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Competenze e principi generali nel D. L.vo n. 22/97. La disciplina dei rifiuti nella normativa comunitaria.

di Stefano Maglia

 

Relazione tenuta al corso "Gestione dei Rifiuti" Rispescia (GR)  maggio 2003 presso il Centro Studi di diritto Ambientale dei CEAG - Legambiente

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Ancora oggi non è possibile parlare della disciplina dei rifiuti e dei principi cui essa si ispira senza ripercorrere le tappe della legislazione comunitaria in materia ambientale, in particolare con riferimento al settore dedicato ai rifiuti.

L’origine della normativa europea sui rifiuti si riconduce sostanzialmente a tre provvedimenti: la direttiva 75/442/CEE sui rifiuti, modificata dalla direttiva 91/156/CEE, la direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi, il Regolamento 259/93/CEE sulle spedizioni di rifiuti all’interno ed all’esterno della Comunità.

La prima norma comunitaria che ha fissato i principi cardine in tema di rifiuti è la direttiva 75/442/CEE adottata dal Consiglio il 15 luglio 1975.

Con questo provvedimento il legislatore europeo ha tracciato le linee fondamentali della politica sui rifiuti delineando gli strumenti di programmazione e organizzazione mediante i quali gli stati membri possono esercitare i controlli sullo smaltimento

Gli scopi indicati sono:

  • protezione dell’ambiente e della salute umana contro gli effetti nocivi della raccolta, del trattamento e del deposito dei rifiuti;
  • favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali.

Tali obiettivi sono pressoché identici a quelli recepiti in Italia solo nel 1997 attraverso il c.d.decreto Ronchi, e pensare che la direttiva considerava prioritario il ravvicinamento delle legislazioni europee in materia, onde, tra l’altro, evitare situazioni di disuguaglianza nelle condizioni di concorrenza tra le imprese nell’ambito del mercato comune.

Successivamente detta disciplina venne integrata dalla direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991, conformemente agli impegni assunti in tal senso dal Consiglio delle Comunità Europee con la risoluzione del 7 maggio 1990, con la quale veniva evidenziata la necessita di una politica globale da applicare ad ogni tipo di rifiuto destinato a rivalorizzazione, riutilizzazione o smaltimento.

La direttiva 91/156/CEE non solo indica ancora fra le priorità la promozione del recupero dei rifiuti, la loro riutilizzazione come materia prima e l’uso dei materiali come fonti di energia, ma innova profondamente la precedente disciplina, sia configurando un regime giuridico semplificato per i rifiuti recuperabili rispetto a quelli destinati allo smaltimento (nell’ottica di superamento della politica pregressa che aveva comportato un generalizzato utilizzo della discarica come metodo pressoché esclusivo di smaltimento), sia fissando ulteriori obiettivi:

  • autosufficienza all’interno della comunità nello smaltimento dei rifiuti attraverso l’istituzione di una adeguata rete integrata di impianti di smaltimento che tenga conto delle tecnologie più perfezionate;
  • riduzione al minimo dei movimenti dei rifiuti assoggettandoli ad appositi controlli;
  • controllo continuo dei rifiuti, dalla produzione sino allo smaltimento definitivo, mediante un’adeguata sorveglianza pure degli operatori intermedi addetti alla raccolta, al trasporto ed alle mediazione.

Questa seconda direttiva (assieme anche a quella sui rifiuti pericolosi e sugli imballaggi) è stata recepita in Italia solo con il decreto legislativo del 5 febbraio 1997, dunque 7 anni dopo la sua emanazione, e comunque con ben 22 anni di ritardo rispetto alla direttiva comunitaria del 1975.

Non che nel frattempo il legislatore italiano non avesse preso in materia alcuna iniziativa.

Nel settembre del 1982 entrava, infatti, in vigore il D.P.R. n. 915, “Attuazione della direttiva 75/442/CEE relativa allo smaltimento dei rifiuti”.

Tale decreto, sino all’emanazione del “Ronchi”, ha rappresentato la disciplina base in materia di rifiuti e le divergenze interpretative, cui ha dato luogo in sede applicativa, hanno spesso rispecchiato le molteplici, reali, difficoltà del nostro paese ad adeguarsi alle chiare linee determinate in materia di rifiuti dal legislatore europeo.

