Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3456, del 25 giugno 2013
Urbanistica.Tripartizione del concetto di ristrutturazione edilizia.
La giurisprudenza ha riconosciuto la tripartizione del concetto di “ristrutturazione edilizia”. Ristrutturazione c.d. “pesante” ex art. 10 comma 1 lett. c D.P.R. 380/2001 che comporti modifiche di volume: la giurisprudenza più recente cerca tuttavia di “contenere” sotto il profilo quantitativo detti incrementi, ciò non significa che qualsiasi ampliamento di edifici preesistenti debba essere automaticamente ascritto alla fattispecie della ristrutturazione: qualora si ammettesse la possibilità di un apprezzabile aumento volumetrico dell'edificio ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), del citato D.P.R., verrebbe meno la linea di distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione. Pertanto costituiscono ristrutturazione edilizia unicamente gli ampliamenti di modesta entità. Ristrutturazione “lieve”: essa ricorre nel caso in cui non siano in programma ampliamenti volumetrici. Si è peraltro chiarito che il mutamento di destinazione d'uso di una porzione dell'immobile, portando ad un organismo in parte diverso dal precedente e contribuendo ad aumentare il carico urbanistico, deve ritenersi rientrante nell'ambito della categoria della "ristrutturazione edilizia", come si evince dall'esplicito riferimento a tale tipologia di intervento presente nell'art. 10, comma 1, lett. c), d.p.r. n. 380/2001 “. Ristrutturazione mediante la demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente, ex art. 3 lett. d del D.P.R. n. 3802001. Ciò, integra una deviazione concettuale”, infatti, se di regola la ristrutturazione postula il ripristino dell’esistente, in tale ultimo caso l’esistente viene meno. In ordine al concetto di “ciò che è esistente e si può quindi ristrutturare” la giurisprudenza è peraltro concorde nell’affermare che il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di muraperimetrali, strutture orizzontali e copertura, con la conseguenza che la ricostruzione su ruderi o su un edificio che risulta da tempo demolito anche se soltanto in parte, costituisce a tutti gli effetti una nuova opera, che, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesaggistiche vigenti al momento della riedificazione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03456/2013REG.PROV.COLL.
N. 03039/2012 REG.RIC.
N. 03073/2012 REG.RIC.
N. 06096/2012 REG.RIC.
N. 06097/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3039 del 2012, proposto da:
Societa' Immobiliare Belli S.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso Sanino Studio Legale in Roma, viale Parioli, 180;
contro
Alessandro Enrico, Franca Schiara, rappresentati e difesi dall'avv. Umberto Segarelli, con domicilio eletto presso Umberto Segarelli in Roma, via G.B.Morgagni, 2/A;
nei confronti di
Comune di Terni, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ranalli, con domicilio eletto presso Giovanni Ranalli in Roma, via Sant'Elena, 29;
sul ricorso numero di registro generale 3073 del 2012, proposto da:
Comune di Terni, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ranalli, con domicilio eletto presso Giovanni Ranalli in Roma, via Sant'Elena, 29;
contro
Enrico Alessandro, Franca Schiara, rappresentati e difesi dall'avv. Umberto Segarelli, con domicilio eletto presso Umberto Segarelli in Roma, via G.B.Morgagni, 2/A;
nei confronti di
Società Immobiliare Belli Srl in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso Sanino Studio Legale in Roma, viale Parioli, 180;
sul ricorso numero di registro generale 6096 del 2012, proposto da:
Immobiliare Belli Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Longarini, con domicilio eletto presso Orazio Castellana in Roma, via Appiano, 8;
contro
Laura Zenoni, Maurizio Zenoni, Nadia Scarponi, Giovanni Bartoli, rappresentati e difesi dall'avv. Maria Di Paolo, con domicilio eletto presso Umberto Segarelli in Roma, via G.B.Morgagni, 2/A;
nei confronti di
Comune di Terni in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ranalli, con domicilio eletto presso Giovanni Ranalli in Roma, via Sant'Elena, 29;
sul ricorso numero di registro generale 6097 del 2012, proposto da:
Comune di Terni, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ranalli, con domicilio eletto presso Giovanni Ranalli in Roma, via Sant'Elena, 29;
contro
Laura Zenoni, Maurizio Zenoni, Nadia Scarponi, Giovanni Bartoli, rappresentati e difesi dall'avv. Maria Di Paolo, con domicilio eletto presso Umberto Segarelli in Roma, via G.B.Morgagni, 2/A;
nei confronti di
Società Immobiliare Belli Srl;
per la riforma
quanto al ricorso n. 3039 del 2012:
della sentenza del T.a.r. dell’Umbria – Sede di Perugia - Sezione I n. 00033/2012, resa tra le parti, concernente permesso di costruire per lavori di ristrutturazione edilizia;
quanto al ricorso n. 3073 del 2012:
della sentenza del T.a.r. dell’ Umbria – Sede di Perugia - Sezione I n. 00033/2012, resa tra le parti, concernente permesso di costruire rilasciato per lavori di ristrutturazione edilizia;
quanto al ricorso n. 6096 del 2012:
della sentenza del T.a.r. dell’ Umbria – Sede di Perugia - Sezione I n. 00034/2012, resa tra le parti, con cui, in accoglimento del ricorso in primo grado n. 444/2009, integrato con motivi aggiunti, è stato annullato il permesso di costruire n. 432 del 31 ottobre 2008 e il permesso di costruire in sanatoria n. 46 del 26 gennaio 2012;
quanto al ricorso n. 6097 del 2012:
della sentenza del T.a.r. dell’ Umbria – Sede di Perugia - Sezione I n. 00034/2012, resa tra le parti, con cui, in accoglimento del ricorso in primo grado n. 444/2009, integrato con motivi aggiunti, è stato annullato il permesso di costruire n. 432 del 31 ottobre 2008 e il permesso di costruire in sanatoria n. 46 del 26 gennaio 2012;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Alessandro Enrico e di Franca Schiara e di Comune di Terni e di Enrico Alessandro e di Franca Schiara e di Laura Zenoni e di Maurizio Zenoni e di Nadia Scarponi e di Giovanni Bartoli e di Laura Zenoni e di Maurizio Zenoni e di Nadia Scarponi e di Giovanni Bartoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il Cons. Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Sanino, Ranalli e Segarelli Salvatore, per delega dell'Avv. Longarini, e Di Paolo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Ricorsi nn. 3039/2012 e 3073/2012 avverso la sentenza del Tar dell’Umbria n. 33/2012;
Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dagli odierni appellati Enrico Alessandro e Franca Schiara l’annullamento del permesso di costruire n. 432 adottato il 31.10.2008 e rilasciato alla Immobiliare Belli S.r.l., il 27 gennaio 2009 per lavori di ristrutturazione edilizia (previa demolizione e ricostruzione) relativi a "fabbricato ad uso residenziale" sito in Terni, Via Belli n. 6 (area/immobile al Foglio catastale 106, Particella 102 sub. 1 e 2), nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Con un primo atto di motivi aggiunti gli originari ricorrenti avevano impugnato il sopravvenuto permesso di costruire n. 46 del 26 gennaio 2010, denominato variante in sanatoria del permesso di costruire n. 432/2008 e con un secondo atto si era dedotta altresì la violazione degli artt. 17, 18 e 26 del regolamento regionale n. 9 del 3 novembre 2008, dell’art. 137 delle N.T.A. del P.R.G., oltre che l’eccesso di potere, nella considerazione che il piano “mansarda” con la variante in sanatoria era stato incrementato di un vano, con finestra, comunicante con il vano “letto” ed aperto verso un “sopra vano ascensore” (quest’ultimo non era stato erroneamente computato ai fini della determinazione della superficie utile coperta e del volume dell’edificio, alterandosi altresì la sagoma dell’edificio).
In punto di fatto gli appellati, comproprietari di un immobile ad uso di civile abitazione in Terni, alla via Belli n. 4, confinante con quello oggetto di ristrutturazione avevano impugnato il permesso di costruire n. 432/08, lamentando che l’edificio assentito non rispettava la sagoma dell’edificio preesistente (prima la copertura era a capanna, mentre a seguito dei lavori autorizzati era divenuta piana), era più alto del precedente ed inoltre una delle pareti finestrate dell’immobile si era venuta a trovare ad una distanza inferiore alla facciata finestrata dell’immobile confinante.
Avverso il permesso di costruire originariamente impugnato avevano dedotto quattro articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, sostanzialmente affermando che lo stesso non potesse rientrare nel concetto di “ristrutturazione”.
Con i due ricorsi per motivi aggiunti avevano gravato il sopravvenuto permesso di costruire n. 46 del 26 gennaio 2010, denominato variante in sanatoria del permesso di costruire n. 432/2008, sia per vizi derivati che per vizi propri.
Con ordinanza 3 novembre 2010, n. 36 il Tribunale Amministrativo adìto aveva disposto una verificazione tecnica, finalizzata a chiarire se l’intervento di ristrutturazione edilizia assentito con gli atti gravati avesse o meno la stessa volumetria, sagoma ed altezza dell’edificio preesistente - e demolito - officiando a tale scopo il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche Toscana-Umbria, sede coordinata di Perugia.
All’esito del deposito della disposta verificazione l’adito Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, –Sede di Perugia - ha accolto il mezzo di primo grado sotto l’assorbente profilo della fondatezza dei primi tre motivi di ricorso.
Ha in proposito rammentato che l’esito della disposta verificazione – sebbene in parte contestato dalle odierne appellanti- aveva consentito di raggiungere la certezza della circostanza della diversità di sagoma tra il primo edificio e quello ricostruito.
Secondo la disciplina urbanistica applicabile all’area in questione (art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci), in caso di demolizione e ricostruzione, i fabbricati dovevano essere contenuti nella sagoma d’ingombro del fabbricato esistente, ed anche l’altezza massima non poteva superare quella degli edifici preesistenti : ne conseguiva che, nella fattispecie in esame, non poteva trovare applicazione la previsione dell’allora art. 13, lett. c), della l.r. n. 1 del 2004, che consentiva una ristrutturazione edilizia che comprendesse anche modifiche del volume, della sagoma e dell’area di sedime.
