Cass. Sez. III sent.6990 del 24 febbraio 2006 (Ud. 2 febbraio 2006)
Pres. Lupo Est. Franco Ric. Ambrosioni
Urbanistica - Lottizzazione abusiva in vendita simulata di multiproprietà alberghiera.
Configura il reato di lottizzazione abusiva la vendita simulata in "multiproprietà alberghiera" di un edificio avente originaria destinazione alberghiera ma in realtà venduto in singole unità immobiliari a destinazione residenziale.
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Ernesto Lupo
1.Dott.Ciro Petti
2.Dott. Mario Gentile
3.Dott.Amedeo Franco
4.Dott.Giulio Sarno
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso
proposto da Ambrosioni Francesco Carlo, legale rappresentante della s.r.l.
Pentagono 2000;
avverso l'ordinanza emessa il 12 aprile 2005 dal tribunale di Sassari, quale
giudice del riesame;
udita nella udienza in camera di consiglio del 29 novembre 2005 la relazione
fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Angelo Di Popolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori avv. Giovanni Gerbi e avv. Massimo Krogh;
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 12 aprile 2005, il tribunale del riesame di Sassari confermò
il sequestro preventivo di terreni ed immobili disposto dal giudice per le
indagini preliminari di quella città il 17 maggio 2005 nei confronti di
Ambrosioni Francesco Carlo, legale rappresentante della s.r.l. Pentagono 2000,
in relazione al reato di cui all'art. 44, lett. c), d.p.R. 6 giugno 2001, n.
380, per avere realizzato una lottizzazione abusiva di terreni.
I fatti erano così rappresentati. Il comune di Stintino aveva rilasciato al
dante causa della Pentagono 2000 una concessione edilizia per la realizzazione
di un albergo a villette, preceduta dalla approvazione, il 16.4.1999, della
lottizzazione con destinazione d'uso alberghiera, destinazione che aveva
consentito, in deroga agli strumenti urbanistici, una volumetria maggiore di
quella normalmente assentita. La società, invece, ancor prima dell'inizio della
costruzione, aveva stipulato con dei privati preliminari di compravendita di
singole unità immobiliari, che così avrebbero perduto la destinazione
alberghiera per assumere quella residenziale. In tal modo, secondo l'accusa, si
sarebbe ottenuto il frazionamento e la vendita del terreno senza la prescritta
autorizzazione ed in violazione degli strumenti urbanistici, in quanto la
lottizzazione, che aveva consentito una maggiore volumetria rispetto a quella
prevista dagli strumenti urbanistici, era stata consentita solo per destinazione
d'uso alberghiera.
Osservò nel merito il tribunale del riesame che la attività negoziale posta in
essere aveva il fine di eludere il vincolo di destinazione pubblica dell'opera,
facendo venir meno l'offerta di ospitalità al pubblico tipica della destinazione
alberghiera, non essendo questo fine perseguibile attraverso la imposizione dei
limiti negoziali posti in essere nella specie. Si era quindi verificata una
modifica di destinazione d'uso del terreno, che determinava il contrasto con gli
strumenti urbanistici.
L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo:
a) violazione degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. in relazione alla violazione
e falsa applicazione degli artt. 30, 31, 32 e 44 d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Osserva in primo luogo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ordinanza
impugnata, la proprietà frazionata e quindi la vendita frazionata di un albergo
non è incompatibile con la destinazione d'uso alberghiera e pertanto non
comporta di per sé mutamento di destinazione d'uso. Nella specie proprio gli
atti negoziali posti in essere dimostrano che non è venuta meno la destinazione
alberghiera e che non vi è stato alcuna modifica di destinazione d'uso.
