Codici a specchio. Meno male che la Cassazione c'è!

di Gianfranco AMENDOLA

Meno male che la Cassazione c’è !

L’ordinanza, appena pubblicata in questo sito, con cui, in poche pagine, la Suprema Corte riassume la complessa vicenda dei rifiuti con voci a specchio e richiede l’intervento della Corte europea di giustizia è veramente esemplare per chiarezza, completezza, rigore scientifico e obiettività.

Non c’è, quindi, molto da commentare, basta leggere l’ordinanza che, peraltro, condividiamo totalmente; ed è, quindi, superfluo, ricapitolare ancora una volta la problematica in esame.

C’è solo una considerazione che, a nostro sommesso avviso, va fatta e riguarda la motivazione per cui la Cassazione ha deciso di richiedere un parere interpretativo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Infatti, leggendo l’ultima parte del provvedimento appare evidente che, pur dando conto correttamente di tutte le opinioni, la Suprema Corte non ha dubbi interpretativi 1.

Infatti.

  1. Le argomentazione della tesi “probabilistica” appaiono “ equivoche laddove , sostenendo, ad esempio, l’assoluta impossibilità tecnica di procedere ad una adeguata analisi del rifiuto, si assume che il produttore del rifiuto possa sostanzialmente classificarlo a sua discrezione o, comunque, attraverso le metodiche ritenute adeguate da chi procede alle analisi, pena la inevitabile classificazione di tutti i rifiuti con voci speculari come pericolosi

  2. Ciò che si richiede, in tali casi, è in ogni caso una adeguata caratterizzazione del rifiuto e non anche la ricerca indiscriminata di tutte le sostanze che esso potrebbe astrattamente contenere. In altre parole – e l’assunto sembra del tutto logico – tale affermazione starebbe a significare che, accertando l’esatta composizione di un rifiuto, è conseguentemente possibile verificare la presenza o meno di sostanze pericolose . Altrettanto coerente sembra l’ulteriore osservazione secondo la quale la composizione di un rifiuto non è sempre desumibile dalla sua origine , come nel caso in cui non derivi da uno specifico processo produttivo, ma sia talvolta conseguenza di altri fenomeni o trattamenti che ne rendono incerta o ne mutano la composizione.”

  3. Una caratterizzazione spinta e sistematica del rifiuto sarebbe necessaria quando lo stesso è sconosciuto, con la conseguenza che se la stessa dovesse richiedere costi eccessivi per il detentore, questi potrà eventualmente classificare comunque il rifiuto come pericoloso. Diversamente, quando il rifiuto è conosciuto, l’analisi chimica dovrebbe riguardare esclusivamente le sostanze che sono potenzialmente presenti in base alle fonti dei dati e del processo di formazione del rifiuto, osservando che una simile scelta non sarebbe comunque aleatoria, ma conseguente alla conoscenza delle materie prime che hanno concorso alla formazione del rifiuto e del processo di formazione dello stesso, con applicazione di metodi razionali di deduzione e che, in ogni caso, ove tale accertamento non fosse possibile, dovrebbe necessariamente procedersi alla classificazione del rifiuto come pericoloso.

  4. Quanto ai provvedimenti comunitari entrati in vigore il 1 giugno 2015, “non sembra al Collegio che….., consentano di rinvenire, nei provvedimenti medesimi, contenuti che permettano di rilevarne la fondatezza nei termini drastici talvolta prospettati e, conseguentemente, l’esistenza di presunzioni o criteri di valutazione fondati sulla probabilità .

  5. Paiono invece deporre in senso decisamente contrario alla classificazione meramente discrezionale la traduzione letterale dei richiamati provvedimenti comunitari, mentre i contenuti del citato documento della Commissione Europea del giugno 2015, nonché del manuale tecnico del Regno Unito del 2003, di cui pure si è detto, al quale si è aggiunto il rapporto 4/2/2016 (“Classification réglementaire des déchets. Guide d’application pour la caractérisation e dangerosité”), realizzato per il Ministero dell’ecologia francese (MEDDE) sembrano, al contrario, stabilire precise metodologie per l’individuazione delle caratteristiche di pericolosità del rifiuto .

  6. Corretto pare …….. il richiamo al principio di precauzione cui deve conformarsi la gestione dei rifiuti, come espressamente previsto anche dalla disciplina generale di settore (art. 178 d.lgs. 152\2006), che deve ritenersi applicabile anche nella classificazione dei rifiuti pericolosi con voci speculari al fine di garantire una adeguata protezione dell’ambiente e della salute delle persone ”.

Insomma, la Cassazione non ha dubbi che la problematica delle voci a specchio non può essere trattata con criteri probabilistici e discrezionali ma solo partendo dal presupposto- peraltro, del tutto ovvio- che solo accertando l’esatta composizione di un rifiuto, è conseguentemente possibile verificare la presenza o meno di sostanze pericolose. In mancanza di tale presupposto, il rifiuto deve essere classificato come pericoloso in base al principio di precauzione.