Nell’area interessata dal provvedimento gravato (zona residenziale Dc di conservazione dei volumi esistenti) erano dunque possibili solamente gli interventi di ristrutturazione edilizia specificati all’art. 3, lett. d), della l.r. n. 1 del 2004.
Né poteva indurre in errore la circostanza che anche il successivo art. 13, lett. c), faceva riferimento al concetto di ristrutturazione edilizia ( in quanto trattavasi di un testo normativo in tema di attività edilizia, e che non si occupava della sottostante disciplina urbanistica).
Ne conseguiva, ad avviso del primo giudice che, alla stregua del regime urbanistico di cui al piano particolareggiato “Carducci”, doveva essere affermata l’illegittimità del permesso di costruire n. 432/2008 adottato verosimilmente ai sensi dell’art. 13, lett. c) (seppure fosse stata indicata l’inconferente previsione di cui alla lett. d), della l.r. n. 1 del 2004, non potendosi ritenere consentite, nella detta area, modifiche del volume, della sagoma e dell’area di sedime.
Né – alla luce del principio tempus regit actum- poteva assumere rilievo in senso contrario la previsione dell’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9, alla cui stregua «nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia, effettuati ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. c), della l.r. 1/2004, la sagoma di un edificio esistente può essere modificata, nel rispetto dei parametri edilizi stabiliti dallo strumento urbanistico o dal regolamento comunale per l’attività edilizia, ferma restando la possibilità di mantenere il volume, le superfici e le altezze preesistenti, e purchè le modifiche siano tali da garantire migliori soluzioni architettoniche, ambientali e paesaggistiche».
Tale norma era inapplicabile al permesso di costruire n. 432 del 31 ottobre 2008 sia ratione temporis, (essendo il regolamento del 3 novembre 2008, e pubblicato nel B.U.R.U. del successivo 12 novembre, e dunque posteriore al provvedimento gravato) che ratione materiae, in quanto la ristrutturazione edilizia doveva tenersi distinta dalla ristrutturazione urbanistica, prevista dall’art. 13, lett. c), della l.r. n. 1 del 2004, che richiedeva uno strumento attuativo ( proprio perché esprimeva un progetto urbanistico, e non poteva essere effettuata mediante un intervento diretto).
Del pari appariva inapplicabile il sopravvenuto art. 52 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 (legge di semplificazione amministrativa), che, nel modificare l’art. 3 della l.r. n. 1 del 2004, relativamente alla previsione sub lett. d), precisava che «nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione anche con modifiche della superficie utile coperta, sagoma e area di sedime preesistenti, senza incremento della superficie utile coperta medesima, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per gli interventi di prevenzione sismica e per l’installazione di impianti tecnologici» in quanto la legittimità del gravato provvedimento andava verificata alla stregua delle norme esistenti al momento della emissione dello stesso.
La disciplina regionale del settembre 2011 non era utilmente invocabile per i titoli edilizi gravati in quanto questi ultimi si erano perfezionati anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa, -che consentiva, in sede di ristrutturazione edilizia (mediante demolizione e ricostruzione), anche modifiche della sagoma e dell’area di sedime preesistenti- .
La norma transitoria di cui all’art. 143, comma 6, della legge n. 8 del 2011, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione non era infatti estensibile anche agli interventi già autorizzati, ma, in conformità alla regola generale, «si applica … alle istanze di titoli abilitativi presentate in applicazione della normativa previgente», non ancora definite, ovvero pendenti.
Assorbito in detta statuizione demolitoria il quarto motivo del mezzo di primo grado, il Tribunale amministrativo ha poi vagliato i ricorsi per motivi aggiunti attingenti il permesso di costruire n. 46 del 26 gennaio 2010, in variante a sanatoria del permesso n. 432/2008, gravato con il ricorso introduttivo.
A tal proposito, chiarito l’ambito oggettivo della variante a sanatoria, desumibile dalla relazione tecnico-illustrativa (in cui le variazioni interessavano «il piano interrato, la dimensione e la forma di alcune finestre nei vari prospetti, la copertura, sia all’ultimo livello dello stabile, sia nel volume più basso posto sul retro e l’accorpamento di due unità immobiliari in un unico alloggio» aggiungendosi che erano state effettuate alcune varianti della copertura a falda dell’edificio,chiedendosi dunque la sanatoria della sagoma dell’ultimo piano) il Tribunale ha osservato che la detta sanatoria, quand’anche legittima, in quanto parziale non avrebbe potuto “superare” la complessiva diversità di sagoma rispetto all’edificio preesistente, quale risultante dalle rappresentazioni grafiche dello stato di fatto allegato al permesso di costruire n. 432 del 2008.
Sono stati quindi accolti il primo ed il secondo motivo dei ricorsi per motivi aggiunti (postulanti il vizio di invalidità derivata) con assorbimento degli ulteriori profili di doglianza.
Ricorso n. 3039/2012;
L’appellante Immobiliare Belli S.r.l., originaria controinteressata rimasta soccombente nel giudizio di primo grado ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in particolare ripercorso la cronologia degli accadimenti, ed ha fatto presente che la sentenza di primo grado non si era pronunciata sulla eccezione da essa formulata volta ad accertare la tardività del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado, riproponendo la relativa doglianza (ed evidenziando che il gravame di primo grado era stato proposto il 2 ottobre 2009 ma già al più tardi all’inizio di giugno 2009 la consistenza dell’intervento era pienamente percepibile) .
Nel merito, ha evidenziato che il decisum di primo grado si era incentrato sulla rilevanza della disciplina urbanistica applicabile all’area in questione (art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci) che prevedeva che in caso di demolizione e ricostruzione, i fabbricati dovevano essere contenuti nella sagoma d’ingombro del fabbricato esistente, ed anche l’altezza massima non poteva superare quella degli edifici preesistenti.
Senonchè il piano particolareggiato “Carducci”era stato approvato il 23 ottobre 1991 ed era decaduto decorso il termine decennale di efficacia dello stesso dal 22 ottobre 2001.
Ne conseguiva che era applicabile alla fattispecie la normativa prevista dall’art. 10 delle NTA delle Aree centrali, e che questa era stata puntualmente rispettata in quanto la costruzione aveva mantenuto la pregressa destinazione d’uso e non v’era stato aumento di volumetria.
Neppure (seconda e terza censura) era corretta la riconducibilità dell’intervento predetta al concetto di “ristrutturazione urbanistica” in quanto collidente con la prescrizione di cui all’art. 3 comma 1 lett. f del dPR n. 380/2001 e, per altro verso (quarta doglianza), le due decisioni richiamate dal Tar cui si era fatto riferimento nella motivazione della sentenza attenevano a fattispecie del tutto inassimilabili a quella per cui è causa.
Con la quinta censura l’appellante società ha richiamato il concetto di “ristrutturazione edilizia” contenuto all’art. 13 comma 1 lett. c della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004, facendo presente che lo stesso contemplava possibili modifiche della sagoma e (sesta censura) ha affermato la applicabilità alla controversia della disposizione di cui all’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9, posto che la variante in sanatoria era successiva alla entrata in vigore del detto regolamento, risalendo al 26 gennaio 2010.
Con il settimo motivo di gravame ha sostenuto la applicabilità alla fattispecie delle disposizioni di cui al sopravvenuto art. 52 e 143 comma 6 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 (legge di semplificazione amministrativa),in quanto aventi natura interpretativa e, quindi, retroattiva.
In ultimo (motivo n. 8) ha censurato gli esiti della verificazione giudiziale e l’acritico recepimento che degli stessi aveva reso il primo giudice.
Il Comune di Terni ha depositato una articolata memoria chiedendo di accogliere l’appello perché fondato.
Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame perché infondato.
In particolare, ha contestato la tesi di parte appellante incentrata sulla asserita decadenza del piano particolareggiato “Carducci” (in quanto approvato il 23 ottobre 1991 ed asseritamente decaduto decorso il termine decennale di efficacia dello stesso dal 22 ottobre 2001) facendo presente che lo stesso era stato materialmente recepito nel sopravvenuto PRG approvato nel 2008.
Ha quindi riproposto i motivi del mezzo di primo grado rimasti assorbiti.
In particolare, ha richiamato le censure n. 2 e 3 contenute a pag 6 del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado volte a dolersi dell’assenza di motivazione in ordine alle considerazioni che avevano determinato il Comune ad assentire l’intervento avversato (integrale demolizione del manufatto preesistente in assenza di motivazione in ordine alla possibilità di intervenire sull’esistente) e sul superamento in altezza del preesistente fabbricato.
Ha del pari reiterato le censure in ordine al malgoverno dell’art. 3 della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 e la diversità per sagoma ed altezza del realizzato edificio rispetto a quello preesistente, reiterando la tesi secondo la quale vi era stato altresì incremento volumetrico (premessa e motivo IV del mezzo di primo grado) e quelle (motivo V e VI del mezzo di primo grado) per cui si trattava in realtà di una “nuova costruzione” e che in ogni caso la legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 all’art. 13 comma 1 lett. c , non avrebbe potuto trovare applicazione in quanto collidente con l’art. 3 comma 1 lett. d del dPR n. 380/2001.
Del pari ha riproposto il motivo n. VII della parte terza del ricorso di primo grado (volto ad affermare che, posto che l’intervento doveva essere qualificato qual “nuova costruzione” non rispettava le distanze previste all’art. 5 co. 19 e 25 delle NTA al Prg del 2000 che prescriveva un arretramento minimo di mt. 7,50 delle nuove costruzioni dal confine) ed il motivo n. VIII della parte quarta del ricorso di primo grado con il quale si era chiesto di disapplicare il Regolamento Edilizio comunale nel testo vigente alla data di adozione del permesso di costruire avversato,laddove esso potesse essere inteso qual volto ad autorizzare ristrutturazioni con modifica della sagoma previa demolizione dei preesistenti edifici in quanto contrastante con l’art. 3 comma 1 letti. D del dPR n. 30/2001.
