Cass. Sez. III n. 7608 del 25 febbraio 2010 (Ud. 17 nov. 2009)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Ammendola e altri
Urbanistica. Zone boscate già incendiate

In tema di abusi edilizi, il divieto di edificazione sui terreni già percorsi dal fuoco non è limitato alle sole aree individuate dal relativo censimento comunale ma riguarda tutte le aree effettivamente interessate da incendio, rientrando nell'attività ricognitiva del giudice l'individuazione delle stesse.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 17/11/2009
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - N. 2028
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MULLIRI Guicla Immacolata - Consigliere - N. 23122/2009
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) AMMENDOLA ANTONIO FRANCESCO N. IL 22/09/1947;
2) PLATI GIANFRANCO N. IL 28/07/1956;
3) DE NICOLÒ ANTONIO N. IL 28/05/1959;
avverso la sentenza n. 193/2008 CORTE APPELLO di POTENZA, del 13/03/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DI POPOLO Angelo, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata: senza rinvio, quanto al capo A), per intervenuta prescrizione; con rinvio quanto al capo B);
Uditi i difensori avv.ti Coppi Franco, Colagrande Roberto, sostituto processuale dell'avv. Scoca Gaetano, i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 13.3.2009, confermava la sentenza 30.11.2007 del Tribunale di Matera - Sezione distaccata di Pisticci, che aveva affermato la responsabilità penale di:
Ammendola Antonio Francesco e De Nicolò Antonio in ordine al reato di cui:
L. 21 novembre 2000, n. 353, art. 10, comma 4, (perché - l'Ammendola quale rappresentante legale della società committente s.r.l. "Nettis Resort" nonché amministratore unico della società esecutrice dei lavori s.r.l. "Net Con" e il De Nicolò quale direttore dei lavori - realizzavano un porto turistico denominato "Porto degli Argonauti", in località Lido di Macchia del Comune di Pisticci, come da progetto approvato con accordo di programma stipulato il 10.3.2004, approvato con D.P.G.R. Basilicata 17 marzo 2004, n. 74 e ratificato con Delib. Consiglio comunale Pisticci 25 marzo 2004, n. 9 in violazione dei divieti di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10, comma 1, in quanto l'opera ricadeva parzialmente su area boscata, ubicata in destra idrografica del fiume Basento devastata da un incendio nell'agosto 1998 - acc. fino all'1.10.2004);
Ammendola Antonio Francesco e Plati Gianfranco in ordine al reato di cui:
all'art. 483 c.p. (perché l'Ammendola - quale rappresentante legale della s.r.l. "Nettis Resort" - determinava il Plati a redigere una perizia giurata nella quale scientemente effettuava una perimetrazione delle aree già percorse dal fuoco nell'agosto 1998 non corrispondente alla realtà- in Pisticci, il 7.2.2002) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato:
Ammendola alla pena di mesi tre di reclusione;
Plati alla pena di mesi due di reclusione;
De Nicolò alla pena di mesi due di arresto ed Euro 24.000,00 di ammenda, concedendo a tutti il beneficio della sospensione condizionale, applicando altresì l'indulto nei limiti di legge ed ordinando la demolizione delle opere edilizie realizzate e la remissione in pristino dello stato dei luoghi, entro il termine di due mesi dalla formazione del giudicato.
Avverso tale sentenza hanno proposto unico e comune ricorso i difensori degli imputati, i quali - sotto i profili della violazione di legge e del vizio della motivazione - hanno eccepito che:
1. Non sarebbe concretamente applicabile, nella specie, la L. n. 353 de 2000, art. 10 (che avrebbe natura di norma penale in bianco), perché il terreno in questione non era stato previamente perimetrato ed inserito nel "catasto incendi".
La corretta applicazione di detta norma presupporrebbe, invece, il necessario esperimento delle procedure di individuazione e perimetrazione previste dal comma 2, alle quali dovrebbe riconoscersi efficacia costitutiva e non soltanto dichiarativa. In mancanza di dette procedure, infatti, potrebbe profilarsi vizio di costituzionalità (in relazione all'art. 25 Cost., comma 2) per violazione del principio di determinatezza e tassatività delle norme penali.
