Cass. Sez. III n. 37257 del 1 ottobre 2008 (Ud. 11 giu. 2008)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Alexander
Urbanistica. Pertinenza urbanistica (presupposti)

In materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere di pertinenza si richiede che esso acceda ad un edificio preesistente legittimamente edificato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti. (Nella specie, la Corte ha escluso la natura pertinenziale di una piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 11/06/2008
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - sentenza
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1477
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - Registro Generale
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 36275/2007
Ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
ALEXANDER Elizabeth Jane, nata in Svizzera il 20.3.1962;
avverso la sentenza 8.5.2007 della Corte di appello di Roma;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
Udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Dr. Ciampoli Luigi, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
Udite le richieste del difensore Avv. Dalla Vedova Carlo, sostituto processuale dell\'Avv.to Pellegrino Giorgio, il quale ha concluso chiedendo l\'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza dell\'8.5.2007, confermava la sentenza 30.3.2006 del Tribunale di Viterbo - Sezione distaccata di Montefiascone, che aveva affermato la responsabilità penale di Alexander Elizabeth Jane in ordine ai reati di cui:
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, senza il prescritto permesso di costruire - previo sbancamento di terreno per mt. 4 nel punto più alto - realizzato una piscina avente le dimensioni di mt. 10,60 x 5,65, con muretto in calcestruzzo e con un marciapiede perimetrale in calcestruzzo largo mt. 1,25, nonché un locale interrato destinato all\'impianto di depurazione delle acque della piscina medesima - acc. in Bagnoregio, località "Le Piane", il 23.5.2003);
- al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (per avere realizzato le opere anzidette senza la prescritta autorizzazione dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo);
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere proseguito i lavori di completamento della piscina dopo la notifica dell\'ordinanza di sospensione 27.5.2003 del Comune di Bagnoregio);
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., la aveva condannata alla pena complessiva di mesi due di arresto ed Euro 15.000,00 di ammenda, con ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, concedendo i doppi benefici.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la Alexander, la quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:
- l\'erroneo disconoscimento del carattere "pertinenzialè" della piscina e dei manufatti realizzati;
- la insussistenza dell\'elemento soggettivo dei reati, in quanto ella, non conoscendo la lingua italiana, sarebbe caduta in errore scusabile e comunque avrebbe "assolto il dovere di conoscenza con puntuale diligenza attraverso la corretta utilizzazione di informazioni, contatti e rapporti con i tecnici del luogo". MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché le doglianze anzidette sono manifestamente infondate.
1. In punto di configurazione oggettiva dei reati edilizi, deve anzitutto ribadirsi che sono lavori di "nuova costruzione", per i quali occorre il permesso di costruire, non soltanto quelli di realizzazione di manufatti che si elevano al di sopra del suolo ma anche quelli in tutto o in parte interrati che comunque trasformano durevolmente l\'area impegnata (ciò è espressamente previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1 - lett. e 1), ed è stato costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema. (Vedi Cass., Sez. 3: 18.6.2003, n. 26197, Agresti; 29.11.2000, n. 12288, Cimaglia; 25.11.1997, n. 10709, Mirabile; 1.6.1994, n. 6367, Gargiulo; 11.7.1983, n. 9377, Salvatore; 22.6.1983, n. 9069, Bregoli;
3.6.1980, n. 10211, Acco).
In particolare, la realizzazione della piscina privata oggetto del presente procedimento non può ricondursi alla categoria degli interventi di "destinazione di aree ad attività sportive senza creazione di volumetrie" per i quali già la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 60 (modificato dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 10, convertito nella L. 28 febbraio 1997, n. 30 e dal D.L. 25 marzo 1997, n. 67, art. 11, convertito nella L. 23 maggio 1997, n. 135) prevedeva la facoltà di esecuzione previa mera denuncia di inizio dell\'attività ai sensi e per gli effetti della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 2.
Gli interventi assentibili con DIA, infatti, già alla stregua della normativa dianzi citata, sono quelli di destinazione di un\'area all\'attività sportiva e non la realizzazione di manufatti sull\'area. Nella specie, inoltre, la realizzazione della piscina ha comportato l\'esecuzione di rilevanti lavori di sbancamento, nonché l\'esecuzione di opere edilizie complementari.
2. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, la nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un\'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un\'oggettiva esigenza dell\'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell\'edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell\'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell\'immobile cui accede. La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l\'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non potrebbe ricondursi alla nozione in esame la realizzazione di una piscina privata che, per le sue caratteristiche oggettive, fosse suscettibile di utilizzazione (anche economica) autonoma.
Il manufatto pertinenziale, inoltre:
- deve accedere ad un edificio preesistente edificato legittimamente;
- deve necessariamente presentare la caratteristica della ridotta dimensione anche in assoluto, a prescindere dal rapporto con l\'edificio principale;
- non deve essere in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e con quelli eventualmente soltanto adottati.
