Cass. Sez. III n.14504 del 2 aprile 2009 (ud. 20 gen. 2009)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Sansebastiano ed altri
Urbanistica. Programmi complessi e Piano di recupero. Poteri del giudice penale

1. I "programmi complessi" come i programmi integrali di intervento di cui all’art. 16 della legge 17.2.1992, n. 179 ed i programmi di riqualificazione urbana di cui all’ art. 2 della legge 17.2.1992, n. 179) sono pur sempre strumenti attuativi del PRG, sia pure con carattenstiche peculiari e privilegiate, che possono porsi in variante al PRG vigente al momento della loro approvazione ma non sono idonei, qualora redatti antecedentemente, a vincolare un successivo piano regolatore generale.
2.Il piano di recupero è uno strumento urbanistico, che ha natura di piano-programma con contenuto complesso, equivalente, sotto il profilo dell‘efficacia giuridica, al piano particolareggiato, dal quale si differenzia perché finalizzato, piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio, al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, risanamento, ricostruzione ed alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.
3.Il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo abilitativo edilizio, procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna disapplicazione riconducibile all ‘art. 5 della legge 20 marzo 1865, ti. 2248, allegato E), né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice. La non-conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa, ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell’amministrazione. Il sindacato del giudice penale, al contrario, è possibile tanto nelle ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge quanto in quelle di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere. Spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 20/01/2009
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 165
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 30597/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. SANSEBASTIANO Riccardo, nato a Genova il 16.3.1955;
2. DAMONTE Gianna, nata a Genova il 28.9.1957;
3. ROMANO Nicola, nato ad Afragola il 3.10.1957;
avverso la sentenza 24.1.2008 della Corte di appello di Torino;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, il quale ha concluso chiedendo l\'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere i reati estinti per prescrizione;
Uditi i patrocinatori delle parti civili:
- Avv.to Luciana Selmi - sostituto processuale dell\'Avv.to Carlo Rienzi - per CODACONS;
- Avv.to Carlo Traverso - sostituto processuale dell\'Avv.to Giuseppe Oneglia - per "Associazione Amici del Borgo di Rovereto";
- Avv.to Carlo Traverso, per MANAU Giorgio, CACIOPPO Vincenzo e PARODI Nicola;
i quali hanno tutti concluso chiedendo la conferma delle statuizioni civili.
Uditi i difensori:
- Avv.to Stefano Pellegrini - sostituto processuale dell\'Avv.to Massimo Leandro Boggio (per DAMONTE) - il quale ha concluso chiedendo l\'assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, in subordine, la declaratoria di prescrizione, sempre con revoca delle statuizioni civili;
- Avv.to Franco Cortese (per ROMANO), il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di prescrizione con revoca delle statuizioni civili.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 24.1.2008, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Alessandria in data 15.12.2005:
a) ribadiva (tra l\'altro) l\'affermazione della responsabilità di Sansebastiano Riccardo, Damonte Gianna e Romano Nicola in ordine ai reati di cui:
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), per avere - il Sansebastiano in qualità di dirigente del settore tecnico della ATC (Agenzia territoriale per la casa) della Provincia di Alessandria e titolare della concessione edilizia n. 269 del 10.6.2002; la Damonte nella qualità di direttore dei lavori; il Romano quale legale rappresentante della s.a.s. "Romano Costruzioni di Romano Nicola & C.", esecutrice materiale dei lavori - realizzato una ristrutturazione urbanistica, con demolizione di fabbricati preesistenti e ricostruzione di manufatti, in difformità totale dalla anzidetta concessione edilizia ed in contrasto con il vigente piano regolatore generale comunale - in Alessandria, Borgo Rovereto, piazza Santa Maria di Castello, fino all\'11.7.2003);
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), per avere - nelle anzidette rispettive qualità - realizzato le opere in epoca successiva al termine di mesi sei prescritto dalla concessione edilizia per l\'inizio dei lavori;