b) In secondo luogo osserva che ove si modifichi la destinazione d'uso degli
immobili oggetto di un piano di lottizzazione neppure astrattamente si può
configurare il reato di lottizzazione abusiva. Infatti, la modifica di
destinazione d'uso può comportare solo una variazione essenziale del permesso di
costruire, che integra il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno
2001, n. 380, ma non una lottizzazione abusiva. All'Ambrosioni non è stato
contestato di aver venduto dei lotti di terreno con atti che denuncino la
destinazione a scopo edificatorio (lottizzazione negoziale) perché la
edificazione è stata assentita dalla pubblica amministrazione proprio con un
piano di lottizzazione e quel che si è venduto non è stato il terreno ma quote
di fabbricato con proporzionali quote del compendio immobiliare. Il fatto
contestato è di aver determinato, attraverso la vendita, una modifica di
destinazione d'uso dei manufatti oggetto del piano di lottizzazione. Ma tale
mutamento non può configurare mai il reato di lottizzazione abusiva, la quale,
in presenza di un piano di lottizzazione, non è prospettabile solo perché il
piano di lottizzazione venga attuato con difformità più o meno rilevanti
rispetto a quanto approvato e convenzionato.
Motivi della decisione
Va in via preliminare ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema
Corte, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di
provvedimenti di sequestro:
- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del
tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito
concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato o ai reati
oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra
fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione
prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Sez. Un.,
1.11.1992, Midolini);
- l'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto
sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono
essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali
risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di
verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere
l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni
difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità
dei presupposti che legittimano il sequestro (Sez. Un., 20.11.1996, Bassi, m.
206.657).
Va altresì ricordato che, secondo il combinato disposto degli artt. 324, 325 e
355, 3° comma, c.p.p., il ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza di riesame
di provvedimenti in materia di sequestro preventivo e probatorio è proponibile
solo per violazione di legge, non anche per difetto o illogicità della
motivazione, sicché sono inammissibili le censure attinenti alla motivazione del
provvedimento impugnato.
Nel caso in esame, gli elementi addotti dall'accusa - della cui sufficienza in
sede cautelare non può dubitarsi (demandandosi ogni ulteriore approfondimento al
prosieguo delle indagini e spettando poi al giudice del merito la compiuta
verifica) - consentono congruamente di configurare l'ipotesi di reato
contestata, in una situazione in cui le contrarie prospettazioni difensive del
ricorrente non valgono ad escludere la sussistenza del fumus del reato
medesimo.
Il ricorrente deduce, in primo luogo, che la vendita frazionata di un albergo
non ha alcuna attinenza, di per sé sola, con la destinazione d'uso alberghiera.
Il tribunale del riesame avrebbe perciò errato nel sostenere la tesi che la
proprietà frazionata di un albergo, e quindi la sua vendita frazionata, sono
incompatibili con la permanenza della destinazione d'uso alberghiera, sicché
tale vendita frazionata comporterebbe sempre, di per sé, il mutamento di
destinazione d'uso dell'immobile.
Il motivo è infondato perché il tribunale del riesame non ha affatto affermato
questo principio di diritto, ma ha riconosciuto la possibilità giuridica di una
vendita in multiproprietà di un albergo senza che solo per questo debba
necessariamente ritenersi venuta meno la sua destinazione d'uso alberghiera. Ha
invece ritenuto che, nello specifico caso concreto, in considerazione
delle concrete modalità con cui erano state compiute le vendite frazionate, dei
tempi in cui queste erano avvenute e delle specifiche pattuizioni intercorse con
i promissari acquirenti, sussistesse il fumus che non si trattasse di una
vendita frazionata di un complesso alberghiero ma in realtà di una serie di
vendite delle singole villette per una loro destinazione ad uso residenziale da
parte dei singoli promissari acquirenti, con la conseguenza che il complesso in
via di costruzione aveva perduto la prevista destinazione ad uso alberghiero per
assumere una destinazione d'uso residenziale.
