Rifiuti con codici a specchio, fanghi di depurazione contaminati e cessazione della qualità di rifiuto (EOW). La Corte Europea si schiera con la Cassazione e con il Consiglio di Stato

di Gianfranco AMENDOLA

E’ del tutto normale e legittimo che i consulenti aziendali e gli avvocati che difendono aziende imputate di reati ambientali si schierino dalla parte dei loro clienti, valorizzando in questo senso ogni argomento possibile. Così come è del tutto normale e legittimo che lo facciano Confindustria ed i suoi organi di stampa. Anzi, sarebbe strano se avvenisse il contrario.

Meglio farlo, però, senza esagerare e, soprattutto, senza mistificazioni della realtà e senza insulti. Perché, in tal caso, non si rende, alla lunga, un buon servizio neppure ai soggetti che si vuole tutelare.

Questo elementare principio purtroppo viene sempre più ignorato e troppo spesso ormai, nel settore del diritto ambientale, si assiste all’avvilente spettacolo di chi, non avendo valide argomentazioni, mistifica la realtà dei fatti, insulta, o attribuisce a chi la pensa in maniera diversa affermazioni mai fatte, del tutto inverosimili e pertanto facilmente criticabili.

Anomalie che potrebbero e dovrebbero essere evitate se si rispettasse la regola di documentare, con citazioni testuali, tutto quello che si scrive, al fine di rendere possibile un immediato controllo di veridicità.

La migliore conferma della pertinenza di questo nostro sommesso richiamo è costituita da quanto sta avvenendo, nel nostro settore, specie dopo il 28 marzo 2019, data in cui la Corte europea di giustizia ha pubblicato due sentenze in cui si è pronunciata, direttamente o indirettamente, su tre questioni caldissime nel dibattito italiano: i rifiuti con codici a specchio, la problematica EoW del fine-rifiuto, e quella dei fanghi contaminati utilizzati in agricoltura.

Se, infatti, si leggono queste due sentenze ed i primi commenti che ne hanno dato notizia c’è da rimanere esterrefatti. Pare quasi di assistere, mutatis mutandis, al solito rito dei politici che, dopo le elezioni, vanno in tv a dire che hanno vinto anche quando i loro voti sono stati dimezzati.

Ci vorrà tempo per commentare adeguatamente ed approfonditamente queste due importanti sentenze interpretative che, non dimentichiamolo, hanno ricadute immediate nel nostro ordinamento.

Ma basta leggerle per verificare che confermano pienamente le conclusioni cui, nei tre campi interessati, erano giunti la Cassazione ed il Consiglio di Stato; sconfessando, di conseguenza, alcune critiche veramente pesanti che qualcuno aveva ritenuto di dover muovere ai nostri massimi organi giurisdizionali.

La sentenza UE sui rifiuti con voci a specchio

La prima sentenza è quella dellaCorte UE, decima sezione, 28 marzo 2019, pubblicata in www. lexambiente.it del 29 marzo 2019, sulla classificazione dei rifiuti con codici a specchio 1 , emanata su richiesta della Cassazione 2 .

Mettiamo, allora, a confronto la tesi della Cassazione con le corrispondenti conclusioni della Corte europea:

CASSAZIONE 27 luglio 2017

Ciò che si richiede, in tali casi, è in ogni caso una adeguata caratterizzazione del rifiuto e non anche la ricerca indiscriminata di tutte le sostanze che esso potrebbe astrattamente contenere. In altre parole – e l’assunto sembra del tutto logico – tale affermazione starebbe a significare che, accertando l’esatta composizione di un rifiuto, è conseguentemente possibile verificare la presenza o meno di sostanze pericolose. Altrettanto coerente sembra l’ulteriore osservazione secondo la quale la composizione di un rifiuto non è sempre desumibile dalla sua origine, come nel caso in cui non derivi da uno specifico processo produttivo, ma sia talvolta conseguenza di altri fenomeni o trattamenti che ne rendono incerta o ne mutano la composizione.

CORTE UE 28 marzo 201

il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento (CE) n. 440/2008 …..o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale.

Una caratterizzazione spinta e sistematica del rifiuto sarebbe necessaria quando lo stesso è sconosciuto, con la conseguenza che se la stessa dovesse richiedere costi eccessivi per il detentore, questi potrà eventualmente classificare comunque il rifiuto come pericoloso. Diversamente, quando il rifiuto è conosciuto, l’analisi chimica dovrebbe riguardare esclusivamente le sostanze che sono potenzialmente presenti in base alle fonti dei dati e del processo di formazione del rifiuto, osservando che una simile scelta non sarebbe comunque aleatoria, ma conseguente alla conoscenza delle materie prime che hanno concorso alla formazione del rifiuto e del processo di formazione dello stesso, con applicazione di metodi razionali di deduzione e che, in ogni caso, ove tale accertamento non fosse possibile, dovrebbe necessariamente procedersi alla classificazione del rifiuto come pericoloso

Il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso

Appare, quindi, immediatamente evidente che, sia per la Cassazione sia per la Corte europea, il detentore del rifiuto con codici a specchio, per determinare se il rifiuto debba essere considerato pericoloso, deve, prima, accertarne la composizione, in quanto, solo conoscendo la composizione del rifiuto si possono ricercare le eventuali sostanze pericolose “che possono ragionevolmente trovarvisi” (e non “ qualsiasi sostanza pericolosa”); purchè sia chiaro, come precisa testualmente la Corte europea, che, data la stretta correlazione tra conoscenza della composizione e ricerca delle sostanze pericolose, il detentore del rifiuto “ non ha alcun margine di discrezionalità a tale riguardo”.

Esattamente l’opposto di chi (teoria della probabilità) sostiene, invece, che le analisi per verificare la pericolosità andrebbero limitate ad alcuni set analitici ricavati da una verifica della presumibile composizione del rifiuto.