b) assolveva il solo Romano, perché il fatto non costituisce reato, dall\'imputazione di costruzione in totale difformità dal titolo abilitativo, in relazione ad alcune delle opere realizzate;
c) dichiarava estinta per intervenuta prescrizione la contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), ascritta a tutti gli imputati per la realizzazione dell\'intervento edilizio in assenza del prescritto parere della Commissione regionale per i beni culturali ed ambientali;
d) confermava le statuizioni risarcitorie in favore delle costituite parti civili CODACONS (Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell\'ambiente e per la tutela dei diritti degli utenti e consumatori) - Onlus; Cacioppo Vincenzo; Parodi Nicola; Associazione Amici di Borgo Rovereto; Hanau Giorgio.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, i quali - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno eccepito:
- con motivi sostanzialmente comuni:
- la legittimità dell\'eseguito intervento di ristrutturazione urbanistica, perché realizzato in perfetta aderenza a quanto previsto ed autorizzato con un P.R.U. (programma integrato di riqualificazione urbanistica) approvato dal Consiglio comunale di Alessandria in data 6.1.1996 e successivamente integrato da rituali protocollo di intesa ed accordo di programma. I giudici del merito, sul punto, avrebbero interpretato erroneamente la L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 16, nonché la L.R. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 32 e le disposizioni del piano regolatore generale del Comune di Alessandria;
- la erronea identificazione di profili di "macroscopica illegittimità" nella concessione edilizia n. 269 del 10.6.2002 e nel successivo permesso in sanatoria n. 136 del 4.4.2005;
- la incongrua valutazione della affermata "difformità totale" dalla concessione edilizia per le opere realizzate nel comparto C), pur trattandosi di opere non aventi una precisa configurazione, perché non ancora definitivamente compiute;
- il rituale inizio dei lavori, nei termini fissati dal provvedimento concessorio, essendo stati realizzati, in detti termini, alcuni interventi demolitori di due solai e di una parte delle scale interne;
- per la Damonte:
- vizio di motivazione in ordine alla natura del proprio contributo concorsuale alla perpetrazione degli illeciti, non essendo ella tenuta, nella sua qualità di direttore dei lavori, al controllo della conformità alle prescrizioni urbanistiche delle opere assentite con concessione edilizia non macroscopicamente illegittima;
- per il Romano:
- la propria completa estraneità alle condotte illecite contestate, rivestendo egli soltanto la qualifica di amministratore unico della società esecutrice dei lavori (s.a.s. "Romano Costruzioni di Romano Nicola & C."), con compiti meramente amministrativi; laddove l\'esecuzione dell\'intervento urbanistico in oggetto sarebbe stata affidata all\'ufficio tecnico della società medesima ed il cantiere sarebbe stato diretto da tale geometra Parisi;
- mancanza di motivazione "in ordine alla conferma della condanna al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, in quanto la sentenza censurata non avrebbe in alcun modo argomentato in ordine alla capacità lesiva dei diritti delle parti civili nella residuale condotta di esso Romano e, di conseguenza, neppure in ordine alla esistenza del nesso di causalità tra detta condotta ed il pregiudizio lamentato".
I patroni delle costituite parti civili Cacioppo, Parodi ed Hanau hanno depositato memorie rivolte a contestare le eccezioni svolte nei ricorsi degli imputati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Non tutte le doglianze svolte nei ricorsi in esame sono manifestamente infondate e l\'impugnata sentenza - conseguentemente - deve essere annullata senza rinvio, perché i reati residui sono estinti per prescrizione.
Trattasi, invero, di fattispecie contravvenzionali accertate "fino all\'11.7.2003" (data del sequestro preventivo), in relazione alle quali non sussiste alcun elemento che dimostri la successiva permanenza, sicché il termine massimo prescrizionale (tenuto conto della sospensione di 60 giorni D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 45, comma 1) coincide con il 12.3.2008.
Dalla declaratoria di prescrizione deriva, ex lege, la revoca dell\'ordine di demolizione, che può essere impartito soltanto in caso di condanna.
2. I gravami devono essere comunque più diffusamente esaminati al fine di evidenziare l\'insussistenza di taluna delle ipotesi, prevalenti sull\'estinzione dei reati, previste dall\'art. 129 c.p.p., nonché in relazione alle disposte statuizioni civili (art. 578 c.p.p.), che vanno confermate alla stregua delle argomentazioni di seguito svolte.
