DISCARICA ABUSIVA E OMESSO IMPEDIMENTO DEL REATO ALTRUI

di   GIANLUCA D’ORIA
Dottore di ricerca in Gestione dell’ambiente e delle risorse del territorio
Università del Salento

NOTA
a
Sez. III – Ud. 12 ottobre 2005 (dep. 19 gennaio 2006) – Pres. Lupo - Est. Onorato – P. M. Passacantando (concl. conf.) – ric. Bruni G. (1) visibile qui
discarica abusiva E OMESSO IMPEDIMENTO DEL REATO ALTRUI
Sommario: 1. Inquadramento della problematica. – 2. Compartecipazione omissiva e obblighi di impedimento di reati altrui. – 3. La responsabilità penale omissiva del proprietario del fondo: l’orientamento della Suprema Corte tra principi garantistici e istanze di tutela. – 4. L’art. 14, co. 3 d.lgs. 22/1997 (192, co. 3, d.lgs. 152/2006) e il suo discutibile utilizzo in chiave repressiva nella prassi applicativa.
1.Con la sentenza che si annota la terza sezione penale della Cassazione è tornata ad occuparsi della problematica inerente alla configurabilità di una responsabilità concorsuale omissiva del proprietario di un terreno nei casi in cui lo stesso divenga luogo di deposito incontrollato e/o abbandono sistematico di rifiuti da parte di terzi.
La peculiare vicenda posta all’attenzione della Corte coinvolge tematiche che rivestono un ruolo di centralità nell’ambito della parte generale del diritto penale. Si pensi agli istituti della responsabilità omissiva[1] sub specie di responsabilità per omesso impedimento del reato altrui, delle posizioni di garanzia, del reato concorsuale, le cui applicazioni pratiche nello specifico settore del diritto penale dell’ambiente – dove la particolare natura e rilevanza del bene giuridico tutelato sembra talora assumere un ruolo fondante nella definizione dei presupposti e dei limiti dell’addebito penale[2] – ne pongono in risalto l’elevato grado di flessibilizzazione, con evidenti ricadute sul piano del rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento penale[3].
Sotto quest’ultimo profilo la decisione in commento segna, senza dubbio, un punto di svolta rispetto ad un trend giurisprudenziale che, proprio nel campo dei reati ambientali, è sembrato talora celare preoccupazioni legate alla consapevolezza del progressivo espandersi di fatti di inquinamento ambientale e del loro non sempre agevole inquadramento nei consueti schemi delle categorie penalistiche summenzionate (posizioni di garanzia, causalità omissiva, concorso di persone nel reato ecc.)[4], tanto da far registrare in taluni casi un processo di curvatura della responsabilità concorsuale omissiva verso forme di responsabilità oggettiva del reato o, peggio ancora, di responsabilità per fatto altrui[5].
Le argomentazioni addotte dalla Suprema Corte esprimono invero una consapevole quanto condivisibile scelta di fondo: quella di coniugare la ratio sottesa all’istituto della responsabilità omissiva impropria ex art. 40 cpv. c.p.[6] con le esigenze di garanzia connesse ai principi di tassatività e determinatezza della fattispecie penale nonché di personalità della responsabilità penale.
La pronuncia trae spunto da una vicenda in cui all’amministratore di una società era stato contestato il reato previsto dall’art. 51, comma 3, d.lgs. n. 22/1997 (fattispecie oggi prevista dall’art. 256, comma 3, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, c.d. Testo Unico dell’ambiente[7]), per aver omesso di impedire la realizzazione da parte di ignoti di una discarica di rifiuti non autorizzata su un terreno di sua proprietà, così ponendo in essere una condotta ritenuta concorsualmente rilevante. In particolare, l’imputato “non aveva impedito sversamenti di rifiuti vari, effettuati ripetutamente da terzi per almeno un anno nel fondo di sua proprietà, che egli aveva precedentemente sfruttato come cava per l’estrazione di roccia e poi aveva abbandonato, probabilmente all’inizio del 1999”.
Sia il Tribunale di Trani, sia la Corte d’appello di Bari in sede di gravame, muovendo dal presupposto della esistenza nel caso di specie di un preciso obbligo giuridico impeditivo gravante sul proprietario del fondo in relazione ad attività di illecito smaltimento di rifiuti realizzata da terzi (peraltro mai identificati), avevano finito col ritenere l’imputato (cor)responsabile, ex artt. 110-40 cpv. c.p. e 51, co. 3. del d.lgs. 22/1997 del reato di discarica abusiva.
Il processo si è definitivamente concluso con una sentenza di annullamento senza rinvio della condanna inflitta in sede di merito all’amministratore della società, con la formula del “per non aver commesso il fatto”.
2. Le puntuali e condivisibili motivazioni addotte dalla Corte nomofilattica e sfociate nel decisum assolutorio, tra i molteplici profili problematici tradizionalmente affrontati nell’ambito della teorica del reato omissivo improprio[8], evocano in particolare quelli connaturati alla peculiare categoria degli obblighi di garanzia volti all’impedimento di reati altrui, obblighi che costituiscono “il veicolo primario delle ricorrenti tendenze dottrinali e giurisprudenziali alla indiscriminata estensione della compartecipazione mediante omissione al reato commissivo” [9].
Sul punto, è opinione condivisa in dottrina e in giurisprudenza che si possa concorrere alla realizzazione di un reato commesso da altri mediante una condotta omissiva[10], a condizione che in capo allo Hintermann sia previsto uno specifico obbligo giuridico impeditivo del fatto illecito altrui[11], che presenti tutti i crismi dell’obbligo di garanzia[12].
Com’è noto le “posizioni di garanzia” che abbiano ad oggetto l’impedimento di condotte altrui penalmente rilevanti – talora ricomprese nella categoria delle “posizioni di controllo” – assumono in realtà una valenza autonoma[13], almeno in quei casi in cui l’obbligo del garante abbia come contenuto specifico l’impedimento del reato di un terzo, e non genericamente l’impedimento di un dato tipo di evento naturalistico. In siffatte ipotesi, la posizione di garanzia presenta proprie peculiari connotazioni – poteri di comando, inibizione e/o interferenza nei confronti della condotta di terzi, specificità dei soggetti nei cui confronti detto potere può esplicarsi – che permettono di imputare al garante inerte il disvalore del complessivo fatto di reato commesso da altri[14].
È dunque necessario, perché un soggetto che resti inerte di fronte alla commissione di un reato commesso da altri possa ritenersi responsabile, a titolo di concorso omissivo, di tale reato, che sussista in capo a lui un obbligo di garanzia – cui corrisponda un efficace e concreto potere giuridico-fattuale di supremazia (o ingerenza o comando) nei confronti del terzo[15] – avente come specifico contenuto l’impedimento di reati del tipo di quello verificatosi, non potendo altrimenti il mero assistere passivamente alla commissione del reato assurgere al rango di condotta di partecipazione punibile[16].
Tali condizioni devono ritenersi imprescindibili ai fini di una imputazione al garante del fatto illecito altrui, che risulti in linea con i principi costituzionali di legalità-tassatività e di personalità della responsabilità penale.
Da un punto di vista metodologico, e in linea di principio, occorrerà verificare: 1) se sia anzitutto rinvenibile un atto giuridico che preveda un obbligo di attivarsi in capo allo Hintermann e se tale obbligo, una volta individuato, sia specificamente destinato a prevenire eventi-reati della specie di quello concretamente verificatosi ovvero, mutatis mutandis, se il reato commesso costituisca lesione di quel bene per la cui tutela è stata prevista la specifica posizione di garanzia; 2) se il garante sia provvisto di un potere fattuale, oltre che giuridico, idoneo ad impedire il compimento di quel tipo di reati.
