Cass. Sez. III n. 1521 del 19 gennaio 2011 (Ud. 17 nov. 2010)
Pres. Ferrua Est. Rosi Ric. Di Paola
Urbanistica. Violazione di sigilli
Il reato di violazione di sigilli è configurabile anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti esclusivamente per Impedire l’uso illegittimo della cosa, perché questa finalità deve ritenersi compresa In quella, menzionata nella disposizione, di assicurare la conservazione o la identità della cosa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIULIANA FERRUA - Presidente
Dott. CLAUDIA SQUASSONI - Consigliere
Dott. MARIO GENTILE - Consigliere
Dott. ALDO FIALE - Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI - Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DI PA. GI. N. IL xx/xx/xxxx
2) SO. FR. N. IL xx/ad/xxxx
- avverso la sentenza n. 1746/2008 CORTE APPELLO di SALERNO, del 23/11/2009
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2010 la relazione fatta dal consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo
- che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
la, Corte d'Appello di Salerno con sentenza del 23 novembre 2009, in riforma della decisione di primo grado del 5/3/2008, ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di cui agli artt. 110 c.p., 44 lett. c), 64-65-71-72-93 e 95 d.P.R. 380/2001, art. 163 d.lgs 42/2004 e artt. 734-61 n. 2, ed ha confermato la sentenza di condanna per l'ipotesi di violazione di sigilli di cui all'art.349 c.p. di Di Pa. Gi. e So. Fr., fatti accertati in Cava dei Tirreni il 17 marzo 2004 ed il 6 aprile 2005.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
1. Erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 597 e 581 c.p.p. e mancanza di motivazione.
I ricorrenti hanno evidenziato che con i motivi di appello avevano censurato la sentenza del Tribunale nel punto in cui lo stesso aveva ritenuto non consentita la sospensione del procedimento ex art. 479 c.p.p. in presenza della domanda di sanatoria depositata ai sensi dell'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, in quanto le opere in questione non erano sanabili. Nei motivi di appello si era evidenziato come tale valutazione fosse preclusa al giudice penale, argomentando riguardo alla ammissibilità della sanatoria, ma la Corte di appello avrebbe omesso del tutto di pronunciarsi sul punto.
2. Erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo 129 c.p.p. e mancanza di motivazione.
La Corte di appello ha errato nell'applicazione dell'articolo 129 c.p.p. in quanto prima di dichiarare la prescrizione avrebbe dovuto mandare assolti gli imputati per carenza probatoria, mentre ha motivato in maniera insufficiente ("...è agevole desumere che nel caso di specie le condizioni per l'applicazione dell'art. 129 cpv c.p.p. non sussistono, giacché emergono argomenti che non consentono di pervenire al proscioglimento di merito secondo le richiamate regole di valutazione probatoria").
3. Violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 110, 349 e 350 c.p..
In relazione al reato di violazione dei sigilli, il giudice non avrebbe chiarito quale sia stato il contributo causale alla commissione del delitto offerto da ciascun imputato, in ragione della diversa qualifica ricoperta, in quanto solo il Di Pa. era stato nominato custode giudiziario, non essendo sufficiente la sola qualità di comproprietà del terreno sul quale sono state realizzate le opere edili. L'imputato So., in particolare, risiedendo a Milano, non avrebbe potuto porre in essere la condotta delittuosa in Cava dei Tirreni, né si sarebbe potuto adoperare affinché nessuna violazione di sigilli venisse realizzata.
4. Violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 349 c.p..
Il delitto di violazione di sigilli ha quale fine impedire l'uso della cosa, non già assicurarne la conservazione, come affermato in giurisprudenza, anche se in merito all'interpretazione di tale norma c'è stato un contrasto giurisprudenziale con conseguente rimessione alle Sezioni Unite della Cassazione.
5. Erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo 533 c. 2 c.p.p. e 132 c.p. e mancanza di motivazione.
La sentenza di primo grado era già stata censurata nei motivi di gravame per la violazione dell'art. 533 c. 2 c.p.p. Il Tribunale, infatti, violando il principio di legalità della pena, aveva condannato entrambi gli imputati alla pena della reclusione e della multa, in quanto per tutti i reati contravvenzionali contestati (ad eccezione del capo g) la pena prevista era quella dell'arresto o dell'ammenda e non sarebbe consentita l'unificazione di pene appartenenti a genus diversi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Fermo restando che è stato chiarito che "la sospensione dei procedimenti penali relativi ad illeciti edilizi fino alla scadenza dei termini per la definizione delle procedure di sanatoria, quale prevista dall'art. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (facente parte delle disposizioni richiamate dall'art. 32, comma venticinquesimo, del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, conv. con modif. in legge 24 novembre 2003 n. 326), richiede la previa verifica, da parte del giudice, della sussistenza dei requisiti astrattamente previsti dalla legge". (Cfr. Sez. 3, n. 35084 del 26/8/2004, Barreca, Rv. 229652), si deve evidenziare che nel giudizio di merito sono stati disposti numerosi rinvii dei dibattimento in attesa della pronuncia dell'amministrazione comunale in ordine alla sanatoria, tanto che la sentenza impugnata fa menzione sia dell'istanza di condono ex art. 32 della legge n. 326 del 2003, presentata dai ricorrenti, che del provvedimento di diniego della stessa.
2. Parimenti infondato il secondo motivo di censura. La Corte di appello, nel pronunciare l'estinzione dei reati edilizi per intervenuta prescrizione, ha adeguatamente motivato, anche facendo richiamo espresso alle argomentazioni della sentenza di primo grado, circa la sussistenza di elementi che non consentono di pervenire al proscioglimento ex art. 129 c.p.p., il quale richiede che il giudice possa constatare dagli atti, in modo incontrovertibile, elementi rilevatori della insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale o dell'estraneità dell'imputato (cfr. Sez. 2, n. 9174 del 29/2/2008, Paladini, Rv. 239552).
3. Quanto al restante delitto di violazione dei sigilli, i motivi di ricorso relativi alla mancata motivazione della posizione degli imputati sono infondati: la sentenza impugnata ha svolto una completa motivazione analizzando gli elementi che conducono ad ascrivere la fattispecie delittuosa ad entrambi gli imputati, in quanto proprietari del terreno sul quale le opere insistevano e pertanto interessati alla loro realizzazione.
4. Per quello che riguarda il motivo di ricorso relativo all'esame degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 349 c.p., la giurisprudenza ha chiarito che tale reato è configurabile anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti esclusivamente per impedire l'uso illegittimo della cosa, perchè questa finalità deve ritenersi compresa in quella, menzionata nella disposizione, di assicurare la conservazione o la identità della cosa. (in tal senso Sez. U, n. 5385 del 10/2/2010, D'Agostino, Rv. 245584). Difatti, oggetto di tutela è l'intangibilità della cosa rispetto ad ogni atto di disposizione o di manomissione e pertanto anche l'interdizione dell'uso disposta dall'autorità ha la finalità di assicurarne la conservazione, a prescindere dalle ragioni del provvedimento di limitazione; di fatti l'apposizione del sigillo è un mezzo di portata generale destinato a rafforzare la protezione delle cose che l'autorità giudiziaria o amministrativa è autorizzata dalla legge a rendere indisponibili per il perseguimento dei suoi compiti istituzionali, e quindi risulta coerente che il legislatore abbia voluto attribuire la medesima ampiezza di significato anche in relazione alla tutela penale riconosciuta a tale strumento. Anche la dottrina, del resto, ha ritenuto che le finalità indicate dall'art. 349 c.p. non escludono la eventuale compresenza di fini ed obiettivi ulteriori rispetto alla conservazione o alla identità della cosa. La Corte di appello ha, quindi, correttamente ritenuto configurabile la fattispecie delittuosa nel caso di specie.
5. L'ultimo motivo di censura risulta superato, in quanto volto a proporre una diversa commisurazione della pena tra le fattispecie contravvenzionali ed il delitto di violazione di sigilli, posto che le contravvenzioni sono state dichiarate estinte per intervenuta prescrizione dalla Corte di appello.
Al rigetto del gravame consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 19 Gen. 2011