Peraltro, la Corte aggiunge, subito dopo, che questa sua interpretazione “ è ormai avvalorata dalla comunicazione della Commissione del 9 aprile 2018, contenente orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti (GU 2018, C 124, pag. 1) 3 .

E, come ulteriore elemento di precisazione, aggiunge anche che “ adottando le disposizioni della legge n. 116/2014, la Repubblica italiana ha adempiuto obblighi derivanti da direttive in materia di classificazione dei rifiuti, in particolare dalla direttiva 2008/98 ”.

Se, a questo punto, si leggono insieme la sentenza della Corte europea (con conclusioni Avv. Gen.), la comunicazione della Commissione 4 , e le disposizioni della (abrogata) legge 116 del 2014, si ottiene, come dimostrato esaurientemente ed analiticamente da attenta dottrina cui si rinvia, “ un panorama davvero esaustivo, di quello che potremmo definire “lo statuto dei rifiuti con codici speculari ”, e pertanto, a questo punto, resta “ finalmente senza alibi la condotta di chi “trucca le carte” nel procedimento di “caratterizzazione” dei rifiuti 5 ; con la totale sconfessione di chi propugnava, invece, una interpretazione basata sulla probabilità e sulla discrezionalità.

A questo punto, infatti, appare del tutto confermato – e senza alcuna possibiltà di equivoci- che il fulcro di tutta la problematica è la adeguata e certa conoscenza, caso per caso, della composizione del rifiuto 6 , perché solo in tal caso è possibile una “ragionevole” ricerca delle sostanze pericolose, senza sfociare in discrezionalità tecnica, al confine con una lotteria, 7 giustamente dichiarata incompatibile con questa impostazione dalla Corte europea di Giustizia 8 .

Ed è appena il caso di ripetere, ancora una volta (lo diciamo da anni, ma evidentemente qualcuno non vuole capire 9 ), che la conoscenza della composizione del rifiuto non implica affatto un obbligo generalizzato di caratterizzazione chimica al 99/99% ma può essere conseguita in più modi diversi fra cui rientra anche, se necessario, la caratterizzazione chimica. Come meglio precisa la Commissione europea, cioè, in primo luogo il produttore del rifiuto deve determinare le caratteristiche del rifiuto (una sorta di “mappatura” dello stesso) attraverso la raccolta di tutte le informazioni disponibili: natura delle materie prime o dei rifiuti in ingresso all’impianto (“analisi merceologica”), analisi delle eventuali schede del produttore, conoscenza e descrizione del processo operato, indicazione delle eventuali sostanze con cui le materie o i rifiuti sono entrati in contatto. Questa è la c.d. “analisi tecnica” del rifiuto. Qualora questo non sia sufficiente, si può ricorrere ad “analisi chimica”. Insomma “ il primo gradino è costituito dall’ottenere informazioni sulla composizione del rifiuto e sulla presenza di sostanze pericolose al suo interno,informazioni che possono essere desunte, esattamente come prevedeva la L. 116/2014, dalla scheda tecnica del rifiuto, dal suo processo produttivo, da prove dirette o da analisi chimiche 10 . Esattamente, cioè, quanto propugnato dalla cd teoria della certezza 11 .

Quanto al requisito della “ragionevolezza”, direttamente collegato, come si è detto, alla conoscenza della composizione, esso si spiega ancora meglio se si esce dall’astrattezza; riprendendo gli esempi concreti (tratti da casi giudiziari), più volte richiamati dalla cd. teoria della certezza, di un percolato di discarica o di una cenere da combustione o di una miscela di rifiuti ottenuta miscelando insieme rifiuti pericolosi e non pericolosi, ove manca quella adeguata conoscenza sulla composizione del rifiuto su cui basarsi al fine di ricercare le eventuali sostanze pericolose che possono ragionevolmente trovarvisi. E pertanto, in tali casi, o si riesce ad accertarne la composizione tramite caratterizzazione chimica del contenuto oppure non è possibile concludere per l’assenza di sostanze pericolose, mentre la teoria della probabilità ritiene sufficiente provare l’assenza delle sostanze pericolose che il chimico ritiene potenzialmente presenti, ricorrendo a presunzioni e a discrezionalità tecnica non compatibili con una ricerca “ragionevole” nel senso indicato dalla Corte europea e meglio precisato dalla Commissione europea 12 .

Rinviando, quindi, agli scritti appena citati per approfondimenti e richiami, sembra sufficiente aggiungere solo che, sempre in sintonia con il documento della Commissione, la Corte europea conclude, come abbiamo visto, che “ il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta ”. Affermazione che, ovviamente, come chiarito ancora più esplicitamente dalla citata comunicazione della Commissione, vale, in primo luogo, se manca quella adeguata conoscenza della composizione del rifiuto su cui basarsi al fine di ricercare le eventuali sostanze pericolose che possono ragionevolmente trovarvisi.

Una sconfessione piena, quindi, di tutti coloro che avevano duramente contestato che si potesse ricorrere, così come aveva correttamente fatto la legge n. 116/2014, al principio di precauzione 13 .

Anzi, giova aggiungere, per completezza, che la Corte europea ha respinto tutte le questioni, sollevate dalla difesa degli imputati e dalla Procura Generale presso la Cassazione, sulla ammissibilità dei quesiti formulati dalla Cassazione, sottolineando la congruità, la pertinenza e la completezza della impostazione della suprema Corte.

Una ultima osservazione. La materia dei rifiuti con codici a specchio è proprio quella di cui parlavamo all’inizio, in cui vengono spesso attribuite a chi la pensa in maniera diversa affermazioni mai fatte, del tutto inverosimili e pertanto facilmente criticabili. Anche a carico della suprema Corte.

