Cass. Sez. III n. 34872 del 9 settembre 2009 (Ud. 9 giu 2009)
Pres. Lupo Est. Mulliri Ric. Deralvi ed altri
Beni ambientali. Pesca in area protetta
Chi si muove per mare (cosi come anche per terra) ha il preciso dovere di documentarsi sulle caratteristiche dei luoghi da percorrere e sull’esistenza di eventuali divieti e delimitazioni tanto più quando, come nella specie, le segnalazioni esistevano già a terra (fattispecie in tema di esercizio della pesca in area protetta).
OSSERVA
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - Con la sentenza qui impugnata il G.M. di Ostuni, investito del giudizio immediato a seguito di opposizione al decreto penale di condanna ha affermato la responsabilità degli odierni ricorrenti per il reato di cui all'art. 110 c.p., L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1 (rif. art. 11, comma 3 e art. 19, comma 3, lett. a)) per avere essi esercitato la pesca in zona di mare costituente area protetta.
Avverso tale decisione, hanno proposto ricorso gli imputati deducendo:
1) violazione di legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b) in rel. alla L. n. 157 del 1992, art. 30) in considerazione del fatto che le norme contestate non contengono il precetto per il quale è stata emessa la condanna. Ed infatti, la L. n. 157 del 1992, art. 30 contiene la sanzione per le condotte di cui agli art. 11, comma 3 e art. 19, comma 3, lett. a) il cui contenuto attiene alla fauna alpina e si rivolge alle province autonome di (OMISSIS) per disciplinare l'esercizio venatorio. Per contro, come si evince agevolmente dalla motivazione della sentenza, ciò di cui vengono ritenuti responsabili gli imputati è di aver esercitato la pesca in area marina protetta;
2) vizio di motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e)) per mancanza e/o contraddittorietà o manifesta illogicità in quanto la decisione non e coerente nella parte in cui assume che gli imputati stavano pescando quando non vi è prova a riguardo e la stessa può essere desunta dal rinvenimento di canne a pesca e lo stesso pesce rinvenuto non è provato che fosse il risultato della pesca abusiva.
L'incoerenza della sentenza si coglie anche per il fatto che, mentre condanna per la pesca abusiva in area protetta a bordo di gommoni a motore, assolve per l'altra ipotesi di reato relativa alla navigazione a motore.
I ricorrenti concludono invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso è infondato.
Ancorchè, nella sentenza impugnata, sia rinvenibile un evidente errore nella citazione della legge violata - indicata come L. n. 157 del 1992 invece della L. n. 394 del 1991 - è fuor di dubbio che si è in presenza di un vizio materiale che non ha inciso sulla sostanza della contestazione tanto è vero che gli imputati hanno ben compreso di cosa fossero accusati e si sono opportunamente difesi (come questo ricorso è riprova).
Il primo motivo di ricorso è, quindi, ai limiti dell'inammissibilità dal momento che l'errore materiale nella citazione della legge non determina nullità (e comunque, anche la legge citata riguarda aree protette).
Ferma restando, la necessità e possibilità (ex art. 619 c.p.p.) di correggere l'errore materiale contenuto nell'imputazione, il presente motivo deve essere respinto.
Stessa sorte per il secondo motivo dal momento che nessun vizio motivazionale è ravvisabile nella decisione impugnata che, anzi, nel valutare gli elementi di prova acquisiti, correttamente distingue arrivando ad assolvere per una delle due condotte sul presupposto che la non completa segnalazione dei confini della zona "C" impediva una valida contestazione della navigazione a motore nell'area in cui vige tale divieto.
Per il resto (esercizio della pesca in zona vietata), però, la sentenza spiega puntualmente che gli imputati "si trovavano proprio all'interno dell'area classificata come riserva naturale ("ZONA C") il cui punto preciso veniva individuato dai militari con apposita strumentazione di bordo".
Per altro, non vi è dubbio che gli imputati fossero stati in grado di rendersi conto dell'infrazione al divieto di pesca in zona protetta dal momento che "la riserva naturale di (OMISSIS) risultava all'epoca dei fatti segnalata a terra con appositi cartelli e delimitata in mare da boe gialle in prossimità della costa" e che "la delimitazione a terra ed in prossimità della costa (a prescindere dalla tipologia della segnaletica esistente) e l'indicazione della riserva naturale, sia sulle carte nautiche che sulle apparecchiature GPS, consentono di ritenere che gli imputati fossero consapevoli dell'illiceità della condotta perpetrata e, comunque, fossero in condizioni di comprendere, usando la normale diligenza, di trovarsi all'interno di una zona protetta".
Tutto ciò giustifica ampiamente anche l'elemento psichico della contravvenzione contestata e la reiezione di opposte deduzioni teste a sostenere una generica inconsapevolezza,visto che chi si muove per mare (cosi come anche per terra) ha il preciso dovere di documentarsi sulle caratteristiche dei luoghi da percorrere e sull'esistenza di eventuali divieti e delimitazioni (tanto più quando, come nella specie, le segnalazioni esistevano già a terra).
Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visti gli artt. 637 e seg. c.p.p. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali previa correzione dell'errore materiale contenuto nel capo di imputazione nel senso che, ove scritto "L. n. 157 del 1992" leggesi "L. n. 394 del 1991".
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 9 giugno 2009.