Ha poi riproposto le censure contenute nel motivo II e III del ricorso per motivi aggiunti del 27 aprile 2010 volto ad avversare la variante in sanatoria del 26 gennaio 2010 n. 46 e quelle contenute nel motivo II del ricorso per motivi aggiunti del 29 maggio 2010.
Alla camera di consiglio del 19 giugno 2012 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la Sezione ha accolto con ordinanza la domanda di tutela cautelare alla stregua della considerazione per cui “sussiste il danno grave ed irreparabile derivante dall’esecutività della sentenza appellata, in quanto l’immobile oggetto dei titoli autorizzatori annullati è già ultimato ed in parte abitato;
impregiudicata ogni ulteriore valutazione sulla eventuale (o meno) fondatezza dell’appello in sede di esame dello stesso nel merito.”.
Tutte le parti processuali hanno poi depositato memorie di replica volte a confutare le difese delle controparti
Alla pubblica udienza del 4 dicembre 2012 la trattazione della causa è stata differita su richiesta della difesa di parte appellante.
Alla odierna pubblica udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata posta in decisione.
Ricorso n. 3073/2012;
L’appellante amministrazione comunale di Terni rimasta soccombente nel giudizio di primo grado ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in particolare ripercorso la cronologia degli accadimenti, ed ha censurato la impugnata decisione per le stesse ragioni sottese al ricorso in appello n. 3039/2012 cui si è prima fatto riferimento
Con memoria di replica ritualmente depositata l’appellante ha ribadito le proprie doglianze facendo presente che permaneva il proprio interesse alla decisione del ricorso.
Alla camera di consiglio del 19 giugno 2012 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la Sezione ha accolto con ordinanza la domanda di sospensiva alla stregua della considerazione per cui “sussiste il danno grave ed irreparabile derivante dall’esecutività della sentenza appellata, in quanto l’immobile oggetto dei titoli autorizzatori annullati è già ultimato ed in parte abitato;
impregiudicata ogni ulteriore valutazione sulla eventuale (o meno) fondatezza dell’appello in sede di esame dello stesso nel merito.”.
Tutte le parti processuali hanno poi depositato memorie di replica volte a confutare le difese delle controparti
Alla pubblica udienza del 4 dicembre 2012 la trattazione della causa è stata differita su richiesta della difesa di parte appellante.
Alla odierna pubblica udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata posta in decisione.
Ricorsi nn. 6096/2012 e 6097/2012 avverso la sentenza del Tar dell’Umbria n. 34/2012;
Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dagli odierni appellati Laura Zenoni, Maurizio Zenoni, Nadia Scarponi, in proprio e nella loro qualità di eredi del defunto sig. Enzo Zenoni, e Giovanni Bartoli l’annullamento del permesso di costruire n. 432 adottato il 31.10.2008 e rilasciato alla Immobiliare Belli S.r.l., il 27 gennaio 2009 per lavori di ristrutturazione edilizia (previa demolizione e ricostruzione) relativi a "fabbricato ad uso residenziale" sito in Terni, Via Belli n. 6 (area/immobile al Foglio catastale 106, Particella 102 sub. 1 e 2), nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Gli stessi avevano premesso di avere stipulato un contratto preliminare con la controinteressata finalizzato alla costituzione di un diritto di superficie per la realizzazione di garages interrati, avendo necessità, a tale scopo, la società di fruire del sottosuolo degli originarii ricorrenti.
Con un primo atto di motivi aggiunti avevano impugnato la variante in sanatoria approvata con determinazione n. 12 del 12 gennaio 2010, deducendosene l’invalidità derivata dall’illegittimità del presupposto permesso di costruire n. 431 del 2008 ed il difetto di istruttoria, oltre che ulteriori censure proprie.
Con un ulteriore atto di motivi aggiunti gli originarii ricorrenti avevano impugnato il sopravvenuto permesso di costruire n. 46 del 26 gennaio 2010, denominato variante in sanatoria del permesso di costruire n. 432/2008 e con una memoria avevano altresì dedotto ancora che il provvedimento di sanatoria violava l’art. 137 del P.R.G. N.T.A. OP, che consentiva la sopraelevazione, in zona B, solo per gli edifici ad un piano, (mentre in tale caso era stata autorizzata la sopraelevazione per un quarto piano di un edificio che ne aveva tre) nella considerazione che il piano “mansarda” con la variante in sanatoria era stato incrementato di un vano, con finestra, comunicante con il vano “letto” ed aperto verso un “sopra vano ascensore” (quest’ultimo non era stato erroneamente computato ai fini della determinazione della superficie utile coperta e del volume dell’edificio, alterandosi altresì la sagoma dell’edificio).
In punto di fatto, gli appellati, comproprietari di un immobile ad uso di civile abitazione in Terni, alla via Carducci n. 24, vicino a quello oggetto di ristrutturazione avevano impugnato il permesso di costruire n. 432/08, lamentando che l’edificio assentito non rispettava la sagoma dell’edificio preesistente (prima, la copertura era a capanna, mentre a seguito dei lavori autorizzati era divenuta piana), era più alto del precedente ed inoltre una delle pareti finestrate dell’immobile si era venuta a trovare ad una distanza inferiore alla facciata finestrata dell’immobile confinante.
Avvero il permesso di costruire originariamente impugnato avevano dedotto quattro articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, sostanzialmente affermando che lo stesso non potesse rientrare nel concetto di “ristrutturazione”.
Con i due ricorsi per motivi aggiunti avevano gravato il sopravvenuto permesso di costruire n. 12 del 12 gennaio 2010, poi ritirato dall’Amministrazione e quello n. 46 del 26 gennaio 2010, denominato variante in sanatoria del permesso di costruire n. 432/2008, sia per vizi derivati che per vizi propri.
Con ordinanza 3 novembre 2010, n. 36 il Tribunale Amministrativo adìto aveva disposto una verificazione tecnica, finalizzata a chiarire se l’intervento di ristrutturazione edilizia assentito con gli atti gravati avesse o meno la stessa volumetria, sagoma ed altezza dell’edificio preesistente, e demolito, officiando a tale scopo il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche Toscana-Umbria, sede coordinata di Perugia.
All’esito del deposito della disposta verificazione l’adito Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, –Sede di Perugia - ha accolto il mezzo di primo grado sotto l’assorbente profilo della fondatezza dei primi tre motivi di ricorso.
Il primo giudice ha, in via preliminare, disatteso l’eccezione di irricevibilità del ricorso notificato in data 8 ottobre 2009, svolta dalle parti resistenti nell’assunto che i ricorrenti erano a conoscenza dell’impugnato permesso di costruire (n. 432 del 31 ottobre 2008) sin dal 17 marzo 2009 (data di stipulazione del contratto preliminare di compravendita del diritto di superficie con la società controinteressata, ove era citato il provvedimento in questione), od almeno dal 26 maggio o dall’8 giugno 2009, momento nel quale il tecnico dei ricorrenti, aveva esercitato il diritto di accesso ai documenti, evidenziando che gli originarii ricorrenti avevano allegato di avere cominciato a percepire visivamente la consistenza (la sagoma) dell’opera da agosto/settembre 2009 ( e, rispetto a tale epoca, il ricorso non appariva tardivo). Parimenti è stata respinta l’eccezione prospettata da parte appellante secondo cui doveva ravvisarsi acquiescenza al permesso di costruire gravato per effetto della sottoscrizione, inter partes, del contratto preliminare di compravendita del diritto di superficie in quanto dallo stesso in alcun modo era possibile inferire una volontà di accettare un permesso di costruire per la ristrutturazione, previa demolizione e ricostruzione, del quale si contestava proprio il mancato rispetto della sagoma, oltre che della volumetria del fabbricato demolito.
Nel merito, il Tar ha rammentato che l’esito della disposta verificazione – sebbene in parte contestato dalle odierne appellanti- aveva consentito di raggiungere la certezza della circostanza della diversità di sagoma tra il primo edificio e quello ricostruito.
Secondo la disciplina urbanistica applicabile all’area in questione (art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci), in caso di demolizione e ricostruzione, i fabbricati dovevano essere contenuti nella sagoma d’ingombro del fabbricato esistente, ed anche l’altezza massima non poteva superare quella degli edifici preesistenti : ne conseguiva che, nella fattispecie in esame, non poteva trovare applicazione la previsione dell’allora art. 13, lett. c), della l.r. n. 1 del 2004, che consentiva una ristrutturazione edilizia che comprendesse anche modifiche del volume, della sagoma e dell’area di sedime.
Nell’area interessata dal provvedimento gravato (zona residenziale Dc di conservazione dei volumi esistenti) erano dunque possibili solamente gli interventi di ristrutturazione edilizia specificati all’art. 3, lett. d), della l.r. n. 1 del 2004.
Né poteva indurre in errore la circostanza che anche il successivo art. 13, lett. c), faceva riferimento al concetto di ristrutturazione edilizia ( in quanto trattavasi di un testo normativo in tema di attività edilizia, e che non si occupava della sottostante disciplina urbanistica).
Ne conseguiva, ad avviso del primo giudice che, alla stregua del regime urbanistico di cui al piano particolareggiato “Carducci”, doveva essere affermata l’illegittimità del permesso di costruire n. 432/2008 adottato verosimilmente ai sensi dell’art. 13, lett. c) (seppure fosse stata indicata l’inconferente previsione di cui alla lett. d), della l.r. n. 1 del 2004, non potendosi ritenere consentite, nella detta area, modifiche del volume, della sagoma e dell’area di sedime.