Alla stregua dei principi enunciati dianzi, può affermarsi, conseguentemente, che una piscina posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata non è di per sè estranea al concetto di "pertinenza urbanistica" (vedi, sul punto, C. Stato, Sez. 4, 14.8.2006, n. 4780, con riferimento alla nozione di cui all\'art. 817 c.c.: decisione che non tiene conto, però, della consolidata giurisprudenza dello stesso Consiglio quanto al rapporto della c.d. "pertinenza urbanistica" con la più ampia nozione civilistica (Sez. 5, 18.4.2001, n. 2325 e 30.10.2000, n. 5828; Sez. 6, 8.3.2000, n. 1174), ma può diventarlo quando abbia dimensioni non trascurabili o si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, potrebbe comunque avere una destinazione autonoma (vedi, al riguardo, Cass., Sez. 3: 2.12.2004, n. 46758, Proietti; 29.11.2000, n. 12288, Cimaglia).
Nella vicenda che ci occupa:
- nulla è dato conoscere circa la legittimità dell\'edificio preesistente;
- le dimensioni dell\'effettuato sbancamento, della piscina e delle altre opere edilizie di nuova realizzazione non sono trascurabili;
- non è stata dimostrata la compatibilità di detto complessivo intervento sul territorio con le prescrizioni di zona della pianificazione vigente;
- la DIA che la ricorrente assume di avere inoltrato deve ritenersi inefficace, non essendo stato acquisito il necessario provvedimento favorevole dell\'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 6). 3. Quanto al reato paesaggistico, va ribadito, poi, l\'orientamento costante di questa Corte Suprema (vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. 3: 29.11.2001, Zecca ed altro; 15.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.5.2002, Migliore; 4.10.2002, Debertol; 7.3.2003, Spinosa; 6.5.2003, Cassisa; 23.5.2003, P.M. in proc. Invernici;
26.5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori; 7.10.2003, Fierro; 3.6.2004, Coletta; 24.5.2005, Garofalo; 17.11.2005, Villa) secondo il quale il reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (già L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies ed attualmente D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell\'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l\'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l\'aspetto esteriore degli edifici.
Il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell\'attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto. Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell\'autorizzazione già prevista dalla L. n. 1497 del 1939, art. 7, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla L. n. 431 del 1985 e sono attualmente disciplinate dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146 - ogni modificazione dell\'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi (con le deroghe eventualmente individuate dai piano paesaggistico, ex D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 143, comma 5 - lett. b, nonché ad eccezione degli interventi previsti dal successivo art. 149 e consistenti:
nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l\'aspetto esteriore degli edifici; nell\'esercizio dell\'attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l\'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).
Il legislatore, imponendo la necessità dell\'autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell\'impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A., in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, sia posta di fronte al fatto compiuto.
La fattispecie incriminatrice è rivolta a tutelare, dunque, sia l\'ambiente sia, strumentalmente e mediatamente, l\'interesse a che la P.A. preposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione: la salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale. La Corte Costituzionale, in proposito, ha precisato (sentenza n. 247 del 1997) che anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto è sempre devoluto al sindacato del giudice penale l\'accertamento in concreto dell\'offensività specifica della singola condotta, dal momento che, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e si verte in tema di reato impossibile, ex art. 49 c.p. (sentenza n. 360 del 1995).
Nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, l\'offensività del fatto illecito, in materia di tutela penale dell\'ambiente, è stata diffusamente analizzata - nelle prospettazioni dottrinarie e giurisprudenziali e pure con riferimento ai connotati concettuali controversi - da Cass., Sez. 3; 7.3.2000, n. 2733, Gajo e 10.12.2001, Zucchini, alle cui specificazioni si rinvia.
La fattispecie in esame è caratterizzata ad evidenza dall\'esecuzione di opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l\'ambiente: sussiste, pertanto, un\'effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell\'interesse dalla P. A. ad una corretta informazione preventiva ed all\'esercizio di un efficace e sollecito controllo. 4. Dei reati contravvenzionali in oggetto si risponde anche a titolo colpa. Per la sussistenza dell\'elemento soggettivo è sufficiente, quindi, che il comportamento illecito sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza.
L\'ignoranza della legge penale scusa l\'autore dell\'illecito soltanto se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Cost., 23.3.1998, n. 364) e, nella fattispecie in esame, correttamente i giudici del merito hanno escluso che l\'imputata abbia assolto, con il criterio dell\'ordinaria diligenza, al c.d. "dovere di informazione", attraverso l\'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire l\'esatta conoscenza della normativa vigente. La ricorrente asserisce apoditticamente di avere correttamente utilizzato "informazioni, contatti e rapporti con i tecnici del luogo", ma evidentemente si è rivolta a tecnici poco informati, non risultando altresì neppure prospettato che il convincimento della liceità della propria condotta sia stato tratto da un comportamento positivo degli organi amministrativi ovvero da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale.
Ciò che rende la doglianza, infine, addirittura pretestuosa è la accertata prosecuzione dei lavori dopo la notifica dell\'ordinanza comunale di sospensione degli stessi: comportamento a fronte del quale è davvero impudente asserire di avere agito in buona fede. 5. La inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, sicché non può tenersi conto della prescrizione dei reati venuta a scadere dopo la pronuncia della sentenza impugnata e la presentazione dell\'atto di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).
6. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell\'art. 616 c.p.p., l\'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro Mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2008