2. A fronte della carenza di una perimetrazione ufficiale delle aree percorse dal fuoco il 6 ed il 7 agosto 1998, neppure potrebbe configurarsi il ritenuto delitto di falsità ideologica del privato. Nessun effetto determinante potrebbe riconoscersi, in proposito, agli accertamenti postumi operati dalla polizia giudiziaria, tenuto anche conto che i verbali all'epoca redatti dalla Guardia Forestale e dai Vigili del Fuoco presenterebbero numerose e significative incongruenze reciproche, oltre a porsi in contrasto con le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste Corallo Gaetano, ruspista che prestò la propria attività in occasione dello spegnimento dell'incendio.
3. Gli interventi edilizi connessi alla realizzazione del porto erano già previsti negli strumenti urbanistici comunali vigenti alla data dell'incendio PRG approvato il 27.2.2004 - Variante parziale approvata il 3.4.1985 (annullata, però, dal TAR Basilicata con sentenza pubblicata il 25.7.1997) - Variante generale approvata il 9.7.1990.
4. Tutte le opere eseguite sarebbero state, comunque, esplicitamente autorizzate con la L.R. Basilicata 2 marzo 2004, n. 6 e detta autorizzazione legislativa renderebbe configurabile, in ogni caso, la scriminante dell'esercizio di un diritto, ex art. 51 c.p.. 5. Non potrebbe ravvisarsi, in punto di fatto, la contravvenzione di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10 (per la quale la legge non consente la configurabilità del tentativo), perché, al momento dell'intervenuto sequestro, le opere non erano ancora "iniziate", essendo state eseguite soltanto "attività meramente preparatorie". 6. Mancherebbe qualsiasi profilo di responsabilità nel comportamento tenuto dal De Nicolò, poiché quegli, come "direttore dei lavori", era privo di qualsiasi potere di verifica circa l'iter amministrativo seguito anteriormente al rilascio dell'autorizzazione. 7. Incongruamente sarebbe stato denegato agli imputati il beneficio della non-menzione della condanna.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I giudici del merito hanno ritenuto provato, con assoluta certezza, il fatto che parte dell'area interessata dai lavori per la realizzazione del porto turistico in questione risultava percorsa da un incendio verificatosi tra il 6 ed il 7 agosto 1998.
I procedimenti amministrativi ed i provvedimenti autorizzativi di detta infrastruttura risultavano inficiati dal deposito di una falsa perizia giurata, redatta dal Plati, nella quale veniva attestato che il progettato insediamento portuale non interessava le aree attraversate da quell'incendio, sicché non operavano i divieti posti dalla L. n. 353 del 2000.
2. A fronte di tali conclusioni - a giudizio del Collegio - le doglianze svolte nel ricorso devono ritenersi infondate. 3. La tutela delle zone boscate e dei pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco - al fine di contrastare il diffuso fenomeno della speculazione edilizia su terreni boschivi proprio a tale scopo bruciati - è stata inizialmente affidata all'applicazione delle misure di cui alla L. 1 marzo 1975, n. 47, art. 9, comma 4, ove veniva stabilito l'obbligo delle Regioni di predisporre piani per la difesa e conservazione del patrimonio boschivo, disponendosi altresì che:
"Nelle zone boscate comprese nei piani di cui all'art. 1 della presente legge, i cui soprassuoli boschivi siano stati distrutti o danneggiati dal fuoco, è vietato l'insediamento di costruzioni di qualsiasi tipo.
Tali zone non possono comunque avere una destinazione urbanistica diversa da quella in atto prima dell'incendio".
Visto, però, il ritardo nella predisposizione dei piani anzidetti, il D.L. n. 332 del 1993 (convertito nella L. n. 428 del 1993) aveva stabilito che il vincolo di inedificabilità dovesse operare in tutte le zone boschive distrutte o danneggiate dal fuoco, anche al di fuori dei piani o nelle more della redazione di essi.