3. Gli elementi fattuali della vicenda.
Nella specie risulta accertato, in punto di fatto, che:
- il Consiglio comunale di Alessandria approvava, con Delib. 6 gennaio 1996, un programma di riqualificazione urbana (PRU) denominato "Borgo Rovereto - I cortili ritrovati";
- in data 30.7.1997 veniva siglato un protocollo di intesa - per la suddivisione dei finanziamenti tra il Ministero dei lavori pubblici, il Comune di Alessandria e l\'Agenzia territoriale per la casa della Provincia di Alessandria (ATC) - nel quale si dava atto che "l\'attuazione del programma non comporta variante agli strumenti urbanistici vigenti";
- per l\'attuazione del PRU, in data 24.9.1998 veniva stipulato (tra Ministero, Comune ed ATC) un accordo di programma nel quale veniva ribadito che a tale attuazione si doveva procedere "in totale conformità alla strumentazione urbanistica vigente... attraverso strumenti attuativi (piani di recupero) o concessioni edilizie singole";
- il Comune di Alessandria rilasciava, in data 10.6.2002, la concessione edilizia n. 269 in relazione ad un progetto che prevedeva la demolizione totale di una serie di edifici prospicienti la piazza Santa Maria di Castello e la edificazione, in sostituzione di essi, di nuovi edifici (ricompresi nei comparti B (categorie A ed N) e C) a destinazione mista, residenziale e commerciale. Nel provvedimento concessorio veniva espressamente vietata la realizzazione di locali interrati e si stabiliva che i lavori avrebbero dovuto avere inizio entro sei mesi dalla data del suo rilascio;
- alla data del 10.6.2002 (quella del rilascio della concessione n. 269) il Comune di Alessandria era dotato di piano regolatore generale approvato con Delib. Regionale 7 febbraio 2000 e Delib. Reg. 13 aprile 2000;
- gli immobili oggetto della concessione n. 269/2002 ricadono in "area centrale storica", per la quale una disciplina generale è posta dall\'art. 34 delle norme tecniche di attuazione (NTA) del suddetto PRG, che: nei comparti B e C, subordina all\'approvazione preventiva di un piano di recupero (strumento urbanistico esecutivo), L.R. n. 56 del 1977, ex art. 41 bis gli interventi di
ristrutturazione urbanistica; nel solo comparto B, inoltre, non ammette interventi di demolizione e ricostruzione;
- gli stessi immobili oggetto della concessione n. 269/2002 risultano altresì specificamente individuati, dall\'art. 49 delle NTA, quali "beni culturali ambientali da salvaguardare" ai sensi della L.R. n. 56 del 1977, art. 24 e per essi viene previsto, con disciplina speciale, che:
- deve essere lo strumento urbanistico esecutivo (piano di recupero) a determinare le modalità di intervento e gli usi ammessi;
- fino all\'approvazione di detto strumento urbanistico esecutivo sono ammessi i soli interventi di manutenzione, anche straordinaria, nonché quelli di restauro e risanamento conservativo;
- il Comune di Alessandria, in data 29.7.2004, approvava un piano di recupero per l\'area e gli immobili in oggetto, su proposta presentata dall\'ATC il precedente 7 luglio;
- in data 4.4.2005 lo stesso Comune revocava la concessione edilizia n. 269/2002 e rilasciava permesso di costruire in sanatoria n. 136, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36.
4. I ravvisati comportamenti illeciti.
I giudici del merito hanno ravvisato nella specie:
- l\'illegittimità del rilascio della concessione edilizia n. 269/2002 per:
- l\'assenza del preventivo piano di recupero previsto dalla L.R. n. 56 del 1997, art. 41 bis e dall\'art. 49 delle NTA del piano regolatore generale del Comune di Alessandria;
- l\'assenza del preventivo parere, obbligatorio e vincolante, della Commissione regionale dei beni culturali ed ambientali, di cui alla L.R. n. 56 del 1977, art. 9 bis: parere imposto, dall\'art. 34, art. 416, comma 5 e art. 49 delle NTA del piano regolatore generale del Comune di Alessandria, per gli interventi di demolizione e ricostruzione o di ristrutturazione urbanistica da realizzarsi in "area centrale storica";
- la violazione del divieto di demolizione e ricostruzione posto:
dall\'art. 34 delle NTA per le unità di intervento nn. 6 e 7 del comparto B, nonché dall\'art. 49 delle NTA in assenza di strumento urbanistico esecutivo che consenta esplicitamente questo specifico intervento edilizio;
- la totale difformità delle opere eseguite rispetto a quelle autorizzate con la concessione edilizia n. 269, per la violazione dei divieti di realizzare i locali seminterrati nel comparto B (fattispecie dalla quale il Romano è stato assolto) ed i locali interrati nel comparto C;
- l\'inizio dei lavori oltre il termine di decadenza di sei mesi stabilito dalla concessione edilizia;
- l\'irrilevanza del piano di recupero approvato il 29.7.2004, perché successivo alla effettuazione di tutte le demolizioni in esso previste e non correlato all\'effettivo stato di fatto dei luoghi, in quanto rappresentante come esistenti gli edifici già demoliti;
- l\'inefficacia, ai fini della configurazione e dell\'estinzione dei reati, del permesso di costruire in sanatoria n. 136/2005, mancando la condizione essenziale posta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, cioè l\'accertamento della cd. "doppia conformità" dell\'intervento alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
5. Le argomentazioni difensive riferite alla pianificazione comunale vigente all\'epoca del rilascio della concessione edilizia n. 269/2002.
