Consiglio di Stato Sez. IV n.7084 del 19 agosto 2025
Rifiuti.Distinzione fra misure di prevenzione e misure di messa in sicurezza di emergenza
In termini generali, la distinzione fra misure di prevenzione, che si possono imporre al proprietario incolpevole, e misure di messa in sicurezza di emergenza, che invece presuppongono l’accertamento della responsabilità, non è ontologica, nel senso che si tratta di misure che -riguardate in sé e per sé, ovvero senza una valutazione del contesto - sono sostanzialmente identiche, essendo accomunate, secondo logica, dal medesimo obiettivo, di evitare l’aggravarsi del danno.Ciò posto, il criterio distintivo fra le due fattispecie va ricavato argomentando dalle norme generali del sistema, considerando il principio di solidarietà e buona fede di cui agli artt. 2 Cost. e 1176 c.c., norma specifica in materia di obbligazioni nei rapporti di diritto privato ma applicabile anche nei rapporti di diritto pubblico caratterizzati dall’accertamento della violazione di obbligazioni pubbliche che implicano la responsabilità del privato con conseguente applicazione di una misura amministrativa, di norma, coincidente con una sanzione, nella specie, avente valenza ripristinatoria (cfr anche art 1, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990). Tale principio di buona fede impone di attivarsi a protezione delle posizioni giuridiche altrui se ciò si possa fare senza apprezzabile sacrificio. Cosa in concreto costituisca “non apprezzabile sacrificio” non si può poi dire a priori: secondo comune esperienza, esso coinciderà di solito con misure semplici e di costo economico economico, come risulta dal fatto obiettivo per cui le misure di prevenzione di norma si adottano nell’immediatezza dell’evento e quindi non presuppongono la caratterizzazione e, per conseguenza, l’esatta conoscenza dell’inquinamento sul quale si interviene, ma non è detto che sia sempre così, potendosi fare il caso di un incidente verificatosi in uno stabilimento che lavora abitualmente una data sostanza inquinante e pertanto dispone per propria organizzazione di presidi tecnicamente più sofisticati che può immediatamente mettere in campo. Dato però che la non colpevolezza si presume, dovrà essere l’amministrazione, attraverso una corretta e completa istruttoria, ad attivarsi non solo per individuare le misure da adottare a titolo di prevenzione, ma anche a dimostrare che esse, in rapporto alla situazione concreta e ai mezzi di cui l’obbligato dispone, rappresentano qualcosa di esigibile appunto perché per quello specifico obbligato metterle in atto rappresenta un sacrificio di entità non apprezzabile.
Pubblicato il 19/08/2025
N. 07084/2025REG.PROV.COLL.
N. 03970/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3970 del 2024, proposto dalla società Gas Plus Italiana S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Romano Rotelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
contro
la Regione Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Carmen Possidente, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e con domicilio fisico eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione in Roma, via Nizza 56;
l’ARPAB- Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
l’Azienda sanitaria locale di Matera, la Provincia di Matera ed il Comune di Policoro, non costituiti in giudizio;
nei confronti
della Società Petrolifera Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni de Vergottini e Marco Petitto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza T.a.r. Basilicata, sez. I, 19 febbraio 2024 n.87, che ha respinto il ricorso n. 436/2023 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti e provvedimenti, emessi nei confronti della Gas Plus Italiana S.r.l., quale titolare della concessione di coltivazione “Policoro” relativa all’area pozzo “Masseria Petrulla 1” in Comune di Policoro e custode minerario della stessa, nella parte in cui prescrivono l'adozione, senza indugio, di tutte le misure di prevenzione finalizzate ad arrestare la migrazione dei contaminanti in falda, oltre il perimetro del sito ovvero confermano il relativo obbligo:
a) della nota 27 giugno 2023 prot. n.140922 del Dirigente dell’Ufficio economia circolare, rifiuti e bonifiche della Regione Basilicata;
di ogni atto presupposto, connesso ovvero consequenziale, in particolare:
b) del parere 3 aprile 2023 prot. n.7596 dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata;
c) della nota 10 agosto 2023 prot. n.173711 del predetto Dirigente;
d) del parere 22 marzo 2023 prot. n.12584 dell’Azienda sanitaria locale di Matera;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Basilicata, dell’ARPAB e della Società Petrolifera Italiana S.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2025 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte appellante l’avvocato Rotelli, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente appellante, impresa del settore, è l’attuale titolare della concessione di coltivazione rilasciata il 30 settembre 1990 per il pozzo “Masseria Petrulla 1”, sito in Comune di Policoro sul terreno distinto al relativo catasto al foglio 15, particelle 794, 59 e 962, destinato all’estrazione di metano, ma chiuso minerariamente già dal 20 giugno 2003 perché rivelatosi improduttivo (cfr. per gli estremi della concessione il doc. 7 ricorso I grado alle pp. 5-6, ove anche l’esatta ubicazione; doc. 6 ricorso I grado, verbale di chiusura) e contesta i provvedimenti e gli atti di cui in epigrafe (doc. ti 1-3 ricorso I grado) che, in questa sua qualità, le hanno imposto di adottare asserite misure di prevenzione, finalizzate ad arrestare la migrazione dei contaminanti in falda, oltre il perimetro del sito.
2. Gli antefatti rilevanti ai fini di causa si riassumono così come segue.
2.1 La concessione 30 settembre 1990 di cui si è detto era stata originariamente rilasciata a SPI- Società Petrolifera Italiana S.p.a., al tempo una controllata della nota ENI S.p.a., e il 1° gennaio 2004 è stata volturata a una controllata al 100% della stessa SPI, denominata Stargas Italia S.p.a., mediante cessione di ramo di azienda. Successivamente, il 18 maggio 2004 un’altra società, la Gas Plus S.p.a., ha acquisito l’intero pacchetto azionario della citata Stargas Italia. Quest’ultima ha poi cambiato denominazione sociale in Gas Plus Italiana S.p.a. Di seguito, la Gas Plus Italiana si è fusa per incorporazione inversa con la controllante Gas Plus S.p.a. che, infine, nel 2012 ha assunto l’attuale denominazione di Gas Plus Italiana S.r.l., con la quale ha agito in questo giudizio (doc. ti 5.1, 5.2 e 5.2 ricorso I grado, decreti di voltura della concessione).
2.2 Come si è detto, il pozzo Masseria Petrulla 1 per cui è causa si è rivelato improduttivo ed è quindi stato chiuso minerariamente – ciò è a dire, sono cessate le attività volte a estrarre minerale – il giorno 20 giugno 2003; successivamente, la concessionaria SPI ha fatto pervenire al Comune, allora competente in materia, con nota 26 novembre 2003 prot. n.31796, un piano di caratterizzazione del sito, conforme all’allora vigente d. lgs. 5 febbraio 1997 n.22 (doc. 7 ricorso I grado, cit.) e ne ha ottenuto l’approvazione da parte del Comune, allora competente in materia, come da deliberazione della Giunta 8 aprile 2004 n.137 (doc. 8 ricorso I grado, ove anche gli estremi della presentazione del piano).
2.3 Si arriva così al 9 luglio 2021, data dell’istanza (doc. 12 ricorso I grado) con la quale l’attuale ricorrente appellante, deducendo di avere completato la caratterizzazione dell’area e di aver evidenziato l’assenza di contaminazioni, ha chiesto alla Regione, ente competente in base alle norme successivamente intervenute, che la stessa fosse rimossa dall’elenco regionale dei siti potenzialmente contaminati ovvero da bonificare.