Esattamente, cioè, quanto disponeva la legge 116/2014, che, tuttavia, è stata, pochi giorni fa, abrogata con il l’art. 9 del decreto legge n. 91, che l’ha “sostituita” con i provvedimenti comunitari del 2014.

Ed è proprio questo il motivo per cui la Suprema Corte ha preferito richiedere l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Infatti, l’art. 9 sembrerebbe recepire gli interventi esplicativi del Ministero e della Regione Lazio (peraltro del tutto irrilevanti, perché non vincolanti ed espressione di una semplice opinione), di cui si è dato conto in precedenza, sebbene con un mero richiamo alla disciplina comunitaria in vigore dal 1 giugno 2015 e senza rilevarne espressamente l’incompatibilità con la normativa nazionale previgente - con cui pare volersi avvalorarne una lettura nel senso della previsione di parametri di classificazione basati su discrezionali criteri di “opportunità” e “pertinenza” .

Una bella bacchettata, cioè, al Tribunale del riesame di Roma che aveva aderito alla tesi della discrezionalità sulla base di pareri “ del tutto irrilevanti” della regione Lazio e del Ministero dell’ambiente (cui aggiungeremmo anche il parere ISPRA del 2017 che ha entusiasticamente “condiviso” l’art. 9 del decreto governativo e il patetico parere “pro veritate” dell’Ordine dei chimici del Lazio ecc.).

In altri termini –continua la suprema Corte- “ i termini della questione non paiono mutati in maniera determinante, poiché restano comunque da definire le modalità di classificazione dei rifiuti pericolosi contraddistinti da voci speculari in conformità alla disciplina comunitaria ora vigente ”, in quanto “ i provvedimenti comunitari più volte citati non contengono indicazioni prescrittive di specifiche procedure analitiche, che, al contrario, la legge 116\2014 disponeva, ma che ora non sono più applicabili dopo l’intervento abrogativo ad opera del decreto legge 91\2017 (ovvero, secondo altra interpretazione, a seguito della tacita abrogazione conseguente alla emanazione della Decisione 2014/955/UE del Regolamento (UE) n. 1357/2014) ”.

E allora, “ sussistendo, in definitiva, un ragionevole dubbio circa l’ambito di operatività delle disposizioni comunitarie che l’ultimo intervento del legislatore nazionale espressamente richiama ”, proprio per evitare incertezze in un settore delicato quale quello della classificazione dei rifiuti pericolosi, la Cassazione ha preferito, dopo aver espresso la sua opinione, privilegiare responsabilmente non la sua opinione ma la certezza del diritto erga omnes attraverso una pronuncia pregiudiziale della Corte europea che sarà vincolante per Autorità e giudici italiani, formulando, peraltro, quesiti chiari, semplici e basati su una profonda conoscenza del diritto comunitario.

Un’ultima osservazione. La requisitoria del Procuratore generale della Cassazione nel procedimento in esame (che, pure, conclude anche egli per la rimessione, in via principale, della questione alla Corte europea) è esattamente l’opposto, come metodo e contenuti, della ordinanza in commento che, come abbiamo detto, è chiara, succinta, oggettiva e non pleonastica. Non a caso, infatti, la suprema Corte non riporta alcuno dei tanti argomenti contenuti in tale requisitoria. E non a caso non accoglie neppure uno dei quesiti in essa proposti, palesemente fuorvianti e addirittura, a volte incongrui anche rispetto alle stesse premesse della requisitoria. Come quando, ad esempio, si formula la domanda se “ sia in ogni caso necessaria una analisi quantitativamente esaustiva del rifiuto di modo che la somma algebrica delle porzioni analizzate copra una percentuale che, sommata a quella di concentrazione più bassa prevista per le varie sostanze pericolose, raggiunga nel complesso il 100% della composizione del rifiuto analizzato ”, facendo intendere che questa sia l’opinione di chi, in nome della “certezza”, richiede la conoscenza della composizione del rifiuto; dimenticando che, poche pagine prima, nella stessa requisitoria, si era, invece, correttamente evidenziato che quella opinione, per i rifiuti a specchio, parte non dall’obbligo di analisi in ogni caso ma “ dalla conoscenza certa della sua composizione in modo da poter valutare se in esso siano o no presenti sostanze pericolose specifiche o generiche e conseguentemente se esso possieda o meno caratteristiche di pericolo. A tal fine, qualora non sia possibile conoscerne la composizione in base al processo di produzione ed alla scheda del produttore, sarà necessario procedere alla caratterizzazione chimica del rifiuto (che è cosa ben diversa dalla identificazione della composizione merceologica), con la individuazione delle sostanze in esso contenute , per poter verificare così, in concreto, se tra queste vi siano o meno sostanze pericolose. Con il conseguente corollario che un rifiuto potrà essere considerato non pericoloso solo se questa verificazione avrà dato esito negativo ”.