Sulla necessità di un accertamento della esistenza di una fonte giuridica degli obblighi di garanzia, non pare possano nutrirsi dubbi: esso è imposto dall’espresso richiamo del requisito della “giuridicità” dell’obbligo impeditivo operato dall’art. 40 cpv. c.p.[17].
Così come incontestato è il dovere del giudice di verificare la sussistenza di poteri giuridici (oltre che fattuali) impeditivi attribuiti allo Hintermann: come autorevole dottrina ha avuto modo di precisare, un obbligo di garanzia volto all’impedimento di reati altrui presuppone che l’ordinamento conferisca al soggetto individuato come garante specifici e concreti poteri giuridici di impedimento-comando nei confronti del reo, così da poter consentire al primo di interferire direttamente (e lecitamente) con l’intera condotta (di reato) posta in essere dal secondo[18].
3.Venendo al caso che ci occupa, il vaglio giudiziale dovrebbe in primis essere teso alla individuazione di una fonte giuridica che preveda espressamente, in capo al proprietario dell’area, l’obbligo di impedire che sulla stessa terzi abbandonino e/o depositino rifiuti, sì da potersi ipotizzare, in caso di violazione del predetto obbligo, un concorso omissivo nel reato di discarica abusiva ovvero in quello di abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti commesso da altri[19].
In proposito è d’uopo ricordare come, salvo qualche isolata pronuncia[20], la giurisprudenza di legittimità, pur riconoscendo la natura commissiva del reato di realizzazione e/o gestione di discarica abusiva previsto dall’art. 51, comma 3, del Decreto Ronchi, abbia in relazione a tale fattispecie ritenuto comunque ammissibile, in linea di principio, una partecipazione mediante omissione da parte del proprietario del fondo secondo lo schema delineato dagli artt. 40 cpv. e 110 ss. c.p., così assumendo in capo al predetto soggetto la configurabilità di un obbligo di garanzia teso ad impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento-reato (discarica abusiva)[21]. Ne deriva che, in assenza di tale presupposto, neppure la mera consapevolezza da parte del proprietario del terreno dell’abbandono di rifiuti ad opera di terzi sarebbe di per sé sufficiente a fondare una responsabilità concorsuale omissiva nel reato ambientale, salvo naturalmente ogni prudente verifica in ordine alla esistenza di condotte apparentemente passive, ma di fatto celanti ipotesi di autentica responsabilità commissiva, sotto forma di agevolazione nei confronti degli autori materiali dell’illecito[22].
In generale, al livello cioè di atti normativi di rango primario, deve escludersi la esistenza di una qualche disposizione che contempli, in capo al proprietario del fondo in quanto tale, un obbligo di garanzia avente come specifico contenuto quello di impedire, quale evento di lesione dell’interesse tutelato, depositi incontrollati di rifiuti o la realizzazione di una discarica abusiva da parte di ignoti.
Un siffatto obbligo, a tutto voler concedere, graverebbe ai sensi degli artt. 2, comma 3 e 10, comma 1, 3 e 3-bis, d.lgs. 22/1997[23] sul produttore (e sul detentore) dei rifiuti, il quale sarebbe tenuto a vigilare che i soggetti coinvolti nelle varie fasi di gestione del rifiuto osservino le norme ambientalistiche; dovendosi peraltro intendere come produttore di rifiuti, ai sensi dell’art. 6, comma 1 lett. b), d.lgs. 22/1997 (ora art. 183, co. 1 lett. b), T.U.), non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione degli stessi, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione definibile come di garanzia, l’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 1 del citato decreto, di provvedere allo smaltimento dei rifiuti nei modi prescritti[24].
È dunque l’aspetto inerente alla specificità dell’obbligo impeditivo ex art. 40 cpv. c.p. ad assumere assoluto rilievo, non potendosi invero considerare tale, e dunque rilevare sul piano della responsabilità penale omissiva, un obbligo di attivarsi affetto da assoluta genericità e indeterminatezza quanto al contenuto della tutela[25].
Sul punto, gli argomenti utilizzati dalla Corte nomofilattica nella decisione de qua appaiono del tutto condivisibili in quanto permettono di collocare il principio della responsabilità omissiva impropria in una giusta dimensione, quella cioè del rispetto dei canoni costituzionali di legalità-tassatività (art. 25, comma 2, Cost.) e di personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.).
La Corte, invero, nel censurare l’impostazione fatta propria dai giudici del merito, afferma che “…il principio di tassatività delle fattispecie penali impone di considerare come presupposto di applicabilità della norma in questione [art. 40 cpv. c.p.] non tanto un obbligo generico di attivarsi derivante da fonte giuridica (legale o contrattuale), quanto piuttosto un obbligo giuridico specifico di compiere proprio quella azione che avrebbe impedito l’evento di reato. Ancora più esattamente il presupposto di operatività del principio di causalità omissiva è la esistenza di un obbligo stabilito proprio per impedire eventi del genere di quello che si verifica nel reato considerato”.
Secondo il convincimento dei giudici di legittimità, quindi, l’evento (rectius: fatto costitutivo) di reato è imputabile all’omittente solo laddove rappresenti la concretizzazione dello specifico rischio (di lesione del bene giuridico tutelato) che l’obbligo giuridico individuato intendeva prevenire.
In altre parole, un determinato atto giuridico, per poter fondare una responsabilità penale per omesso impedimento del reato altrui, dovrebbe non solo consentire di cogliere i presupposti in presenza dei quali il garante è tenuto ad attivarsi – il che sarebbe possibile solo attraverso una formulazione della norma impositiva che non scontasse un deficit di tassatività e precisione – ma dovrebbe altresì consentire di individuare lo specifico scopo di tutela che con la prescritta condotta impeditiva si intende perseguire o, che è lo stesso, gli eventi da neutralizzare in funzione della tutela di un determinato bene giuridico[26].
Tale interpretazione, che si ritiene di dover condividere, risulta pienamente conforme alla ratio sottesa al principio costituzionale di legalità-tassatività e al fondamentale canone di personalità della responsabilità penale che del principio garantistico di legalità costituisce un aspetto affatto rilevante[27].
Ed invero, in primo luogo permette di scongiurare il rischio, in sede applicativa, di un facile scivolamento verso “forzature interpretative” che conducono inesorabilmente ad una eccessiva dilatazione del perimetro applicativo dell’art. 40 cpv. c.p. e, in particolare, ad uno snaturamento della responsabilità per omesso impedimento del fatto illecito altrui, alla quale, in virtù dei principi generali in materia di Garantestellung, non può non riconoscersi carattere eccezionale[28].
In secondo luogo, garantendo alla sfera conoscitiva del soggetto interessato la esatta portata degli specifici obblighi giuridici su di lui gravanti, quali doveri destinati alla prevenzione dei danni arrecabili ai singoli beni affidati alla sua tutela, preclude la possibilità di incorrere, in sede di giudizio di colpevolezza, in forme di imputazione della responsabilità penale ispirate alla logica del versari in re illicita.