2.4 Ne è seguito uno scambio di note fra la società, la Regione e l’ARPAB, all’esito del quale la Regione ha emesso il provvedimento 18 ottobre 2022 prot. n.31689 (doc. 21 ricorso I grado), con il quale, richiamata una nota dell’ARPAB 15 aprile 2022 prot. n.5700, che nei campionamenti eseguiti nel 2005 aveva riscontrato il superamento delle CLA - concentrazioni limite di accettabilità previste dall’allora vigente d.m. 25 ottobre 1999 n.471, ha impartito alla società ordine di “aggiornare i risultati di caratterizzazione ambientale, per quanto riguarda la matrice acque sotterranee, avendo come obiettivo finale la delimitazione dell’area entro la quale si registrano i superamenti delle CLA per i parametri cromo VI e cloroformio”; predisporre un eventuale piano di indagine ex art. 242, co. 13-ter d.lgs. 3 aprile 2006 n.152 per integrare la valutazione dello stato di contaminazione delle acque sotterranee da manganese; trasmettere la documentazione conclusiva delle precedenti attività per consentire l’approvazione dei risultati della caratterizzazione; predisporre e trasmettere entro 6 mesi dall’approvazione degli esiti della caratterizzazione un progetto operativo di bonifica ovvero ripristino dello stato dei luoghi.
2.5 Per migliore comprensione, vanno precisati i caratteri essenziali delle normative in tema di bonifica sopra citate, che si sono succedute nel tempo.
2.5.1 La norma originaria, l’art. 17 comma 1 del d. lgs. 22/1997, prevedeva la fissazione “dei limiti di accettabilità, delle procedure di riferimento e dei criteri” per procedere a bonifica con un apposito decreto ministeriale, precisamente il già citato d.m. 471/1999.
2.5.2 Il d. lgs. 22/1997, come si è detto, è stato abrogato e sostituito dal d. lgs. 152/2006, che prevede a sua volta, come è noto, negli artt. 242 e ss., una specifica procedura di bonifica.
2.5.3 Le due procedure, quella prevista dal d.m. 471/1999 e quella prevista dal d. lgs. 152/2006, sono sostanzialmente identiche negli strumenti previsti, che sono la messa in sicurezza di emergenza-m.i.s.e. ed il piano di caratterizzazione, prodromico alla bonifica vera e propria - in disparte le misure di prevenzione, che rilevano ai fini di causa e delle quali si dirà oltre – differiscono, però, nei presupposti della loro adozione.
2.5.4 L’art. 4, comma 1, del d.m. 471/1999 prevedeva, infatti, che “in caso di superamento o di pericolo concreto ed attuale di superamento dei valori di concentrazione limite accettabili per le sostanze inquinanti di cui all'articolo 3, comma 1, il sito interessato deve essere sottoposto ad interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale per eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti a valori di concentrazione almeno pari ai suddetti valori di concentrazione limite accettabili, ai sensi e con le modalità previste dal presente decreto”.
In altre parole, in questo sistema gli interventi devono essere posti in essere per il sol fatto che nel sito interessato si siano superate le concentrazioni di sostanze inquinanti previste in via generale ed astratta dal decreto in questione, per le quali vige, in sostanza, una presunzione assoluta di pericolosità: sono le CLA di cui si è detto sopra.
2.5.5 Nel quadro delineato dall’art. 242 d. lgs. 152/2006, che invece tiene conto dell’evoluzione scientifica e tecnologica nel frattempo verificatasi, vi è una maggior considerazione delle concrete caratteristiche del sito e il procedimento si svolge in più fasi.
La prima fase si attiva nel momento in cui vengono superate le cd concentrazioni soglia di contaminazione, ovvero CSC, concentrazioni di sostanze inquinanti che fanno, per così dire, scattare l’allarme e obbligano a verificare la effettiva necessità di provvedere. Superate le CSC, occorre infatti attivare un’indagine preliminare cd. sito specifica, la quale deve accertare attraverso la caratterizzazione se siano superate le concentrazioni soglia di rischio, ovvero CSR, per quelle stesse sostanze, ai sensi dell’art. 242 comma 4 d. lgs. 152/2006, e se ciò è in concreto avvenuto si deve procedere alla bonifica ai sensi dell’art. 242 comma 7 dello stesso decreto.