Il decreto assoggettava il problema dell’eliminazione dei rifiuti ai principi di salvaguardia della salute, incolumità pubblica e prevenzione dai rischi di inquinamento dell’ambiente, inquadrandolo nell’ambito delle politiche di pianificazione economica e territoriale (art. 1 D.P.R. 915/82).

Ed è proprio la medesima definizione di rifiuto data dal D.P.R. 915 ad aver sofferto delle maggiori incertezze, per l’ambiguità della formula normativa, in gran parte diversa da quella utilizzata nel diritto sopranazionale.

L’art. 1, lett. a) della Direttiva 75/442/CEE infatti definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi”.

Tale definizione consente di affermare che siamo di fronte ad un rifiuto solo a due condizioni, le quali debbono sussistere entrambe:

  • si tratti di sostanze od oggetti di cui il detentore si disfi o abbai deciso o abbia l’obbligo di disfarsi;
  • si tratti di sostanze od oggetti che rientrino in determinate categorie (da qui il nuovo CER).

Il D.P.R. 915 intendeva invece per rifiuto “qualsiasi sostanza o oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono”.

L’interpretazione della disposizione, ha dato vita a due diverse concezioni di “abbandono”: una soggettiva (rifiuto abbandonato) e l’altra oggettiva (rifiuto destinato all’abbandono).

Secondo il criterio soggettivo doveva intendersi abbandonato il materiale definitivamente scartato da eliminare o distruggere, ed esulava da tale ipotesi quella sostanza ancora suscettibile di essere riutilizzata.

Secondo il criterio oggettivo invece ai fini dell’individuazione della nozione di rifiuto il volontario abbandono era preso in considerazione solo se si realizzava secondo un criterio oggettivo e prevalente di compatibilità ambientale, il che significa che non era sufficiente che un prodotto di scarto fosse riutilizzato dal detentore perché si escludesse il concetto di rifiuto, anche se il materiale non è ancora privo di valore economico.

Ben diversa quindi l’impostazione rispetto alla più schematica definizione comunitaria.

Come è noto il decreto Ronchi (D. L.vo n. 22/1997) ha invece ripreso letteralmente la nozione proposta dalla normativa comunitaria, non senza difficoltà interpretative specialmente sul concetto di “disfarsi”.

È ormai noto a tutti il tentativo di interpretazione autentica della nozione di rifiuto avvenuto con il D.L. 8 luglio 2002, n. 138 (convertito con modificazioni nella legge 178/2002) che, all’art. 14 ha cercato di dare definizione al termine “disfarsi”. Tale tentativo, peraltro condotto in una sede sbagliata, senza fare i conti con il sistema di gestione europea dei rifiuti, non solo non ha riscosso successi, ma sta affrontando oggi censure di incostituzionalità.

A riconferma del fatto che nessun legislatore nazionale può autonomamente assumersi, nel suo paese, il ruolo di gestore della politica dei rifiuti, perché questa potrà essere efficace solo se coordinata a livello europeo, si segnala che il VI programma d’azione ambientale europea, (approvato il 22 luglio scorso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, pubblicato in GUCE l 242/13), contenente i cosiddetti “obiettivi programmatici” dell’azione comunitaria in materia ambientale per i prossimi 10 anni, all’art. 8 comma 2 punto iv), in riferimento all’uso e alla gestione sostenibile delle risorse naturali e dei rifiuti, detta tra le priorità “la rielaborazione o revisione della normativa sui rifiuti, e la precisazione della distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è”.

Peraltro, al momento in cui si scrive, è da rilevare che le prime sentenze della Cassazione (Cass. pen., sez. III, 26 febbraio 2003, n. 84; Cass. pen., sez. III, 24 febbraio 2003, n. 1642 e Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2003, n. 1421) emanate in relazione al succitato art. 14, confermano la validità dell’interpretazione autentica data dal legislatore.