Tornando al caso che ci occupa, la Corte barese, nel confermare la sentenza di condanna emessa in primo grado a carico dell’amministratore della Midimarmi srl, aveva ritenuto fondata la responsabilità dell’imputato sulla base dell’esistenza di un provvedimento regionale con il quale era stata concessa alla predetta società la facoltà di coltivazione di una cava, con obbligo espresso “di realizzare, entro tre mesi dalla data di notifica del presente decreto, le opere di recinzione lungo il perimetro della zona da coltivare con rete e paletti aventi altezza non inferiore a 1,50 mt. fuori terra, oppure con muratura di pari altezza”. Il mancato adempimento di tale obbligo di recinzione e l’evidente stato di abbandono – in assenza di qualsivoglia attività di vigilanza e controllo – cui il fondo, ormai “desertificato” (stante l’avvenuta cessazione dell’attività estrattiva da almeno un anno), era stato da tempo destinato, avevano indotto la corte distrettuale a ritenere configurata un’ipotesi di compartecipazione omissiva ai sensi degli artt. 40 cpv. e 110 c.p. a carico dell’amministratore unico della società titolare del terreno, per avere questi, con tali omissioni, concorso con terzi (rimasti ignoti) alla realizzazione di una discarica non autorizzata.
La Suprema Corte, ribaltando i giudizi di merito, ha ritenuto che “nel caso di specie l’imputato era giuridicamente obbligato a recintare la cava non per impedire a terzi di utilizzarla come discarica, bensì per fini di polizia amministrativa relativi alle attività estrattive e minerarie, quali la necessità di delimitare la zona in cui era consentita l’estrazione, l’esigenza di proteggere l’incolumità pubblica a fronte di attività strumentali pericolose (come il brillamento di mine), e simili. Una volta cessata l’attività estrattiva da parte della società da lui amministrata, l’imputato non era più gravato da questo obbligo; e – come qualsiasi altro proprietario – non era attinto da alcun altro obbligo giuridico di scongiurare la ‘desertificazione’ del territorio…o di recintare il terreno al fine di evitare che terzi estranei vi abbandonassero rifiuti”.
In altri termini, venendo l’obbligo di recinzione del terreno ad innestarsi su di una peculiare attività svolta dall’imputato, per l’appunto quella estrattivo-mineraria, la Corte della nomofilachìa correttamente ha ritenuto di circoscrivere il contenuto della garanzia, riconducibile a tale obbligo, ad esigenze di tutela della pubblica incolumità o, comunque, a specifiche finalità di polizia amministrativa strettamente collegate all’esercizio di attività estrattive e minerarie. Ed altrettanto coerentemente ha escluso la permanenza in capo al prevenuto del suddetto obbligo, una volta cessata l’attività estrattiva da parte della società da lui amministrata.
Del resto, pure a voler individuare il fondamento legale dell’obbligo di recinzione nelle disposizioni relative alla polizia mineraria, alla salute e sicurezza dei lavoratori e all’incolumità pubblica[29], da nessuna di tali norme sembra evincibile un obbligo di protezione, anche indiretta, del terreno (quale esplicazione del più generale principio di tutela dell’ambiente) rispetto ad attività di illecito smaltimento o deposito incontrollato di rifiuti ad opera di terzi[30].
Come chiarito dai supremi giudici, un obbligo impeditivo volto a prevenire fenomeni di inquinamento ambientale (depositi incontrollati di rifiuti, discariche abusive ecc.) non può ritenersi sussistere ex lege in capo al proprietario dell’area interessata da tale tipologia di illeciti.
Si è detto di come la sentenza de qua abbia correttamente escluso il proprietario del fondo in quanto tale dal novero dei soggetti destinatari dell’obbligo di garantire una corretta gestione dei rifiuti (anche se gestiti e/o smaltiti da altri), obbligo che graverebbe, secondo la normativa di settore, esclusivamente sul produttore e/o sui detentori coinvolti nelle diverse fasi gestionali dei rifiuti stessi.
Non sembra, infatti, come pure lascia intendere la Corte, che tale specifico obbligo di garanzia possa farsi rientrare nella tradizionale categoria, di matrice civilistica,degli obblighi di controllo su fonti di pericolo per l’incolumità di terzi riconducibili alle ipotesi normative dell’obbligo di controllo del proprietario di cose o animali pericolosi espressamente previste dagli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c.
Ed invero, tralasciando ogni considerazione sugli artt. 2052 e 2053 c.c. – che fondando specificamente un obbligo di controllo a carico rispettivamente del proprietario di animali e del proprietario di edifici o altre costruzioni, non presentano evidentemente alcun punto di contatto con la posizione soggettiva in esame – anche l’art. 2051 c.c., che prevede una (generica) responsabilità per danni cagionati da cose in custodia[31], difficilmente potrebbe fungere da valido supporto normativo ad una posizione di garanzia del proprietario del terreno che estenda la sua area di tutela (anche) all’interesse ambientale rispetto ad abusi perpetrati da terzi[32].
La disposizione privatistica non sembra potersi ritenere idonea a fondare una posizione di garanzia di questo tipo per diverse ragioni.
Si rifletta anzitutto sul fatto che un recepimento tout court in ambito penalistico di categorie di natura privatistica rischia di determinare un’automatica conversione della responsabilità civile in penale, che invece dovrebbe poter trarre la sua legittimazione dalla necessaria rispondenza a due importanti parametri di carattere penalistico: quello della conformità ai requisiti tipici della responsabilità per omesso impedimento ex art. 40 cpv., imposti dai ben noti principi di legalità-tassatività e di personalità della responsabilità penale; e quello della corrispondenza tra l’asserito obbligo di garanzia e un reale potere giuridico impeditivo[33].
Con riferimento al primo profilo, l’obbligo di cui all’art. 2051 c.c. appare troppo generico e dunque inidoneo a rivestire quelle caratteristiche di determinatezza e specialità che sembrano essere necessarie per l’emergere di una autentica posizione di garanzia. In particolare, non sembrerebbe potersi desumere dalla norma in esame alcuno speciale vincolo di tutela tra il garante (proprietario del terreno) ed il bene ambientale, sicchè il reato di discarica abusiva di rifiuti ad opera di terzi non costituirebbe lesione di quel bene per la cui tutela è stato previsto l’obbligo impeditivo (di controllo) del proprietario ex art. 2051[34].
Quanto al secondo profilo, è difficilmente ipotizzabile che al potere di controllo del proprietario di un fondo corrisponda un potere di intervento con efficacia realmente “impeditiva” di condotte illecite di terzi[35], quali appunto lo smaltimento illecito di rifiuti o la discarica abusiva. In ogni caso, non sussisterebbe la concreta possibilità di impedire (recte prevenire) tali eventi illeciti, a meno di non voler immaginare proprietari costretti a vigilare giorno e notte sui propri terreni allo scopo di prevenire possibili attività di abbandono di rifiuti, e ciò pur a voler prescindere dalla circostanza relativa alla loro estensione (si pensi a terreni estesi per diversi ettari) e alla loro ubicazione (com’è noto, le aree di fatto trasformate in vere e proprie discariche sono situate, nella stragrande maggioranza dei casi, in zone estremamente periferiche).
Da diversa angolazione, si potrebbe affermare che all’eventuale omesso controllo imposto dall’art. 2051 c.c., così come all’eventuale omesso apprestamento di strutture di recinzione (et similia) imposte da provvedimenti amministrativi[36], non possa ragionevolmente riconoscersi alcuna efficacia impeditiva.
Tanto il prescritto obbligo di recinzione quanto quello di controllo imporrebbero invero l’esercizio di attività alle quali parrebbe ragionevole riconoscere al più un’attitudine ostativa (e non neutralizzante) alla produzione di danni ambientali ad opera di terzi.
