TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 781 del 25 ottobre 2023
Rifiuti.Inquinamento e responsabilità solidale degli amministratori verso la società
Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tra questi doveri vanno annoverati anche quelli ambientali
Pubblicato il 25/10/2023
N. 00781/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00171/2021 REG.RIC.
N. 00172/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 171 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Ughetta Bini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
Provincia di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Magda Poli, Raffaella Rizzardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
nei confronti
Comune di Agnosine, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, Comunità Montana della Valle Sabbia, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia - Dipartimento di Brescia, Agenzia della Salute di Brescia, -OMISSIS-,-OMISSIS- Spa, non costituiti in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 172 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Ughetta Bini, con domicilio digitale come da PEC rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Ughetta Bini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
Provincia di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Magda Poli, Raffaella Rizzardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
nei confronti
Comune di Agnosine, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, Comunita' Montana della Valle Sabbia, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia - Dipartimento di Brescia, Agenzia della Salute di Brescia, -OMISSIS-,-OMISSIS- Spa, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 171 del 2021:
- del provvedimento - atto dirigenziale n. 3037/2020 proposta n. 376/2020 del 21/12/2020 del Direttore del Settore Sostenibilità Ambientale e Protezione Civile della Provincia di Brescia, avente ad oggetto “Fascicolo 87/2020-973B - Diffida con ordinanza motivata all'attuazione delle procedure previste per la bonifica di siti contaminati ex art. 244, comma 2, d.lgs. n.152/2006 per il supero delle concentrazioni soglia contaminazione (CSC) accertate nel sedimento di un tratto del torrente Carfio, causate dalla discarica ex I.L.F.O. a carico di -OMISSIS-;
quanto al ricorso n. 172 del 2021:
- del provvedimento - atto dirigenziale n. 3034/2020 proposta n. 375/2020 del 21/12/2020 del Direttore del Settore Sostenibilità Ambientale e Protezione Civile della Provincia di Brescia, avente ad oggetto “Fascicolo 87/2020-973B - Diffida con ordinanza motivata all'attuazione delle procedure previste per la bonifica di siti contaminati ex art. 244, comma 2, d.lgs. n.152/2006 per il supero delle concentrazioni soglia contaminazione (CSC) accertate nel sedimento di un tratto del torrente Carfio, causate dalla discarica ex -OMISSIS-.
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o endoprocedimentale, ivi compreso l’atto di avvio del procedimento di cui alla nota Prot. 106739 del 22/7/2020 del Direttore del Settore dell’Ambiente e Protezione Civile – Ufficio Controllo e Tutela del Suolo della Provincia di Brescia.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Brescia e di Provincia di Brescia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2023 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con nota prot. 844 del 28 maggio 2020, la Regione Carabinieri Forestale “Lombardia” – Stazione di Vobarno trasmetteva alla Provincia di Brescia l’annotazione di P.G. ex art. 357 c.p.p. sugli accertamenti svolti dai carabinieri forestali che, nel corso del 2019, avevano rilevato “la continua immissione delle acque di infiltrazione (percolato) della discarica mediante recapito diretto nel torrente Carfio, tale da aver causato una colorazione anomala delle acque e la formazione per un tratto di un centinaio di metri di incrostazioni di aspetto calcareo e il deposito di abbondante materiale polverulento/fangoso idoneo a compromettere i processi naturali del corso d’acqua”.
2. Tale situazione di inquinamento era stata confermata dai campionamenti effettuati da ARPA, che avevano registrato nei sedimenti del torrente Carfio superi delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previste dalla tab.1/A allegato 5 alla parte IV del Titolo V del d.lgs. 152/2006, per i parametri piombo, cadmio, zinco e PCB.
3. Le sorgenti di contaminazione primarie erano state individuate:
- “nella discarica della I.L.F.O. S.p.A., sita ai mappali 647, 655, 656, 657, 659, 6006 e 6007, foglio 6 NCTR del Comune di Agnosine;
- nella discarica della Siderurgica F.lli -OMISSIS-di -OMISSIS- Srl sita ai mappali 653, 660, 661, 662, 663, 664, 683, 2504, 3392, 3812, 3813, 3814, 3815, foglio 6 NCTR del Comune di Agnosine;
- nella discarica della IRO SpA del Comune di Agnosine”.