I sindaci dovevano inviare ogni anno al Ministero dell'ambiente una planimetria, in adeguata scala, del territorio comunale percorso dal fuoco; in tale territorio non erano consentite destinazioni d'uso diverse da quelle in atto prima dell'incendio per almeno dieci anni. È poi intervenuta la L. 21 novembre 2000, n. 353 "Legge quadro in materia di incendi boschivi" le cui disposizioni rappresentano principi fondamentali dell'ordinamento ai sensi dell'art. 117 Cost. che, nel sancire la persistente efficacia dei piani antincendi boschivi già approvati dalle Regioni (art. 3, comma 5), ha previsto (art. 10, 1 comma):
"Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e di immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione".
Tale ultima disposizione - nella formulazione successivamente introdotta dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria 2004), art. 4, comma 173, - risulta attualmente così strutturata:
"Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e di immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data".
3.1 La normativa posta dalla L. n. 353 del 2000 e successive modificazioni, dunque, sotto il profilo urbanistico:
conforma il potere di pianificazione, stabilendo l'impossibilità di imprimere alle zone interessate una destinazione diversa da quella preesistente;
delinea in maniera più specifica la portata del vincolo di inedificazione, prevedendo la salvezza di interventi anteriormente previsti e conformi alle prescrizioni di piano vigenti all'epoca della loro localizzazione.
La necessità di fissare un'ampia disciplina di previsione e prevenzione del rischio di incendi boschivi si pone poi a fondamento della prevista redazione del "piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi" (il cui contenuto è dettagliatamente descritto dalla L. n. 353 del 2000, art. 3), restando ferma, in caso di inadempienza delle Regioni, la competenza ministeriale a predisporre "anche a livello interprovinciale le attività di emergenza per lo spegnimento degli incendi boschivi".
In attuazione della finalità preventiva di detto piano regionale vengono previste, inoltre, la individuazione delle aree e dei periodi a rischio di incendio boschivo e la determinazione degli indici di pericolosità.
A tale attività di prevenzione si connette la norma (L. n. 353 del 2000, art. 10, comma 2) in base alla quale il Comune, entro novanta giorni dall'approvazione del piano, deve censire con apposito catasto i soprassuoli già percorsi dal fuoco nell'ultimo quinquennio e formare elenchi, provvisori (sui quali possono formulare osservazioni i privati interessati) e definitivi, suscettivi di revisione "con cancellazione delle prescrizioni relative ai divieti". Il Comune effettua, in tal modo, una mera attività di ricognizione;
mentre deve ritenersi rimessa al giudice amministrativo ogni controversia sull'esattezza dell'individuazione e spetta comunque al giudice penale la verificazione degli elementi la condotta del reato di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10, comma 4.
L'interpretazione coordinata e finalisticamente orientata delle citate disposizioni porta conseguentemente a concludere che l'operatività del vincolo di inedificazione, spazialmente limitata alle aree interessate dall'incendio, non risulta subordinata alla previa approvazione del piano regionale o all'attività di censimento riferibile al Comune, deponendo in tale senso anche l'ovvia considerazione per la quale ogni inadempienza amministrativa sul punto implicherebbe la vanificazione del presupposto fine di tutela. La conseguenza di tale ricostruzione comporta che, ove manchi il richiesto censimento, il Comune deve verificare per ciascuna domanda di intervento edilizio, l'esistenza o meno della circostanza che può impedire l'assentimento.
È vero che, in tal modo, l'interessato non può presentare le osservazioni previste in sede di censimento, delle quali si è detto dianzi; egli, però, può comunque fare valere le proprie ragioni, dovendo essere coinvolto, ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 10 bis nella procedura di delibazione dell'istanza. In tal senso è orientata la giurisprudenza amministrativa vedi TAR Liguria, Sez. 1^, 21.2.2003, n. 225; TAR Lazio-Latina, 29.3.2006, n. 210 e lo stesso Consiglio di Stato Sez. 4^, 1,7.2005, n. 3674 ha rilevato, in proposito, che "sarebbe incoerente rispetto alla ratio della norma, ai principi generali dell'ordinamento ed al corretto perseguimento degli interessi pubblici connessi e desumibili altresì dalla medesima L. n. 353, art. 1 ritenere che l'operatività dei divieti e, più in generale delle prescrizioni fondamentali della norma, oltretutto caratterizzati dalla sanzione penale in caso di violazione, possa essere subordinata all'effettivo adempimento di un'attività amministrativa di mera certificazione ed elencazione, e perciò di carattere dichiarativo e non costitutivo". Anche questa Corte Suprema, del resto, già si è pronunciata nel senso della "immediata operatività del divieto di edificazione", evidenziando che "la mancata attuazione della ricognizione e della stesura dell'apposito catasto non può essere confusa con la mancata realizzazione di una condizione sospensiva dell'efficacia della legge, poiché non è pensabile, senza contraddire con la lettera ed il fine della norma, che la sua attuazione sia affidata alla solerzia di qualche funzionario" così Cass., Sez. 5^, 27.6.2003, n. 27799, Cavani.