Come quando, ad esempio, si sostiene che " non sembra pertinente il richiamo (ritenuto equivalente) al principio comunitario di precauzione, invocato dal Supremo Collegio a fondamento del preteso obbligo probatorio, gravante sul produttore e/o detentore del rifiuto, attraverso la c.d. prova esaustiva ovvero la prova analitica del 99,9% dei componenti del rifiuto, al fine di escluderne la pericolosità ". Affermazione reiterata quando si attribuisce al Supremo Collegio una " preferenza per la tesi (dottrinale) della presunzione assoluta di pericolosità dei rifiuti con voce a specchio, in difetto di prova analitica, da estendere al 99% dei suoi componenti e per tutte le sostanze pericolose ". 14

Eppure, come chiunque può verificare agevolmente, nell'ordinanza della Cassazione che si voleva criticare, non vi è alcun cenno ad alcun presunto "obbligo probatorio con prova analitica del 99, 9%", tanto meno per "tutte le sostanze pericolose" 15

Né affermazioni simili, chiaramente improponibili, si rinvengono, per quanto ci risulta, nella dottrina che si richiama alla tesi della certezza 16 , la quale, le ha, invece, sempre smentite 17 Eppure ancora oggi, dopo la sentenza della Corte europea, che giustamente le respinge, vi è chi continua ad attribuirle a chi propugna la teoria della certezza 18 . Senza riferimenti e citazioni testuali.

La sentenza UE sui fanghi da depurazione e sulla problematica del fine rifiuto (EoW)

La seconda sentenza ( Corte UE, seconda sezione, 28 marzo 2019, causa C-60/18) tratta congiuntamente di altri due argomenti “caldi” in Italia: i fanghi da depurazione e la problematica EoW.

Come si ricorderà, quanto al primo argomento, la polemica è stata innescata dall’art. 41 del cd. decreto Genova, con la imposizione di alcuni limiti per sostanze tossiche o pericolose nei fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura.

Rinviando ad altri scritti 19 per approfondimenti e per richiami puntuali relativi alla intricata vicenda, sembra sufficiente, in questa sede, ricordare che la legge speciale italiana (D. Lgs. 99/92), recependo la direttiva n. 86 / 278 / CEE, si incentra sul presupposto che i fanghi di depurazione utilizzabili in agricoltura debbano essere fanghi derivati da scarichi "civili" o ad essi assimilati; e quindi non prevede limiti per contaminanti tipicamente industriali (ed, ovviamente, palesemente più pericolosi per salute ed ambiente), quali, ad esempio, gli idrocarburi, le diossine ecc. Assenza che spesso veniva, tuttavia, interpretata come assoluta libertà di utilizzare fanghi contaminati, appunto, da inquinanti tipicamente industriali. E, pertanto, per evitare ogni equivoco ed abuso, nel 2017 la Cassazione rilevava che " è impensabile che una regolamentazione ad hoc... avente lo scopo di disciplinare l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo,incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione, possa ammettere un uso indiscriminato di sostanze tossiche e nocive.." e precisava che, trattandosi di rifiuti, la normativa speciale deve essere coordinata con quella generale sui rifiuti; e pertanto sono, comunque, applicabili i limiti previsti in tema di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati in funzione della specifica destinazione d'uso del sito; in quanto, se così non fosse, " un rifiuto può essere impiegabile nello spandimento su un terreno agricolo sebbene abbia valori di contaminazione ben superiori ai limiti di accettabilità per aree industriali " 20 . Conclusione che veniva avallata e confermata dal TAR Lombardia, che annullava una delibera della regione Lombardia emanata per eludere quanto statuito dalla suprema Corte con riferimento al parametro degli idrocarburi.

Tuttavia, poco dopo, nel decreto legge per l’emergenza Genova del 28 settembre 2018, n. 109, convertito con legge 16 novembre 2018, n. 130, spuntava un art. 41 che, " al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione ", aumentava, rispetto ai limiti indicati dalla Cassazione, di 20 volte quello per gli idrocarburi ma anche quelli per diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico. Tutte sostanze tipicamente di origine industriale, tossiche o pericolose che non potrebbero essere contenute in un fango di depurazione per l’agricoltura.

Come prevedibile, l’inserimento di questo art. 41 innescava aspre polemiche tra chi lo ritiene incompatibile con la tutela della salute e dell’ambiente e chi (soprattutto nella maggioranza governativa) invece lo difende sostenendo che, per queste sostanze, ora ci sono alcuni limiti (anche se ben superiori a quelli indicati dalla Cassazione) che prima non esistevano.

Interveniva, allora, nuovamente la suprema Corte, la quale, respingendo i motivi di ricorso proposti da consulenti e avvocati aziendali, dichiarava di “condividere le argomentazioni sviluppate” nella sua prima sentenza del 2017 (di cui riportava testualmente ampi brani) e “sterilizzava” di fatto l’art. 41, evidenziando che, prima di applicare questo articolo, relativo alla fase della utilizzazione dei fanghi, occorre verificare la premessa, già esplicitata nel 2017, che non si tratti di fanghi tipicamente industriali non assimilabili ai civili 21 .

Giungiamo così al 28 marzo 2019, quando viene pubblicata la sentenza in esame in cui la Corte europea di giustizia afferma testualmente che “ nel caso di specie, dagli elementi del fascicolo sottoposto alla Corte risulta che il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, in particolare quelli connessi con la presenza di sostanze pericolose. Orbene, per quanto riguarda le sostanze di cui trattasi, uno Stato membro può, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispone secondo le considerazioni contenute nei due punti precedenti, non accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di un prodotto o di una sostanza o non definire alcuna norma il cui rispetto indurrebbe a far cessare la qualifica di rifiuto di tale prodotto o di tale sostanza .