Secondo l\'assunto dei ricorrenti, il rilascio della concessione edilizia n. 269/2002 dovrebbe ritenersi legittimato dal programma di riqualificazione urbana (PRU) approvato il 6.1.1996, dovendo questo configurarsi (ai sensi della L. n. 179 del 1992, art. 16) come strumento urbanistico esecutivo che ben può introdurre anche varianti al piano regolatore generale. La vigenza di tale PRU avrebbe resa superflua la successiva redazione di un piano di recupero ai sensi della L. n. 457 del 1978 e della disciplina fissata, in Piemonte, dalla L.R. n. 56 del 1977, art. 41 bis. I piani di recupero, infatti, sempre secondo la prospettazione difensiva, "non sono strumenti urbanistici esecutivi e nemmeno strumenti di pianificazione urbanistica", limitandosi a dettare "solamente prescrizioni generali necessarie per il recupero ed il risanamento di un edificio (colori esterni, tipologia delle coperture e degli infissi etc.)".
Trattasi di argomentazioni non conformi al fondamentale principio, posto a base della pianificazione territoriale, secondo il quale i "programmi complessi" (come i programmi integrati di intervento di cui alla L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 16 ed (programmi di riqualificazione urbana di cui alla L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 2) sono pur sempre strumenti attuativi del PRG, sia pure con caratteristiche peculiari e privilegiate (vedi C. Stato, Sez. 4, 22.6.2006, n. 3889), che possono porsi in variante al PRG vigente al momento della loro approvazione ma non sono idonei, qualora redatti antecedentemente, a vincolare un successivo piano regolatore generale.
Il PRU approvato dal Consiglio comunale di Alessandria con Delib. 6 gennaio 1996 (come espressamente evidenziato nei relativi protocollo di intesa ed accordo di programma) non comportava e non doveva comportare variante agli strumenti urbanistici vigenti. Successivamente venne approvato (con Delib. Regionale 7 febbraio 2000 e Delib. Regionale 13 aprile 2000) il piano regolatore generale del Comune di Alessandria e nella redazione dello stesso l\'ente locale aveva la facoltà ampiamente discrezionale di modificare le previsioni urbanistiche precedentemente assunte, ne\' il nuovo strumento pianificatorio risulta impugnato in relazione al più incisivo onere motivazionale richiesto nei casi di incidenza delle nuove previsioni su aspettative assistite da particolare tutela o da speciale affidamento.
Nè diverse previsioni si rinvengono nella legislazione della Regione Piemonte, dove:
- la L. 5 dicembre 1977, n. 56, art. 32 (come modificato dalla L. n. 18 del 1996) si limita a ricomprendere tra gli "strumenti urbanistici esecutivi per l\'attuazione del piano regolatore generale" "i programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale in attuazione della L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 16", oggi disciplinati appunto dalla L. 9 aprile 1996, n. 18 (sulla quale la Corte Costituzionale sì è pronunciata con la sentenza n. 26 del 5.2.1996);
- i piani di recupero del patrimonio edilizio preesistente, disciplinati dalla stessa L. n. 56 del 1977, art. 41 bis (introdotto dalla L. 20 maggio 1980, n. 50 e successivamente modificato dalla L. n. 61 del 1984 e L. n. 70 del 1991), si identificano esattamente in quelli regolamentati dalla L. n. 457 del 1978.