Sul punto, significative appaiono talune prese di posizione della giurisprudenza amministrativa, in specie laddove si afferma che “…la titolarità di un diritto di godimento o di quello dominicale non può comportare un generico dovere di ‘vigilanza attiva’ in ordine al corretto uso da parte di ignoti di fondi aperti, al fine di evitare addebiti per illeciti altrui”, e che “…a tali fini, [non] si potrebbe surrettiziamente imporre al proprietario di dotare di recinzione i fondi situati in luoghi poco frequentati, sia perché la chiusura del fondo costituisce, ai sensi dell’art. 841 cod. civ., una facoltà e non uno specifico obbligo per il proprietario e sia perché, in ogni caso, l’omessa recinzione non può essere considerata alla stregua di una condotta omissiva (con)causa di un eventuale danno ambientale commesso da terzi, dal momento che la chiusura del fondo mediante recinzione costituisce unicamente un mero deterrente contro eventuali scarichi abusivi operati da altri, ma ad essa non può certo riconoscersi una assoluta efficacia protettiva del sito, di talchè non può ritenersi che l’eventuale mancanza di recinzione possa apportare un concreto contributo sotto il profilo causale al prodursi del danno da inquinamento”[37].
Non solo, dunque, si contesta in radice (ex art. 841 cod. civ.) la stessa configurabilità di un obbligo di recinzione di un fondo di privata proprietà quale possibile estrinsecazione di principi espressi o desumibili in via interpretativa dalla legge[38].
Ma si esclude, altresì, che una qualche efficacia condizionante o anche solo meramente agevolatrice possa essere riconosciuta all’omessa predisposizione di strutture di recinzione[39] rispetto all’altrui realizzazione di depositi illeciti di rifiuti nell’area interessata[40], con intuibili riflessi in ordine alla possibilità di ritenere integrata un’ipotesi di responsabilità concorsuale mediante omissione[41].
In definitiva, le suddette attività non traducono una autentica posizione di garanzia, sia perchè i concreti poteri giuridico-fattuali di cui è dotato il proprietario non consentono realisticamente di neutralizzare condotte di illecito abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti sul proprio terreno da parte di chiunque, stante principalmente l’assenza di un potere di interferenza/comando nei confronti dei potenziali autori di tali reati; sia perché, e ancor prima, doveri impeditivi che configurino vere e proprie posizioni di garanzia, in grado come tali di fondare una responsabilità omissiva a carico dell’omittente, possono solo individuarsi in “obblighi giuridici specifici, posti a tutela del bene penalmente protetto, della cui osservanza il destinatario possa essere ragionevolmente chiamato a rispondere”[42].
Ne deriva che l’incolpevole proprietario del terreno inquinato potrebbe al più ritenersi gravato da un mero onere di controllo che, ove adempiuto, gli consentirebbe di attivarsi tempestivamente denunciando la situazione antigiuridica esistente alle autorità locali competenti prima che queste ultime possano determinarsi ad adottare a suo carico un’ordinanza di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi ex art. 14, co. 3, d.lgs. 22/1997[43].
4.Proprio con riferimento alle ordinanze di rimozione e ripristino ex art. 14, co. 3, d.lgs. 22/1997 (ora art. 192, co. 3, T.U.), la cui inottemperanza risulta peraltro sanzionata con autonoma fattispecie penale[44], la Corte ha avuto modo di osservare come alla luce della disposizione testè citata non sarebbe ricostruibile un obbligo di garanzia del proprietario del fondo funzionale ad una regolare gestione dei rifiuti da parte di altri soggetti, sol che si consideri che la norma – nello stabilire che il proprietario e/o il titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area risponde in solido con l’autore materiale dell’abbandono di rifiuti purchè tale fatto, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo[45], gli sia imputabile a titolo di dolo o colpa – configura a carico del primo un obbligo di rimozione, di avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi di carattere squisitamente riparatorio e non preventivo.
A questo punto vale forse la pena di soffermarsi per un momento a riflettere sull’utilizzo, in chiave repressiva, che talora la giurisprudenza fa della disposizione citata, ritenendola valido supporto normativo su cui edificare un addebito di colpa nei riguardi del proprietario del fondo nelle ipotesi in cui, ad esempio, costui sia stato destinatario di un’ordinanza di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi ex art. 14, co. 3, e non l’abbia contestata.
Proprio di recente, infatti, la Suprema Corte ha considerato fondate le pronunce di condanna dei giudici del merito che avevano ravvisato gli estremi di una fattispecie di compartecipazione omissiva colposa del proprietario del terreno nel reato di gestione di discarica abusiva realizzata da terzi nel “…fatto che l’imputato, diffidato con ordinanza sindacale a ripristinare lo stato dei luoghi, non aveva in quella circostanza avanzato contestazioni”[46]. Secondo i giudici di legittimità, l’acquiescenza del proprietario dell’area interessata dalla discarica al provvedimento di sgombero notificatogli dall’autorità locale competente, unitamente ad altre circostanze (reiterazione degli scarichi dei rifiuti senza opposizione da parte del proprietario, dimensione dell’area interessata dall’accumulo), devono ritenersi elementi sufficienti per muovere un rimprovero di colpa al prevenuto che, pur consapevole dell’attività di discarica effettuata da altri, non si era in alcun modo attivato – ad es. mediante segnalazioni, denunce all’autorità, installazione di una recinzione ecc. – così ponendo in essere una condotta negligente ritenuta concorsualmente rilevante. A fornire una base normativa giustificativa di tale percorso argomentativo sarebbe, a parere della Corte, lo stesso art. 14, co. 3 del decreto Ronchi che, prevedendo che l’obbligo di rimozione a carico del proprietario presuppone sempre una sua responsabilità dolosa o colposa per l’illecita introduzione dei rifiuti, permetterebbe di ritenere fondato nei confronti del prevenuto un rimprovero di colpa “…desumendola, oltre che dalle altre circostanze prima evidenziate…dalla notificazione a suo carico dell’ordinanza di sgombero e dalla mancata contestazione da parte dell’interessato”.
Ebbene, a prescindere dal discutibile profilo inerente al metodo segnatamente presuntivo di accertamento della colpa seguito dai giudici di merito ed avallato dalla Cassazione[47], la decisione de qua appare anzitutto censurabile laddove antepone la verifica, ritenuta assorbente, inerente alla violazione di regole di diligenza da parte del proprietario del terreno all’accertamento relativo alla (pre)esistenza in capo a costui di un preciso obbligo giuridico di garanzia volto ad impedire l’illecito ambientale.
La necessità di un accertamento che operi secondo una prospettiva metodologica inversa rispetto a quella fatta propria dalla Corte nella decisione de qua, si basa sulla opportuna distinzione, rilevabile anzitutto sul piano logico e sistematico, tra obbligo di garanzia e dovere di diligenza, distinzione che “è già richiesta dal fatto che il dovere di garanzia fonda (meglio, concorre a fondare) l’omissione, mentre il dovere di diligenza segnala quando l’omissione è (oggettivamente) colposa”[48]. Come già si è avuto modo di ricordare, la configurabilità di una compartecipazione mediante condotta omissiva nel reato altrui si regge sulla preesistenza di uno specifico obbligo impeditivo in capo al garante, obbligo capace di fondare una responsabilità omissiva impropria solo in quanto previsto da una norma giuridica che ci dica anzitutto se, prima ancora che come, il soggetto destinatario sia tenuto ad attivarsi onde impedire attività illecite altrui aventi penalistico rilievo.
Ebbene, in questo caso la Corte ha immotivatamente omesso – forse ritenendola superflua – ogni preventiva e necessaria verifica in ordine alla preesistenza – che per le ragioni già illustrate nel corso di questo lavoro deve ritenersi esclusa – di un preciso obbligo giuridico di garanzia in capo al proprietario dell’area volto a prevenire l’altrui realizzazione di discariche abusive, finendo con l’ancorarne la responsabilità direttamente alla sua negligenza, quest’ultima (presuntivamente) desunta dal suo status di destinatario di un’ordinanza di rimozione ex art. 14, co. 3, d.lgs. 22/1997 e dalla circostanza di non aver mai contestato tale provvedimento.