Affermazione che si comprende meglio se si leggono le conclusioni dell’Avvocato Generale 22 , ove, in proposito, si sottolinea che “ per quanto concerne, nello specifico, il recupero dei fanghi di depurazione, l’Austria rileva giustamente, in particolare, che essi sono collegati a determinati rischi per l’ambiente e la salute umana, anzitutto, al rischio di contaminazione con sostanze inquinanti. Pertanto, in considerazione della discrezionalità loro riconosciuta, gli Stati membri dovrebbero essere liberi di non stabilire la cessazione della qualifica di rifiuto dei fanghi di depurazione e di non fissare alcuno standard di prodotto per i fanghi di depurazione trasformati qualora tali standard dovessero comportare la cessazione della suddetta qualifica ” (n. 51). Evidenziando, in sostanza, che i fanghi di depurazione possono risultare contaminati da sostanze inquinanti con conseguenti rischi per la salute e per l’ambiente; e pertanto uno Stato può decidere che essi restino per sempre dei rifiuti cui si applicano tutte le disposizioni cautelative relative ai rifiuti 23 .

In conclusione, quindi, la sentenza, pur se, come meglio vedremo subito appresso, è incentrata sulla problematica del fine-rifiuto, suona anche come una chiara sconfessione del nostro “disinvolto” art. 41, confermando, in sostanza, le conclusioni “cautelative” della Cassazione.

Quanto alla questione del fine-rifiuto (EoW), per comprendere la decisione della Corte europea, sembra sufficiente, rinviando ad altri scritti per citazioni ed approfondimenti 24 , ricordare che la problematica attiene alle condizioni in presenza delle quali un rifiuto cessa di essere tale e, pertanto, non è più soggetto agli obblighi ed ai divieti (cautelativi) della relativa disciplina. E che, in Italia, la polemica si è incentrata sulla sentenza n. 1129, pubblicata il 28 febbraio 2018, in cui la quarta sezione del Consiglio di Stato ha stabilito che, in base alla normativa comunitaria ed italiana, in assenza di specifico provvedimento comunitario, spetta solo allo Stato -e non alle Regioni- il potere di determinare le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto.

In proposito, va ricordato che l’art. 184-ter, D. Lgs. n. 152/06 prevede che « un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici (...) » (comma 1) « (...) adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente (...) » (comma 2), aggiungendo che, in via transitoria, si continuano ad applicare, in quanto compatibili, i «vecchi» decreti ministeriali già utilizzati per le M.P.S.; e si continuano a salvare i «vecchi» provvedimenti e accordi già esistenti da prima che si introducesse la normativa M.P.S. (comma 3).

In altri termini, e rinviando ad altri lavori per approfondimenti e citazioni 25 , se pure è vero che l’art. 6 della direttiva sui rifiuti 2008/98 ed il primo comma dell’art. 184 ter, indicano alcune condizioni per individuare la fine rifiuto, è anche vero che, a livello letterale, queste condizioni non sono, di per sé, direttamente operative 26 ma devono essere applicate alle varie categorie di rifiuti attraverso « criteri specifici da elaborare conformemente a queste condizioni» (art. 6, comma 1 della direttiva). Criteri specifici che, in assenza di criteri comunitari, l’Italia ha deciso, con l’art. 184 ter, debbano essere «elaborati» con decreti del Ministero dell’ambiente, senza prevedere in alcun modo una possibile competenza in materia delle Regioni.

Il che è esattamente quanto afferma il Consiglio di Stato quando evidenzia che, con l’art. 184 ter, « viene riservata allo Stato, e precisamente a regolamenti del Ministero dell’ambiente, l’individuazione di “specifiche tipologie di rifiuto”, prevedendosi altresì “se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti” e considerando “i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto ”», e specifica, nel contempo, che il legislatore ha attribuito tale potere al Ministero dell’ambiente « fornendo una lettura del “caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria ».

In proposito, peraltro, abbiamo più volte espresso l’opinione che, in realtà, una competenza delle Regioni, concorrente, caso per caso, con quella dello Stato in questa materia non sarebbe incompatibile con la normativa comunitaria su EoW 27 . Ma non è questa la scelta del nostro paese il quale, per evitare disparità di trattamento 28 e pericoli per l’ambiente, con l’art. 184-ter, ha preferito riservare solo alla Stato questa competenza. Così come confermato – e non poteva essere altrimenti-dal Consiglio di Stato.

Ed è veramente singolare che questa sentenza sia stata aspramente criticata da parte della dottrina 29 che, invece di stigmatizzare una inerzia quasi decennale del Ministero dell’Ambiente in un settore così rilevante per la tutela ambientale, ha ritenuto, invece di attaccare pesantemente il Consiglio di Stato 30 , “reo” di avere emesso una sentenza meramente confermativa del chiaro dettato legislativo italiano, che non prevede alcuna competenza delle Regioni.

Se, a questo punto, leggiamo la sentenza della Corte europea sopra citata, è facile verificare che, in sostanza, essa si occupa della stessa problematica innescata, in Italia, dalla sentenza del Consiglio di Stato. Infatti, in quel caso, la questione verteva sulla normativa adottata per EoW dalla Repubblica di Estonia la quale prevede, così come la legge italiana, che la cessazione della qualifica di rifiuto può avvenire solo sulla base di un atto dell’Unione o di un regolamento del Ministro dell’Ambiente che definisca i criteri in ragione dei quali alcuni tipi di rifiuti cessano di essere tali. Partendo da questa premessa, il quesito rivolto alla Corte europea riguardava la possibilità di ottenere, caso per caso, in assenza di un atto comunitario e di un regolamento ministeriale, una dichiarazione di fine-rifiuto dall’Agenzia per l’ambiente applicando direttamente l’art. 6, comma 4 della direttiva sui rifiuti 2008/98, secondo il quale “ se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile 31 .