4. Con note del 22 e 24 luglio 2020, la Provincia di Brescia comunicava, rispettivamente alla I.L.F.O. S.p.A. e alla Siderurgica F.lli -OMISSIS-di -OMISSIS- Srl, oltre che a -OMISSIS-(in qualità di proprietario delle aree, membro del consiglio di amministrazione e liquidatore, e come soggetto ritenuto responsabile della potenziale contaminazione delle matrici ambientali), l’avvio del procedimento finalizzato all’emissione di diffida con ordinanza di cui all’art. 244, comma 2, del d.lgs. 152/2006 per il supero delle CSC nei sedimenti del torrente Carfio, allegando la documentazione pervenuta dalla Regione Carabinieri Forestale “Lombardia” Stazione di Vobarno.
5. Le osservazioni formulate da -OMISSIS-dopo la comunicazione di avvio del procedimento non venivano considerate idonee a dimostrare la sua estraneità all’illecito ambientale, dal momento che, oltre ad essere proprietario dei siti citati, “dalla visura camerale risulta che è stato Presidente del consiglio di amministrazione della -OMISSIS- dal 06/02/1987 al 03/10/1988, membro del consiglio di amministrazione dal 03/10/1988 fino al 10/11/1994”; e “membro del consiglio di amministrazione della I.L.F.O. S.p.A. dal 16/11/1983 fino al 13/04/2002, nonché liquidatore della stessa società, dal 07/09/2002 al 23/10/2012, data di cancellazione della società dal registro delle imprese”.
6. La responsabilità del ricorrente, in qualità di proprietario dei terreni su cui insistono le discariche e amministratore delle società precedenti proprietarie (-OMISSIS- e I.L.F.O.), era inoltre stata accertata dall’esame della documentazione trasmessa, nel settembre 1980, dalle due società a Regione Lombardia, ai sensi dell’art. 28 della L.R. 94/80, inerente l'autorizzazione all'esercizio delle discariche di rifiuti speciali, ovvero della disciplina intervenuta che aveva previsto obblighi di denuncia delle attività e di richiesta di autorizzazione, precisando che il mancato invio di tale richiesta non poteva che dipendere dall’avvenuta cessazione dell’attività dell’impianto denunciato.
Inoltre, con delibera n. 51904/85, la Regione Lombardia aveva dettato le prescrizioni transitorie ex art. 28 della L.R. 94/80 per il giacimento controllato di rifiuti speciali appartenenti alla -OMISSIS- mentre nessuna prescrizione era stata data all’altra società (I.L.F.O.).
In data 25 marzo 1987 i tecnici della Provincia di Brescia nel corso di un sopralluogo nella sede della -OMISSIS- avevano constatato la presenza di una discarica di scorie di acciaieria e sopra le scorie la presenza di una vasca non impermeabilizzata contenente polveri di abbattimento.
Successivamente, con le note prot. n. 1394 del 15 maggio 1987 e n. 549 del 26 maggio 1987, il Servizio di Igiene Pubblica U.S.S.L n. 39, aveva evidenziato, che: “i prelievi di acque superficiali effettuati in corrispondenza del rigagnolo che scorre radente le due discariche (F.lli -OMISSIS-e I.L.F.O.) presentano valori di zinco e di piombo fuori dai limiti di tab. A della legge 319/76”; e che “è necessario ricoprire la discarica della ILFO, attualmente non utilizzata, con teloni impermeabili atti all'uopo ad evitare il dilavamento delle acque meteoriche”.
Con nota di prot. n. 1907 del 25 maggio 1988, il Servizio di Igiene Pubblica U.S.S.L n. 39 aveva di nuovo comunicato che dal sopralluogo effettuato in data 19 maggio 1988 presso il torrente Carfio “è stata accertata la presenza di un fango bianco-giallastro che ha letteralmente coperto il fondo dei due corsi d’acqua, causandone la morte biologica in tutti i sensi, proveniente dalla discarica di scorie presenti nella zona IRO e zona F.lli -OMISSIS-di -OMISSIS- S.r.l.”