Per concludere, pare opportuno segnalare il non convincente tentativo di una parte della dottrina[49] di ravvisare nell’art. 3, comma 32, l. 28 dicembre 1995 n. 549[50] – che dispone(va) l’obbligo per l’utilizzatore “a qualsiasi titolo o, in mancanza, [per] il proprietario dei terreni sui quali insiste la discarica abusiva” di provvedere agli oneri di bonifica, al risarcimento del danno ambientale ed al pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie, a meno che il proprietario non provi di aver presentato denuncia della esistenza della discarica abusiva ai competenti organi regionali, prima della costatazione delle violazioni di legge – il fondamento di una posizione di garanzia, trattandosi anche in questo caso, e per quanto fin qui detto, di obblighi di attivarsi non caratterizzantisi quali obblighi di garanzia e pertanto non sussumibili nell’ambito di una fattispecie omissiva impropria.
Gianluca D’Oria
Dottore di ricerca in Gestione dell’ambiente e delle risorse del territorio
Università del Salento


[1] Sul tema, sempre attuali i contributi di Grasso, Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie, Milano, 1983; Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; Sgubbi, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975. V. inoltre Romano, sub art. 40, in Romano-Grasso, Commentario Sistematico del Codice Penale, I, Milano, 2004, 391 ss.; Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999; Fiorella, Il trasferimento di funzioni, Firenze, 1985. Per la manualistica più recente, cfr. Marinucci-Dolcini, Manuale di Diritto penale, p. gen., Milano, 2006, 175 ss.; Padovani, Diritto penale, Milano, 2006, 131 ss.; Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2005, 253 ss. Con particolare riferimento al settore ambientale, per tutti, v. Prati, Il mancato impedimento di illeciti ambientali e la responsabilità per omissione, in Riv. giur. amb., 1999, 805 ss.
[2] In questa come in altre materie (salute, igiene e sicurezza sul lavoro ecc.) dove l’oggetto di tutela assume un rilievo prioritario, si registra quindi una certa “eterogenesi dei fini” rispetto all’orizzonte di senso in cui tradizionalmente si inquadra la teorica del bene giuridico, e ne risulta ulteriormente indebolita la relativa funzione critica. Sull’attuale stato di crisi della teorica del bene giuridico, cfr. ora, con ampi svolgimenti, Manes, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005, 11 ss.; le ricadute sulla prassi applicativa si avvertono in diverse direzioni, prima fra tutte quella della personalità della responsabilità penale (delega di funzioni e posizioni di garanzia).
[3] Ci si riferisce, in particolare, ai principi di legalità-tassatività (art. 25, co. 2, Cost.) e di personalità della responsabilità penale (art. 27, co. 1, Cost.).
[4] Per dirla con Pulitanò, Diritto penale, cit., 269, “un buon funzionamento del sistema, fra gli opposti rischi della supplenza giudiziaria e della pratica deresponsabilizzazione, richiede una disciplina extrapenale affidabile, nella quale siano stagliati obblighi di prevenzione sufficientemente determinati nei presupposti e nei contenuti”.
[5] Si pensi, ad esempio, a quell’orientamento giurisprudenziale, oramai in via di superamento, incline a ravvisare ipotesi di responsabilità concorsuale omissiva a carico dei proprietari di terreni in quanto tali nei casi di sistematico abbandono, sugli stessi, di rifiuti ad opera di ignoti: in tal senso, per tutte, Cass., sez. III, 20.8.1996, in questa rivista, 1997, 1011; Cass., sez. III, 4.11.1994, in Foro it., 1995, II, c. 344; Cass., sez. III, 8.2.1991, Macchioni, in Foro it., 1991, II, c. 720. Per una puntuale disamina dei principali orientamenti seguiti dalla giurisprudenza prima e dopo l’emanazione del d. lgs. n. 22/1997 (c.d. Decreto Ronchi), si v. Bernasconi, Commento all’art. 51, comma 3 D.LG. 5 febbraio 1997, N. 22, in Giunta (a cura di), Codice Commentato dei reati e degli illeciti ambientali, Padova, 2005, 1074 ss. In tema, cfr. altresì Amendola, Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano, 2003, 323 ss., il quale osserva come “…già prima del d.lgs. n. 22/1997 la giurisprudenza era in maggioranza orientata a ritenere la responsabilità del proprietario del fondo solo nel caso gli si potesse imputare almeno un rimprovero di negligenza da provare caso per caso; ad esempio, se, pur consapevole dell’attività di discarica (effettuata da altri), non si fosse attivato con segnalazioni o denunzie all’autorità, con la predisposizione di una sorveglianza, la installazione di una recinzione ecc.”; Santoloci, La responsabilità individuale dopo il passaggio di titolarità di discarica abusiva, in Riv. pen., 1995, 163.
[6] La dottrina contemporanea ravvisa il fondamento di tale responsabilità nel principio solidaristico sancito dall’art. 2 della Carta Costituzionale ovvero nella volontà del legislatore di riequilibrare, tramite l’attribuzione a specifiche categorie di soggetti (c.d. garanti) di specifici obblighi di garanzia, quelle situazioni di inferiorità dei titolari di taluni beni, parzialmente o totalmente incapaci di tutelarli da sè.
[7] Che d’ora in poi, per comodità terminologica, si indicherà con l’abbreviazione T.U.
[8] Si pensi, tra questi, al controverso tema della applicabilità dell’istituto della causalità omissiva (o ipotetica) ex art. 40 cpv. c.p. ai soli reati causali puri (o reati di evento a forma libera) ovvero anche ai reati di mera condotta. In quest’ultimo senso sembrerebbe orientata la S.C. nella sentenza de qua, atteso che “l’evento naturalistico previsto dall’art. 40 cpv. può essere integrato anche da un’azione illecita altrui, non separabile dall’evento, rispetto alla quale l’omissione della condotta doverosa (il non facere quod debetur) si pone come antecedente causale” (pag. 3 sent.).
[9] Così Risicato, La partecipazione mediante omissione a reato commissivo. Genesi e soluzione di un equivoco, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, 1274.
[10] In tal senso, per la dottrina, v. Romano-Grasso, sub art. 110, Commentario Sistematico del Codice Penale, II, Milano, 2005, 175; Fiandaca-Musco, Diritto penale, p. gen., Bologna, 1995, 567; Sgubbi, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, cit., 112 ss. Contra tuttavia Bisori, L’omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 1339 ss.; Risicato, La partecipazione mediante omissione a reato commissivo. Genesi e soluzione di un equivoco, cit., 1267 ss. In giurisprudenza, ex plurimis, v. Cass., sez. III, 22.9.2004, in G. al dir., n. 44, 2004, 61 ss.; Cass., sez. I, 5.2.1991, r.v. 187203.
[11] Difatti, in mancanza di un obbligo giuridico di attivarsi per impedire la commissione di un reato da parte di altri, non si avrebbe partecipazione al reato, ma mera connivenza – cioè l’inerzia da parte di chi sappia che altri sta per commettere o sta commettendo un reato – o semplice adesione morale al reato che, in quanto tali, non assumono rilevanza penale: Marinucci-Dolcini, Manuale, cit., 368.
[12] Secondo la recente dottrina, è corretto parlare di “obbligo di garanzia” nei casi in cui una fonte giuridica imponga a determinati soggetti un preciso obbligo di impedimento di eventi lesivi di alcuni beni, conferendo preventivamente al garante una corona di poteri giuridici impeditivi per vigilare sull’insorgenza di situazioni di pericolo ed intervenire, personalmente o tramite terzi, in modo risolutivo su quella situazione. In tal senso F. Mantovani, L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, di solidarietà, di libertà e di responsabilità personale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 342; Pisani, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano, 2003, 51.