Né – alla luce del principio tempus regit actum- poteva assumere rilievo in senso contrario la previsione dell’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9, alla cui stregua «nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia, effettuati ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. c), della l.r. 1/2004, la sagoma di un edificio esistente può essere modificata, nel rispetto dei parametri edilizi stabiliti dallo strumento urbanistico o dal regolamento comunale per l’attività edilizia, ferma restando la possibilità di mantenere il volume, le superfici e le altezze preesistenti, e purchè le modifiche siano tali da garantire migliori soluzioni architettoniche, ambientali e paesaggistiche».
Tale norma era inapplicabile al permesso di costruire n. 432 del 31 ottobre 2008 sia ratione temporis, (essendo il regolamento del 3 novembre 2008, e pubblicato nel B.U.R.U. del successivo 12 novembre, e dunque posteriore al provvedimento gravato) che ratione materiae, in quanto la ristrutturazione edilizia doveva tenersi distinta dalla ristrutturazione urbanistica, prevista dall’art. 13, lett. c), della l.r. n. 1 del 2004, che richiedeva uno strumento attuativo ( proprio perché esprimeva un progetto urbanistico, e non poteva essere effettuata mediante un intervento diretto).
Del pari appariva inapplicabile il sopravvenuto art. 52 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 (legge di semplificazione amministrativa), che, nel modificare l’art. 3 della l.r. n. 1 del 2004, relativamente alla previsione sub lett. d), precisava che «nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione anche con modifiche della superficie utile coperta, sagoma e area di sedime preesistenti, senza incremento della superficie utile coperta medesima, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per gli interventi di prevenzione sismica e per l’installazione di impianti tecnologici» in quanto la legittimità del gravato provvedimento andava verificata alla stregua delle norme esistenti al momento della emissione dello stesso.
La disciplina regionale del settembre 2011 non era utilmente invocabile per i titoli edilizi gravati in quanto questi ultimi si erano perfezionati anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa, -che consentiva, in sede di ristrutturazione edilizia (mediante demolizione e ricostruzione), anche modifiche della sagoma e dell’area di sedime preesistenti- .
La norma transitoria di cui all’art. 143, comma 6, della legge n. 8 del 2011, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione non era infatti estensibile anche agli interventi già autorizzati, ma, in conformità alla regola generale, «si applica … alle istanze di titoli abilitativi presentate in applicazione della normativa previgente», non ancora definite, ovvero pendenti.
Assorbito in detta statuizione demolitoria il quarto motivo del mezzo di primo grado, il Tribunale amministrativo ha poi vagliato i ricorsi per motivi aggiunti attingenti il permesso di costruire n. 46 del 26 gennaio 2010, in variante a sanatoria del permesso n. 432/2008, gravato con il ricorso introduttivo.
A tal proposito, chiarito l’ambito oggettivo della variante a sanatoria, desumibile dalla relazione tecnico-illustrativa (in cui le variazioni interessavano «il piano interrato, la dimensione e la forma di alcune finestre nei vari prospetti, la copertura, sia all’ultimo livello dello stabile, sia nel volume più basso posto sul retro e l’accorpamento di due unità immobiliari in un unico alloggio» aggiungendosi che erano state effettuate alcune varianti della copertura a falda dell’edificio,chiedendosi dunque la sanatoria della sagoma dell’ultimo piano) il Tribunale ha osservato che la detta sanatoria, quand’anche legittima, in quanto parziale non avrebbe potuto “superare” la complessiva diversità di sagoma rispetto all’edificio preesistente, quale risultante dalle rappresentazioni grafiche dello stato di fatto allegato al permesso di costruire n. 432 del 2008.
Sono stati quindi accolti il primo ed il secondo motivo dei ricorsi per motivi aggiunti (postulanti il vizio di invalidità derivata) con assorbimento degli ulteriori profili di doglianza.
Ricorso n. 6096/2012;
L’appellante Immobiliare Belli S.r.l., originaria controinteressata rimasta soccombente nel giudizio di primo grado ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in particolare ripercorso la cronologia degli accadimenti, ed ha fatto presente che la sentenza di primo grado erroneamente aveva respinto la eccezione da essa formulata volta ad accertare di tardività del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado, riproponendo la relativa doglianza (ed evidenziando che il gravame di primo grado era stato proposto il 8 ottobre 2009 ma già al più tardi dal 10 giugno 2009 la consistenza dell’intervento era pienamente percepibile) .
Ha inoltre riproposto la doglianza incentrata sulla circostanza che gli odierni appellati avevano sottoscritto un contratto preliminare di compravendita del diritto di superficie con la ditta appellante: ciò, contrariamente a quanto affermato dal Tar, non poteva che integrare acquiescenza all’intervento edilizio di demolizione e ricostruzione avversato (tantopiù che la società appellante aveva versato agli appellati € 15.000).
Nel merito, ha evidenziato che il decisum di primo grado si era incentrato sulla rilevanza della disciplina urbanistica applicabile all’area in questione (art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci) che prevedeva che in caso di demolizione e ricostruzione, i fabbricati dovevano essere contenuti nella sagoma d’ingombro del fabbricato esistente, ed anche l’altezza massima non poteva superare quella degli edifici preesistenti.
Senonchè il piano particolareggiato “Carducci”era stato approvato il 23 ottobre 1991 ed era decaduto decorso il termine decennale di efficacia dello stesso dal 22 ottobre 2001.
Ne conseguiva che era applicabile alla fattispecie la normativa prevista dall’art. 10 delle NTA delle Aree centrali, e che questa era stata puntualmente rispettata in quanto la costruzione aveva mantenuto la pregressa destinazione d’uso e non v’era stato aumento di volumetria.
Neppure (seconda e terza censura) era corretta la riconducibilità dell’intervento predetta al concetto di “ristrutturazione urbanistica” in quanto collidente con la prescrizione di cui all’art. 3 comma 1 lett. f del dPR n. 380/2001 e, per altro verso (quarta doglianza), le due decisioni richiamate dal Tar cui si era fatto riferimento nella motivazione della sentenza attenevano a fattispecie del tutto inassimilabili a quella per cui è causa.
Con la quinta censura l’appellante società ha richiamato il concetto di “ristrutturazione edilizia” contenuto all’art. 13 comma 1 lett. c della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004, facendo presente che lo stesso contemplava possibili modifiche della sagoma e (sesta censura) ha affermato la applicabilità alla controversia della disposizione di cui all’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9, posto che la variante in sanatoria era successiva alla entrata in vigore del detto regolamento, risalendo al 26 gennaio 2010.
Con il settimo motivo di gravame ha sostenuto la applicabilità alla fattispecie delle disposizioni di cui al sopravvenuto art. 52 e 143 comma 6 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 (legge di semplificazione amministrativa),in quanto aventi natura interpretativa e, quindi, retroattiva.
In ultimo (motivo n. 8) ha censurato gli esiti della verificazione giudiziale e l’acritico recepimento che degli stessi aveva reso il primo giudice.
Il Comune di Terni ha depositato una articolata memoria chiedendo di accogliere l’appello perché fondato.
Parte appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame perché infondato.
In particolare, ha contestato la tesi di parte appellante incentrata sulla asserita decadenza del piano particolareggiato “Carducci” (in quanto approvato il 23 ottobre 1991 ed asseritamente decaduto decorso il termine decennale di efficacia dello stesso dal 22 ottobre 2001) facendo presente che lo stesso era stato materialmente recepito nel sopravvenuto PRG approvato nel 2008.
Ha quindi riproposto i motivi del mezzo di primo grado rimasti assorbiti.
In particolare, ha richiamato le censure n. 2 e 3 contenute a pag 6 del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado volte a dolersi dell’assenza di motivazione in ordine alle considerazioni che avevano determinato il Comune ad assentire l’intervento avversato (integrale demolizione del manufatto preesistente in assenza di motivazione in ordine alla possibilità di intervenire sull’esistente) e sul superamento in altezza del preesistente fabbricato.
Ha del pari reiterato le censure in ordine al malgoverno dell’art. 3 della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 e la diversità per sagoma ed altezza del realizzato edificio rispetto a quello preesistente, reiterando la tesi secondo la quale vi era stato altresì incremento volumetrico (premessa e motivo IV del mezzo di primo grado) e quelle (motivo V e VI del mezzo di primo grado) per cui si trattava in realtà di una “nuova costruzione” e che in ogni caso la legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 all’art. 13 comma 1 lett. c , non avrebbe potuto trovare applicazione in quanto collidente con l’art. 3 comma 1 lett. d del dPR n. 380/2001.
Del pari ha riproposto il motivo n. VII della parte terza del ricorso di primo grado (volto ad affermare che, posto che l’intervento doveva essere qualificato qual “nuova costruzione” non rispettava le distanze previste all’art. 5 co. 19 e 25 delle NTA al Prg del 2000 che prescriveva un arretramento minimo di mt. 7,50 delle nuove costruzioni dal confine) ed il motivo n. VIII della parte quarta del ricorso di primo grado con il quale si era chiesto di disapplicare il Regolamento Edilizio comunale nel testo vigente alla data di adozione del permesso di costruire avversato,laddove esso potesse essere inteso qual volto ad autorizzare ristrutturazioni con modifica della sagoma previa demolizione dei preesistenti edifici in quanto contrastante con l’art. 3 comma 1 letti. D del dPR n. 30/2001.
Ha poi riproposto le censure contenute nel motivo II e III del ricorso per motivi aggiunti del 27 aprile 2010 volto ad avversare la variante in sanatoria del 26 gennaio 2010 n. 46 e quelle contenute nel motivo II del ricorso per motivi aggiunti del 29 maggio 2010.
Alla camera di consiglio del 28 agosto 2012 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la Sezione ha accolto con ordinanza la domanda di tutela cautelare alla stregua della considerazione per cui “considerato che l’appello richiede più adeguato approfondimento nella sede propria del merito, e che a tal fine sarà fissata udienza di discussione in tempi ragionevolmente brevi; considerata l’opportunità di conservare, medio tempore, la situazione di fatto e quindi di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata”.