Con nota prot. n. 3779 del 26 ottobre 1988, il Comune di Agnosine, a seguito di quanto accertato dal tecnico comunale il giorno 21 ottobre 1988, (sui mappali 3818, 3813 e 3814 discarica in atto di scorie di acciaieria scaricate recentemente e sui mappali 674 e 675 deposito di circa 700 mc di polveri da abbattimento fumi su area non pavimentata) aveva quindi adottato, nei confronti della discarica della Siderurgica F.lli -OMISSIS-, l'Ordinanza n. 76, imponendo la cessazione dell'attività e il ripristino dello stato dei luoghi.
Erano poi seguite la bonifica ed il ripristino dell'area, come da relazione di sopralluogo effettuato da tecnici della Provincia il 23/12/1992, da cui risultava che l'area era stata bonificata con la stesura di terreno vegetale e che non erano necessari ulteriori interventi di bonifica.
7. Quindi, il 21 dicembre 2020, la Provincia ha adottato - ex art. 244, comma 2, d.lgs. 152/2006 - le ordinanze impugnate nei confronti di -OMISSIS-, in qualità di soggetto responsabile del supero delle CSC accertati nel sedimento del torrente Carfio, con diffida a presentare al Comune di Agnosine, alla Provincia, all’ARPA, alla Regione, alla Comunità Montana di Valle Sabbia, nei termini stabiliti:
- specifica documentazione tecnica recante descrizione delle misure di prevenzione/messa in sicurezza di emergenza già adottate o da adottarsi presso l'area in argomento, così come stabilito dal citato art. 242, comma 3, del d.lgs. 152/2006;
- un piano di caratterizzazione redatto da tecnico abilitato in conformità a quanto stabilito dall'Allegato 2 Titolo V Parte IV al d.lgs. 152/2006 nonché dalla D.G.R. della Lombardia n. VIII/2838 del 27/6/2006.
8. Con i ricorsi in epigrafe, notificati il 22 febbraio 2021 e ritualmente depositati, il ricorrente ha impugnato davanti a questo Giudice gli atti dirigenziali n. 3037 e n. 3034 del 2020, chiedendone l’annullamento perché asseritamente illegittimi.
9. Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio la Provincia di Brescia depositando documentazione e articolate memorie difensive contestandone la fondatezza e chiedendone il rigetto.
10. Il 12 maggio 2021, in sede cautelare, questo Giudice, con Ordinanza n.151/2021, ha rigettato la domanda cautelare e, successivamente, il 30 agosto 2021, il Consiglio di Stato, Sez. IV, con Ordinanza n. 4606/2021, ha respinto l’appello cautelare confermando quanto ritenuto in primo grado, ovvero che: “la dedotta estraneità del ricorrente rispetto alla contaminazione ambientale pare difficilmente sostenibile non solo in ragione delle cariche ricoperte nella società titolare della discarica da cui sarebbe derivato l’inquinamento, ma anche di proprietario dei relativi terreni dall’anno 2012”.
DIRITTO
1. Con i ricorsi indicati in epigrafe il ricorrente ha censurato i provvedimenti impugnati formulando quattro motivi di illegittimità.
2. Con il primo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione ed interpretazione di legge (art. 3 ter, 242, 244, d. lgs. n.152/2006, e artt. 2325, 2332, 2462, 2463 c.c.), difetto e travisamento dei presupposti e dei fatti, difetto di motivazione e di istruttoria in relazione ai soggetti ritenuti responsabili, sostenendo l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per difetto di legittimazione passiva, dal momento che – a suo dire - identificherebbero il ricorrente quale “responsabile” sulla base delle cariche sociali rivestite nelle società I.L.F.O. e -OMISSIS-, proprietarie delle discariche da cui sarebbe derivato l’inquinamento, nonché in quanto proprietario dei terreni su cui insistevano queste discariche. Il ricorrente, in relazione alle cariche sociali da lui ricoperte nelle citate società, ricorda infatti il parere del Consiglio di Stato, Sez. I, del 27 marzo 2019 n.1202 (che ha ritenuto illegittima l’ordinanza di cui all’art. 244 del d. lgs. 152/2006 emessa anche nei confronti delle persone fisiche che ricoprono o hanno ricoperto la carica di amministratori nella società di capitali). Aggiunge quindi che la condotta generatrice della situazione di potenziale inquinamento, per il principio di immedesimazione organica, sarebbe riferibile inequivocabilmente ed esclusivamente alle società I.L.F.O. e -OMISSIS-, dotate di personalità giuridica, e che tale responsabilità si sarebbe estinta in ragione della cancellazione delle stesse dal registro delle imprese, cancellazione che sarebbe da assimilare, quanto agli effetti, alla morte della persona fisica.