Le opere previste dal PRU approvato il 6.1.1996 e dall\'accordo di programma del 24.9.1998 non erano iniziate prima del rilascio della concessione edilizia n. 269 e tale rilascio intervenne in data 10.6.2002, allorquando cioè il nuovo piano regolatore era pienamente vigente: dovevano trovare perciò puntuale applicazione le nuove prescrizioni di detto piano. Tali nuove prescrizioni individuavano comparti assoggettati a piani di recupero - ai sensi della L. 5 agosto 1978, n. 457 (Piano decennale dell\'edilizia) e succ. modif. e della L.R. n. 56 del 1977, art. 41 bis - ed il piano di recupero - diversamente da quanto assume la difesa - è uno strumento urbanistico, che ha natura di piano-programma con contenuto complesso, equivalente, sotto il profilo dell\'efficacia giuridica, al piano particolareggiato, dal quale si differenzia perché finalizzato, piuttosto che alla complessiva trasformazione del territorio, al recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente con interventi rivolti alla conservazione, risanamento, ricostruzione ed alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. 6. La pretesa insussistenza di profili di macroscopica illegittimità nella concessione edilizia n. 269 del 10.6.2002.
Va ribadito, in proposito, il consolidato principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo edificatorio (vedi Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini). Deve escludersi infatti che - qualora sussista difformità dell\'opera edilizia rispetto a previsioni normative statali o regionali ovvero a prescrizioni degli strumenti urbanistici - il giudice debba comunque concludere per la mancanza di illiceità penale qualora sia stata rilasciata concessione edilizia o permesso di costruire, in quanto detti provvedimenti non sono idonei a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell\'opera realizzando.
Nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si configura una non consentita "disapplicazione", da parte del giudice penale dell\'atto amministrativo concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11.1993, Borgia), in quanto lo stesso giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l\'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l\'esistenza ontologica dell\'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l\'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell\'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo" (vedi Cass.: Sez. Un., 28.11.2001, Salvini; nonché Sez. 6, 18.3.1998, n. 3396, Calisse ed altro).
Punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizio illegittimo (si vedano le ampie argomentazioni svolte in proposito da questa Sezione con la sentenza 21.3.2006, ric. Di Mauro ed altro, che il Collegio integralmente condivide). Vanno ribaditi altresì i principi (già enunciati da Cass., Sez. 3, 28.9.2006, Consiglio) secondo i quali:
a) il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo abilitativo edilizio, procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" riconducibile alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E), ne\' incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;
b) la non-conformità dell\'atto amministrativo alla normativa che ne regola l\'emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l\'atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa, ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell\'amministrazione. Il sindacato del giudice penale, al contrario, è possibile tanto nelle ipotesi in cui l\'emanazione dell\'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge quanto in quelle di mancato rispetto delle norme che regolano l\'esercizio del potere;
c) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.
Nella specie, a fronte della approvazione di un nuovo PRG successivo a quella del PRU, i giudici del merito - con argomentazioni logiche e coerenti - hanno escluso ogni situazione di affidamento incolpevole, integrando obbligo elementare di diligenza, non osservato da parte di soggetti aventi specifica qualificazione in materia edilizia, la verifica della conformità alle nuove prescrizioni pianificatorie generali di un intervento già costituente oggetto di un accordo di programma che testualmente ed espressamente prevedeva la sua attuazione "in totale conformità alla strumentazione urbanistica vigente".
7. La inefficacia del permesso di costruire "in sanatoria" n. 136/2005.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45 (le cui previsioni erano già contenute nella L. n. 47 del 1985, artt. 13 e 22) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità del permesso di costruire rilasciato "in sanatoria" e di accertare che l\'opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica.
In mancanza di tale conformità, infatti, il permesso di costruire non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P A. cui consegua la disapplicazione della stessa L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 5, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell\'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. 3; 15.2.2005, Scollato; 30.5.2000, Marinaro; 7.3.1997, n. 2256, Tessari e altro; 24.5.1996, Buratti e altro).
Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve ricordarsi che si pone quale presupposto indispensabile, per il rilascio del permesso di costruire D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36, la necessità che l\'opera sia "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione della stessa, sia al momento della presentazione della domanda".