Se vogliamo sapere cosa accadrà del nostro mondo nei prossimi dieci anni conviene davvero dare un’occhiata al Vi programma d’azione ambientale.

Il Programma è fondato, espressamente (art. 2 co.1) sul principio “chi inquina paga”, sul principio di precauzione, sull’azione preventiva e sul principio di riduzione dell’inquinamento alla fonte.

È interessante notare come già dalle prime battute del documento d’azione si sottolineino i termini della questione: “un ambiente pulito e sano” è essenziale per mantenere il benessere e la prosperità della società, “ma la continua crescita a livello mondiale causerà persistenti pressioni sull’ambiente

Sono individuati i presupposti per lo sviluppo sostenibile ovvero l’utilizzo prudente delle risorse naturali e la protezione dell’ecosistema globale, unitamente alla prosperità economica e allo sviluppo sociale equilibrato.

Il Programma definisce le priorità ambientali che richiedono una risposta comunitaria, riservando particolare attenzione a quattro settori fondamentali, che poi vengono trattati nello specifico agli articoli da 5 a 8, e cioè: cambiamenti climatici, natura e biodiversità, ambiente salute e qualità della vita, risorse naturali e rifiuti. Per ciascuno di questi settori sono indicati gli obiettivi principali ed alcuni traguardi, nonchè una gamma di azioni necessarie per conseguire detti traguardi.

Tra le aree di azione prioritaria per l’ambiente, come detto, l’art. 8 tratta dei rifiuti.

Gli stati della comunità europea devono assicurare che il consumo di risorse e gli impatti non superino la soglia di saturazione dell’ambiente, conseguire una sensibile riduzione delle quantità di rifiuti, anche di quelli destinati all’eliminazione, nonché delle quantità di rifiuti pericolosi prodotte, incentivando il riutilizzo dei rifiuti fino ad ora prodotti.

Tali obiettivi sono perseguiti tenendo conto dell'approccio della politica integrata dei prodotti e della pertinente strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti  attraverso le seguenti azioni prioritarie:

  • Elaborazione di una strategia tematica sull'utilizzo e la gestione sostenibili delle risorse, che comprenda tra l'altro:

a) una valutazione sui flussi delle materie prime e dei rifiuti nella Comunità ivi comprese importazioni e esportazioni, per esempio utilizzando lo strumento dell'analisi del flusso delle materie prime;

b) un'analisi dell'efficacia delle misure politiche e dell'impatto dei sussidi connessi alle risorse naturali e ai rifiuti;

c) la fissazione di traguardi e obiettivi in materia di efficacia delle risorse e di uso ridotto delle medesime, dissociando la crescita economica dagli impatti ambientali negativi;

d) la promozione di metodi e tecniche di produzione e di estrazione che incoraggino l'efficacia ambientale e l'utilizzo sostenibile delle materie prime, dell'energia, dell'acqua e di altre risorse;

e) l'elaborazione e l'attuazione di un ampio ventaglio di strumenti comprendente ricerca, trasferimento delle tecnologie, strumenti basati sul mercato ed economici, programmi di migliori pratiche e indicatori di efficacia in materia di risorse.

  • Elaborazione e attuazione di misure in materia di prevenzione dei rifiuti e gestione dei medesimi tra l'altro attraverso:

a) l'elaborazione di una serie di obiettivi quantitativi e qualitativi per la riduzione di tutti i rifiuti in questione da raggiungersi a livello comunitario entro il 2010. (La Commissione era invitata a presentare proposte riguardo a tali obiettivi entro il 2002);

b) l'incoraggiamento a progettare prodotti rispettosi dell'ambiente e sostenibili;

c) la sensibilizzazione dei cittadini al contributo che essi possono apportare alla riduzione dei rifiuti;

d) la definizione di misure operative volte a incoraggiare la prevenzione dei rifiuti, ad esempio stimolando il riutilizzo e il recupero, e l'eliminazione graduale di talune sostanze e materie prime attraverso misure relative ai prodotti;

e) l'elaborazione di ulteriori indicatori nel settore della gestione dei rifiuti.

