provincia di Venezia - e successivamente lo stesso Comune impugnava davanti al TAR del Veneto la deliberazione con cui la Giunta regionale aveva espresso un giudizio favorevole di compatibilità ambientale, rilasciando la autorizzazione integrata ambientale ( AIA) ai sensi del decreto legislativo numero 152 del 2006, deducendo cinque differenti motivi, l’incompetenza della Regione; il rilascio dell’autorizzazione che comportava anche varianti allo strumento urbanistico comunale; la violazione dell’art. 208, comma 20 del D. Lgs. 152 del 2006, in quanto la modificazione del progetto avrebbe avuto carattere e contenuto sostanziale rispetto a quello già autorizzato, con necessità di una nuova autorizzazione integrata, e con derivante attività istruttoria necessariamente più completa e approfondita di quella di cui al progetto presentato e approvato in Regione; la violazione delle norme tecniche di attuazione delle varianti di piano regolatore per Porto Marghera e per la Terraferma, posto che il progetto di potenziamento dell’impianto presentava difformità urbanistiche, violando la normativa laddove questa stabiliva che le destinazioni d’uso possibili concernessero gli impianti tecnologici di raccolta e trattamento di rifiuti da parte di enti pubblici, ovvero se relative ai soli rifiuti prodotti dalla propria attività in sito da parte di soggetti privati; la violazione dell’articolo 16, comma 2 della legge regionale del Veneto n. 11 del 2010, laddove veniva previsto che nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali non potevano essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all'esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio che accertasse l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento e recupero, in ragione dell'osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento; la violazione del decreto del Ministero dell'Ambiente del 20 giugno 2008, nonché la violazione dell'articolo 242, comma 13 del decreto legislativo numero 152 del 2006 in materia di bonifica, visto che l'area interessata al progetto risultava soggetta ad un procedimento di bonifica dei suoli delle falde attivato nell'ambito del S.I.N. di porto Marghera.

Si costituivano in giudizio l’amministrazione regionale e la controinteressata, sostenendo l’infondatezza del ricorso, mentre intervenivano ad adiuvandum la Provincia di Venezia e il Comune di Mira.

Con sentenza n. 1007 del 10 luglio 2014 il TAR del Veneto, superata l’eccezione di carenza di interesse ad agire in capo al Comune, dichiarato ammissibile l’intervento del Comune di Mira ed inammissibile l’intervento della Provincia in quanto legittimata all’impugnazione diretta, accoglieva nel merito il ricorso, rilevando infondatezza dei motivi quarto e quinto.

In breve, nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, gli adeguamenti tecnici migliorativi sotto il profilo gestionale, quali ad esempio il cosiddetto revamping, erano da considerarsi interventi di ampliamento in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali – si veda l’integrazione dell'elenco dei codici dei rifiuti attualmente ammessi, la messa in riserva e il recupero di inerti tramite triturazione o vagliatura – quindi una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, viste anche le differenziazioni in materia quantitativa; infine la necessità di una deliberazione del consiglio provinciale competente per territorio che, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, accertasse l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento.

Sulla quinta censura, ovverosia il fatto che il progetto autorizzato riguardasse un’area contaminata sottoposta a bonifica ambientale non ancora ultimata, il giudice di primo grado riteneva significativa la previsione di cui al punto 10 delle prescrizioni A.I.A., laddove si specificava che i rifiuti in ingresso in impianto avrebbero potuto essere conferiti esclusivamente accompagnati da specifica omologa del rifiuto, costituita anche da certificazione analitica, ad eccezione dei rifiuti conferiti direttamente dal produttore originario e provenienti continuativamente dall'attività produttiva ben definita e conosciuta, nel qual caso l’omologa poteva essere effettuata ogni 12 mesi e comunque ogni qualvolta il ciclo produttivo di origine subisse variazioni significative.

La procedura di omologazione ha lo scopo, come noto, di accertare preventivamente la natura e le caratteristiche del rifiuto, nonché la sua trattabilità negli impianti esistenti; la procedura si completa, dopo le verifiche di laboratorio, con la dichiarazione di accettabilità all’impianto attraverso l’emissione di un Documento di Omologa.

In conclusione le considerazioni svolte militavano per una qualificazione di nuovo impianto piuttosto che di mera operazione ampliativa dell’impianto esistente.