Il motivo è infondato.
2.1. Non vi è dubbio che il sig. -OMISSIS-sia l'attuale proprietario dell'area, e che ricoprì significativi incarichi, sia nelle società che erano titolari delle discariche e proprietarie dei terreni su cui insistevano, allorché la discarica di Agnosine veniva utilizzata, sia nella EVA S.r.l., che ha, medio tempore, avuto la proprietà delle aree.
2.2. Si osserva inoltre che il -OMISSIS-– il quale sostiene che le aree sono state trasferite nel 2000 dalla -OMISSIS- e dalla I.L.F.O. S.p.A. alla EVA S.r.l. e di esserne divenuto proprietario solo nel 2012 - omette di indicare che egli nella EVA S.r.l. non solo ricopriva la carica di amministratore unico, ma era anche il socio di maggioranza, con il 90% del capitale sociale mentre il restante 10% era detenuto da sua moglie, Sig.ra -OMISSIS- (pag. 1 dell’atto notarile Zampaglione del 20 novembre 2012): è dunque incontestabile la sua continuativa presenza nelle società e conoscenza dell'utilizzo e delle condizioni delle discariche e del torrente che vi scorre adiacente, che sin dagli anni '80 risultava presentare problematiche di tossicità delle acque.
2.3. Non mette in dubbio la consapevolezza della situazione di inquinamento da parte del -OMISSIS-nemmeno la lamentata mancata comunicazione della nota del Servizio di Igiene Pubblica USSL n. 39 del 15 maggio 1987 in quanto rivolta alle sole Amministrazioni, considerato che ad essa seguì il sopralluogo del tecnico comunale del 21 ottobre 1988 presso la F.lli -OMISSIS-, discarica posta a valle rispetto alla discarica I.L.F.O., e che successivamente attuò una seppure insufficiente bonifica dell'area proprio a seguito delle segnalazioni USSL e conseguente ordinanza comunale.
2.4. Quanto al principio di immedesimazione organica richiamato dal ricorrente per sostenere il difetto di legittimazione passiva, perché – a suo dire - ogni attività svolta dall’ex amministratore sarebbe imputabile esclusivamente alle persone giuridiche per conto delle quali egli agiva, occorre dissentire rispetto alla riferita impostazione ed alle conseguenze agevolmente intuibili, derivanti dall’estrema facilità di cancellazioni "di comodo" dal registro delle imprese, con conseguente irresponsabilità per eventuali illeciti posti in essere nell'interesse o a vantaggio degli enti, ma a non convincere è la giustificazione su cui poggia il riferito ragionamento, cioè il parallelo tra l’estinzione dell'ente e la morte della persona fisica.
Sulla questione è intervenuta una recente pronuncia della Cass. pen. (Sez. IV,17 marzo 2022, n. 9006), che ha affermato che «la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito ma non pone un problema di accertamento della responsabilità dell'ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell'ente stesso». La stessa sentenza ha inoltre sottolineato, da un lato, che quando il legislatore ha voluto introdurre cause di estinzione della responsabilità da reato degli enti lo ha fatto in maniera esplicita; dall’altro, che avendo le Sezioni unite penali (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014) affermato il principio di diritto secondo cui «il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d. lgs. n. 231 del 2001», sarebbe incomprensibile la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società tale da far venir meno l’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorché è expressis verbis prevista la esclusione dell'effetto estintivo.
2.5. Va detto che il punto di partenza della questione è quindi l’illecito ambientale accertato dai carabinieri forestali, i quali hanno formulato a carico del ricorrente, nella sua qualità di ex amministratore delle società, le ipotesi di reato di cui agli artt. 452 bis e 452 quinquies c.p., commessi nell’interesse o a vantaggio delle stesse. Rileva dunque l’art. 5 del d. lgs. 231/2001, che prevede la responsabilità dell’ente «per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unita' organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso».