Ebbene, la risposta della Corte europea è stata lapidaria: se uno Stato ha adottato una normativa nazionale in forza della quale, qualora non sia stato definito alcun criterio a livello dell’Unione per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale ”, l’art. 6, comma 4 della direttiva comunitaria non consente al detentore di un rifiuto “ di esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro 32 .

Resta solo da aggiungere, per completezza, che la Corte europea sembra lasciare aperta la possibilità di una diversa soluzione qualora venga modificata la legge nazionale con riferimento all’art. 6, comma 4 della direttiva. Infatti, risulta dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 che gli Stati membri possono prevedere la possibilità di decisioni relative a casi individuali, in particolare sulla base delle domande presentate dai detentori della sostanza o dell’oggetto qualificati come « rifiuti », ma possono anche adottare una norma o una regolamentazione tecnica relativa ai rifiuti di una determinata categoria o di un determinato tipo di rifiuti. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, l’obbligo, contenuto in tale disposizione, di notificare siffatte misure alla Commissione allorché la direttiva 98/34, come modificata dalla direttiva 98/48, lo richiede riguarda i progetti di regola tecnica e non le decisioni individuali ”.

In conclusione, anche per l’Italia, la cui legge è analoga a quella della Repubblica d’Estonia, vale il principio che, in assenza di criteri comunitari e nazionali, il richiamo all’art. 6, comma 4 della direttiva non consente che si possa decidere su EoW.

Cade, quindi, considerata la attuale formulazione dell’art. 184- ter D. Lgs. 152/06, qualsiasi possibilità che, in assenza di questi criteri, possano decidere le Regioni, caso per caso.

Palese e chiarissima conferma, quindi, di quanto statuito dal nostro Consiglio di Stato.

E, se è vero che correttamente, anche se a malincuore, qualcuno che aveva criticato la sentenza riconosce che essa risulta oggi totalmente confermata dalla Corte europea 33 , spiace dover constatare che altri continuano a ritenere “ sciagurata” la sentenza del Consiglio di Stato e riassumono la sentenza della Corte europea, evidenziando solo che essa << giunge comunque ad esprimersi esplicitamente così: “gli Stati membri possono prevedere la possibilità di decisioni relative a casi individuali , in particolare sulla base delle domande presentate dai detentori della sostanza o dell’oggetto qualificati come rifiuti”. >> 34 . Si tratta della affermazione da noi riportata sopra e riferita all’art. 6, comma 4 della direttiva, ma stranamente manca la seconda parte e cioè che gli Stati membri “ possono anche adottare una norma o una regolamentazione tecnica relativa ai rifiuti di una determinata categoria o di un determinato tipo di rifiuti ”; e -cosa ancora più importante- manca la conclusione che ne deriva; e cioè che l’art. 6, comma 4 della direttiva, “ non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, qualora non sia stato definito alcun criterio a livello dell’Unione per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale ”. Che è esattamente la stessa conclusione cui era giunto il nostro Consiglio di Stato con una sentenza qualificabile solo come “esemplare”.

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1 Su questa problematica, si rinvia, anche per richiami, ai tanti articoli e commenti pubblicati, anche a nostra firma, in in www.industrieambiente . it e www.lexambiente.it . In particolare i nostri Voci a specchio: l'Ordine dei chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge in industrieambiente, marzo 2017;Codici a specchio: arriva il partito della scopa, ivi, aprile 2017; AMENDOLA-SANNA, Codici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, iv i, giugno 2017, AMENDOLA-SANNA , Codici a specchio, cresce il partito della certezza (scientifica) , ivi,11 luglio 2017, nonché AMENDOLA Codici a specchio. Meno male che la Cassazione c’è !, in lexambiente 1 agosto 2017.

2 Cass. pen, sez. 3, 27 luglio 2017 n. 37460, pubblicata, unitamente alla requisitoria della Procura generale, sul sito www.lexambiente.it

3 Tuttavia, poiché tale comunicazione è successiva ai fatti di causa, la Corte, in considerazione della natura penale di tali procedimenti, ritiene che non si debba tener conto della stessa comunicazione nell’ambito delle sue risposte alle questioni pregiudiziali

4 In estrema sintesi, in questo documento la Commissione (pag. 16) riconferma interamente quanto già contenuto in una comunicazione precedente del 2015, in particolare, sulla importanza di acquisire informazioni sufficienti sulla presenza e sul tenore di sostanze pericolose ; e, a tal fine, sulla necessità di acquisire, comunque, talune informazioni sulla composizione del rifiuto, elencando i diversi modi attraverso i quali si possono raccogliere informazioni sulla composizione pertinente dei rifiuti, sulle sostanze pericolose presenti e sulle potenziali caratteristiche di pericolo..., tra le quali inserisce anche campionamento ed analisi chimica dei rifiuti (rinviando, in proposito all'allegato 4); e riafferma che solo una volta raccolte le informazioni sulla composizione del rifiuto è possibile valutare se le sostanze identificate sono classificate come pericolose . Quanto alla conclusione, nello schema sulle voci a specchio (pag. 15) si riproduce esattamente quello del dicembre 2015 dove si rappresenta graficamente che, se non sono disponibili conoscenze sufficienti sulla composizione dei rifiuti per stabilire se gli stessi presentano caratteristiche di pericolo effettuando calcoli o prove in linea con la fase 4 , i rifiuti si considerano pericolosi. Amplius, cfr. GALANTI “La classificazione dei rifiuti con “codice specchio”.Dalla Commissione europea un contributo di chiarezza” in DPC, Diritto penale contemporaneo, 2018, n. 5, pag. 215 e segg il quale, tra l’altro, ricorda che, come si legge nella comunicazione della Commissione, l’accezione del termine «ragionevolmente» è spiegata nel documento di orientamento del Regno Unito come segue: « ragionevolmente significa che le sostanze non possono essere presenti all'interno dei rifiuti perché, ad esempio, possono essere escluse le loro proprietà fisiche e chimiche ».