Con appello in Consiglio di Stato notificato il 4 novembre 2014 la Alles impugnava la sentenza in questione, sostenendo dapprima l’inammissibilità dell’intervento del Comune di Mira, in quanto legittimato ad agire al pari della Provincia di Venezia e in ogni caso portato alla notifica tardivamente, e sollevando nel merito le seguenti censure:

Error in iudicando. Erronea e falsa applicazione dell’art. 16 della legge reg. Veneto n. 11/2010 e della D.G.R. Veneto n. 1210 del 23 marzo 2010. Travisamento dei fatti di causa. Carenza di motivazione. Il giudice di primo grado ha erroneamente assimilato il nuovo progetto di impianto recante modifiche sostanziali ad un nuovo impianto. Secondo l’art. 5 co. 1 lett. i-quinquies del D. Lgs. n. 152 del 2006 - nella versione vigente al momento dell’emanazione del provvedimento regionale principalmente impugnato - gli impianti autorizzati entro il 10 novembre 1999 ed entrati in funzione entro il 10 novembre successivo dovevano ritenersi esistenti e tra questi vi era pacificamente l’impianto in controversia, mentre per impianto nuovo si intendeva l’impianto che non ricade nella definizione di impianto esistente, secondo quanto descritto dall’art. 5, co. 1, lett. i-sexies del D. Lgs. n. 152/2006; l’art. 5 co. 1, l-bis D. Lgs n. 152/2006 definisce invece la nozione di “modifiche sostanziali “, ossia “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente. In particolare, con riferimento alla disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l'allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa”.

Quindi l’inquadramento del nuovo progetto come nuovo impianto dato nella sentenza impugnata appare essere un ibrido non collegato alle disposizioni date dal legislatore, derivante dalla sovrapposizione di profili tecnici (afferenti la realizzazione di mere modifiche impiantistiche e logistiche) a profili squisitamente qualitativi (connessi soltanto all’introduzione di alcune nuove tipologie di rifiuti), cioè ad una circostanza che il legislatore non ha preso in considerazione ai fini degli inquadramenti sopra descritti, senza poi tralasciare che la richiesta triturazione dei rifiuti inerti era già ammessa nell’impianto in esercizio. Tale quadro normativo non appare fondamentalmente invariato dalla novella di cui al D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 46 la quale, per quanto concerne le modifiche, si è limitata ad aggiungere l’inciso “dell’installazione” alla nozione di modifiche sostanziali a riprova che le nuove tipologie di rifiuti sono indifferenti rispetto alla qualificazione giuridica di un impianto esistente come “nuovo” piuttosto che come impianto sottoposto a “modifica sostanziale”; quindi la Regione Veneto ha legittimamente approvato il progetto di modifica sostanziale rispetto ad un impianto esistente, autorizzato e di esercizio, non già il progetto di un nuovo impianto, poiché il progetto comporta modifiche tecnico-gestionali e la nuova autorizzazione integrata ambientale prevede l’introduzione di nuove tipologie di rifiuti, ma senza che ciò costituisca un nuovo impianto, conformemente a quanto previsto dall’art. 16 legge reg. n. 11/2010, né il tipo di procedimento da seguire, analogo a quello per nuovo impianto, può portare a confondere i risultati su quanto approvato. I codici europei dei rifiuti consistono in una particolare specificazione di tale tipo di prodotti finalizzati unicamente a garantire una loro maggiore tracciabilità e tale classificazione nulla ha a che vedere nel livello di interferenza tra l’impianto e l’ambiente circostante. Né il TAR si è soffermato sulla diminuzione di capacità produttiva progettuale rispetto all’attuale, come desumibile dal parere favorevole della commissione v.i.a. e nemmeno sui limiti quantitativi ammessi allo stoccaggio, ignorando poi che il processo l’inertizzazione D9 era attività già autorizzata ed in esercizio e la nuova a.i.a. interveniva esclusivamente su un miglioramento del processo medesimo, miglioramento che consentirà infine di avviare a smaltimento in discarica quantità molto inferiori di rifiuti, conformemente agli intenti della nuova pianificazione ambientale regionale.