  • Elaborazione di una strategia tematica sul riciclaggio dei rifiuti, compresi tra l'altro:

a) misure intese a garantire la separazione alla fonte, la raccolta e il riciclaggio dei flussi di rifiuti prioritari;

b) incoraggiamento alla maggiore responsabilizzazione del produttore;

c) sviluppo e trasferimento della tecnologia di riciclaggio e trattamento dei rifiuti rispettosa dell'ambiente.

E ancora una volta la parola è passata agli stati membri. Staremo a vedere.

L’Italia parte da una normativa base di notevole importanza, il decreto Ronchi che, dall’entrata in vigore ad oggi, ha assunto valore centrale non solo nel settore dei rifiuti, ma anche quale normativa di base in tutta la materia degli inquinamenti in generale.

Infatti lo stesso decreto 22/97, dopo essersi presentato come normativa cornice di settore (inquinamento da rifiuti solidi liquidi ed aeriformi), crea per propria espressa previsione, alcune deroghe specifiche rinviando di fatto alla normativa pregressa quanto all’inquinamento aeriforme e idrico.

La chiave di lettura del decreto legislativo sta nell’aver ritenuto, e tuttora ritenere, il problema della gestione dei rifiuti una complessa attività di pubblico interesse.

Si comprendono dunque i due principi fondamentali posti alla base delle gestione dei rifiuti, ovvero il principio di responsabilizzazione e cooperazione, che più oltre si tratteranno

Per quanto specificamente riguarda la corretta “gestione dei rifiuti”, così come definita dal decreto n. 22/97, tre sono le direttrici fondamentali:

  • protezione massima dell’ambiente in relazione sia allo stato dei luoghi, sia agli insediamenti umani esistenti e prospettabili;
  • controllo del territorio per evitare ulteriore degrado, con compiti specifici alle amministrazioni decentrate per ottenere una maggiore capillarità ed efficacia;
  • attenzione particolare ai rifiuti pericolosi ed al loro smaltimento, per il loro effetto devastante sul territorio.

La riforma del settore dei rifiuti è evidentemente legata alla parola chiave “gestione”.

Il fulcro della normativa non è più lo smaltimento, che anzi diventa fase residuale della gestione dei rifiuti, ma appunto la gestione, che si articola nelle diverse fasi della raccolta, trasporto, smaltimento e recupero. Tale attività complessa, finalizzata a limitare la quantità di rifiuti da smaltire, impegna i soggetti pubblici e privati, ed in tal senso costituisce attività di pubblico interesse, perciò “le autorità competenti adottano ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni, iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti, i…” (art. 3).

Fatto nuovo, di notevole importanza, è che il decreto Ronchi ricomprende nell’ambito della gestione anche il commercio e l’intermediazione di rifiuti nonché la bonifica dei siti inquinati, che rispetto al passato riceve una disciplina organica di particolare interesse, soprattutto sotto il profilo dell’effettività della tutela degli interessi pubblici.

Gli obiettivi che informano la gestione integrata dei rifiuti, in ordine di priorità, voluto dallo stesso legislatore, sono:

  • prevenzione e riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti (art. 3)
  • recupero dei rifiuti (art. 4)
  • smaltimento (art. 5)

A detti obiettivi, conformi alla strategia europea dello “sviluppo sostenibile” (ovvero l’uso delle risorse da parte delle generazioni attuali senza mettere a repentaglio l’uso delle stesse per le generazioni future), devono uniformarsi i piani regionali di gestione dei rifiuti, assicurando adeguata pubblicità e massima partecipazione dei cittadini.

La prevenzione è senza dubbio l’obiettivo prioritario della nuova politica di gestione dei rifiuti, gli strumenti cui il decreto affida la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti sono: lo sviluppo di tecnologie pulite, la promozione di strumenti economici di ecobilancio e di audit ambientale, l’informazione e la sensibilizzazione del consumatore, lo sviluppo di tecniche idonee all’eliminazione di sostanze pericolose dai rifiuti destinati a smaltimento o recupero, la promozione di accordi finalizzati alla riduzione della produzione e pericolosità dei rifiuti.