2.6. Passando all’esame del principio della responsabilità patrimoniale societaria, per cui, ai sensi dell’art. 2462 c.c. «per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio» altro argomento che il ricorrente richiama per sottrarsi alla propria responsabilità quale ex amministratore, deve ritenersi che va coordinato col principio della rappresentanza della società medesima. L’orientamento giurisprudenziale più recente, infatti, in relazione a una fattispecie di contaminazione conseguente alla scorretta gestione di una discarica, ha affermato che «ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tra questi doveri vanno annoverati anche quelli ambientali» (Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 giugno 2021 n. 4383).
2.7. Quanto al profilo di illegittimità dei provvedimenti per aver individuato quale soggetto responsabile unicamente il Sig. -OMISSIS-, nonostante il fatto che le società fossero amministrate da un organo collegiale, va detto che tale censura contrasta con la riforma societaria del 2003, che ha introdotto la responsabilità solidale degli amministratori, per fatto proprio e per fatti altrui, allorché, venuti conoscenza di fatti pregiudizievoli, «non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose» (art. 2392 comma 2, c.c.). Normalmente l’amministratore unico assume maggiori rischi di responsabilità a causa della mancanza di collegialità e di deleghe della gestione sociale e, quindi, della sua maggiore discrezionalità nell’esercizio dei poteri di gestione, ma in presenza di un organo collegiale la legge prevede la responsabilità solidale di tutti gli amministratori.
2.8. Si ritiene, inoltre, che il parere espresso dal Consiglio di Stato nel 2019, invocato dal ricorrente, abbia riguardato una fattispecie ben diversa da quella oggetto del presente giudizio: in quel caso, infatti, la società responsabile dell’illecito ambientale non era stata cancellata dal registro delle imprese, né gli amministratori risultavano anche proprietari delle aree inquinate.
2.9. Da ciò si ricava che la responsabilità per cui è causa è certamente imputabile al -OMISSIS-, in quanto amministratore delle società I.L.F.O., -OMISSIS- e socio di maggioranza e amministratore unico della società EVA, non avendo egli provato ai sensi dell’art. 2050 c.c. di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno ambientale, né il proprio dissenso all’esercizio delle discariche.
3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 244 e 242 del d. lgs. 152/2006, art. 3 L. 241/1990, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, motivazione non pertinente, difetto di istruttoria, violazione del principio dell’onere della prova, del principio di proporzione, di buona fede e di legittimo affidamento: secondo il ricorrente i provvedimenti sarebbero illegittimi in quanto postulerebbero il nesso di causalità tra condotta e situazione di inquinamento sulla base della mera conoscenza da parte del ricorrente della presenza di rifiuti, mentre graverebbe sull’Amministrazione l’onere di provare il fatto costitutivo della responsabilità “in proprio” del proprietario dei suoli stante il principio “chi inquina paga”.
Anche questo motivo non è fondato.
3.1. Questo Giudice fa certamente proprio il principio "chi inquina paga", inteso dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale anche nel senso che «l'Amministrazione non può imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all'art. 240, comma 1, lettere m) e p) del D.Lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario "incolpevole" restano limitati a quanto espressamente previsto dall'articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari», per cui va operata una netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, incolpevole, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione. (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013, n. 25).
3.2. Tuttavia, si osserva che, ai sensi dell’art. 245, comma 2, d. lgs. 152/2006, il proprietario o gestore (incolpevole) dell’area, che rilevi il superamento, o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione, è tenuto: 1) a darne immediata comunicazione agli enti competenti; 2) a porre in essere le immediate misure di prevenzione.
3.3. Ciò detto, nel caso di specie, la ricostruzione fatta dalla Provincia dimostra, in concreto, l’avvenuta percezione della contaminazione delle aree da parte del proprietario, attuale ricorrente, tale da affermare la sua responsabilità, sul piano, obiettivo, del nesso di causalità, per omissione.