[13] Non rientrerebbero, infatti, nelle posizioni di protezione, ove la fonte dell’obbligo di attivarsi risiede nel particolare legame esistente tra il garante ed il bene da tutelare, né in quelle di controllo, ove la tutela rafforzata scaturisce proprio dalla particolare posizione di signoria di un determinato soggetto nei confronti di una fonte di pericolo. In tal senso Grasso, Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie, cit., 237 ss.
[14] In questi termini Bisori, L’omesso impedimento del reato altrui nella dottrina e giurisprudenza italiane, cit., 1375.
[15] Tale potere, ha rilevato la dottrina, appare quanto mai necessario sia affinché l’ingerenza del garante nell’altrui sfera costituisca una lecita compressione della libertà altrui, sia perché egli sia posto in grado di attivarsi con successo. In tal senso Grasso, Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie, cit., 327 ss.; Bisori, op. cit., 1367.
[16] V. nota 11. Sul punto Romano-grasso, sub art. 110, Commentario, cit., 176. In giurisprudenza, negli stessi termini, Cass., sez. IV, 5.2.1998, in Cass. pen., 1999, 1444, secondo cui “ai fini della sussistenza del concorso di persone nel reato è necessario un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l\'adesione morale, l\'assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale”. (Nella specie la S.C. ha escluso che integri concorso la mera presenza in casa o l\'essere assiduo frequentatore della casa in cui si consuma il reato di cessione di stupefacenti).
[17] Il tema della estensione delle fonti dell’obbligo di garanzia è controverso in dottrina. Vi è da una parte una certa tendenza a ricondurre le posizioni di garanzia a fonti meramente sostanzialistiche, a prescindere da qualunque ancoraggio a fonti di carattere giuridico-formale (es. equiparazione dei rapporti di mera convivenza di fatto a quelli normativamente regolamentati). Alla base di siffatta impostazione, che pare del tutto svincolata dal dato normativo (art. 40 cpv. c.p.), vi sarebbero specifiche esigenze di giustizia sostanziale identificabili nella necessità di accordare una tutela penale ad interessi ritenuti meritevoli e purtuttavia non riconducibili ad una situazione di garanzia giuridicamente disciplinata. Per altro verso, pur tra coloro che propendono per la teoria formale non è dato riscontrare unanimità di vedute né in ordine alla tipologia delle fonti formali potenzialmente idonee a costituire obblighi di garanzia, né in ordine al loro grado di determinatezza. Sul punto cfr. Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., 20 ss.
[18] Così, tra gli altri, Grasso, Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie, cit., 327 ss.
[19] Un concorso mediante omissione nel reato di abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti, fattispecie previste dall’art. 51, comma 2, del Decreto Ronchi, è parimenti ritenuto ammissibile da dottrina e giurisprudenza.
[20] Anche in dottrina si è levata qualche voce contraria alla configurabilità di una discarica abusiva mediante omissione sulla base del rilievo che la fattispecie prevista dall’art. 51, comma 3, configurerebbe un reato intrinsecamente connotato da una componente omissiva (inosservanza dell’obbligo di conseguimento del prescritto titolo autorizzativo), sicchè risulterebbe di per sè insuscettibile di essere convertito in illecito omissivo improprio attraverso il meccanismo delineato dall’art. 40, comma 2, c.p.: Ruggiero, Discarica abusiva realizzata da terzi: responsabilità omissiva del proprietario del terreno?, in Ambiente, 2003, 864.
[21] Così Sez. III, 12.11.2004, Preziosi, rv. 230173; Sez. III, 5.11.2002, Laganà, in Ambiente, 2003, 882 ss. Diversamente, sul piano del concorso commissivo nel reato, potrebbero rilevare, al livello di contributo materiale, condotte di cogestione di fatto (tra proprietario e terzi) dei terreni utilizzati per i depositi e/o gli abbandoni non autorizzati di rifiuti; al livello di contributo morale, invece, condotte di istigazione, rafforzamento ecc.
[22] In tal senso, ex plurimis, Cass., sez. III, 1.7.2002, in Ambiente e sic. lav., 2002, 133; Cass., sez. III, 2.7.1997, rv 208624. Per la giurisprudenza di merito, v. Pret. Terni, 31.1.1995, in Foro it., 1995, II, c. 347 secondo cui “il nuovo proprietario e/o comunque titolare o responsabile legale di un’area adibita in via pregressa a discarica non autorizzata di rifiuti tossici e nocivi, non risponde dei reati di realizzazione e/o gestione di discarica abusiva nel caso in cui dimostri di non aver posto in essere, in modo palese o dissimulato, alcun comportamento attivo o commissivo di gestione della discarica stessa ma si sia limitato, invece, ad un passivo subentro nella titolarità del sito, dovendo invece considerarsi comportamento attivo anche una custodia permanente fittizia, apparentemente passiva ma di fatto commissiva e demandata a terzo di comodo. Questi tuttavia potrà eventualmente essere chiamato a rispondere del reato di stoccaggio provvisorio non autorizzato di rifiuti tossici e nocivi ove non provveda alla rimozione dei materiali dell’area o non ottenga l\'autorizzazione di rito”. Sul punto, più recentemente, v. Cass., sez. III, 15.3.2005, reperibile sul sito www.lexambiente.com, secondo cui “in relazione alla possibilità di ritenere integrato il reato anche in forma omissiva, la più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema – sulla scia della sentenza delle Sezioni Unite 28.12.2004, Zaccarelli – è orientata nel senso della inconfigurabilità del reato di realizzazione o esercizio di discarica abusiva rispetto alla condotta di chi, avendo la disponibilità di un’area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti a non attivarsi affinché questi ultimi vengano rimossi, purchè non risulti accertato il concorso, a qualunque titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto”. Per quanto concerne, invece, il caso di chi subentri nella titolarità di un sito già adibito a discarica non autorizzata da precedenti gestori, nel senso del riconoscimento di una responsabilità omissiva anche solo per il fatto del mero mantenimento passivo dei rifiuti nel sito, per tutte, cfr. Cass., sez. III, 4.11.1994, in Foro it., 1995, II, c. 334, con nota adesiva di Paone, Il reato di discarica abusiva: un importante punto fermo della Corte di Cassazione. In senso contrario, sempre con riferimento alla normativa precedente il decreto Ronchi, v. Cass., sez. I, 17. 11.1995, in questa rivista, 1996, 654, secondo cui “destinatario della norma penale contenuta nel comma 1, dell’art. 25 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, che punisce la realizzazione di discarica abusiva, è il gestore dell\'impianto di raccolta e non il proprietario del terreno sul quale si attua lo smaltimento di rifiuti speciali non autorizzato. Che quest’ultimo soggetto, quale ‘extraneus’, possa concorrere nel ‘reato proprio’, commesso dal gestore, è fuor discussione, ove il concorso esterno materiale (cogestione di fatto) o morale (istigazione, rafforzamento, agevolazione) si realizzi con condotta commissiva, ovvero con condotta omissiva - in linea teorica - ma sempre che il ‘non agere’ si innesti in uno specifico obbligo giuridico di impedire l’evento. In dottrina, sullo specifico tema, per tutti Prati, La responsabilità per l’inquinamento pregresso e la “posizone di garanzia” nella normativa sulla bonifica dei siti contaminati, in Riv. giur. amb., 2003, 159.
[23] Gli attuali artt. 178, comma 3, e 188, comma 1, 3 e 4 del T.U..