Il tribunale del riesame ha fondato questo convincimento di fatto sulla base di
una adeguata motivazione, ed in particolare in considerazione delle seguenti
circostanze:
- le clausole contrattuali pattuite lasciavano alla decisione del singolo
privato acquirente stabilire se e quando, in quali limiti ed in quali periodi
stipulare eventualmente contratti di locazione della porzione di immobile di sua
proprietà;
- le clausole contrattuali, pertanto, non garantivano la realizzazione
dell'offerta di ospitalità al pubblico, che è l'elemento caratteristico di una
destinazione a struttura alberghiera, facendola dipendere unicamente dalla
volontà dei singoli proprietari;
- la gestione unitaria era in realtà assicurata e garantita esclusivamente per
le parti comuni dell'edificio, non diversamente da quanto avviene in qualsiasi
edificio condominiale;
- non poteva ovviamente, in una siffatta situazione, ritenersi che permanesse
una destinazione d'uso alberghiera dell'immobile, solo perché questa era
formalmente richiamata nei contratti di vendita e nei regolamenti allegati;
- uno dei promissari acquirenti aveva confermato che, al momento dell'acquisto,
la società venditrice gli aveva chiaramente prospettato che ciò che stava
acquistando era una casa di abitazione e non una porzione di albergo;
- i contratti preliminari stipulati dal prevenuto non rispettavano i parametri
indicati dalla giurisprudenza amministrativa per il mantenimento di una
destinazione d'uso alberghiera nel caso di vendita frazionata, in quanto si
limitavano a stabilire, in maniera del tutto generica, che la società di
gestione avrebbe stipulato gli eventuali contratti di locazione, senza tuttavia
fare espresso richiamo alle regole del contratto di albergo e nemmeno ai periodi
nei quali le singole villette avrebbero dovuto essere necessariamente locate ad
uso alberghiero, periodi che avrebbero dovuto invece essere espressamente
previsti ed indicati, se davvero il fine fosse stato quello di mantenere la
destinazione d'uso alberghiera.
Non può quindi certamente ritenersi che sia mancante la motivazione con la quale
il tribunale del riesame ha fondato il convincimento che l'indagato stava in
realtà realizzando non un complesso edilizio con destinazione d'uso alberghiera,
ma un complesso di villette con destinazione d'uso residenziale.
Con il secondo motivo il ricorrente sostiene sostanzialmente che non sarebbe mai
nemmeno configurabile, in astratto, il reato di lottizzazione abusiva qualora
venga solo modificata la destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di
lottizzazione. Nella specie, quindi, sarebbe semmai configurabile solo una
ipotesi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla
concessione edilizia, ma non una lottizzazione abusiva sia perché egli non
avrebbe venduto lotti di terreno con destinazione a scopo edificatorio ma quote
di fabbricato con proporzionali quote del compendio immobiliare, sia perché non
vi era alcuna violazione di norme che vietassero la lottizzazione dal momento
che questa era stata assentita mediante un piano di lottizzazione convenzionato.
Anche questo motivo è però infondato.
I giudici del merito hanno infatti accertato che, ancor prima dell'inizio della
costruzione, la società dell'imputato aveva stipulato contratti preliminari di
compravendita con privati, in tal modo procedendo ad un frazionamento del
complesso immobiliare in maniera tale che le singole unità immobiliari venivano
a perdere la destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale.
Non vale sostenere che il reato non sarebbe configurabile perché i lavori erano
assentiti da un piano di lottizzazione convenzionato. Tale piano, infatti,
prevedeva esclusivamente la destinazione del complesso da realizzare ad uso
pubblico alberghiero ed era stato adottato unicamente in virtù della
destinazione d'uso prevista ed autorizzata, tanto che solo a causa di questa
specifica destinazione era stato possibile consentire una deroga agli strumenti
urbanistici ed autorizzare una volumetria ulteriore rispetto, a quella che si
sarebbe potuto altrimenti assentire.
In modo ineccepibile, quindi, i giudici del merito hanno ritenuto che la
condotta posta in essere dell'indagato ha in pratica comportato una completa
espropriazione del potere di controllo nella gestione del territorio da parte
dell'ente pubblico.
