Cass. Sez. III n. 48479 del 28 dicembre 2011 (Ud. 24 nov. 2011)
Pres. Teresi Est. Fiale Ric. Chiruzzi
Urbanistica. Attività di sbancamento

Le opere di sbancamento del terreno finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli in quanto incidano sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio. Anche in seguito alle modifiche apportate dal DL 25.3.2010, n. 40, convertito con modificazioni dalla legge 22.5.2010, n. 73, l'art, 6, comma 1 - lett. d), del TU n. 380/2001 prevede che nessun titolo abilitativo è richiesto per i movimenti di terra soltanto se "strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali"; il permesso di costruire è invece necessario nei casi non connessi all'esercizio dell'agricoltura in cui la morfologia del territorio venga alterata in conseguenza delle opere di sbancamento realizzate in concreto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 25.11.2010, confermava la sentenza 3.12.2009 del Tribunale di Matera - Sezione distaccata di Pisticci, che aveva affermato la responsabilità penale di C.A. in ordine ai reati di cui:

- al D.P.R. n. 389 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere effettuato uno sbancamento, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire, prelevando terreno misto stabilizzato dai margini di una strada interpoderale sita in un fondo altrui - acc. in agro di (OMISSIS));

- al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato lo sbancamento anzidetto in assenza dell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati in concorso formale, lo aveva condannato alla pena - condizionalmente sospesa - di mesi 2, giorni 10 di arresto ed Euro 37.000,00 di ammenda, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del C., il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:

- la insussistenza della contravvenzione edilizia per la non- assoggettabilità dell'intervento realizzato al regime del permesso di costruire, in quanto egli si sarebbe limitato a prelevare 6 mc. di terreno da una "cava" già esistente;

- la insussistenza della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, per la mancanza di una concreta offensività dell'intervento medesimo verso il bene-paesaggio tutelato.

Tali doglianze sono state ulteriormente illustrate e specificate con memoria difensiva del 2.11.2011.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. Manifestamente infondata è la prima doglianza alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale te opere di sbancamento del terreno finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidano sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (vedi Cass., Sez. 3^, 24.2.2009, n. 8064, P.G. in proc. Dominelli ed altro).

Anche in seguito alle modifiche apportate dal D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni dalla L. 22 maggio 2010, n. 73, l'art. 6, comma 1 - lett. d), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede che nessun titolo abilitativo è richiesto per i movimenti di terra soltanto se "strettamente pertinenti all'esercizio dell'attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali"; il permesso di costruire è invece necessario nei casi non connessi all'esercizio dell'agricoltura (come quello in esame) in cui la morfologia del territorio venga alterata in conseguenza delle opere di sbancamento realizzate in concreto.

Nella specie i giudici del merito hanno accertato (razionalmente deducendolo dalla documentazione fotografica in atti, dall'utilizzazione non occasionale di un escavatore e dalla deposizione del verbalizzante F.) le rilevanti dimensioni dello sbancamento, che in maniera meramente assertiva viene minimizzato nel ricorso.

Incoerente è il riferimento difensivo all'attività estrattiva o di sfruttamento di cava (non soggetta ad autorizzazione comunale), perchè lo sbancamento ha avuto ad oggetto i margini di una strada interpoderale, in un fondo appartenente a persona residente all'estero, laddove per "cave" devono intendersi i luoghi dai quali possono estrarsi (con o senza scavi) le sostanze elencate fra i materiali di seconda categoria dal R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, art. 2 (legge mineraria), sia che i giacimenti affiorino alla superficie sia che si trovino nel sottosuolo.

2. Manifestamente infondato è pure il secondo motivo di ricorso, dovendosi ribadire l'orientamento costante di questa Corte Suprema vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 3^: 20.10.2009, n. 2903, Soverini; 2.3.2008, n. 23086, Basile secondo il quale il reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1, è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici.

Il principio di qffensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell'attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.

Nella fattispecie in esame - a fronte delL'esecuzione di opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l'ambiente - è pretestuoso prospettare che non vi sia stata "alterazione dello stato dei luoghi": sussiste, al contrario, un'effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonchè una violazione dell'interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all'esercizio di un efficace e sollecito controllo.

3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.