Cass. Sez. III n. 20730 del 27 maggio 2022 (CC 22 mar 2022)
Pres. Di Nicola Est. Cerroni Ric. Pane
Urbanistica.Ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna
L’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall’autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di verificare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 15 ottobre 2021 la Corte di Appello di Napoli, quale Giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di revoca, formulata da Aniello Pane e Rosetta Marvetti, dell’ordine di demolizione emesso in data 12 ottobre 2016 dalla Procura generale territoriale in esecuzione della sentenza dell’11 luglio 1997 (irrevocabile il 13 dicembre 1998) del Pretore di Torre Annunziata, pronunciata nei confronti di Anna Langellotti, madre del Pane.
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo i ricorrenti, rievocato il rilascio in data 26 novembre 2015 di permesso di costruire in sanatoria da parte dell’Amministrazione comunale stabiese, hanno censurato le negative valutazioni operate in proposito dalla Corte territoriale, che aveva inteso la presentazione di cinque istanze di condono come modalità di elusione della valutazione complessiva di 750 metri cubi, laddove al contrario il Pane e la madre Langellotti erano – senza alcuna finalità elusiva - residenti all’interno del medesimo immobile oggetto di condono, ma in due distinti e separati appartamenti con autonomi stati di famiglia.
2.2. Col secondo motivo è stata lamentata la mancata considerazione della sentenza della Corte napoletana che aveva disposto la revoca del provvedimento di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi. Di detta sentenza era stata fatta menzione nell’incidente di esecuzione e nelle memorie integrative depositate il 9 ottobre 2021.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi sono inammissibili.
4.1. In relazione ai motivi di censura, va invero osservato che il Procuratore generale ha ritenuto la genericità dei ricorsi e la loro conseguente inammissibilità, “poiché il provvedimento impugnato chiarisce che il Comune di Castellammare ha annullato in autotutela il permesso di costruire in sanatoria, per cui manca qualsiasi provvedimento in grado di paralizzare la demolizione e che proprio il Pane ha chiesto alla Procura Generale di poter procedere a proprie spese e cure alla demolizione, da iniziare entro il 15.9.2021, salvo poi riservarsi di procedere ad interventi di rientro della volumetria ammissibile nel limite di 750 mc”. In ragione di ciò, “la prima doglianza appare del tutto irrilevante, a fronte dell’intervenuto atto in autotutela del Comune e…la seconda doglianza è generica, poiché non si comprende quale sia la portata della sentenza (emessa in altro procedimento) che sarebbe stata ignorata dal giudice dell’esecuzione, né il ricorrente la chiarisce”.
4.2. I rilievi del Procuratore generale si presentano del tutto condivisibili.
4.2.1. In relazione al primo punto, i ricorrenti hanno invero semplicemente omesso di prendere posizione nei riguardi del passaggio motivazionale dell’ordinanza impugnata che, traendo spunto dall’annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria, siccome disposto dall’Amministrazione comunale di Castellammare di Stabia, ha rilevato che non vi era più alcuna sanatoria, e che faceva quindi difetto qualsiasi provvedimento idoneo a paralizzare l’ordine di esecuzione (rectius demolizione).
E‘ infatti nozione ribadita che l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall’autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività (Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, dep. 2013, Oliva, Rv. 254426), fermo restando il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di verificare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260972).
In specie, peraltro, dopo il provvedimento in autotutela alcun provvedimento da scrutinare, in tesi ostativo alla demolizione, più sussisteva, come è stato correttamente sottolineato dall’ordinanza censurata.
Tutto ciò, tra l’altro, a prescindere dai successivi rilievi dell’ordinanza impugnata, quanto all’esistenza di volumetria comunque eccedente i limiti delle concessioni in sanatoria.
4.2.2. In ordine infine al secondo motivo di censura, vero è che avanti al Giudice dell’esecuzione risulta prodotto – senza che l’ordinanza impugnata ne abbia trattato – un avviso di deposito di sentenza della Corte napoletana del 28 aprile 1999, in riforma di sentenza del 10 giugno 1998 del Pretore di Napoli.
Trattasi peraltro di sconosciuto procedimento, né sono giunte – come correttamente rilevato dal Procuratore generale - adeguate spiegazioni da parte dei ricorrenti i quali, tra l’altro, non hanno neppure prodotto le decisioni nella loro integralità.
In specie il titolo esecutivo, di cui è richiesta in questa sede inibitoria o revoca e posto a fondamento dell’ordine di demolizione, risulta essere stato formato dalle sentenze dell’11 luglio 1997 in primo grado e del 28 ottobre 1998 in appello, mentre il dispositivo della Corte territoriale – riportato nell’avviso di deposito - reca invece l’indicazione di altre e non conosciute decisioni del 28 aprile 1999 della Corte territoriale e, appunto, del 10 giugno 1998 in primo grado.
La manifesta infondatezza della questione, siccome sollevata, non può che comportare l’inammissibilità della doglianza per carenza di interesse (cfr. ad es. Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281).
4.3. Per mera completezza, infine, va solamente ricordato che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” alla inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (è stato anzi osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l’opposto principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche)(Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Contadini e altro, Rv. 267024). D’altronde il principio di proporzionalità è stato solo astrattamente evocato, senza riferimenti alla presente fattispecie (che tratta dell’esecuzione di provvedimento irrevocabile risalente al 1998).
5. Alla stregua di quanto precede, la manifesta infondatezza delle impugnazioni non può che condurre all’inammissibilità dei ricorsi.
5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. e a carico delle ricorrenti, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 22/03/2022