2.5.6 Il coordinamento fra le due disposizioni è stato dato anzitutto dall’art. 264, comma 1, lettera i), del d. lgs. 152/2006, che, da un lato, ha abrogato in modo espresso il d.lgs. 22/1997, dall’altro, però, ha previsto che “Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto”.
2.5.7 Ha poi disposto l’art. 13 comma 3 del d.l. 24 giugno 2014 n. 91, nel senso che “I procedimenti di approvazione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza avviati prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n 152, la cui istruttoria non sia conclusa alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definiti secondo le procedure e i criteri di cui alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
2.6 La società ha impugnato questo provvedimento 18 ottobre 2022 con il ricorso n.637/2022 R.G. T.a.r. Basilicata, che lo ha accolto con la sentenza 1 giugno 2023 n. 351, passata in giudicato (fatto non controverso).
Il T.a.r. ha infatti ritenuto, sulla base della norma del d.l. 91/2014 sopra citata, che il procedimento di ripristino ambientale andasse svolto ai sensi del d. lgs. 152/2006, previa necessaria individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, provvedimento quest’ultimo di competenza della Provincia.
3. Si arriva così ai fatti direttamente rilevanti ai fini di causa.
3.1 Con la nota 27 giugno 2023 prot. n.140922 di cui in epigrafe (doc. 1 ricorso I grado, cit.) la Regione ha riavviato il procedimento di caratterizzazione ed eventuale successiva bonifica: “ridetermina il perimetro legislativo entro il quale si incardina la conferenza di servizi di cui all’oggetto, richiamandosi alle disposizioni del Titolo V del D. Lgs. 152/06 e non anche al previgente D.M. 471/99”; contestualmente, sulla base di un parere ARPAB 10 agosto 2023 prot. n.173711 (doc. 2 ricorso I grado, cit.) ha prescritto alla società “l’adozione, senza indugio, di tutte le misure di prevenzione finalizzate ad arrestare la migrazione dei contaminanti in falda, oltre il perimetro del sito, in ottemperanza agli obblighi disposti ai sensi dell’art. 245 del già citato D. Lgs. 152/06”.
3.2 Nel parere citato, per quanto qui interessa, l’ARPAB rileva che in base ad una freatrimetria del sito riportata in una planimetria del 2022 sono stati riscontrati superamenti delle CSC nelle acque sotterranee per i parametri Cromo esavalente e Triclorometano, ovvero Cloroformio; consiglia quindi di adottare misure di contenimento della contaminazione nei piezometri in cui questo superamento è stato riscontrato, onde evitare “la potenziale migrazione di sostanze contaminanti all’esterno del sito” (doc. 2 ricorso I grado, cit.).
3.3 Con la nota 10 agosto 2023 prot. n.173711 (doc. 3 ricorso I grado, cit.), la Regione ha ribadito quanto sopra.
3.4 La società ha impugnato questi provvedimenti con il ricorso di I grado n.436/2023 R.G. T.a.r. Basilicata.
3.5 Per completezza, occorre anche ricordare che la società, con ordinanza 16 novembre 2023 n.30 della Provincia di Matera, è stata individuata come responsabile della contaminazione (doc. 29 ricorso I grado foliario 27 novembre 2023) e con successivo provvedimento della Regione 12 dicembre 2023 prot. n.261278 ha visto confermare a suo carico l’obbligo di attuare “tutte le misure di prevenzione e di messa in sicurezza al fine di scongiurare l’ulteriore diffusione nella matrice acque sotterranee della contaminazione da Cromo VI, avendo cura di acquisire le relative autorizzazioni da parte degli Enti competenti” (doc. 30 ricorso I grado foliario 27 novembre 2023).
3.6 La società ha impugnato questi provvedimenti con il ricorso di I grado n.21/2024 R.G. T.a.r. Basilicata.
4. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto il ricorso n.436/2023 di cui sopra, con la motivazione che di seguito si riassume.