Error in iudicando. Erronea e falsa applicazione dell’art. 242 del D. Lgs. n. 152/2006, del principio di legalità, del divieto generale di aggravio del procedimento amministrativo e del verbale della conferenza dei servizi del 28 luglio 2009. A parere del giudice di primo grado, gli interventi sarebbero ricaduti in un’area contaminata sottoposta a bonifica ambientale non ancora ultimata e quindi sarebbe stato necessario un atto di assenso esplicito da parte del Ministero dell’Ambiente. In realtà la pretesa contaminazione riguardava solamente una ristrettissima porzione dell’area, comunque già messa in sicurezza di emergenza, anche con l’asportazione di materiale, né era necessario uno specifico atto di assenso ministeriale. In ogni caso Alles era stata preventivamente diffidata dal compiere interventi che interferissero con le matrici ambientali e che nulla hanno a che vedere con il progetto di revamping.

Resta da aggiungere che il problema dell’omologa dei rifiuti richiamato dal TAR riguarda le ordinarie modalità di gestione dell’ingresso dei rifiuti e non concerne le opere che Alles intende intraprendere.

L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.

Si sono costituiti in giudizio i Comuni di Venezia e Mira, contestando le tesi contenute nel ricorso in appello di Alles e chiedendone il rigetto.

All’odierna udienza del 24 marzo 2015 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Oggetto della controversia è il progetto di ristrutturazione e rinnovamento di un impianto di ricondizionamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi gestito dalla società Alles S.p.A. dal 1996, esterno alla laguna propriamente detta e non situato in zona vincolata sotto il profilo paesaggistico.

Detto progetto è stato approvato tramite il rilascio di autorizzazione integrata ambientale da parte della Giunta regionale veneta in data 29 maggio 2009, alla quale Alles aveva presentato domanda di approvazione del progetto direvamping e contestualmente di valutazione di impatto ambientale con rilascio di nuova autorizzazione integrata ambientale; dovevano essere apportate all’impianto una serie di modifiche tecniche e logistiche, con demolizioni e rifacimento di parte delle vasche di stoccaggio esistenti, realizzazione di nuovi box per le stesse funzioni, ripristino di guaine, ristrutturazione dell’attuale magazzino con possibilità di stoccaggio coperto, impianti per il recupero dei rifiuti e varie opere edilizie connesse, oltre all’ampliamento della tipologia dei rifiuti gestiti, all’aumento della capacità di stoccaggio con l’innovamento delle tecnologie utilizzate e l’incremento del processo di inertizzazione dei rifiuti.

Il giudice di primo grado ha ritenuto l’illegittimità dell’autorizzazione integrata ambientale rilasciata poichè le caratteristiche ampliative della potenzialità del complesso dell’impianto e più in generale la sua pervasività in termini di qualità di rifiuti ammessi ne facevano sostanzialmente un impianto nuovo, il quale veniva inevitabilmente a ricadere sotto l’egida dell’articolo 16, comma 2 della legge regionale del Veneto n. 11 del 2010, norma che stabiliva l’impossibilità del rilascio di provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento e recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi oppure di autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente, deliberazione comunque sottoposta ad una serie di condizioni procedimentali e sostanziali.

Si può prescindere dalla questione inerente l’ammissibilità dell’intervento in giudizio del Comune di Mira, poiché il Collegio ritiene che l’appello proposto da Alles sia fondato nel merito, sulla scorta della ricostruzione interpretativa del combinato disposto dell’art. 5 co. 1 lett. i-quinquies del D. Lgs. n. 152 del 2006 - nella versione vigente al momento del provvedimento regionale principalmente impugnato - dell’art. 16 della legge reg. Veneto n. 11/2010 e della D.G.R. Veneto n. 1210 del 23 marzo 2010, questa ultima norma attuativa dell’art. 16 della legge regionale predetta, la cui portata appare trascurata nella sentenza impugnata e che invece risulta compatibile con le prescrizioni in materia di impianti esistenti e di modificazioni sostanziali, così come delineate dal D. Lgs. n. 152 del 2006.

Il comma 2 dell’art. 16 della legge regionale veneta 16 febbraio 2010 n. 11 stabilisce che “nelle more dell’approvazione del Piano di cui al comma 1 (il piano di gestione regionale di rifiuti speciali), non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una Delib.C.P. competente per il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’ articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 e dall’ articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Ora, i provvedimenti di approvazione di progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti devono coerentemente e logicamente essere ricollegati alla concessione di autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali: non si spiegherebbe altrimenti la specificazione normativa del divieto di approvazione di progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, resa unitamente alla previsione del divieto di nuove autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti, poiché le due tipologie, approvazione di progetti e concessioni di autorizzazione all’esercizio di nuovi impianti non possono che essere razionalmente intesi come lo stesso procedimento finalizzato allo stesso effetto, ossia la realizzazione di nuovi ulteriori impianti che devono ottenere l’autorizzazione integrata ambientale.