3.2 La condotta del reato di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10, comma 4, consiste nel realizzare, "su soprassuoli percorsi dal fuoco", edifici o strutture ed infrastrutture finalizzati ad insediamenti civili ed attività produttive e la "ratio" della previsione è quella di impedire ogni utilizzo dei terreni percorsi dal fuoco (che costituisce, assai spesso, il movente degli incendiari).
La norma non si riferisce ai soli terreni censiti - posizione restrittiva definitivamente abbandonata, come si è detto, già con il D.L. n. 332 del 1993 - e, conseguentemente, devono ritenersi assoggettati a sanzione tutti i comportamenti miranti a realizzare l'edificazione nelle aree percorse dal fuoco attraverso l'approntamento delle strutture ed infrastrutture a ciò necessaria. La individuazione di tali aree, ai fini dell'applicazione della sanzione penale, spetta all'attività ricognitiva del giudice e ciò non comporta violazione del principio di tassatività o di determinatezza, poiché tale principio non impone l'assenza, nella formulazione della fattispecie, di elementi, valutativi o normativi, elastici (aperti cioè a possibili soluzioni dipendenti dall'apprezzamento del giudice), ma postula una incompatibilità logica con elementi vaghi, e ciò si verifica quando i parametri definitori siano non individuabili o di contenuto indeterminabile, tanto da comportare la indeterminatezza del precetto già a livello generale ed astratto, precludendo di stabilire a priori ciò che è comandato o vietato.
Nella fattispecie descrittiva in esame, considerata nel complesso dei suoi segni linguistici:
non si configura - contrariamente a quanto postulato dalla difesa - un'ipotesi di norma penale in bianco, perché il precetto non ha carattere generico, esaurentesi in una mera enunciazione di "obbligo di ubbidienza" senza indicare le "condotte disubbidienti", e non ha bisogno, per concretizzarsi e divenire attuale, di essere integrato dal contenuto di atti normativi di grado inferiore;
sicuramente è dato rinvenire, inoltre, il grado di determinatezza necessario e sufficiente a consentire al giudice di individuare, una volta compiuta l'attività interpretativa a lui demandata, il tipo di fatto predeterminato nella sua unità di disvalore.
Non si configura, pertanto, alcun profilo di incostituzionalità (riconducibile al precetto posto dall'art. 25 Cost., dalla cui ratio viene desunto il principio di tassatività), in quanto all'apprezzamento del giudice viene demandato soltanto un atto di interpretazione e di accertamento fattuale in riferimento a parametri descrittivi tutt'altro che equivoci.
3.3 Le esposte considerazioni evidenziano l'infondatezza dei motivi di ricorso con i quali i ricorrenti lamentano la inconfigurabilità dei reati ad essi ascritti in ragione del mancato esperimento delle procedure di individuazione e perimetrazione previste dalla L. n. 353 del 2000, comma 2.