Il recupero dei rifiuti è considerato momento centrale di tutto il sistema della gestione ed ha lo scopo di ridurre il flusso dei rifiuti destinati allo smaltimento finale. Fra le diverse operazioni di recupero sono preferite il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero di materia prime; segue l’utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.

Le quindici operazioni di smaltimento consentite sono elencate nell’allegato B del decreto. Tutte le operazioni, che assumono carattere assolutamente residuale nella gestione dei rifiuti, devono essere effettuate senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano arrecare pregiudizio all’ambiente.

I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo (principio di sicurezza) e senza utilizzare procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente (principio di benessere ecologico) ma, come già anticipato, sono la responsabilizzazione e la cooperazione i due principi fondamentali alla base della corretta gestione dei rifiuti (art. 2, comma 3), che rappresentano peraltro una diretta applicazione del famoso principio di derivazione comunitaria “chi inquina paga”.

Secondo un’ottica di cooperazione e di responsabilità condivisa tutti gli utenti pubblici e privati, che partecipano a diverso titolo ed in vario modo al ciclo di vita del prodotto – rifiuto, devono essere coinvolti nelle diverse azioni da porre in essere per realizzare gli obiettivi fissati dal decreto.

La norma prospetta la necessità di educare all’utilizzo e consumo del bene, con la consapevolezza che creare un rifiuto è una questione che interessa tutta la collettività. Pertanto sono chiamati alla consapevolezza i singoli privati così come gli organi pubblici, che devono far rispettare le norme nazionali e comunitarie ormai sullo stesso piano sostanziale quale cogenza.

Alla luce di ciò, per perseguire le finalità previste dal decreto, lo stesso articolo 2, al comma 4, prescrive che Stato Regioni ed enti locali “adottino ogni opportuna azione”, avvalendosi della collaborazione di soggetti pubblici e privati qualificati.

In tal senso è anticipato all’art. 2 il regime delle competenze, poi specificato agli articoli seguenti quanto agli pubblici, (artt. 19, 20 e 21) o ai trasportatori di rifiuti (art. 15), o a chi gestisce imballaggi (art. 34).

In modo particolare si analizzeranno di seguito le competenze degli enti pubblici.

La lettura comparata degli artt. 19, 20 e 21 del D.L.vo n. 22/97 consente di individuare almeno tre diverse categorie di competenze da attribuire, in misura differente agli enti pubblici territoriali quanto alla gestione dei rifiuti; in particolare si tratta di competenze normative, gestionali o di programmazione e/o organizzazione, nonché autorizzative.

Nel dettaglio potremmo dire che dall’analisi dell’art. 19 risultano competenti le Regioni come segue:

Competenze normative:

-         le regioni regolamentano le attività di gestione dei rifiuti, tra cui anche la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, compresi quelli pericolosi, avendo come obbiettivo prioritario la separazione dei rifiuti di provenienza alimentare, o comunque ad alto tasso di umidità, dai restanti rifiuti; la promozione della gestione integrata dei rifiuti, cioè il complesso delle attività volte ad ottimizzare il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti;

-         predispongono le linee guida per i progetti di bonifica;

-         definiscono i contenuti della relazione da allegare alla comunicazione di cui agli artt. 31 32 e 33, in tema di procedure semplificate;

-         dettano i criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero;

-         definiscono i criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento.

Competenze di programmazione e organizzazione:

punto essenziale delle competenze regionali è la predisposizione l’adeguamento o adozione, sentite Province e Comuni dei piani regionali di gestione dei rifiuti; esse provvedono inoltre a

-         adeguare e adottare i piani di bonifica;

-         delimitare gli ATO in deroga agli ambiti provinciali;

-         promuovere la gestione integrata dei rifiuti;

-         incentivare la riduzione della produzione dei rifiuti e il loro recupero;

-         dettare disposizioni speciali per rifiuti particolari, nel rispetto delle determinazioni statali.