5 GALANTI, “Rifiuti. La verità, vi prego, sui codici a specchio ”, in www.lexambiente.it, 5 aprile 2019,

6 Cfr. GALANTI, La classificazione…, cit, pagg. 215-216, ove si sottolinea, tra l’altro, che “ dalla lettura del testo della Commissione appare evidente che, al di là delle prese di posizione ideologiche, ciò che davvero conta ai fini della corretta classificazione del rifiuto, è che sia conosciuta la sua composizione. Ed infatti la normativa europea affronta il tema in esame con un approccio molto più concreto che dogmatico, richiedendo che prima di procedere alla classificazione di un rifiuto il produttore sia in condizione, attraverso tutta una serie di step , di farlo causa cognita , ossia conoscendo la composizione dello stesso in relazione al tipo di rifiuto e al processo produttivo, al fine di conoscere le sostanze pericolose in esso contenuto e quindi verificare, attraverso analisi o prove dirette, la presenza della classi di pericolo previste dalla normativa e infine escludere la presenza di POP……... Ma se la composizione del rifiuto è sconosciuta, e non vi sono elementi in grado di supplire a questo deficit di conoscenza, non vi è alternativa alla mappatura analitica completa o alla classificazione del rifiuto come pericoloso…”

7 cfr. per tutti il“parere pro veritate” dell’ordine dei Chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise del 12 febbraio 2017: “ un certificato di Analisi chimica redatto conformemente a quanto previsto dall'appendice I del Codice Deontologico dei Chimici, per essere ritenuta sufficientemente esaustiva della pericolosità o meno di un rifiuto, dovrà prendere in considerazione la ricerca di tutte quelle sostanze pericolose considerate ubiquitarie, o, comunque, molto comuni, oltrechè di tutte le eventuali sostanze specifiche, pertinenti con il processo di produzione del rifiuto, risultanti a valle dei processi logici di valutazione che il Chimico deve aver potuto/dovuto effettuare ".

8 Cfr. AMENDOLA-SANNA, Codici a specchio, cresce il partito della certezza (scientifica) cit ., ove scrivevamo che “ se invece il rifiuto è conosciuto e la sua composizione è nota con certezza da altre fonti, l’analisi chimica riguarderà le sostanze che possono essere presenti sulla base di tali fonti e quindi anche in questo caso le determinazioni non saranno frutto della aleatorietà ma della conoscenza certa delle sostanze presenti nel rifiuto”. Esattamente quanto oggi richiede la Corte europea quando parla di ricerca “ragionevole” delle sostanze pericolose.

9 In proposito si rinvia a AMENDOLA,Codici a specchio. meno male che la Cassazione c’è!, cit , dove, per quanto mi riguarda, dimostro, con citazioni testuali, di non avere mai parlato di alcun obbligo generalizzato di prova esaustiva con analisi del 99,9% dei componenti del rifiuto, ma solo di adeguata conoscenza della composizione del rifiuto. Anzi, sostenevo e sostengo che non vi sia bisogno di alcuna analisi quando, dalla documentazione, l'origine dimostri la non pericolosità del rifiuto. Così come ho sempre ricordato che “ qualora l’analisi chimica non fosse in grado di procedere alla caratterizzazione del rifiuto al fine di escludere la presenza in esso delle sostanze pericolose e quindi delle relative caratteristiche di pericolo, la normativa ha previsto la possibilità, in specifiche circostanze, di ricorrere ai test di laboratorio al fine di determinare le caratteristiche di pericolo del rifiuto ”.

10 GALANTI, La classificazione…, cit., pag. 201

11 Cfr. AMENDOLA, Codici a specchio, arriva il partito della scopa, cit , ove si precisa che tale orientamento “- fatto proprio dalla legge 116/2014- ritiene, invece, che l'individuazione del codice che compete al rifiuto potrà derivare solo dalla conoscenza certa della sua composizione in modo da poter valutare se in esso siano o no presenti sostanze pericolose specifiche o generiche e conseguentemente se esso possieda o meno caratteristiche di pericolo. A tal fine, qualora non sia possibile conoscerne la composizione in base al processo di produzione ed alla scheda del produttore, sarà necessario procedere alla caratterizzazione chimica del rifiuto (che è cosa ben diversa dalla identificazione della composizione merceologica), con la individuazione delle sostanze in esso contenute, per poter verificare così, in concreto, se tra queste vi siano o meno sostanze pericolose . Con il conseguente corollario che un rifiuto potrà essere considerato non pericoloso solo se questa verificazione avrà dato esito negativo. ” Nello stesso senso cfr. ISPRA, Nota tecnica sull’articolo 9 del DL 91/2017 in materia di classificazione dei rifiuti, 4 luglio 2017, ove “s i ritiene che la caratterizzazione analitica debba rappresentare l’ultima fase della procedura di classificazione, da attuarsi a valle di una valutazione tecnica completa che prenda in esame i flussi in ingresso al processo da cui si genera il rifiuto e le relative proprietà, nonché le varie fasi del processo. Solo in tal modo sarà possibile acquisire le informazioni necessarie a individuare le possibili tipologie di sostanze che potrebbero essere presenti nel rifiuto e conferire pericolosità allo stesso .