Altrettanto ineccepibilmente è stato rilevato che l'art. 30 del d.p.R. 6 giugno
2001, n. 380, individua la lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio
nella trasformazione materiale o negoziale «in violazione delle prescrizioni
degli strumenti urbanistici, vigenti o adottate»; e che la condotta posta in
essere, modificando la destinazione d'uso dell'immobile fin dal momento della
sua realizzazione, si è posta in contrasto con lo strumento urbanistico
costituito dal piano di lottizzazione. Questa Corte, del resto, ha già più volte
affermato che il reato di lottizzazione abusiva può realizzarsi mediante una
modificazione urbanistico o edilizia dei terreni, che conferisca ad una porzione
del territorio comunale un assetto differente e che sia posta in essere non solo
in assenza di autorizzazione ma anche in totale difformità dalla stessa ed in
violazione degli strumenti urbanistici vigenti od approvati (cfr. Sez. III, 7
aprile 2004, Casarin, m. 228.612).
Ed in un caso analogo a quello in esame, questa Corte, nell'affermare il
principio che «il reato di lottizzazione abusiva è ravvisabile non solo nel
compimento di atti giuridici, come la suddivisione del terreno e l'alienazione
dei lotti fabbricabili, ma anche nell'esplicazione di attività materiali, come
la costruzione di edifici ovvero la realizzazione di opere di urbanizzazione,
allorquando gli anzidetti atti ed attività risultano diretti ad utilizzare e
pianificare il territorio a scopi edilizi, in mancanza di un piano di
lottizzazione convenzionale e di altro strumento equipollente attuativo del
piano regolatore generale», ha ritenuto sussistente la configurabilità del reato
in una ipotesi in cui vi era stata la modificazione di destinazione d'uso, senza
concessione, delle unità immobiliari facenti parte di un «complesso alberghiero
residenziale» e la vendita parcellizzata di alcune di esse (Sez. III, 2 marzo
2004, Repino, m. 228.608).
In sostanza, l'attività posta in essere dall'indagato di costruzione di un
complesso immobiliare costituito da villette destinate ad uso residenziale, non
può ritenersi assentita da un piano di lottizzazione convenzionato, dal momento
che quello esistente ha un oggetto del tutto diverso e riguarda unicamente un
complesso immobiliare a destinazione alberghiera. In ogni caso, le opere
realizzate comportano una trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni in
violazione delle prescrizioni contenute in quello strumento urbanistico che è
appunto costituito dal piano di lottizzazione. Nel caso in esame, poi, le
trasformazioni realizzate si pongono anche in contrasto con gli strumenti
urbanistici più generali che per quella zona e per quella volumetria
consentivano soltanto opere aventi un interesse pubblico perché destinate ad uso
alberghiero, mentre per le altre opere erano consentite solo volumetrie
inferiori.
Dal che deriva che, quand'anche per ipotesi si volesse ritenere l'edificazione
de qua assentita da una autorizzazione, la stessa sarebbe comunque
invalida per contrasto con gli strumenti urbanistici. E, secondo la
giurisprudenza di questa Suprema Corte, «il reato di lottizzazione è a
consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per difetto di autorizzazione
sia per il contrasto della stessa con le prescrizioni degli strumenti
urbanistici, sussistendo in capo ai soggetti che partecipano al piano di
lottizzazione l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione
e/o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di
pianificazione, ed atteso che l'interesse protetto dalla legge 28 febbraio 1985
n. 47 non è soltanto quello di assicurare il controllo preventivo da parte della
pubblica amministrazione, ma altresì quello di garantire che lo sviluppo
urbanistico si realizzi concretamente in aderenza all'assetto risultante dagli
strumenti urbanistici» (Sez. III, 29 gennaio 2001, Matarrese, m. 221.204).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte
Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 29 novembre 2005.