4.1 In primo luogo, il T.a.r. ha ritenuto che la società non abbia offerto “persuasivi elementi” per ritenere che “le iniziative ingiuntele dalla Regione … integrino, a dispetto del nomen, un intervento di “messa in sicurezza d’emergenza” che, al contrario delle prime, non può essere imposto nei confronti del gestore incolpevole dell’area contaminata, ma solo del responsabile dell’inquinamento (tale non essendo, all’epoca dei fatti, la società ricorrente, la cui responsabilità è stata accertata in via amministrativa solo con successiva ordinanza della Provincia di Matera del 16 novembre 2023; accertamento sub iudice in altro giudizio, R.G. n. 21/2024)” (motivazione, p. 8 § 5.1).
4.2 In secondo luogo, il T.a.r. ha ritenuto che l’imposizione delle misure fosse giustificata dai risultati dell’istruttoria, che, come si è detto, ha riscontrato inquinamento da Cromo esavalente e Cloroformio (motivazione, p. 9 § 5.2).
4.3 In terzo ed ultimo luogo, il T.a.r. ha ritenuto infondata la censura di indeterminatezza delle misure imposte, in quanto il tenore del ricorso avrebbe dimostrato “incontrovertibilmente che la società ricorrente ha ben compreso la natura e le caratteristiche degli interventi che le sono richiesti” (motivazione, p. 10 § 5.3).
5. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene tre motivi, di riproposizione dei motivi respinti in I grado e di critica alla sentenza di I grado stessa per non averli accolti, così come segue.
5.1 Con il primo di essi, deduce violazione del principio “chi inquina paga” di cui agli artt. 191 e 192 del Trattato di funzionamento dell’Unione Europea, degli artt. 3-ter e 239 e ss. del d.lgs. n. 152/2006 e violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n.241.
La parte premette in fatto di non potere, a suo avviso, essere considerata soggetto responsabile dell’inquinamento, avendo acquistato il sito a seguito, come si è detto, di una cessione di ramo di azienda e non avendovi mai svolto attività industriali di qualche tipo, diverse dalla mera custodia. Ciò posto, ritiene che quelle che le verrebbero imposte siano non misure di prevenzione, ma vere e proprie misure di messa in sicurezza di emergenza, che come tali potrebbero essere imposte non al proprietario incolpevole, ma solo al responsabile dell’inquinamento, dopo che lo si fosse individuato. In particolare, la parte sostiene (p. 15 dell’atto, dal settimo rigo) che le misure di prevenzione si distinguerebbero dalle misure di messa in sicurezza di emergenza per il fatto di dover essere attuate entro 24 ore dall’evento pericoloso e per il fatto di dover consistere in “interventi di immediata e facile realizzazione, non potendo tradursi, invece, in opere complesse (come quelle, ad esempio, connesse ad un barrieramento idraulico), la cui realizzazione implicherebbe un impegno pressoché continuativo nel tempo e, in ogni caso, superiore all’arco temporale delle ventiquattro ore”. Ciò non potrebbe essere nel caso di specie in cui la contaminazione è sicuramente risalente.
Infine, deduce la violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, nel senso che una partecipazione al procedimento avrebbe consentito di evidenziare quanto sopra.
5.2 Con il secondo motivo, deduce propriamente falso presupposto, e sostiene in sintesi che l’inquinamento riscontrato non sarebbe tale da giustificare le misure.
5.3 Con il terzo motivo, ripropone infine, come motivo di violazione dell’art. 240 d. lgs. 152/2006, la censura di presunta genericità delle misure impostele.
6. Hanno resistito la Regione, con memoria 6 giugno 2024, e l’ARPAB, con atto 23 maggio 2024, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto; la SPI è intervenuta, con atto 18 luglio 2024, sostanzialmente rimettendosi a giustizia.