12 Si deve tenere conto che la previsione che la ricerca sia ragionevole , considerato quanto accade, può avere anche il senso di ammonimento a ricercare in un rifiuto le sostanze che sulla base del processo produttivo da cui si origina, nel caso che il processo sia noto, e non altre sostanze che non hanno alcuna ragione di essere presenti in quel rifiuto.
Situazione che si verifica quando in un rifiuto di acciaieria si vanno a ricercare i pesticidi o viceversa quando in un rifiuto di un processo di chimica organica si ricercano tutti i metalli

13 Un noto e stimato avvocato aveva ritenuto addirittura, in un singolare articolo di critica alla ordinanza di rimessione della Cassazione, di dover svolgere " rilievi preliminari sulla irrilevanza della presunzione assoluta di pericolosità... ": GIAMPIETRO F. Rifiuti con codice a specchio: i quesiti alla Corte di Giustizia e la disciplina speciale sullo smaltimento dei rifiuti urbani , in Ambiente e sviluppo 2018, n. 1, pag. 5 e segg. , il quale sostiene la “irrilevanza” del principio di precauzione ai fini della questione in esame. Si noti che il rifiuto del principio di precauzione è comune alla quasi totalità dei fautori della cd. teoria della probabilità.

14 Cfr. per tutti, GIAMPIETRO F. Rifiuti con codice a specchio: i quesiti alla Corte di Giustizia e la disciplina speciale sullo smaltimento dei rifiuti urbani , cit. Peraltro, questa invenzione del 99% ricorre spesso e continua ad essere utilizzata (cfr. appresso).

15 In proposito cfr. AMENDOLA, Rifiuti, codici a specchio e Cassazione in attesa della corte europea. Ogni critica e' legittima purche' non travisi la realta' in www.lexambiente.it , 13 aprile 2018,

16 spesso identificata con la persona di chi scrive.

17 In proposito, oltre quanto già ricordato sopra (nota 9) a proposito della invenzione di un obbligo di prova analitica al 99%, si richiama l’attenzione sulla analoga invenzione relativa alla certezza al 100% sulla composizione del rifiuto. Cfr. da ultimo AMENDOLA-SANNA , Codici a specchio, cresce il partito della certezza (scientifica) , cit, ove ricordiamo che " una caratterizzazione completa al 100% del rifiuto è impossibile ", purchè sia chiaro che occorre procedere alla " individuazione ed alla misura delle sostanze contenute nel rifiuto. Se si rinuncia a priori a tale misura e ci si attesta sulla conoscenza del 50 % della sua composizione non si potrà certo sostenere che il residuo 50% è costituito dalla incertezza della misura. Misura che per altro non è stata effettuata, cercando di colmare la mancanza di conoscenza del residuo incognito e delle sostanze che lo potrebbero costituire solo con ipotesi e supposizioni... .". Infine, l'affermazione che vuole caratterizzare la tesi cautelativa con un presunto obbligo di ricercare nel rifiuto tutte le sostanze pericolose è una invenzione fatta ad arte per screditarla. Anche perchè nessuna persona di media intelligenza potrebbe pretendere una ricerca analitica di circa 20.000 sostanze. Spiace solo che ancora si continui a tirarla in ballo nonostante più volte chi aderisce, come noi, alla tesi cautelativa, abbia chiarito che, a nostro avviso, la normativa sui codici a specchio "n on pretende affatto di ricercare tutte le sostanze pericolose, ma prescrive soltanto che per classificare un rifiuto si proceda alla sua caratterizzazione, cioè ad individuare le sostanze in esso contenute e a verificare se tra queste vi siano o meno sostanze pericolose. La norma prevede perciò soltanto che il rifiuto sia caratterizzato senza che permangano zone d'ombra o addirittura incognite, le quali comportino che l'assenza di sostanze pericolose sia basata solo su un principio di presunzione elaborato dal chimico che procede " (AMENDOLA, Voci a specchio, l'Ordine dei chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge , cit. ) . Insomma la ricerca “ragionevole” di cui parla la Corte europea.

18 Cfr. per tutti MAGLIA, Voci a specchio rifiuti: la Corte giust. UE mette la parola fine , in www.tuttoambiente.it , 29 marzo 2019, il quale esulta perché la Corte UE ha messo la parola fine a “stravaganti fantasiose e pericolose interpretazioni”, sancendo che il detentore del rifiuto non è obbligato “a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame” (il che era pacifico), ma dimenticando di parlare dell’obbligo primario di determinare la composizione del rifiuto; nonché FICCO,Sui rifiuti con codici a specchio prevale la precauzione, in Il Sole 24 ore, 30 marzo 2019, la quale insiste sulla critica alla tesi del 99, 99% (non sostenuta da nessuno) e si lamenta che la Cassazione non abbia accolto la impostazione ed i quesiti proposti dalla Procura Generale.

L’ultimo esempio, peraltro, si rinviene in un recentissimo articolo di PARLANGELI, La problematica questione della classificazione dei rifiuti con codici a specchio, in Lexambiente rivista, n, 2019, n. 2, pag. 23, dove si riporta correttamente che la Corte europea ha sconfessato la tesi secondo cui occorre verificare l’assenza nel rifiuto di qualsiasi sostanza pericolosa, ma si aggiunge “ per buona pace della tesi dottrinale della certezza che si vede sconfessata “, quando, in realtà, come si è detto (v. sopra, nota n.17) i fautori di questa tesi non hanno mai sostenuto una corbelleria simile.

19 AMENDOLA , Art. 41 del decreto Genova. Quel pasticciaccio brutto dei fanghi contaminati ad uso agricolo , in Questione Giustizia, 21 dicembre 2018 e in www.lexambiente.it , 4 gennaio 2019.