[24] In questi termini, Cass., sez. III, 16.11.2006, le cui motivazioni possono consultarsi sul sito www.lexambiente.com. In dottrina, propende per la tesi della esistenza di una posizione di garanzia in capo al produttore dei rifiuti in ordine alla corretta gestione degli stessi Prati, La responsabilità del produttore dei rifiuti tra dibattito giurisprudenziale e novità legislative, in Ambiente, 2005, 564 ss. Nega, invece, la sussistenza di siffatta posizione di garanzia, Aliotta, La responsabilità penale del trasportatore di rifiuti, in Ambiente, 1999, 1147 ss.
[25] Rileva Pulitanò, Diritto penale, cit., 263, come “l’obbligo giuridico rilevante, nella prospettiva della responsabilità ‘commissiva mediante omissione’, non è un qualsivoglia obbligo di attivarsi. Non basta un dovere che può gravare su chiunque…la legge penale dà rilievo a un vincolo ‘speciale’ di tutela, gravante su una speciale categoria di soggetti, con specifica funzione di garanzia di interessi penalmente protetti. Per questi ruoli la dottrina ha introdotto l’etichetta, ormai acquisita anche al linguaggio della giurisprudenza, di ‘posizioni di garanzia’ ”.
[26] In questi termini Marinucci-Dolcini, Manuale, cit., 177, secondo cui “due sono comunque i criteri vincolanti ai quali il giudice deve attenersi per stabilire se e quando l’omesso impedimento di un evento sia penalmente rilevante: a) non basta la mera possibilità materiale di impedire l’evento, né un obbligo di attivarsi che abbia la sua fonte in norme di natura etico-sociale: rileva solo il mancato compimento di un’azione impeditiva dell’evento imposta da una norma giuridica; b) è il contenuto delle singole norme giuridiche che decide quali siano i presupposti in presenza dei quali sorge l’obbligo di impedire l’evento e quali siano gli eventi il cui verificarsi deve essere impedito”.
[27] In questi termini la storica sentenza 24.3.1988 n. 364, in cui la Corte Costituzionale ha cura di evidenziare come “… A nulla varrebbe, in sede penale, garantire la riserva di legge statale, la tassatività delle leggi, ecc., quando il soggetto fosse chiamato a rispondere di fatti…in relazione ai quali non è in grado, senza la benché minima sua colpa, di ravvisare il dovere di evitarli nascente dal precetto. Il principio di colpevolezza, in questo senso, più che completare, costruisce il secondo aspetto del principio, garantistico, di legalità, vigente in ogni Stato di diritto” (il corsivo è nostro).
[28] In questi termini Risicato, La partecipazione mediante omissione a reato commissivo. Genesi e soluzione di un equivoco, cit., 1281, secondo cui “…se il garante dispone di un potere di signoria sul decorso causale ed è quindi in grado di impedire attivandosi il verificarsi dell’evento, ciò normalmente non si verifica quando causa dell’evento è l’azione di un altro soggetto. La condotta umana, infatti, si svolge di regola al di fuori del potere di controllo di una persona diversa dall’agente: ne è prova il principio di affidamento, limite generale alla responsabilità colposa per il fatto illecito altrui. È possibile affermare che lo Hintermann sia concretamente in grado di impedire il fatto illecito di terzi solo nel caso in cui – per particolari circostanze specificamente rilevanti – l’aggressore sia nella sfera di controllo del garante”.
[29] Per un’opinione contraria all’esistenza di un fondamento legale dell’obbligo di recinzione del fondo, v. infra.
[30] Ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, e succ. mod. e integ., recante “Norme di polizia delle miniere e delle cave”, “le norme di polizia delle miniere e delle cave provvedono a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, ad assicurare il regolare svolgimento delle lavorazioni nel rispetto della sicurezza dei terzi e delle attività di preminente interesse generale ed a garantire il buon governo dei giacimenti minerari in quanto appartenenti al patrimonio dello Stato”.
[31] Per una puntuale disamina della problematica civilistica inerente alla responsabilità per danni da cose in custodia, si v. salvi, La responsabilità civile, in Iudica-Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2005, 165 ss. e 214 ss. Sul tema, cfr. altresì Greco-Pasanisi-Ronchi, I danni da cose in custodia, Milano, 2004.
[32] Si fa rilevare come talune decisioni giurisprudenziali, soprattutto in passato, abbiano ritenuto configurabile una responsabilità penale del titolare del fondo per illecito abbandono di rifiuti ad opera di terzi, in omaggio al principio generale sancito dall’art. 2051 c.c. che prevede l’onere del proprietario di evitare che i propri beni cagionino danni a terzi.
[33] In questi termini Leoncini, op. cit., p.159.
[34] Così, sebbene in prospettiva più generale, cfr. Romano-Grasso, sub art. 110, Commentario, cit., 177.
[35] Per di più in assenza in capo al proprietario di un qualunque potere di supremazia e/o comando nei loro confronti.
[36] Queste ultime, nel caso di specie, erano state peraltro imposte al fine di prevenire solo gli specifici rischi per l’incolumità dei terzi derivanti dall’esercizio dell’attività estrattivo-mineraria.
[37] Così, testualmente, Tar Campania, 27.4.2006, Ombres c. Comune di Caserta ed altri, reperibile sul sito www.lexambiente.com, relativamente ad una vicenda in cui alla proprietaria di alcuni suoli, sui quali erano stati rinvenuti notevoli quantitativi di materiali di varia natura, era stato notificato un provvedimento di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi ex art. 14 d.lgs. 22/1997, di cui la ricorrente proprietaria aveva chiesto l’annullamento. Nello stesso senso, sempre Tar Campania, 7.2.2005, Comm. Gov. Emerg. Idrog. C. Comune di Caivano, in Foro Amm., 2005, 455 secondo cui “nel nostro ordinamento, non esiste alcuna disposizione che ponga a carico del proprietario dell’area interessata dal fenomeno dell\'abbandono dei rifiuti o del titolare di altri diritti reali o di godimento sulla stessa l’obbligo giuridico di impedire la discarica abusiva da terzi posta in essere. Nè la responsabilità del proprietario può causalmente farsi discendere dall\'omissione di obblighi generici di custodia che, comunque, non sono affatto finalizzati - e dunque non sono rilevanti - al fine di impedire l\'evento (nella specie, la discarica abusiva)”. In dottrina, ritiene che “la attribuzione di responsabilità al proprietario per le condizioni del suo terreno − indipendentemente dalla sussistenza di dolo e colpa e anche di comportamenti causalmente connessi con l’evento inquinante − sembra costituire quindi l’emersione, nella pratica amministrativa, di un autonomo titolo di responsabilità, mediante il quale, paradossalmente, viene colpito come responsabilità... la vittima dell\'evento dannoso”, Nespor, Vittima o colpevole? Sulla responsabilità del proprietario per discarica abusiva sul suo fondo, in Riv. giur. amb., 1996, 729.
[38] Anche sotto tale profilo l’omessa recinzione del terreno non dovrebbe ritenersi fondativa di responsabilità omissiva atteso che “la giuridicità dell’obbligo, di cui parla l’art. 40, comma 2 c.p., non può che significare la volontà legislativa di subordinare la rilevanza penale della posizione di garanzia all’esistenza di un obbligo di protezione, formalmente posto da una fonte dell’ordinamento a ciò abilitata”: così, testualmente, Giunta, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen. e proc., 1999, 620 ss. e 625. Osserva Pulitanò, Diritto penale, cit., 264, che è il fondamentale principio di legalità ad imporre, allorché si tratti di elementi che concorrono a determinare la fattispecie tipica, e tale è appunto l’obbligo di attivarsi, che la fonte sia in ultima analisi la legge.