Quanto poi all'accertamento operato dfti giudici del merito in ordine alla delimitazione dell'ambito territoriale effettivamente percorso dell'incendio ed al parziale sconfinamento in tale ambito della struttura portuale fondantesi: su aerofotogrammetria del AIMA del 1997; su riprese fotografiche aeree del 23.9.1998; sulla comunicazione di notizia di reato 6.8.1998 della Guardia forestale di Scanzano Jonico; sulla documentazione fotografica del gennaio 2005, realizzata su delega del P.M. dal Nucleo investigativo antincendi boschivi; nonché sulla non illogica valutazione anche delle dichiarazioni rese dal teste Gaetano Corallo, va rilevato che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
4. Si è già detto che, con la legge n. 350/2003, è stato
modificato della Legge-quadro n. 353 del 2000, art. 10, comma 1, quarto periodo, introducendosi una previsione di esclusione del divieto decennale di inedificabilità (per la realizzazione di edifici nonché di strutture ed infrastnitture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive) nei casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data.
Nel testo precedente alla modifica, invece, erano fatti salvi i casi in cui fosse "stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione".
Il nuovo sistema, dunque, è meno rigoroso: non si richiede, infatti, il pregresso rilascio di un titolo abilitativo, a seguito del connesso vaglio istruttorio; ritenendosi sufficiente la previsione dell'intervento negli strumenti urbanistici vigenti anteriormente all'incendio.
4.1 Nella vicenda che ci occupa la pianificazione vigente nel Comune di Pisticci all'epoca dell'esperimento della procedura amministrativa per cui si procede risulta integrata da:
piano regolatore generale approvato il 27.2.1974;
variante parziale "Piano dei Lidi", adottata il 14.10.1982 e definitivamente approvata dalla Regione con Delib. 3 aprile 1985, pubblicata sul Bur del 16.6.1985;
variante generale del PRG, adottata il 12.12.1984 e definitivamente approvata dalla Regione con Delib. 9 luglio 1990.
La variante parziale "Piano dei Lidi" è stata annullata dal TAR Basilicata con sentenza pubblicata il 25.7.1997 (per ritenuto difetto di istruttoria) e, secondo la Corte di appello di Potenza, quella decisione - stante il ravvisato rapporto di identità tra il contenuto amministrativo della variante speciale e quello della variante generale - avrebbe implicato l'automatica caducazione anche degli atti della procedura amministrativa inerente la variante generale al PRG.
Secondo la prospettazione difensiva, invece, il procedimento inciso dalla sentenza del TAR "non si pone in nessun rapporto di presupposizione con l'altro (diverso ed altrettanto autonomo) procedimento della variante generale".
Erroneamente, pertanto, gli effetti dell'annullamento della variante parziale sarebbero stati ritenuti estesi anche alla variante generale, sulla considerazione (altrettanto erronea) che la prima dovesse configurarsi quale "atto presupposto" e la seconda quale "atto consequenziale".
Tale valutazione non sarebbe corretta, non potendosi ravvisare tra i due atti "un collegamento così stretto, nel contenuto e nel modo di operare, da far ritenere che quello successivo sia in uno stretto rapporto di derivazione dal precedente".
La variante generale approvata nel 1990 già destinava a porto l'area interessata dal progetto ed il successivo accordo di programma (approvato con D.P.G.R. Basilicata 17 marzo 2004, n. 74 e ratificato con Delib. Consiglio Comunale Pisticci 25 marzo 2004, n. 9) "non ha impresso una diversa destinazione all'area in questione ma ha inciso soltanto su alcuni parametri di ordine planimetrico e volumetrico in relazione all'intervento già previsto a livello di pianificazione generale dal relativo strumento urbanistico".
Da ciò - sempre secondo l'assunto difensivo - l'applicabilità del "regime eccettuato" previsto dalla Legge-quadro n. 353 del 2000, art. 10, comma 1, quarto periodo.
4.2 A giudizio del Collegio, però, è irrilevante discettare, nella vicenda che ci occupa, circa l'estensione degli effetti giuridici della decisione giurisdizionale di annullamento della variante speciale.
Quale che sia l'ambito di efficacia attribuibile a detto annullamento, infatti, la questione afferente l'esclusione del divieto decennale di inedificabilità va affrontata e risolta tenendo presente che la L. n. 353 del 2000, art. 10 - allorquando fa richiamo alla previsione della realizzazione delle infrastrutture, in data precedente l'incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti - non si riferisce ad una previsione di zona, bensì ad una localizzazione di area.