Tanto è vero –ma la requisitoria non lo dice- che i fautori di questa opinione ritengono addirittura che non vi sia bisogno di alcuna analisi quando, dalla documentazione fornita circa origine e processo produttivo, risulta la non pericolosità del rifiuto. Così come la requisitoria dimentica di aggiungere che i fautori della predetta opinione ricordano anche che “ qualora l’analisi chimica non fosse in grado di procedere alla caratterizzazione del rifiuto al fine di escludere la presenza in esso delle sostanze pericolose e quindi delle relative caratteristiche di pericolo, la normativa ha previsto la possibilità, in specifiche circostanze, di ricorrere ai test di laboratorio al fine di determinare le caratteristiche di pericolo del rifiuto ”.2

Altro che obbligo “in ogni caso” di “ analisi quantitativamente esaustiva….”!

Peraltro, è palese che questa distorta rappresentazione della tesi “della certezza” (identificata con l’obbligo “ in ogni caso, di analisi quantitativamente esaustive”) non è frutto di un errore dato che, poco dopo nella requisitoria, si respinge “ la tesi secondo cui, ai fini della classificazione di un rifiuto come pericoloso mediante riferimento a sostanze pericolose, è in ogni caso necessaria una analisi quantitativamente esaustiva del rifiuto di modo che la somma algebrica delle porzioni analizzate copra una percentuale che, sommata a quella di concentrazione più bassa prevista per le varie sostanze pericolose, raggiunga nel complesso il 100% della composizione del rifiuto analizzato, con la conseguenza che, mancando siffatta analisi, opera una presunzione assoluta di pericolosità del rifiuto , mentre si ritiene preferibile , con le precisazioni che seguono, l’orientamento che esclude la presunzione assoluta di pericolosità del rifiuto in presenza di analisi quantitativamente non esaustive, purché sia fornita la prova da parte del produttore di aver svolto analisi mirate, sulla base di criteri oggettivi , verificabili , coerenti con la natura dei cicli produttivi e tecnicamente attendibili”

Non a caso, del resto, il redattore della requisitoria, già due anni fa, a proposito delle modifiche comunitarie aveva espresso, come dottrina, l’opinione che “in tale prospettiva, si ritengono superati, stante la prevalenza della fonte eurounitaria, i criteri stringenti e la presunzione assoluta di pericolosità con la legge n. 116/2014, con l'affermazione, quale regola generale sullo svolgimento delle analisi, della ricerca, caso per caso, dell'effettiva natura del rifiuto, mediante l'individuazione dei parametri “opportuni”, “proporzionati” e “pertinenti”, all'esito di un'attività a contenuto valutativo (come si evince dal ricorso ai concetti di opportunità e proporzionalità, da parte delle norme europee), ancorché caratterizzata da discrezionalità tecnica (il concetto di “pertinenza” implica la individuazione di criteri oggettivi , verificabili , coerenti con la natura dei cicli produttivi e tecnicamente attendibili ). 3

Forse è per questo che –cosa ancora più sorprendente- la requisitoria, che pure consta di decine di pagine e riporta diffusamente tutta la storia della disciplina comunitaria, dimentica stranamente di verificare, sui testi base della UE, il tenore letterale delle ultime modifiche; e soprattutto dimentica di evidenziare che, comunque, il problema, in sede comunitaria, già da due anni è stato affrontato in un documento guida della Commissione europea che di certo, come evidenziato dalla Cassazione, non lascia alcuno spazio alla discrezionalità ed alla “opportunità”.

Circostanze evidentemente rilevantissime, messe in adeguato risalto sia dal P.M. ricorrente sia dalla dottrina e giustamente considerate e valorizzate dalla Cassazione; ma stranamente dimenticate nella pur ampia requisitoria della Procura generale.

Conclusione: meno male che la Cassazione c’è !

1 E’ appena il caso di ricordare che nella relativa domanda alla Corte europea il giudice nazionale generalmente non si limita a sottoporre semplicemente la questione di diritto, ma indica alla Corte - qualora sia in grado di farlo - la (o le) soluzione(i) interpretativa(e) da lui prefigurata, chiedendo a quest’ultima di vagliarne la correttezza.

2 Sono le considerazioni da ultimo riportate in AMENDOLA,Codici a specchio: arriva il partito della scopa, in www.industrieambiente.it

3 FIMIANI, La classificazione dei rifiuti dopo la novità della legge 125/2015 , in Rifiuti, n. 231, agosto-settembre 2015, Si noti che, nella requisitoria in esame, il brano sopra riportato è ripetuto testualmente, senza alcuna modifica, per connotare la tesi della probabilità e della presunzione, opportunamente respinta dalla Cassazione.