Tutte le parti processuali hanno poi depositato memorie di replica volte a confutare le difese delle controparti
Alla odierna pubblica udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata posta in decisione
Ricorso n. 6097/2012;
L’appellante amministrazione comunale di Terni rimasta soccombente nel giudizio di primo grado ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in particolare ripercorso la cronologia degli accadimenti, ed ha censurato la impugnata decisione per le stesse ragioni sottese al ricorso in appello n. 6097/2012 cui si è prima fatto riferimento
Con memoria di replica ritualmente depositata l’appellante ha ribadito le proprie doglianze facendo presente che permaneva il proprio interesse alla decisione del ricorso.
Alla camera di consiglio del 28 agosto 2012 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la Sezione ha accolto con ordinanza la domanda di tutela cautelare alla stregua della considerazione per cui “considerato che l’appello richiede più adeguato approfondimento nella sede propria del merito, e che a tal fine sarà fissata udienza di discussione in tempi ragionevolmente brevi; considerata l’opportunità di conservare, medio tempore, la situazione di fatto e quindi di sospendere l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata”.
Tutte le parti processuali hanno poi depositato memorie di replica volte a confutare le difese delle controparti
Alla odierna pubblica udienza del 21 maggio 2013 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. Tutti i suindicati ricorsi devono essere riuniti in quanto diretti a gravare due identiche sentenze sovrapponibili nel contenuto motivazionale che hanno delibato su ricorsi proposti da diverse persone fisiche ma diretti a censurare i medesimi atti amministrativi ed avversanti la legittimità della edificazione del medesimo immobile.
1.1.Non sussistono le condizioni per disporre (nuovamente) il richiesto differimento della trattazione delle riunite cause, anche in relazione alla circostanza che le parti appellate (già ricorrenti in primo grado) hanno fermamente contestato detta eventualità.
2. I riuniti ricorsi sono infondati e meritano di essere respinti.
2.1. In via preliminare deve essere disattesa – con le precisazioni che seguono- la doglianza, specificamente riferibile alla decisione n. 33/2012 di omessa pronuncia della sentenza di primo grado, ex art. 112 cpc, sulla eccezione di tardività del mezzo di primo grado, e la connessa doglianza riproposta nel primo motivo dei riuniti appelli volta a riaffermare la originaria inammissibilità del mezzo di primo grado in quanto tardivo.
Nello stesso contesto verrà esaminata la riproposta eccezione di tardività del mezzo di primo grado con riguardo al capo della decisione n. 34/2012 che ha respinto espressamente la detta censura
2.2. Quanto al primo profilo, ritiene in proposito la Sezione di condividere la tradizionale impostazione secondo cui “l'omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce tipico errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile in sede di appello sotto il profilo della violazione del disposto di cui all'art. 112, c.p.c., che è applicabile al processo amministrativo.”(Consiglio Stato , sez. IV, 16 gennaio 2006, n. 98).
La sentenza n. 33/2012 gravata, per il vero, non si è espressamente pronunciata sulla dedotta eccezione sollevata dall’appellante impresa Belli nel corso del giudizio di primo grado (vedasi il primo motivo della memoria di costituzione innanzi al Tar datata 17 novembre 2009).
Sotto il profilo del riscontro meramente testuale, il vizio ex art. 112 cpc apparirebbe sussistere.
Senonchè la detta lacuna formale non può condurre ad alcuna delle conseguenze ipotizzate dalle appellanti: rammenta il Collegio che per condivisa quanto solida affermazione giurisprudenziale, " il vizio di omessa pronuncia su un vizio del provvedimento impugnato deve essere accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile.”(Consiglio Stato , sez. VI, 06 maggio 2008, n. 2009).
Nel caso di specie, come è agevole riscontrare dalla motivazione della sentenza gravata, appare evidente che alla luce delle censure esaminate e respinte il primo giudice ha implicitamente ritenuto priva di fondatezza la doglianza, alla luce della circostanza che la supposta illegittimità derivava dalla omessa ricostruzione dell’edificio con sagoma identica a quello demolito, e che per accertare la effettiva sussistenza del detto vizio si erano resi necessarii (persino in sede giudiziale) complessi incombenti istruttorii di natura tecnica.
Pare al Collegio che, senza pur dare partita risposta all’eccezione, la motivazione del provvedimento impugnato contenga gli elementi essenziali per una implicita reiezione della eccezione.
In ogni caso, anche laddove si ipotizzasse che l’esame della eccezione fosse stato del tutto obliato dal Tar, si deve rilevare che “l'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.”(si veda tra le tante Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289, che ha affermato il superiore principio la cui persistente attualità non è venuta meno alla stregua della prescrizione contenuta nell’art. 105 del cpa).
2.3 Pertiene dunque al Collegio il compito di prendere in esame la dedotta doglianza, della quale è agevole affermare la sicura infondatezza.
2.4. Rimarca in proposito il Collegio che consolidata e condivisibile giurisprudenza ha con continuità affermato il principio per cui “la decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l'atto è rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica. In materia di impugnazione del permesso di costruire, è sufficiente la cd. "vicinitas", quale elemento che distingue la posizione giuridica del ricorrente da quella della generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a ché il provvedimento dell'Amministrazione sia procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme vigenti in materia.” (Consiglio Stato , sez. IV, 05 gennaio 2011 , n. 18).
Nel caso in esame – proprio tenuto conto della tipologia di censure che vennero avanzate in primo grado - considerato che il ricorso di primo grado venne notificato il 2 ottobre 2009, non può evincersi che lo stesso fosse stato proposto tardivamente (si rammenta in proposito che, mentre il permesso di costruire n. 432 adottato il 31 ottobre 2008 era stato rilasciato il 27 gennaio 2009 e pubblicato in pari data sull’albo pretorio comunale l’intervento edilizio aveva avuto inizio nel febbraio 2009 con l’apposizione del cartello e la parte strutturale dell’edificio era stata realizzata nel giugno 2009).
In particolare non risulta affatto provato dalle odierne parti appellanti (si rammenta in proposito il consolidato orientamento per cui “la conoscenza effettiva e completa della concessione edilizia rilasciata a terzi - che deve essere provata da chi eccepisce la tardività dell'impugnazione - si verifica di regola, in mancanza di diversi mezzi di inoppugnabile prova, con l'ultimazione dei lavori di costruzione dell'immobile e non con solo il loro inizio occorre pertanto che le parti evidenzino elementi di prova di una conoscenza anteriore dell'opera assentita e della sua consistenza o una ultimazione dei lavori in epoca anteriore oltre sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso.”-T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 19 dicembre 2006 , n. 1711 -) che alla data del 2 agosto 2009 la parte originariamente ricorrente in primo grado fosse stata in grado di percepire con certezza la lesività dell’opera ed i profili di illegittimità asseritamente attingenti i titoli abilitativi rilasciati, di guisa che la censura va certamente disattesa e può procedersi all’esame del merito della controversia.
2.4.1. Si sottolinea in proposito che parte appellata si doleva non già della demolizione e successiva riedificazione dell’edificio (il che avrebbe consentito di percepire la lesività dell’azione amministrativa autorizzata) ma che ciò fosse avvenuto senza che l’immobile ricostruito rispettasse l’altezza, la sagoma e l’area di ingombro di quello demolito.
E’ agevole riscontare che in simile ipotesi la percezione della lesività non potesse avvenire in epoca antecedente alla definizione dei lavori.
Né, avuto riguardo all’esito della verificazione, è stato provato dalle parti odierne appellanti che almeno 60 giorni prima della notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado fosse possibile avvedersi da parte degli originarii ricorrenti dell’avvenuta modifica della sagoma.
La censura di tardività del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado deve essere pertanto disattesa.
2.5.Analoghe considerazioni conducono alla reiezione delle censure articolate avverso il capo della decisione n. 34/2012 che ha espressamente disatteso l’eccezione di tardività del ricorso proposto dai Signori Laura Zenoni, Maurizio Zenoni, Nadia Scarponi, in proprio e nella loro qualità di eredi del defunto sig. Enzo Zenoni, e Giovanni Bartoli.
Invero il ricorso di primo grado di questi ultimi venne notificato il 8 ottobre 2009: neanche con riferimento a costoro parte appellante (e valgono anche in tale caso i principi prima esposti) ha dimostrato la sicura conoscenza di fatto della illegittimità del titolo abilitativo avversato in epoca antecedente al termine ultimo per proporre ricorso.
2.6. Per concludere la disamina delle eccezioni in rito, esattamente il primo giudice non ha ritenuto nella sentenza n. 34/2012 che l’avvenuta stipulazione del contratto preliminare di compravendita del diritto di superficie con la società controinteressata da parte degli appellati, importasse acquiescenza alle opere da questi ultimi poste in essere.
E’ ben ovvio infatti che la stipula di detto negozio presupponesse la assoluta regolarità e legittimità del titolo abilitativo di pertinenza della ditta Belli: l’avvenuta intesa negoziale non può privare uno dei due contraenti della possibilità di denunciare l’illegittimità del titolo a monte, salvo si provi (il che non è avvenuto, come precedentemente chiarito) che a detta data se ne conoscesse la illegittimità.
Anche tale preliminare censura, pertanto, deve essere disattesa.
3. Passando adesso all’esame del merito delle riunite cause, l’ordine logico da seguire, al fine di dare partita risposta alle censure prospettate dalle parti appellanti, dovrebbe muovere in primo luogo dalla indicazione – ed interpretazione - del quadro normativo vigente al momento dell’adozione dei provvedimenti gravati; successivamente ci si dovrebbe interrogare in ordine alla eventuale refluenza delle modifiche normative medio tempore intervenute (punti 10, 11, 12 dell’appello del Comune di Terni,pagg. 15 e 16 e segg.).