3.4. Ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e il suo inquinamento, occorre utilizzare le indicazioni della Corte di Giustizia UE, che escludono l’applicabilità di una impostazione penalistica, incentrata sul superamento della soglia oltre il “ragionevole dubbio”, trovando invece applicazione il canone civilistico del “più probabile che non” (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 dicembre 2018, n. 7121).
3.5. Sul punto, l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa afferma che l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, come nel caso di specie, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. La prova può quindi essere data «in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l'"id quod plerumque accidit" che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori» (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).
3.6. Per quanto riguarda il soggetto individuato come responsabile, la giurisprudenza ha poi affermato che lo stesso «non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi» ma deve «provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento» (Cons. St., Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668).
3.7. Facendo quindi applicazione al caso di specie delle coordinate ermeneutiche sopra riportate, il Collegio perviene alla conclusione che la Provincia ha raccolto, fornito e documentato sufficiente materiale indiziario e probatorio per giungere al giudizio di ascrivibilità dell’inquinamento rinvenuto nel torrente Carfio sia all’attività siderurgica svolta per lungo tempo nel sito interessato dalla bonifica dalle società I.L.F.O. e -OMISSIS-, sia alla mancata adozione da parte dell’ex amministratore delle misure idonee a contrastarlo, dal momento che il ricorrente non ha fornito in giudizio la prova liberatoria, costituita da elementi probatori di segno diverso sufficienti a smentire quelli addotti dall’amministrazione ovvero a comprovare la riconducibilità altrove delle cause del riscontrato inquinamento, né è riuscito a fornire elementi da cui desumere che egli, nonostante la sua posizione, non potesse avere conoscenza di una situazione di inquinamento derivante dai rifiuti depositati.
4. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 242 e 244 del d.lgs. 152/2006), insussistenza dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, motivazione generica e insufficiente quanto alla dedotta responsabilità delle società I.L.F.O. e -OMISSIS-: secondo il ricorrente i provvedimenti impugnati recepirebbero acriticamente la prospettazione contenuta nella relazione dei carabinieri forestali di un recapito diretto nel torrente di acque di infiltrazione (percolato) tramite tubazione (T4), che – a suo dire - sarebbe molto distante dai terreni interessati dalle discariche e raccoglierebbe le acque della sorgente di uno dei rami secondari del torrente Carfio, che scorre intubato per un tratto, oltre il quale torna a scorrere a cielo aperto.
Il motivo è infondato.
4.1. Il ricorrente nella camera di consiglio del 14 aprile 2021, con consulenza di parte, ha contestato in particolare la mancanza di connessione tra l’impluvio proveniente dalla località ove sorge il Santuario della Madonna delle Calchere, e il torrente Carfio, posto a valle della proprietà del -OMISSIS-.
4.2. Non è superabile dalla consulenza di parte quanto accertato e documentato dai carabinieri forestali, i quali, dopo aver ricostruito lo stato dei luoghi attraverso l’esame delle relazioni geologiche acquisite durante l’indagine e allegate alla relazione del 2019 (in particolare le relazioni geologiche del dr. Conti e del dr. Trovenzi) hanno così concluso : “in sintesi dunque è possibile affermare che la realizzazione della discarica della società siderurgica fratelli -OMISSIS-di -OMISSIS- srl ha cagionato l'occlusione delle impluvio che raccoglie le acque provenienti da Monte più precisamente dalla Valletta della Madonna delle Calchere che pertanto si infiltrano nel corpo della discarica e vengono raccolte dalla tubazione di drenaggio T4 che la scarica più a valle andando a formare l'attuale ramo sinistro del torrente Carfio”. Conclusione poi confermata dall'esame della relazione del Comune di Agnosine del 2004, allegata alla deliberazione di approvazione del PGT, ove si sosteneva che il ramo che scende dalla Madonna delle Calchere non confluisce più nel Carfio ma risulta separato senza alveo e con foce indefinita a causa di una discarica di inerti molto estesa esistente lungo il pendio a valle della SP n.30 che interrompe il corso d'acqua.
4.3. Non ricorre neppure il vizio di motivazione postuma lamentato con la memoria di replica dal ricorrente, per aver l’Amministrazione valorizzato il contenuto della nota del 1° novembre 2020, che non sarebbe stata citata nei provvedimenti impugnati nonostante fosse precedente agli stessi: si osserva infatti che la nota non contiene ulteriori o nuovi elementi ma conferma l'utilizzo di una tubazione per far defluire il percolato nella discarica direttamente nel torrente oltre ogni ragionevole dubbio.