[39] Giustamente ridotte dal giudice amministrativo al rango di “mero deterrente” di condotte di illecito deposito e abbandono di rifiuti da parte di terzi.
[40] Ciò, tra l’altro, a voler prescindere dalla considerazione secondo cui il prescritto obbligo di recinzione avrebbe dovuto ritenersi, in ogni caso, venuto meno già con l’avvenuta cessazione da parte dell’imputato dell’esercizio dell’attività estrattiva, cui l’obbligo era collegato.
[41] Va precisato che per ciò che concerne il profilo inerente alla sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta asseritamente doverosa e l’evento di reato, la Corte ha ritenuto “ultronea” ogni verifica sul punto una volta escluso che l’imputato fosse destinatario di uno specifico obbligo giuridico impeditivo rispetto alla realizzazione della discarica abusiva da parte di terzi. Sul punto, con particolare riferimento ai casi di omesso controllo necessario ad impedire il reato altrui, v. Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, cit., 374 ss., la quale, prendendo le mosse da una precisa distinzione tra obblighi di sorveglianza e obblighi di garanzia, esclude la riconducibilità dell’inosservanza del mero obbligo di sorveglianza sia al paradigma della causalità omissiva ex art. 40 cpv. stante l’assenza di un potere-dovere impeditivo in capo al “sorvegliante” sia alla figura della agevolazione (negativa) del reato altrui trattandosi di una omissione che, quantunque possa aver di fatto agevolato la commissione del reato, in quanto violatrice di un obbligo diverso da quello di garanzia, deve ritenersi atipica rispetto sia alla fattispecie monosoggettiva sia a quella concorsuale. Per l’A., solo un preventivo accordo col soggetto attivo al quale il “sorvegliante” assicuri che non eserciterà alcun controllo rileverebbe in chiave concorsuale ma quale contributo attivo di partecipazione idoneo a rafforzare il proposito criminoso altrui. Per alcuni interessanti rilievi sul tema, si veda il recentissimo saggio di Risicato, La causalità psichica tra determinazione e partecipazione, Torino, 2007, 48 ss.
[42] Così, testualmente, le sentenza de qua (pag. 5) che esclude altresì che possano fondare la responsabilità omissiva doveri indeterminati e generici, anche se di rango costituzionale, come quelli solidaristici o sociali sanciti dagli artt. 2, 41, comma 2 e 42, comma 2 della Costituzione. Nello stesso senso, cfr. Cass., sez. III, 4.4.1997, in Giust. pen., 1998, II, c. 363 s., secondo cui “in tema di reato di costruzione abusiva, di cui all\'art. 20 lett. b), l. 28 febbraio 1985 n. 47, considerato che l’autore materiale di tale contravvenzione è da individuare in colui che, con la sua azione, esegue l’opera abusiva, ne deriva che un comportamento omissivo può dar luogo a responsabilità penale solo se ricorre l\'obbligo di garanzia di cui all’art. 40 comma 2 c.p.: è da escludere che un tale obbligo sussista a carico del proprietario dell’area interessata alla costruzione abusiva, poiché esso non è sancito da alcuna norma di legge. In senso decisamente contrario v. Cass., sez. III, 12.7.1999, secondo cui “il proprietario consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al comma 1 dell’art. 40 c.p.”; d’altra parte, anche il comma 2 del succitato art. 40 c.p., per il quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell\'art. 41 comma 2 Cost., sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria né consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l’obbligo giuridico di non consentire che l’evento dannoso o pericoloso si realizzi; pertanto, in virtù delle norme che regolano il concorso di persone nel reato si deve ritenere che il proprietario risponda, a titolo di concorso morale, non solo nel caso di costruzione senza concessione (reato che può essere commesso da chiunque), ma anche nel caso di costruzione in totale difformità dalla concessione (reato configurabile in base all\'art. 6, l. 28 febbraio 1985 n. 47, a carico dei soli soggetti ivi indicati)”. Si fa peraltro rilevare come anche la decisione annotata, nel porre un parallelismo con la materia urbanistica, abbia categoricamente escluso che il proprietario di un’area sulla quale altri abbia realizzato una costruzione abusiva possa risponderne a titolo di compartecipazione omissiva, difettando in capo al medesimo una posizione di garanzia (di controllo) a tutela del bene urbanistico ovvero un obbligo specifico di impedimento contro abusi urbanistici o edilizi (pag. 4 sent.).
[43] A tal fine il proprietario, oltre che rendere edotto dello stato dei luoghi l’ente preposto, potrebbe eventualmente comunicare di aver fatto tutto il possibile per prevenire la commissione dell’illecito ambientale. Resterebbe salva in ogni caso per l’interessato la facoltà d’impugnare, innanzi agli organi di giustizia amministrativa, l’eventuale provvedimento di rimozione che gli fosse notificato, denunciandone ad esempio la illegittimità sotto il profilo della omessa istruttoria in ordine alla sua effettiva colpevolezza. Così come, per altro verso, resterebbe ferma la possibilità per le autorità competenti di adottare ordinanze di bonifica e ripristino di aree inquinate ex artt. 17 e 51 bis del decreto Ronchi, ovvero, ricorrendone i presupposti, ordinanze sindacali contingibili e urgenti in materia di salute pubblica (c.d. ordinanze extra ordinem) ai sensi dell’art. 54, comma 2, d.lgs. 267/2000.
[44] Nel caso di omessa ottemperanza all’ordinanza emessa dal Sindaco (rectius: dal dirigente del settore ai sensi dell’art. 107 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), l’art. 50, comma 3, d.lgs. 22/1997 (ora art. 255, comma 3, T.U.) prevede l’applicabilità di un’autonoma sanzione penale.
[45] L’inciso “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” è stato introdotto con l’entrata in vigore del T.U. dell’ambiente.
[46] Cass., sez. III, 26.1.2007, reperibile sul sito www.lexambiente.com
[47] È la Corte stessa a darne atto nella parte conclusiva della sentenza là dove afferma che “In definitiva la colpevolezza del prevenuto è stata affermata, non in base alla semplice qualità di proprietario dell’area oggetto dell’abbandono sistematico di rifiuti, ma perché sia pure in via presuntiva, si è accertata una sua responsabilità per colpa”.
[48] In questi termini Romano, sub art. 43, in Romano-Grasso, Commentario, cit., 467. Pone altresì in risalto il necessario rapporto di presupposizione logica esistente tra omissione e colpa Giunta, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, Padova, 1993, 101. Secondo l’A. “l’obbligo di garanzia nasce logicamente prima del dovere di diligenza”, di talchè in assenza di un obbligo giuridico impeditivo non assumerebbe alcuna rilevanza una condotta negligente; ed infatti “la posizione di garanzia indica il dovere di agire e il bene nei cui confronti l’azione deve svolgere la propria funzione di tutela: il dovere di diligenza (come specificato dalla regola prudenziale che lo completa) indica le modalità del comportamento imposto dalla posizione di garanzia”. Sull’impossibilità, inoltre, di ritenere configurabile nell’ambito della compartecipazione negativa al reato un contributo omissivo agevolatore al di fuori dello schema normativo delineato dagli artt. 40 cpv. e 110 c.p.,v. supra nota 41.
[49] Ruffilli, Siti inquinati: quali responsabilità per l’acquirente?, in Ambiente, 1999, 635; Russo, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, inRiv. giur. amb., 1998, 429 ss.
[50] Norma, peraltro, che dovrebbe ritenersi superata già con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997 e, successivamente, del d.lgs. n. 152/2006.