3.1. Tuttavia, per mera comodità espositiva, ed al fine di sgombrare immediatamente il campo da censure inaccoglibili, ritiene il Collegio in primo luogo di esplicitare quale sia il concetto di “opere eseguibili attraverso la ristrutturazione”, anche tenuto conto degli approdi raggiunti dal Giudice delle Leggi in materia e di soffermarsi, immediatamente dopo, sulla problematica relativa alla incidenza sul gravato permesso di costruire (e sulla contestata variante) del disposto di cui all’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9 e della previsione normativa di cui all’art. 52 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 (che ha così sostituito, ampliandone l’ambito applicativo, il testo originario della lett. d dell’art. 3 della l.r. dell’Umbria n. 1/2004: “d) «interventi di ristrutturazione edilizia», gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono la sostituzione degli elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti, la modifica o realizzazione di aperture anche esterne, nonché l’aumento del numero delle unità immobiliari e delle superfici utili interne. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione anche con modifiche della superficie utile coperta, sagoma e area di sedime preesistenti, senza incremento della superficie utile coperta medesima, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per gli interventi di prevenzione sismica e per l’installazione di impianti tecnologici”).
3.2. Quanto al primo profilo, come è noto, l’art. 10 (Interventi subordinati a permesso di costruire) del D.P.R. 6-6-2001 n. 380 prevede che “Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:
a) gli interventi di nuova costruzione;
b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso. (19)
Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.
Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del presente comma non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44. “
L’art. 3 lett. d del predetto D.P.R. 6-6-2001 n. 380 (del quale appare utile riportare anche la successiva lett. e) prevede che : d) "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica;
e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti.
Inoltre, la successiva lett. f dell’articolo in ultimo citato, prevede che “f) gli "interventi di ristrutturazione urbanistica", quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico - edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.”.
La giurisprudenza amministrativa maggioritaria – che questo Collegio condivide- si è a lungo interrogata per cercare di ricondurre ad unità la molteplicità di concetti in astratto sussumibili nel termine “ristrutturazione edilizia”.
Essa è sostanzialmente pervenuta ad una distinzione fondata su una tripartizione.
E’ stata riconosciuta la possibilità di una ristrutturazione c.d. “pesante” ex art. 10 comma 1 lett. c suindicato che comporti modifiche di volume: la giurisprudenza più recente cerca tuttavia di “contenere” sotto il profilo quantitativo detti incrementi ( ex multis si veda T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 27-08-2012, n. 1470 “nonostante l'art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001 -T.U. Edilizia- preveda la possibilità di ristrutturazioni che comportino modifiche di volume -cosiddetta ristrutturazione pesante-, ciò non significa che qualsiasi ampliamento di edifici preesistenti debba essere automaticamente ascritto alla fattispecie della ristrutturazione: qualora si ammettesse la possibilità di un apprezzabile aumento volumetrico dell'edificio ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001 verrebbe meno la linea di distinzione tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione. Pertanto costituiscono ristrutturazione edilizia unicamente gli ampliamenti di modesta entità.
Accanto a questa - e per differenza - è stata individuata la categoria della ristrutturazione “lieve”: essa ricorre quindi allorchè non siano in programma ampliamenti volumetrici.
Si è peraltro chiarito che (T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 24-09-2012, n. 1683 ) “il mutamento di destinazione d'uso di una porzione dell'immobile, portando ad un organismo in parte diverso dal precedente e contribuendo ad aumentare il carico urbanistico, deve ritenersi rientrante nell'ambito della categoria della "ristrutturazione edilizia", come si evince dall'esplicito riferimento a tale tipologia di intervento presente nell'art. 10, comma 1, lett. c), d.p.r. n. 380/2001 “.
Inoltre, e per quel che più interessa nell’ambito del presente procedimento, è stata considerata riconducibile al concetto di “ristrutturazione” ex art. 3 lett. d del D.P.R. 6-6-2001 n. 380 anche la demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente.
Ciò –è bene sottolinearlo- integra una deviazione “concettuale”, peraltro espressamente voluta dal Legislatore: se di regola la ristrutturazione postula il ripristino dell’esistente, in tale ultimo caso l’esistente viene meno.
In ordine al concetto di “ciò che è esistente e si può quindi ristrutturare” la giurisprudenza è peraltro concorde nell’affermare che (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 13-06-2012, n. 581) “il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di muraperimetrali, strutture orizzontali e copertura, con la conseguenza che la ricostruzione su ruderi o su un edificio che risulta da tempo demolito anche se soltanto in parte, costituisce a tutti gli effetti una nuova opera, che, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesaggistiche vigenti al momento della riedificazione.”.
Ciò premesso, e soffermandosi sulla terza fattispecie di ristrutturazione edilizia sinora menzionata (id est: demolizione e ricostruzione di un edificio preesistente) la giurisprudenza si è interrogata in ordine alla possibilità, sulla base della legislazione nazionale, di un ampliamento concettuale di quest’ultima, sino ad ammettere che essa possa implicare modifiche a volume, sagoma, ed area di sedime.
La giurisprudenza maggioritaria ha fornito tassativa risposta negativa al quesito in ultimo formulato: si è condivisibilmente affermato infatti, ancora di recente, che “costituiscono ristrutturazione urbanistica sia la trasformazione degli organismi edilizi con un insieme sistematico di opere che possono portare anche ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente, sempre che detti interventi riguardino solo alcuni elementi dell'edificio (ripristino o sostituzione di alcuni elementi costituitivi dell'edificio; eliminazione, modifica e inserimento di nuovi elementi o nuovi impianti), sia la demolizione e ricostruzione, sempre che ciò avvenga con la stessa volumetria e sagoma. Laddove invece vi sia un mutamento della sagoma, debbono ravvisarsi gli estremi della nuova costruzione” (Cons. Stato Sez. IV, 12-02-2013, n. 844).
3.2.1. E quid iuris, quanto a tale ultimo profilo, laddove ci si trovasse al cospetto di legislazioni regionali che estendono – nei termini sinora menzionati- il concetto di ristrutturazione sino a ricomprendervi la demolizione e ricostruzione con modifiche al volume, alla sagoma od all’area di sedime?
Con la importante decisione n. 309/2011, i cui principi devono essere integralmente richiamati in questa sede, la Corte Costituzionale ha richiamato la propria precedente decisione (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto), con la quale essa aveva ricondotto nell'ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi ed ha affermato che “a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L'intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall'altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato.”
Da tale affermazione la Consulta ha fatto conseguire il principio per cui “tali categorie sono individuate dall'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, collocato nel titolo I della parte I del testo unico, intitolato «Disposizioni generali». In particolare, la lettera d) del comma 1 di detto articolo include, nella definizione di «ristrutturazione edilizia», gli interventi di demolizione e ricostruzione con identità di volumetria e di sagoma rispetto all'edificio preesistente; la successiva lettera e) classifica come interventi di «nuova costruzione» quelli di «trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti». In base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell'edificio preesistente - intesa quest'ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale - configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia.
A conferma di ciò non sta solo il dato letterale dell'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001 - che fa riferimento alla «stessa volumetria e sagoma» dell'edificio preesistente e ammette «le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica» - ma vi è anche la successiva legislazione statale in materia edilizia. L'art. 5, commi 9 e ss., del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, infatti, nel regolare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e adeguamenti di sagoma, non ha qualificato tali interventi come ristrutturazione edilizia, né ha modificato la disciplina dettata al riguardo dall'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.
La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi, d'altronde, non può non essere dettata in modo uniforme sull'intero territorio nazionale, la cui «morfologia» identifica il paesaggio, considerato questo come «la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli».
Da tali presupposti (esplicitati dalla Corte Costituzionale nel breve stralcio motivazionale che si è pedissequamente riportato sopra)è stata fatta discendere la statuizione per cui, l'art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato dall'art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 7 del 2010, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, fosse in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall'art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio. Parimenti lesivo dell'art. 117, terzo comma, Cost., è l'art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella parte in cui, qualificando come «disciplina di dettaglio» numerose disposizioni legislative statali, prevedeva la disapplicazione della legislazione di principio in materia di governo del territorio dettata dall'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 con riguardo alla definizione delle categorie di interventi edilizi.”.
4. Così sommariamente illustrati i principi ai quali ci si atterrà nell’esame della controversia, ritiene il Collegio immediatamente di rilevare che la tesi di parte appellante che postula l’applicabilità alla presente controversia del disposto di cui all’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9 e della previsione normativa di cui all’art. 52 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 non coglie nel segno.
La tesi delle parti appellanti è quella per cui le dette disposizioni – la seconda delle quali avrebbe avuto, in particolare, portata interpretativa e, quindi, retroattiva - dovevano trovare applicazione con riguardo al permesso di costruire contestato in primo grado e rilasciato il 17 gennaio 2009 ed avrebbe errato quindi il primo giudice ad escluderne la refluenza sulla causa.
4.1. Nessuna delle doglianze prospettate convince il Collegio.
4.2 Costituisce principio generale costantemente predicato dalla pacifica giurisprudenza amministrativa quello per cui “la legittimità di un provvedimento amministrativo si deve accertare con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del "tempus regit actum", con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi”(Cons. Stato Sez. IV, 21-08-2012, n. 4583).
La giurisprudenza civile di legittimità, a propria volta, ritiene il detto canone valutativo principio di imprescindibile applicazione (ex multis: Cass. civ. Sez. VI, 22-02-2012, n. 2672).
La materia urbanistica, e quella edilizia, non fanno certo eccezione a detta regola generale: (ex multis: “per il principio tempus regit actum, la legittimità del rigetto del permesso di costruire deve essere rapportata alla situazione di diritto riscontrabile alla data della relativa emanazione”.-Cons. Stato Sez. IV, 09-02-2012, n. 693-).
Ratione temporis, quindi, esattamente il primo giudice ha escluso in radice l’applicabilità di dette disposizioni al processo in corso, ovvero la loro valutabilità ex post ed incidenza sul permesso di costruire antecedentemente rilasciato.