Nella fattispecie in esame - invece - risulta dimostrato che le opere realizzate si pongono in contrasto con specifiche previsioni di piano ed il rilascio del provvedimento sanante consegue ad un\'attività vincolata della P.A., consistente nell\'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all\'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale. Giova ricordare che questa Corte Suprema - con sentenza n. 45625/05 depositata il 16.12.2005 - ha rigettato il ricorso proposto dal difensore del Sansebastiano avverso l\'ordinanza 23.5.2005 del Tribunale del riesame di Alessandria, che aveva respinto l\'appello proposto dal predetto avverso il provvedimento di diniego del dissequestro dei manufatti in oggetto, richiesto dall\'indagato proprio in seguito al rilascio del permesso di costruire n. 136/2005. Con quella pronunzia questa Sezione ebbe già ad escludere, tra l\'altro, la sussistenza della "doppia conformità" richiesta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, rilevando in proposito che il provvedimento di sanatoria ottenuto dall\'indagato prevede l\'esecuzione di interventi finalizzati proprio a rendere compatibili le opere con gli strumenti urbanistici.
Nella prassi è dato riscontrare, talvolta, provvedimenti siffatti, che subordinano la sanatoria all\'esecuzione nell\'immobile abusivo di specifici interventi finalizzati a fare acquisire allo stesso la conformità agli strumenti urbanistici.
Non può riconoscersi, però, la legittimità di simili provvedimenti allorché si consideri che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 ammette al beneficio l\'opera eseguita (il che significa già realizzata) e soltanto, come si è detto, quando venga verificata la cd. doppia conformità agli strumenti urbanistici, sia al momento della realizzazione dell\'opera sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
È utile precisare, al riguardo - per evitare fraintendimenti - che questo Collegio è ben consapevole che il procedimento incidentale, in materia di misure cautelari reali, è retto dal principio "rebus sic stantibus" ed in esso il giudizio di legittimità della Corte di Cassazione risulta circoscritto, poiché è rivolto all\'apprezzamento della sufficienza del grado di apparenza e cade in un momento processuale caratterizzato dalla parzialità delle indagini e dalla sommarietà e provvisorietà delle imputazioni.
Non è consentito, infatti, in quella sede - proprio per l\'assoluta autonomia rispetto al giudizio di cognizione - verificare la sussistenza del fatto reato, ma soltanto accertare se il fatto contestato sia configurabile quale fattispecie astratta di reato (vedi Cass., Sez. Unite: 4.5.2000, n. 7 e 7.11.1992, n. 6). La pronunzia emessa in sede cautelare, pertanto, resta circoscritta nell\'ambito del procedimento incidentale ed ha effetti soltanto sulla misura cautelare. Essa non vincola, invece, l\'apprezzamento del giudice del dibattimento (vedi Cass.: Sez. Unite, 12.10.1993, n. 20, Durante e Sez. 3, 9.2.1998, n. 1492, Svara ed altro). Nella specie, però, i fatti già evidenziati in sede cautelare hanno trovato puntuale conferma dibattimentale.
Nel caso che ci riguarda - in conclusione - esattamente i giudici del merito hanno ritenuto che il permesso di costruire in sanatoria n. 136/2005, rilasciato dal Comune di Alessandria D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36, non comporta l\'estinzione del reato urbanistico, poiché non è applicabile il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 45 (difettandone i presupposti).
8. Le eccezioni riferite alle accertate difformità dalla concessione edilizia, all\'inizio rituale dei lavori ed alla pretesa estraneità del Romano alle condotte illecite contestate.
Quanto alle doglianze svolte nei ricorsi in relazione alla qualificazione delle accertate difformità dalla concessione edilizia, alla prospettata ritualità dell\'inizio dei lavori ed alla pretesa estraneità del Romano alle condotte illecite contestate, la motivazione della sentenza impugnata appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, in quanto essa esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti alle obiezioni della difesa. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell\'attribuzione degli stessi alla persona dell\'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sì a sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, ed il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata. Per la qualificazione come "totali" delle difformità riscontrate questa 3^ Sezione - inoltre - ha già diffusamente argomentato nella sentenza n. 4087/04, depositata il 4.2.2004, con la quale ha rigettato i ricorsi proposti dal Sansebastiano e dal Romano avverso l\'ordinanza 25.7.2003 del Tribunale di Alessandria, che aveva respinto la richiesta di riesame avverso il provvedimento impositivo del sequestro preventivo dei manufatti in oggetto.
9. La posizione della ricorrente Damonte.
Il direttore dei lavori è penalmente responsabile per l\'attività edificatoria non conforme alle prescrizioni della concessione edilizia.