7. Con istanza di prelievo 13 marzo e memoria 19 maggio 2025, la ricorrente appellante ha insistito nelle proprie tesi, deducendo in particolare una circostanza sopravvenuta: con sentenza T.a.r. Basilicata 19 ottobre 2024 n.519, che non consta appellata e quindi deve ritenersi passata in giudicato, è stato accolto in parte il ricorso n.21/2024 di cui sopra. Il T.a.r. ha in sintesi annullato l’ordinanza provinciale 30/2023, escludendo che la ricorrente appellante possa essere considerata soggetto responsabile dell’inquinamento; ha però respinto la domanda di annullamento del provvedimento regionale che impone le misure di prevenzione suddette.
8. Alla pubblica udienza del giorno 19 giugno 2025, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
9. Il primo motivo di appello, per cui le misure imposte non costituirebbero misura di prevenzione, è fondato ed assorbente, per le ragioni di seguito esposte.
9.1 In termini generali, la distinzione fra misure di prevenzione, che si possono imporre al proprietario incolpevole, e misure di messa in sicurezza di emergenza, che invece presuppongono l’accertamento della responsabilità, non è ontologica, nel senso che si tratta di misure che -riguardate in sé e per sé, ovvero senza una valutazione del contesto - sono sostanzialmente identiche, essendo accomunate, secondo logica, dal medesimo obiettivo, di evitare l’aggravarsi del danno
9.2 In questo senso sono anzitutto le definizioni legali, perché l’art. 240 comma 1 lettera i) e l’art. 240 comma 1 lettera m), differiscono solo terminologicamente. La lettera i) definisce le “misure di prevenzione” come “iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”.
La lettera m) definisce la “messa in sicurezza d'emergenza” come “ogni intervento immediato o a breve termine, da “eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”, ove la lettera t) allude a “eventi al verificarsi dei quali è necessaria l'esecuzione di interventi di emergenza”.
Come è evidente, è comune ai due istituti l’obiettivo di “impedire o minimizzare” l’aggravarsi del danno, ovvero di “contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione”, che è esprimere lo stesso concetto con parole diverse.
9.3 In questo senso è anche l’allegato 3 della parte IV titolo V del d. lgs. 152/2006, dato che le misure di m.i.s.e. da esso descritte in modo esplicito possono ben costituire, secondo logica, anche misure di prevenzione. Si tratta, ad esempio, della “rimozione dei rifiuti ammassati in superficie”, dello “svuotamento di vasche”, della “raccolta sostanze pericolose sversate” e del “pompaggio liquidi inquinanti galleggianti, disciolti o depositati in acquiferi superficiali o sotterranei”: è di tutta evidenza che, ipotizzando un evento come la rottura di un contenitore di sostanze inquinanti, la raccolta delle sostanze sversate può valere anche come misura di prevenzione per “impedire o minimizzare” l’aggravamento della situazione.
9.4 Ciò posto, il criterio distintivo fra le due fattispecie va ricavato argomentando dalle norme generali del sistema.
9.4.1 Da un lato, come pacifico in giurisprudenza, per tutte da ultimo Cass. civ. SS. UU. 1 febbraio 2023 n.3077 e C.d.S. sez. IV 5 marzo 2025 n.1882, il principio “chi inquina paga” presuppone una responsabilità per danno colpevole, che è il dato legittimante l’imposizione della m.i.s.e. e della successiva bonifica. Le misure di prevenzione, all’opposto, sono per definizione imposte ad un soggetto non colpevole.
9.4.2 Secondo logica, quindi, queste misure devono fondarsi su un principio diverso, che non abbia gli stessi effetti ultimi del precedente, ovvero che non abbia il risultato ultimo di trattare il non colpevole allo stesso modo del colpevole e che tenga altresì conto di un altro principio generale del sistema, per cui la colpevolezza non si presume.