4.4. Vero è che, nel 1993, la Provincia di Brescia effettuò un sopralluogo presso la discarica F.lli -OMISSIS-, riferendo nel relativo verbale che “la discarica in argomento è ormai dismessa da diversi anni e l’area della stessa è stata già bonificata con stesura di terreno vegetale. Visti gli esiti del sopralluogo, non si ritiene necessario imporre ulteriori opere di bonifica”. Va però chiarito che l’unica opera di “bonifica” di cui si dà atto nel verbale è la stesura di terreno vegetale, mentre oggi con il termine “bonifica” ai sensi dell’art. 240 lett. p) del d.lgs.152/2006, s’intende «l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio» .
Nel 2000 venne poi realizzato un progetto, su istanza dei proprietari dei terreni, di sistemazione del versante occupato dalle due discariche I.L.F.O. e F.lli -OMISSIS-: in base a quanto riportato nella relazione di progetto, “l’area si presenta non utilizzata da anni e lasciata in stato di abbandono, senza sistemazione alcuna”. Nella annotazione di P.G. dei carabinieri forestali si dà atto che vennero realizzate le seguenti opere: posa di una tubazione (T4) fessurata sul fondo di un avvallamento esistente lateralmente alle due discariche I.L.F.O. e F.lli -OMISSIS-, al fine di consentire il drenaggio delle acque ed il loro collettamento nel Carfio; riporto di oltre 160 mila metri cubi di terra al fine di riempire tale avvallamento e rimodellare il versante su cui le discariche sono collocate, da sottoporre a successivo rinverdimento; realizzazione di una scogliera con massi ciclopici alta tre metri per il contenimento del materiale riportato, alla base della quale sbocca la tubazione di drenaggio predetta: ciò prova che nel 2000 i proprietari delle aree, chiedendo la realizzazione di opere di ripristino del terreno superficiale, erano pienamente consapevoli della situazione inquinante e che la tubazione (T4) faceva parte del progetto.
5. Con il quarto e ultimo motivo di ricorso il -OMISSIS-contesta il contenuto prescrittivo della lettera a) della diffida, sostenendone l’illegittimità per difetto dei presupposti e violazione e falsa applicazione di legge (artt. 240, 242 del d.lgs. 152/2006), difetto di istruttoria e di motivazione: secondo il ricorrente non ricorrerebbero i presupposti per l’adozione di misure di prevenzione e di messa in sicurezza in emergenza, che non sarebbe prevista dalla normativa a carico del soggetto non responsabile dell’inquinamento (artt. 242 e 244 del d.lgs. 152/2006), né – a suo dire – ove possa essere adottata, ricorrerebbero i presupposti di «minaccia imminente per la salute o per l’ambiente» ovvero una situazione di «emergenza» (art. 240 d. lgs.152/2006 lett. i) e m).
Il motivo è infondato.
5.1. Quanto all’obbligo di adozione delle misure di prevenzione a carico del soggetto non responsabile dell’inquinamento, si è già detto nei paragrafi 3.2. e 3.3. a cui si rimanda.
5.2. Non vi è invece dubbio sulla sussistenza della situazione di inquinamento del torrente Carfio, chiaramente rappresentata nelle fotografie allegate alla relazione dei carabinieri versate in atti, e tale da giustificare l’adozione delle ordinanze di cui all’art. 244 del d. lgs. 152/2006 di messa in sicurezza in emergenza, a causa della accertata tossicità per il supero delle CSC delle acque del torrente nonché del pericolo per le specie acquatiche, tossicità che non è stata smentita ma anzi confermata dalle analisi effettuate dal consulente di parte.
6. Per le ragioni esposte i ricorsi vanno rigettati.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge.
Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese di lite, che liquida in euro 6.000,00 (seimila/00) in favore della Provincia di Brescia, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Gabbricci, Presidente
Ariberto Sabino Limongelli, Consigliere
Marilena Di Paolo, Referendario, Estensore