Nella specie non risulta che nella variante generale del 1990 fossero stati specificamente individuati i confini planimetrici dell'area in cui è stato poi progettato l'insediamento del porto e tanto deve anzi escludersi per la ritenuta necessità di addivenire successivamente ad un accordo di programma in variante, che, pur non modificando la destinazione di zona, ha inciso comunque sulla localizzazione dell'intervento, cioè proprio sui quei "parametri di ordine planimetrico" evocati dagli stessi ricorrenti nell'atto di gravame.
5. Viene poi prospettata nel ricorso la configurabilità, in ogni caso, della scriminante dell'esercizio di un diritto, ex art. 51 c.p., sull'assunto che tutte le opere eseguite sarebbero state, comunque, esplicitamente autorizzate con la L.R. Basilicata 2 marzo 2004, n. 6.
Anche questa doglianza deve ritenersi infondata, poiché la citata legge regionale ha proceduto all'approvazione di una "Variante al Piano territoriale paesistico di area vasta del Metapontina", per la localizzazione di porti turistici sulla costa jonica, ma, nelle "Carte delle trasformabilità" ad essa allegate, non risulta avere individuato i confini dell'area in cui si sarebbe dovuto insediare il "Porto degli Argonauti", in località Lido di Macchia del Comune di Pisticci.
6. Il reato contravvenzionale ascritto ad Ammendola e De Nicolò è estinto, però, per intervenuta prescrizione.
Detta contravvenzione risulta accertata "fino all'1.10.2004" e la scadenza della prescrizione coinciderebbe, pertanto, con l'1.4.2009. Nessun effetto concreto si riconnette al computo (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) di una sospensione del corso della prescrizione per complessivi mesi 3 e giorni 14, in seguito a rinvii disposti su richiesta dell'imputato e del difensore dal 21.9.2006 al 2.11.2006 e dal 21.11.2008 al 22.1.2009 non per esigenze di acquisizione della prova ne' a causa del riconoscimento di termini a difesa. Il termine ultimo di prescrizione, infatti, viene soltanto spostato al 15.7.2009.
Deve essere conseguentemente eliminata, per il ricorrente Ammendola, la relativa pena di mesi uno di reclusione (mentre la pena inflitta al De Nicolò resta totalmente elisa in seguito alla declaratoria di estinzione dell'unico reato a lui contestato). 6.1 L'estinzione per prescrizione del reato di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10, comma 4, punito con le sanzioni di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), travolge l'ordine di demolizione delle opere illecite e di ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile, impartito ai sensi dell'ultimo periodo dello stesso comma 4, fermi restando gli autonomi poteri-doveri delle autorità amministrative.
Deve ritenersi che tale effetto rescindente si produca "ex legè", indipendentemente da un'espressa statuizione di revoca, tenuto conto che la norma conferisce al giudice penale soltanto il potere-dovere di impartire un ordine accessivo alla condanna, a tutela di un interesse correlato a quello di giustizia: il comando è già contenuto in astratto nella legge ed il giudice lo ribadisce nel caso concreto con l'effetto di semplificare l'accertamento; quando viene meno lo stesso presupposto della previsione legislativa (cioè la condanna) viene meno anche il comando.
Nella fattispecie in esame, pertanto, la caducazione dell'ordine di demolizione e ripristino deve ritenersi conseguente alla pronuncia di estinzione del reato.
7. La concessione del beneficio della non- menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e deve essere subordinata ad una valutazione positiva o negativa delle circostanze di cui all'art. 133 c.p., ma il giudice non è tenuto ad una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della sua decisione sul punto.
Nella fattispecie in esame, dunque, legittimo appare il diniego del beneficio con motivazione adeguatamente riferita alla considerazione che gli imputati hanno "callidamente inficiato l'intero iter amministrativo con la produzione di un atto del quale è stata dichiarata la falsità, al fine di realizzare una significativa trasformazione urbanistica".
8. Al rigetto integrale del ricorso del Piati segue per quel ricorrente, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615, 616 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata - limitatamente al capo a) dell'imputazione contestato ad Ammendola e De Nicolò - per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina, per Ammendola, la relativa pena di mesi uno di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto Plati Gianfranco al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010