9.4.3 Il principio in questione è allora quello di solidarietà e buona fede di cui agli artt. 2 Cost. e 1176 c.c., norma specifica in materia di obbligazioni nei rapporti di diritto privato ma applicabile anche nei rapporti di diritto pubblico caratterizzati dall’accertamento della violazione di obbligazioni pubbliche che implicano la responsabilità del privato con conseguente applicazione di una misura amministrativa, di norma, coincidente con una sanzione, nella specie, avente valenza ripristinatoria (cfr anche art 1, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990). Tale principio di buona fede impone di attivarsi a protezione delle posizioni giuridiche altrui se ciò si possa fare senza apprezzabile sacrificio. Cosa in concreto costituisca “non apprezzabile sacrificio” non si può poi dire a priori: secondo comune esperienza, esso coinciderà di solito con misure semplici e di costo economico economico, come risulta dal fatto obiettivo per cui le misure di prevenzione di norma si adottano nell’immediatezza dell’evento e quindi non presuppongono la caratterizzazione e, per conseguenza, l’esatta conoscenza dell’inquinamento sul quale si interviene, ma non è detto che sia sempre così, potendosi fare il caso di un incidente verificatosi in uno stabilimento che lavora abitualmente una data sostanza inquinante e pertanto dispone per propria organizzazione di presidi tecnicamente più sofisticati che può immediatamente mettere in campo.
9.4.4 Dato però che la non colpevolezza si presume, dovrà essere l’amministrazione, attraverso una corretta e completa istruttoria, ad attivarsi non solo per individuare le misure da adottare a titolo di prevenzione, ma anche a dimostrare che esse, in rapporto alla situazione concreta e ai mezzi di cui l’obbligato dispone, rappresentano qualcosa di esigibile appunto perché per quello specifico obbligato metterle in atto rappresenta un sacrificio di entità non apprezzabile.
10. L’accoglimento del primo motivo di appello comporta l’assorbimento dei restanti due, i quali, come si ricava a semplice lettura, presuppongono si siano individuate le misure applicabili, che è quanto l’amministrazione per effetto dell’accoglimento deve fare. Pertanto, una pronuncia sul punto costituirebbe una pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati, non consentita ai sensi dell’art. 34 comma 2 c.p.a.
11. In conclusione, l’appello è fondato, con le conseguenze ora dettagliate.
11.1 In riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di I grado indicato nel dispositivo e vanno quindi annullati gli atti impugnati, ovvero le note 27 giugno 2023 prot. n.140922 e 10 agosto 2023 prot. n.173711 del Dirigente dell’Ufficio economia circolare, rifiuti e bonifiche della Regione Basilicata, quanto al loro contenuto provvedimentale, ovvero nella parte in cui impongono alla ricorrente appellante di adottare le misure qualificate come di prevenzione.
11.2 Come si precisa per completezza, l’effetto di annullamento riguarda solo questi due atti, nella parte indicata, non invece gli altri atti indicati in epigrafe, che sono pacificamente atti endoprocedimentali privi di autonoma attitudine lesiva e appaiono impugnati solo per scrupolo di difesa.
11.3 Nel riesaminare l’affare, l’amministrazione dovrà valutare, attraverso una corretta e completa istruttoria, quali concrete misure imposte alla ricorrente appellante, quale proprietario incolpevole integrino nello specifico un obbligo esigibile di attivarsi, nel senso che, avuto riguardo alla situazione dei luoghi esistente e all’organizzazione aziendale di cui l’impresa può disporre, possono essere adottate senza apprezzabile sacrificio.
11.4 Per completezza poi si ricorda che sulla qualificazione della ricorrente appellante come soggetto non responsabile della contaminazione è intervenuta la sentenza T.a.r. Basilicata n.519/2024 passata in giudicato di cui sopra al § 7.
12. La particolarità del caso deciso, sul quale non constano precedenti negli esatti termini, è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.3970/2024 R.G.), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di I grado (T.a.r. Basilicata n. 436/2023 R.G.) e annulla i provvedimenti impugnati, ovvero le note 27 giugno 2023 prot. n.140922 e 10 agosto 2023 prot. n.173711 del Dirigente dell’Ufficio economia circolare, rifiuti e bonifiche della Regione Basilicata nella parte indicata in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere
Paolo Marotta, Consigliere