20 Per approfondimenti, cfr. AMENDOLA U tilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura e Cassazione , in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, www.rivistadga.it , 2018, n. 1; per rilievi critici alla sentenza, cfr. MAGLIA- BALOSSI, Fanghi da depurazione in agricoltura: quale normativa si applica? in www.lexambiente.it, 7 novembre 2017

21 Cass. Sez. 3 Pen. 29 gennaio 2019, n. 4238 (c.c.) in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, www.rivistadga.it 2019, n. 1 con nostra nota “ Fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura e art. 41 decreto Genova.La Cassazione risponde alle critiche e consolida la sua giurisprudenza ” cui si rinvia anche per quanto concerne le argomentazioni in difesa dell’art. 41 respinte dalla suprema Corte.

22 nelle sue conclusioni del 29 novembre 2018 (in www.lexambiente.it , 11 dicembre 2018)

23 Si noti che alcuni Stati europei escludono l’utilizzo di fanghi di depurazione in agricoltura proprio per il rischio connesso con la possibile presenza di sostanze pericolose. Cfr la relazione della Commissione europea del 27 febbraio 2017 sull’attuazione della normativa dell’EU in materia di rifiuti nel periodo 2010-2012, ove si sottolinea che “ in alcuni Stati membri l’uso dei fanghi in agricoltura è molto limitato, se non inesistente ”.

24 Cfr. per tutti AMENDOLA, Fine rifiuto dopo recupero: quando si verifica veramente?, in www.industrieambiente.it, ottobre 2016

25 AMENDOLA, Fine rifiuto (EoW) caso per caso: questa volta il Ministero dell'Ambiente ha esagerato , in www.industrieambiente. it, dicembre 2016 e in www. lexambiente, it. 13 gennaio 2017 ; ID, End of Waste e Consiglio di Stato: solo lo Stato può intervenire sulla cessazione della qualifica di rifiuto ” in www.lexambiente.it ; ID, End of waste, recupero di rifiuti e Consiglio di stato. Chiariamo le responsabilità, inDiritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, www.rivistadga.it , 2018, n. 3

26 Per il diritto comunitario, è la stessa Corte europea ad evidenziare che " l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2008/98 si limita ad enunciare le condizioni alle quali devono rispondere i criteri specifici che consentono di determinare quali rifiuti cessino di essere rifiuti, ai sensi dell’articolo 3, punto 1, di tale direttiva, qualora abbiano subìto un’operazione di recupero o di riciclaggio. Di conseguenza, siffatte condizioni non possono, di per sé stesse, consentire di dimostrare direttamente che taluni rifiuti non devono più essere considerati tali ". Cfr. CGCE 7 marzo 2013 in causa C-358/11, n. 55,in Ambiente e sviluppo 2013, n. 6, pag. 524 e segg., con nota di BOCCIA

27 Tanto è vero che recentemente abbiamo avanzato, pur se con molte riserve, una proposta di modifica dell’ art. 184-ter D. Lgs 152/06 per consentire transitoriamente un intervento, caso per caso, delle Regioni con successsiva verifica di compatibiltà da parte dello Stato. Cfr AMENDOLA, Rifiuti.Eow-fine rifiuto. situazione attuale e possibili soluzioni tampone , inwww.lexambiente.it , 8 febbraio 2019

28 Pierobon, Fuori dal nichilismo con l’EoW?, in www.lexambiente.it, 4 agosto 2016: “C i saranno forse Regioni a diverse velocità? Si avvererà un federalismo autorizzativo dove le Regioni, di fronte alle richieste dei privati, diversamente si approcceranno e decideranno? Se, ad esempio, la Provincia autonoma di Bolzano, stabilirà – interpretando specifiche norme tecniche, magari in voga in altro Stato UE, es. Austria o Germania – che un certo rifiuto possa diventare EoW, che succederà nella limitrofa Provincia di Trento? Si giungerà forse (contro i princìpi della libera circolazione di merci e del mercato) a stabilire che l’utilizzo dell’EoW possa avvenire confinata nella realtà provinciale? Oppure, si avrà un EoW casistico, cioè valevole per tutti? ”.

29 Cfr. per tutti FICCO, End of Waste: una sentenza sbagliata che non ha rango di "diritto consolidato" in Reteambiente news, 20 marzo 2018, MAGLIA-SUARDI, Il recupero di rifiuti dopo la sentenza 1229/18 del Consiglio di Stato: fine dell’EoW o della corretta gestione dei rifiuti? in www.lexambiente.it , 4 maggio 2018

30 Spiace dover registrare che, in dottrina, vi è stato chi è giunto ad intitolare “Sconsiglio di Stato?” un editoriale contro questa sentenza del nostro massimo organo della giustizia amministrativa: MAGLIA in www.tuttoambiente.it , 14 marzo 2018

31 Per completezza, si segnala che l’art. 6, comma 4 della nuova direttiva sui rifiuti n. 851 del 2018, a questo proposito, conferma sostanzialmente il disposto della precedente.

32 Si noti che, su questo punto, l’Avvocato Generale, nelle sue conclusioni del 29 novembre 2018 cit., era di avviso diverso, ritenendo che “ in mancanza di tali criteri, il detentore dei rifiuti ha diritto di chiedere all’autorità competente o a un giudice di uno Stato membro di accertare, per determinati rifiuti, la cessazione della qualifica di rifiuto se, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti e dello stato più avanzato delle conoscenze scientifiche e tecniche, tali rifiuti sono stati resi utilizzabili al di là di ogni ragionevole dubbio attraverso un’operazione di recupero, senza compromettere la salute umana o danneggiare l’ambiente o senza che il detentore se ne disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene a norma dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98 .

33 FICCO-LATOUR, Rifiuti, riciclo a rischio blocco. Stop dalla Corte di Giustizia , in Il sole-24ore , Guida al Diritto, 2 aprile 2019

34 MAGLIA, Voci a specchio e EoW: scommettiamo che? in Tuttoambiente, 2 aprile 2019