4.3. La tesi secondo cui l’art. 52 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8 avesse natura interpretativa (e quindi portata retroattiva) collide con l’espresso dettato del comma 6 dell’art. 143 della legge predetta (“ La definizione degli interventi edilizi di cui all'articolo 3 della L.R. n. 1/2004 come modificato e integrato dall'articolo 52 della presente legge, si applica anche alle istanze di titoli abilitativi presentate in applicazione della normativa previgente.”) che, all’evidenza, limita la “retroattività” della portata della medesima (ammesso che di retroattività possa discorrersi in simile ipotesi) alle “istanze” già presentate (e non ancora esitate, ovviamente) al momento della entrata in vigore della disposizione predetta non estendendola ai titoli abilitativi già rilasciati.
Ciò assume rilievo troncante nell’escludere la fondatezza della critica appellatoria, potendosi soltanto per completezza aggiungere che ogni contraria opzione ermeneutica che ne “estendesse” la portata sino a ricomprendervi titoli abilitativi già rilasciati, o addirittura, che abbiano avuto esecuzione, come nel caso di specie, (ingiustificabile comunque sulla scorta della interpretazione letterale) indurrebbe a dubitare fondatamente della legittimità costituzionale della stessa.
Il titolo abilitativo rilasciato all’appellante società, quindi, deve essere valutato alla stregua della prescrizione contenuta nel testo originario della lett. d dell’art. 3 della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 (“«interventi di ristrutturazione edilizia», gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono la sostituzione degli elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi e impianti, la modifica o realizzazione di aperture anche esterne, nonché la modifica del numero delle unità immobiliari e delle superfici utili interne. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria, sagoma e area di sedime preesistenti, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per gli interventi di prevenzione sismica e per l'installazione di impianti tecnologici; ».”).
4.4.Analoghe obiezioni possono muoversi alla tesi che postula la sopravvenuta applicabilità dell’ 12, comma 2, del regolamento regionale 3 novembre 2008, n. 9 che, in quanto disposizione di natura regolamentare non potrebbe ex post integrare –modificandola in via retroattiva- la portata di una norma di legge, a nulla rilevando che esso sia stato introdotto precedentemente alla contestata variante (essendo incontestabilmente successivo al permesso di costruire n. 432 del 31 ottobre 2008 cui la variante accede) e stante la portata limitata della variante medesima (come esattamente colto dal primo giudice e non contestato dalle parti appellanti).
A tale disposizione, infatti, non può attribuirsi la portata di mera “specificazione” del precetto contenuto nel’art. 3 della legge regionale umbra n. 1/2004: in ogni caso, lo si ribadisce è certamente esatto l’ iter motivo contenuto nella citata decisione, laddove si evidenzia che la portata “sanante” della variante in sanatoria è da intendersi limitata alle opere ivi contemplate, di guisa che essa non potrebbe incidere sulle contestate modifiche di sagoma.
Lo jus superveniens mentovato dalle appellanti, conclusivamente, non può trovare applicazione nella odierna vicenda processuale.
4.5. Per tale ragione il Collegio ritiene che neppure possa ipotizzarsi la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale dei precetti normativi estensivi di cui alla suindicata disposizione di cui all’art. 52 della l.r. Umbria 16 settembre 2011, n. 8: quest’ultima infatti non rileva nella presente causa.
Il precetto espresso dalla sopracitata decisione della Corte Costituzionale n. 309/2011, verrà invece tenuto presente allorchè, immediatamente di seguito, ci si interrogherà in ordine alla interpretazione delle disposizioni normative ratione temporis applicabili alla odierna fattispecie, in adesione al consolidato orientamento secondo il quale tra due interpretazioni “possibili” di una disposizione di legge l’interprete debba privilegiare quella che appaia costituzionalmente compatibile (Cass. civ. Sez. V, 25-09-2006, n. 20757).
5. Risulta a questo punto della disamina essenziale scrutinare le censure afferenti i capi della impugnata decisione che hanno escluso la legittimità dei titoli abilitativi rilasciati alla stregua della disciplina vigente al tempo dell’adozione degli stessi.
5.1. Come rilevato in precedenza, stabiliva l’art. 3 lett. d della legge regionale dell’Umbria n. 1 del 2004 vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo in ordine alla cui legittimità si controverte che il concetto di «interventi di ristrutturazione edilizia» fosse il seguente: “ gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono la sostituzione degli elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi e impianti, la modifica o realizzazione di aperture anche esterne, nonché la modifica del numero delle unità immobiliari e delle superfici utili interne. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria, sagoma e area di sedime preesistenti, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per gli interventi di prevenzione sismica e per l'installazione di impianti tecnologici; ».
Il successivo art. 13 lett. c della legge regionale predetta prevedeva invece che: “Interventi subordinati a permesso di costruire. 1. I seguenti interventi costituiscono trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e, fatto salvo quanto previsto all'articolo 20, sono subordinati a permesso di costruire:
a) nuova costruzione;
b) ristrutturazione urbanistica;
c) ristrutturazione edilizia, diversa da quanto previsto all'articolo 3, comma 1, lettera d), che comprenda anche modifiche del volume, della sagoma e dell'area di sedime;
d) ristrutturazione edilizia, che riguardi immobili compresi nelle zone omogenee A ed E, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;
e) opere di demolizione, rinterri e scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere;
f) recinzioni, muri di cinta e cancellate antistanti le sedi viarie e le aree pubbliche o di uso pubblico, nonché riguardanti aree di superficie superiore a tremila metri quadrati, solamente nel caso in cui tali interventi non siano disciplinati dal regolamento edilizio comunale o dallo strumento urbanistico.».”.
La relazione inferenziale tra le due citate disposizioni è quella scolpita nelle decisioni del Tar gravate: le norme medesime non sono sovrapponibili, in quanto l’art. 13 detta una previsione omnicomprensiva sia della ristrutturazione “urbanistica” che “edilizia”, mentre l’art. 3 descrive concettualmente unicamente la seconda.
E’ incontestabile, ad avviso del Collegio, pertanto, che allorchè ci si debba interrogare in ordine a quale fossero le opere ascrivibili al concetto di “ristrutturazione edilizia” durante la vigenza del testo originario delle citate disposizioni il combinato-disposto delle sopradette norme fornisca una risposta univoca: era tale quel complesso di opere che comunque non comportasse alcuna modifica a “volumetria, sagoma e area di sedime preesistenti”.
Mentre – riferendosi ad una fattispecie diversa da quella scolpita nella lett. d dell’art. 3 – il complesso di opere, assentibile attraverso il rilascio di permesso di costruire, che diversa da quanto previsto all'articolo 3, comma 1, lettera d), comprendesse anche modifiche del volume, della sagoma e dell'area di sedime (art. 13 lett. c citato) rientrava nell’alveo della ristrutturazione “urbanistica”, (correttamente definita nella sentenza di prime cure descrittiva di “interventi rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio, urbano o rurale, con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modifica e/o lo spostamento dell’area di sedime e la modificazione del disegno dei lotti”non ricorrente nel caso di specie.
Militano in favore della detta opzione ermeneutica più considerazioni: la prima è di tipo semantico, perché non avrebbe alcun senso che, dapprima si facesse riferimento –nel citato art. 13- ad una ristrutturazione diversa da quella descritta all’art. 3 lett. d (e quindi, quest’ultima strutturata attraverso la demolizione e la ricostruzione con identità di sagoma, sedime, volume) e poi, invece, si considerasse quest’ultima ricompresa nel precetto ampliativo di cui al predetto art. 13.
Secondariamente, come osservato dal primo giudice, la circostanza che l’art. 13 lett. c), rechi il termine di ristrutturazione “edilizia, in quanto si tratta di un testo normativo in tema di attività edilizia, e che non si occupa dunque della sottostante disciplina urbanistica.
In ultimo, orienta l’interprete in tal senso il canone ermeneutico contenuto nella citata decisione della Corte Costituzionale n. 309/2011: tra due interpretazioni “possibili” di una disposizione di legge l’interprete deve privilegiare quella che appaia costituzionalmente compatibile. E tale non sarebbe una interpretazione (anche distonica rispetto al dato letterale) qual quella secondo cui l’art. 13 lett. c avrebbe semplicemente “esteso” la nozione di ristrutturazione descritta all’art. 3 lett. d ricomprendendovi le modifiche a sagoma, volume, ed area di sedime, in quanto si troverebbe a “scontare” le problematiche di incostituzionalità già affermate dalla Corte Costituzionale.
5.2. Ciò sarebbe sufficiente a respingere i riuniti appelli, in quanto consente di ribadire che laddove la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione abbia comportato la modifica (anche soltanto) della sagoma, si è in realtà al cospetto di un intervento di ricostruzione.
5.3. Il Collegio, tuttavia, condivide anche il secondo caposaldo accoglitivo sul quale il primo giudice ha fondato la decisione demolitoria gravata ed incentrata sulla prescrizione normativa contenuta sub art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci:posto che il detto piano particolareggiato prevedeva che in caso di demolizione e ricostruzione, i fabbricati dovevano essere contenuti nella sagoma d’ingombro del fabbricato esistente, ed anche l’altezza massima non poteva superare quella degli edifici preesistenti
Dalla detta prescrizione (ove ritenuta vigente al tempo di rilascio del titolo abilitativo, il che costituisce punto controverso e questione nodale della causa che verrà di qui a poco approfondita) discende la conseguenza che sarebbe financo superfluo interrogarsi in ordine a quale fosse il concetto di “ristrutturazione- modello” secondo la legge regionale umbra.
Ciò perché, nella detta area, proprio a cagione della la prescrizione normativa contenuta sub art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci, non sarebbe stata assentibile la ristrutturazione comportante modifiche a sagoma ed altezza degli edifici prevista dalla lett. c dell’art. 13 della legge regionale dell’Umbria n. 1 del 2004 ma unicamente quella “leggera” (non comportante modifiche a sagoma ed altezza degli edifici, quindi) prevista dall’art. 3 lett. d della citata legge.
5.4. Risulta doveroso a questo punto della esposizione esaminare l’obiezione mossa dalle appellanti agli approdi cui è giunto il primo giudice, con riguardo alla normativa di dettaglio ed alla legislazione vigente al momento del rilascio del permesso di costruire.