Competenze autorizzative:

-         approvano i progetti dei nuovi impianti e autorizzano le modifiche;

-         rilasciano le autorizzazioni per le operazioni di smaltimento e recupero non semplificato;

-         aggiornano le autorizzazioni esistenti (art. 57, c. 4)

Possiamo, infine, ricordare che le Regioni sono autorità competenti di spedizione e destinazione per il traffico transfrontaliero dei rifiuti, ed infine hanno la facoltà di emanare ordinanze contingibili ed urgenti allo scopo di risolvere problemi di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente. Appare pertanto demandata alle Regioni una competenza organizzativa di pianificazione del territorio, lasciando maggior concretezza organizzativa alle Province, cui è demandata la gestione unitaria del territorio stesso.

Quanto alle Province, dal decreto Ronchi esse risultano particolarmente valorizzate quali enti intermedi di vasta area per la gestione dei rifiuti. In capo ad esse, sulla base di quanto disposto all’art. 20, sono:

Competenze di programmazione ed organizzazione:

-         svolgono le funzioni amministrative relative alla programmazione e alla organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale;

-         individuano, sentiti anche i Comuni, le zone non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero e quelle idonee alla localizzazione di impianti per rifiuti urbani;

-         assicurano la gestione unitaria dei rifiuti urbani nell’ATO (art. 23);

-         disciplinano la cooperazione dei Comuni nell’ATO (art. 23);

-         organizzano la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati nell’ATO.

Competenze di controllo e monitoraggio:

-         controllano gli interventi di bonifica;

-         controllano periodicamente le attività di gestione di commercio e intermediazione dei rifiuti.

Sussistono inoltre competenze specifiche relative all’applicazione delle procedure semplificate di cui agli art. 31 32 e 33 in base alla quali le Province:

-         controllano i requisiti per l’applicazione delle procedure semplificate;

-         ricevono le comunicazioni per l’autosmaltimento e per il recupero agevolato;

-         provvedono all’iscrizione dei soggetti sottoposti alle procedure semplificate.

Resta garantita all’ente pubblico de quo, ai fini dell’esercizio delle proprie funzioni, la possibilità di avvalersi di organismi pubblici con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia, con i quali stipulano apposite convenzioni. Gli addetti ai controlli potranno effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti impianti o imprese che producono o svolgono attività di gestione dei rifiuti, senza che possa loro essere opposto il segreto industriale, e con l’obbligo della riservatezza. I controlli devono avere il carattere di periodicità ed adeguatezza, onde verificare nel tempo la permanenze e sussistenza dei requisiti richiesti.

Anche le Province hanno facoltà all’utilizzo dello strumento delle ordinanze contingibili ad urgenti (art. 13 del decreto).

Ne risulta che la Provincia è individuata quale autorità di bacino per lo smaltimento dei rifiuti, in quanto indicata come ambito territoriale ottimale. Spettano a questa istituzione il coordinamento e la promozione della cooperazione fra Comuni nella prospettiva di un quadro unitario di gestione dei rifiuti. 

Agli enti pubblici locali l’art. 21 attribuisce la gestione dei rifiuti urbani e assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa, tenendo conto di quanto previsto all’art. 23, relativo alla gestione dei rifiuti urbani in ATO, e all’adozione di appositi regolamenti per la disciplina del servizio (potremmo individuare in tal senso una competenza normativa del comune). I principi chiave imposti restano quelli che ritroviamo in tutta la normativa: efficienza, efficacia ed economicità.

Possiamo meglio distinguere in capo ai Comuni le seguenti competenze gestionali:

-         organizzazione della gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità

-         gestione dei rifiuti urbani ed assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa;

-         istituzione di eventuali servizi integrativi per rifiuti speciali non assimilati.

I Comuni partecipano all’approvazione di progetti di bonifica, hanno facoltà di emissione di ordinanze contingibili ed urgenti, e dal primo gennaio 2000 istituiscono la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani.

È concesso all’ente pubblico nell’ambito dell’attività di gestione dei rifiuti urbani di avvalersi della collaborazione delle associazioni di volontariato e della partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni. Secondo lo spirito di collaborazione e coordinamento della normativa, è previsto che i comuni forniscano alla Regione ed alla Provincia tutte le informazioni sulla gestione dei rifiuti urbani dalle stesse richieste, anche al fine di favorire i paini programmatici integrati.