L’impianto in controversia è attivo dal 1996 e dunque deve ritenersi un impianto esistente secondo il dettato dell’art. 5 co. 1 lett. i-quinquies del D. Lgs. n. 152 del 2006 nella versione vigente al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato, poiché il seguente punto del medesimo art. 5 co. 1, vale a dire l’i-sexies, definisce nuova installazione una installazione che non ricade nella definizione di installazione esistente, nozione in cui l’impianto in parola non può razionalmente rientrare.

Soccorre il punto l-bis) riguardante la definizione di “modifica sostanziale di un progetto, opera o di un impianto: la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente. In particolare, con riferimento alla disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l'allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica all'installazione che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa.”

Tale prescrizione richiamata dall’appellante è utile per inquadrare l’intervento autorizzato dalla Regione per il quale vi è controversia e che, si badi bene, non può rientrare nella categoria della realizzazione di impianti nuovi vietati dalla legislazione regionale se non a fronte di una serie di condizioni peculiari: le modifiche impiantistiche e logistiche, con demolizioni e rifacimento di parte delle vasche di stoccaggio esistenti, la realizzazione di nuovi box per le stesse funzioni, il ripristino di guaine, la ristrutturazione del magazzino con possibilità di stoccaggio coperto, l’ampliamento della tipologia di rifiuti gestiti, l’aumento della capacità di stoccaggio mediante nuove tecnologie e l’incremento del processo di inertizzazione dei rifiuti appaiono rientrare pacificamente nella categoria delle modificazioni sostanziali, non potendosi definire le creazioni un impianto nuovo, né modificazioni di carattere ordinario al funzionamento usuale dell’intera filiera dell’impianto.

Deve essere richiamata a questo punto la D.G.R. Veneto n. 1210 del 23 marzo 2010, recante disposizioni applicative dell’art. 16 della legge regionale 16 febbraio 2010 n. 11 che non risulta impugnata nel ricorso originario; tale deliberazione precisa in chiusura che una serie di istanze poi elencate non devono ritenersi soggette all’applicazione del divieto di cui all’art. 16 in parola, trattandosi di procedure particolari che, almeno per quanto riguarda il caso in esame, hanno per oggetto attività esistenti e già autorizzate; tra queste la stessa deliberazione elenca al punto a) la realizzazione di interventi di ampliamento di impianti esistenti autorizzati allo smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non, in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali; al successivo punto b) gli adeguamenti tecnici migliorativi sotto il profilo gestionale, quali, ad esempio, il cosiddetto revamping.

La soluzione adottata dalla Giunta regionale nello stabilire nel dettaglio l’applicazione dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010 appare in primo luogo corretta rispetto alle norme fondamentali statali di cui al D. Lgs. n. 152/2006 chiamate a definire ciò che è esistente, ciò che non lo è e le modificazioni sostanziali all’esistente ed in secondo luogo consente di ritenere la correttezza dell’approvazione regionale in data 10 aprile 2013 del progetto direvamping e della connessa autorizzazione integrata ambientale ed inoltre che tale revamping legittimamente autorizzato ricomprenda anche la possibilità di un numero diverso e superiore di CER in ingresso, elemento questo rientrante nella gestione dell’impianto medesimo.

Quanto al secondo motivo, l’asserita mancata bonifica ambientale di una parte del sito interessato, si deve rilevare che al di là dell’asserita messa in sicurezza dell’area secondo Alles, il provvedimento principalmente impugnato ha riportato un’ampia motivazione che ha dimostrato la mancata interferenza del revamping con le matrici ambientali, ma né le parti ricorrenti in primo grado, né la sentenza impugnata hanno introdotto temi adeguati a capovolgere la ricostruzione essenzialmente tecnica svolta dalla deliberazione della Giunta regionale impugnata.

Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere accolto con il conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

La particolare complessità della materia induce a compensare le spese tra le parti per ambedue i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/05/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)