5.4.1. Ad avviso delle appellanti la decisione del Tar (come anche, del resto, la verificazione) sarebbe stata errata in quanto la prescrizione asseritamente spiegante effetto ostativo alla realizzabilità dell’intervento ristrutturativo “pesante” contenuta nell’ art. 11 delle N.T.A. del piano Carducci non era più vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo controverso .
Ciò perché il detto Piano Particolareggiato, era stato adottato con DPGR n. 541 del 28 ottobre 1991 e pertanto, stante la efficacia decennale dello stesso, (art. 17 della legge urbanistica fondamentale n. 1150 del 1942 “I piani attuativi hanno efficacia decennale , con esclusione degli allineamenti e delle prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso destinati ad essere applicati a tempo indeterminato anche in presenza di uno strumento urbanistico generale.” Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 4761 del 10-08-2011”) esso era scaduto sin dal 27 ottobre 2001.
Ad avviso dell’appellante Comune di Terni e della Immobiliare Belli, quindi, al momento del rilascio del permesso di costruire l’area era normata dall’art. 10 comma 12 delle NTA della variante al PRG Aree centrali (approvata con DPG n. 376/1997) che non prevedeva alcun vincolo ostativo con riferimento alla sagoma (detta disposizione poi, rimasta in vigore fino all’approvazione del nuovo PRG di Terni avvenuta il 15 dicembre 2008, era stata da quest’ultimo confermata ex comma 5 punto 6 dell’art. 137 delle NTA parte operativa) .
La detta disposizione, infatti, prevedeva che per i piani attuativi, ancorchè decaduti per decorso del termine di validità, “la cui realizzazione non sia stata ancora completata alla data di adozione della presente variante, rimangono in vigore le quantità e le destinazioni d’uso fissate per i nuclei originari”.
Ciò implicava che nel regime normativo secondario vigente al momento del rilascio del permesso di costruire non vi fosse alcun limite alla sagoma od altezza del fabbricato da ricostruire, ma che gli unici limiti afferissero alla volumetria (“quantità”) che doveva essere eguale a quella originaria, ed alla destinazione d’uso.
Nel caso di specie la incontestata permanenza della destinazione d’uso originaria (residenziale) e la circostanza -accertata in sede di verificazione- che non v’era stato alcun incremento volumetrico deponeva per la piena legittimità dell’attività autorizzata dal Comune.
5.4.2. Il Collegio non ritiene di aderire neppure a tale prospettazione.
La disposizione invocata di cui dall’art. 10 comma 12 delle NTA della variante al PRG Aree centrali, ha all’evidenza carattere transitorio in quanto fa riferimento ad una situazione cristallizzata “alla data di adozione della presente variante”, ed analoga natura deve attribuirsi alla identica disposizione di cui 5 punto 6 dell’art. 137 delle NTA del PRG adottato nel 2004 ed approvato nel 2008.
Come segnalato da parte appellata, peraltro, l’art. 133 delle delle NTA del PRG adottato nel 2004 ed approvato nel 2008 stabiliva che i piani degli ambiti ivi elencati (tra cui il Piano Carducci) fossero da considerarsi come attuativi del Prg per le parti conformi e che eventuali prescrizioni contenute negli atti di approvazione dei detti piani integrino le previsioni di piano.
La conseguenza di tale disposizione, -come esattamente rimarcato da parte appellata – riposa nella materiale inserzione nel Prg, già adottato nel 2004, e pertanto ben antecedentemente al rilascio degli avversati titoli abilitativi, della disposizione contenuta nel “Piano Carducci” all’art. 11, che inibiva l’assentimento di ristrutturazioni che previa demolizione avessero comportato modifiche della sagoma stabilendo che, in simile ipotesi. i fabbricati dovevano essere contenuti nella sagoma d’ingombro del fabbricato esistente, ed anche l’altezza massima non poteva superare quella degli edifici preesistenti.
5.4.3. Esattamente, quindi, il primo giudice è giunto all’approdo per cui la vigenza dell’art. 11 delle Nta del Piano Carducci, non fosse revocabile in dubbio; che esso vietasse a livello urbanistico le ristrutturazioni “pesanti “ con modifica di altezza, sagoma, area di sedime di cui al testo originario della lett. c dell’art. 13 della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 e che pertanto, essendo rimasto incontestato che l’edificio ricostruito avesse una sagoma diversa da quello demolito fosse esclusa la legittimità dell’atto abilitativo gravato.
5.5. In sintesi: il Collegio ritiene che le disposizioni di cui all’art. 11 delle NTA del Piano Carducci avessero avuto vigenza al tempo della rilasciata autorizzazione e che la disposizione di cui all’art. 13 lett. c della legge dell’Umbria surrichiamata non avesse portata ampliativa rispetto all’art. 3 lett.d dello stesso testo.
Da quanto sinora esposto discende la conseguenza che, se non si fosse ritenuto che le disposizioni di cui all’art. 11 delle NTA del Piano Carducci avessero avuto vigenza al tempo della rilasciata autorizzazione, e che la disciplina urbanistica dell’area trovasse la propria disciplina ex art. 10 comma 12 delle NTA della variante al PRG Aree Centrali la affermazione ivi contenuta secondo cui “rimangono in vigore le quantità e le destinazioni d’uso fissate per i nuclei originari” dovesse essere interpretata come ricomprensiva del divieto di modifiche incidenti su altezza e sagoma, ricomprendendo detto concetto nel divieto di modifiche quantitative (id est principalmente volumetriche).
Opinando diversamente, sia sotto tal profilo, che in punto di interpretazione dell’art. 13, comunque gli appelli non avrebbero potuto trovare favorevole delibazione.
Ciò perché, - non essendo prevista nel sistema la “disapplicazione” della legge regionale pur ove le prescrizioni della stessa siano identiche ad altre già espunte dal sistema giuridico da una decisione della Corte Costituzionale - si sarebbe dovuta sollevare questione di legittimità costituzionale del testo originario della lett. c dell’art. 13 della legge regionale dell’Umbria n. 1/2004 nella parte in cui, laddove ritenuta applicabile all’area ove sorgeva l’edificio demolito e poi ricostruito, asseritamente legittimava attività di demolizione e successiva ricostruzione senza vincolo di altezza e sagoma, per le stesse ragioni per le quali l’ analoga norma contenuta nella legge regionale lombarda era stata dichiarata incostituzionale dalla citata decisione della Corte Costituzionale n. 309/2011.
5.6. Le superiori considerazioni, unitamente alla constatazione che le critiche all’esito della verificazione disposta dal Tar non attingono la circostanza che vi fu effettivamente una modifica della sagoma dell’edificio ricostruito, rispetto a quello oggetto di demolizione, impongono la conferma dei capi da 1 a 3 delle impugnate decisioni, non rilevando la dedotta circostanza che le dette modifiche alla sagoma fossero di modesta entità (come sostenuto dalle appellanti e pur contestato da parte appellata) e la mancata indicazione da parte del verificatore delle disposizioni applicabili alla fattispecie (uniche due critiche alla relazione di verificazione refluenti, potenzialmente, sull’esito processuale, vertendo le altre su circostanze comunque non rilevanti quali le disposizioni applicabili per misurare l’altezza degli edifici, il modesto scostamento in altezza rilevatosi, e la questione della permanente vigenza dell’art. 11 delle NTA del c.d. Piano Carducci).
5.7.Tali approdi inducono dunque alla reiezione degli appelli in parte qua e tutti i motivi di appello proposti avverso i superiori capi da 1 a 3 della gravata decisione vanno pertanto disattesi.
6.Quanto alle censure attingenti i successivi capi (n. 4) delle sentenze impugnate, esse hanno natura “derivata”, mutuata per necessità dalla circostanza che nel detto capo di decisione il primo giudice ha preso in esame le doglianze, proposte con motivi aggiunti, attingenti il permesso di costruire n. 46 del 26 gennaio 2010, in variante a sanatoria del permesso n. 432/2008, già gravato con il ricorso introduttivo.
6.1. La decisione del primo giudice appare ineccepibile, in quanto muove dalla “parzialità” dell’oggetto della avversata sanatoria, limitato al « piano interrato, la dimensione e la forma di alcune finestre nei vari prospetti, la copertura, sia all’ultimo livello dello stabile, sia nel volume più basso posto sul retro e l’accorpamento di due unità immobiliari in un unico alloggio».
Esattamente il Tar ha preso atto dell’oggetto limitato della detta sanatoria, anche laddove la stessa dava atto che erano state effettuate alcune varianti della copertura a falda dell’edificio, e si chiedeva la sanatoria della sagoma dell’ultimo piano.
La detta sanatoria, infatti, è illegittima in via derivata per le stesse considerazioni sinora rappresentate quanto alla prima parte della impugnata decisione, che hanno condotto alla reiezione degli appelli volti ad avversare la statuizione di illegittimità del primo permesso di costruire rilasciato.
E’ ovvio che le dette parziali modifiche limitate alla copertura dell’ultimo piano non incidono sulla complessiva diversità di sagoma rispetto all’edificio preesistente, quale risultante dalle rappresentazioni grafiche dello stato di fatto allegato al permesso di costruire n. 432 del 2008 ( e per il vero neppure le appellanti hanno affermato una tesi diversa, sostenendo anche con riguardo alla variante le medesime argomentazioni postulanti la legittimità ab imis della azione amministrativa spiegata concretatasi nell’assentimento del permesso di costruire originario).
7. Dalle superiori considerazioni consegue la reiezione integrale dei riuniti appelli, con improcedibilità degli ulteriori motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal primo giudice e riproposti integralmente in via incidentale da parte appellata nel presente grado di giudizio.
7.1. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
8. La assoluta particolarità e la complessità in fatto ed in diritto delle questioni devolute all’esame del Collegio impongono la integrale compensazione tra le parti delle spese processuali sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, li respinge nei termini di cui alla motivazione che precede.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Nicola Russo, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)