Cass. Sez. III n. 16470 del 19 aprile 2024 (CC 28 mar 2024)
Pres. Sarno Est. Galanti Ric. Dimolat
Urbanistica.Destinatari ordine di demolizione

L’art. 31, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 380/2001 individua quali destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa ma congiunta, il proprietario e il responsabile dell’abuso; di conseguenza l’ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario dell’immobile anche se egli non è responsabile della realizzazione dell’opera abusiva, in quanto gli abusi edilizi integrano illeciti permanenti sanzionati in via ripristinatoria, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa o dall’eventuale stato di buona fede del proprietario rispetto alla commissione dell’illecito. L’intervento del giudice penale, infatti, si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell'originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilità soggettive .


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 10/11/2023, il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente di esecuzione volto ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione disposto con sentenza n. 26/2001, irrevocabile, pronunciata in data 12/02/2001 dal Tribunale di Salerno, Sez. St. Montecorvino Rovella, nei confronti di Imperato Giuseppe.

5. Avverso il provvedimento la società DI.MO.LAT s.a.s. propone, tramite il proprio difensore e procuratore speciale, ricorso per cassazione.
Il ricorrente lamenta violazione di legge in riferimento all’articolo 42 della Costituzione, all’articolo 1 del Protocollo della convenzione EDU e del principio di affidamento incolpevole nel corretto operato della pubblica amministrazione.
Evidenzia la ricorrente società di avere acquistato nel 2008 la proprietà dell’immobile dalla Ing. Leasing Reating s.p.a., del tutto ignara dell’esistenza dell’ordine di demolizione. Il fabbricato era stato realizzato sulla base di un titolo edilizio esistente e il venditore aveva garantito l’acquirente che non erano state effettuate opere che richiedevano titoli edilizi.
La società ricorrente, oltre a non avere commesso il fatto, è altresì soggetto diverso dal destinatario dell’ordine di demolizione; inoltre, l’acquisto in buona fede attiene alla «circolazione giuridica» del bene e non anche all’uso/abuso del territorio (v. Corte Edu n. 17475/2009 del 23/10/2013). 
Evidenzia inoltre una grave lacuna dell’ordinamento, che non prevede l’annotazione nei registri immobiliari dell’ordine di demolizione.
Il g.e. si è limitato a riportare il principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte in alcune sentenze, relativo al carattere “reale” dell’ordine di demolizione e alla conseguenza che l’acquirente ha diritto di rivalsa nei confronti del venditore, motivazione insufficiente e contraria ai principi convenzionali.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
    1. Il ricorso è inammissibile.

2. Come evidenziato dal Procuratore generale, l’art. 31, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 380/2001 individua quali destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa ma congiunta, il proprietario e il responsabile dell’abuso; di conseguenza l’ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario dell’immobile anche se egli non è responsabile della realizzazione dell’opera abusiva, in quanto gli abusi edilizi integrano illeciti permanenti sanzionati in via ripristinatoria, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa o dall’eventuale stato di buona fede del proprietario rispetto alla commissione dell’illecito. 
L’intervento del giudice penale, infatti, si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell'originario assetto del territorio alterato dall'intervento edilizio abusivo, nell'ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l'immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall'individuazione di responsabilità soggettive (Sez. 3, n. 55373 del 21/11/2018, Armeli, n.m.).
La giurisprudenza della Corte ha in proposito affermato che la demolizione dell'abuso edilizio è stata disegnata dal Legislatore come un'attività avente finalità ripristinatorie dell'originario assetto del territorio. Si tratta, dunque, di sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza di un danno e dall'elemento psicologico del responsabile, in quanto applicabile anche in caso di violazioni incolpevoli; come tale, è rivolta non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto ed è generalmente trasmissibile nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (cfr. Cass. Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti, Rv. 245918; cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12/4/2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008). 
Si è pertanto concluso nel senso che l'ordine in parola integra una sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere «reale» (Sez. 3, n. 37926 del 01/07/2022, Fondi, n.m.), ossia accompagna la res, non il proprietario, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso (Sez. 3, n. 7631 del 17/02/2022, Reggio, n.m.).
Essa, pertanto, non è soggetta alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative e, stante la sua natura di sanzione amministrativa, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell'art. 173 cod. pen. (Sez. 3, n. 26334 del 15/07/2020, Ayala, n.m.; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176).
Anche la prevalente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. 2, Sent. n. 7535 del 05/11/2019; conformi: Consiglio di Stato, sentenze. nn. 1070/2017; 1774/2016; 5943/2013; 4880/2015; 4892/2014) è costante nel ritenere che «non si può riconoscere in capo al privato un legittimo affidamento, poiché prevale l'interesse pubblico al ripristino della legittimità violata» e che nemmeno il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione del provvedimento repressivo assume rilievo, «atteso che non può ammettersi la consolidazione di un affidamento degno di tutela solo in virtù del tempo trascorso in costanza di una situazione di fatto abusiva, che non può ritenersi per ciò solo legittimata».

3. Si aggiunge, in relazione alla giurisprudenza della Corte EDU citata dal ricorrente (il riferimento è alla sentenza Varvara c/ Italia, n. 17475/2009 del 29 ottobre 2013), che, proprio a seguito di tale pronuncia, adita da questa Corte, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 49/2015, ha ritenuto il citato precedente quale espressione di «giurisprudenza non consolidata» della Corte EDU e, al contempo, ha negato che lo stesso avesse efficacia di «sentenza pilota», di talché ha escluso la sussistenza di una illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2 d.p.r. 380/2001.
Il principio espresso dal Giudice delle leggi è stato, del resto, anche confermato dalla Grande Camera, nella sentenza GIEM c. Italia del 28 giugno 2018, che ha affermato la compatibilità con i principi convenzionali di una confisca penale disposta a seguito di una declaratoria di prescrizione del reato, e quindi in assenza di un giudicato formale, a condizione che vi sia un accertamento nel merito circa la colpevolezza del soggetto.
Il ricorrente non si cura dell’esito processuale della vicenda, con conseguente inammissibilità per genericità della doglianza.

4. Quanto alla stessa sussistenza della buona fede addotta dal ricorrente, il Collegio evidenzia, ancora, che ai sensi dell’articolo 104, comma 1, lettera b), disp. att. cod. proc. pen., il sequestro sui beni immobili (che normalmente precede la confisca) si esegue «con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici», per cui una semplice visura consente al terzo acquirente di rendersi edotto dell’esistenza di vincoli.
Si evidenzia peraltro che l’eventuale rogito della compravendita di immobile gravato da sequestro, secondo la giurisprudenza civile di questa Corte, espone il notaio a gravi conseguenze disciplinari (Sez. 2 Civ., n. 1715 del 29/01/2016, Rv. 638593 – 01, secondo cui risponde dell’illecito disciplinare di cui all’art. 28, comma 1, della l. n. 89 del 1913 il notaio che abbia ricevuto un atto di disposizione relativo ad immobile sottoposto a sequestro penale, trattandosi di attività negoziale compiuta in spregio alla norma penale e, dunque, «espressamente proibita dalla legge», in quanto idonea ex se a sottrarre il bene al vincolo). 
Nel caso di specie il ricorrente omette finanche di allegare al ricorso l’atto di provenienza, così venendo meno agli obblighi scaturenti dal principio di autosufficienza del ricorso.

5. In conclusione, il ricorrente non si confronta in modo realmente critico con la sedimentata giurisprudenza della Corte, né con il contenuto dell’ordinanza impugnata, risultando, in ultima analisi, inammissibile per genericità.
Alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M. 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/03/2024.