Attualmente il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 2, (ma già la L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 2) esonera lo stesso professionista da tale responsabilità qualora egli:
- abbia contestato al titolare del permesso di costruire, al committente ed al costruttore la violazione delle prescrizioni del provvedimento amministrativo;
- abbia fornito contemporaneamente all\'Amministrazione comunale motivata comunicazione della violazione stessa;
- e, nelle ipotesi di totale difformità o di variazione essenziale, abbia altresì rinunziato contestualmente all\'incarico. Il recesso tempestivo dalla direzione dei lavori, in ogni caso, deve ritenersi pienamente scriminante per il professionista e la "tempestività" ricorre quando il recesso intervenga non appena l\'illecito edilizio obiettivamente si profili, ovvero appena il direttore dei lavori abbia avuto conoscenza che le corrette direttive da lui impartite siano state disattese o violate.
Il direttore dei lavori è responsabile, invece, nei casi di irregolare vigilanza sull\'esecuzione delle opere edilizie, avendo egli l\'obbligo di sovrintendere con necessaria continuità a quelle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica. Nella specie, l\'art. 51 delle NTA del piano regolatore generale vietava espressamente la realizzazione di locali interrati, in area esondabile, per elementari ragioni di sicurezza e tale divieto era espressamente riprodotto nella concessione edilizia n. 269/2002, mentre non risulta dimostrato che l\'abuso sia stato realizzato senza che la Damonte ne fosse a conoscenza ed in un tempo così esiguo da vanificare la sua doverosa attività di vigilanza. L\'imputata, inoltre, non ha ottemperato agli obblighi di contestazione e di comunicazione impostile dalla legge, ne\' risulta essersi dimessa dall\'incarico ricevuto.
10. Il risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili.
Nel ricorso proposto dal Romano non si contesta la legittimazione alla costituzione delle parti civili, poiché le eccezioni in esso svolte sono riferite soltanto alla prospettata incapacità della condotta (asseritamente marginale e residuale) tenuta da quell\'imputato a ledere i diritti delle parti civili costituite ed alla esistenza del nesso di causalità tra detta condotta ed il pregiudizio lamentato.
Trattasi, però, di doglianze infondate, perché secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:
- ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile, non è necessario che il danneggiato dia la prova della effettiva sussistenza dei danni e del nesso di causalità tra questi e l\'azione dell\'autore dell\'illecito, ma è sufficiente l\'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia, infatti, costituisce una mera declaratoria iuris, da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (vedi Cass. pen.: Sez. 1, 18.3.1992, n. 3220; Sez. 4, 15.6.1994, n. 7008; Sez. 6, 26.8.1994, n. 9266);
- la condanna generica al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice riconosca che la parte civile vi ha diritto, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, ma postula soltanto l\'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di liquidazione del quantum la possibilità di esclusione dell\'esistenza stessa di un danno unito da rapporto eziologico con il fatto illecito (vedi Cass. civ., Sez, 3, 11.1.2001, n. 329);
- la facoltà del giudice penale di pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno, prevista dall\'art. 539 c.p.p., non incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul quantum, bensì trova implicita conferma nei limiti dell\'efficacia della sentenza penale nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del danno fissati dall\'art. 651 c.p.p., escludendosi, perciò, l\'estensione del giudicato penale alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall\'imputato (vedi Cass. pen., Sez. 4, 26.1.1999, n. 1045).
Nella fattispecie in esame i giudici del merito hanno dato esaurientemente conto dell\'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose e dell\'apporto causale riconducibile anche alla persona del Romano; questa Corte, inoltre, ha ritenuto la sussistenza degli estremi del reato dal quale le parti civili fanno discendere il proprio diritto al risarcimento, sicché vanno confermate, nei confronti di tutti gli imputati, ai sensi dell\'art. 578 c.p.p., le disposizioni che concernono gli interessi civili.
11. Segue la condanna solidale dei ricorrenti alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili, che vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 607, 615, 620 e 578 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché i residui reati sono estinti per prescrizione.
Revoca l\'ordine di demolizione e conferma le statuizioni civili. Condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del grado, in favore delle costituite parti civili, che liquida in Euro 1.500,00 per la parte civile CODACONS ed in complessivi Euro 3.500,00 per le altre parti civili, oltre I.V.A. ed accessori di legge. Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2009