Cass. Sez. III n. 13861 del 24 marzo 2014 (Ud.11 feb. 2014)
Pres. Squassoni Est. Aceto Ric. Bragalone
Urbanistica.Sequestro e permesso di costruire in sanatoria
La mera presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria non è, di per sé, idonea ad escludere il pericolo che la libera disponibilità dell'immobile abusivamente realizzato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito ovvero agevolarne la commissione di altri . In ogni caso, il permesso di costruire in sanatoria non estingue i reati edilizi in materia antisismica e in materia di opere in cemento armato, sicché, anche il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (nella fattispecie relativo ad un solo muro di contenimento è circostanza del tutto ininfluente ai fini del mantenimento del vincolo reale, persistendo gli altri reati che pure sono stati consumati con la sua costruzione.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. B.L. è persona sottoposta a indagine in ordine agli ipotizzati reati di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. b, (capo A); art. 81 cpv. c.p., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 64, 71 e 72, (capo B); art. 81 cpv. c.p., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 93, 94 e 95 (capo C), commessi in (OMISSIS).
Si sostiene che, in assenza di permesso di costruire, senza averne fatto denunzia, nè dato avviso agli organi ed uffici competenti, in zona sismica e con opere in cemento armato, abbia abusivamente ampliato un preesistente fabbricato agricolo (aumentandolo di mc. 188,57), realizzato inoltre una scala esterna ed elevato un muro di contenimento.
Sulla base di questa imputazione provvisoria, con decreto del 2 gennaio 2013, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Frosinone aveva sottoposto a sequestro preventivo le opere edilizie in questione.
Con istanza del 27 marzo 2013 l'interessato aveva chiesto la revoca, anche parziale, del sequestro adducendo il sopravvenuto venir meno delle esigenze cautelari a causa dell'accoglimento, da parte del Comune di Vico nel Lazio, dell'istanza di cui al D.P.R. 30 giugno 2001, n. 380, art. 34, comma 2, e del pagamento della sanzione pecuniaria ivi prevista.
Con ordinanza del 4 aprile 2013, il giudice aveva rigettato la richiesta sul rilievo che: 1) sul provvedimento si era ormai formato il c.d. giudicato cautelare; 2) in ogni caso, il procedimento di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, cit. non determinava l'estinzione del reato ma riguardava esclusivamente il procedimento sanzionatorio amministrativo; 3) non era possibile il dissequestro parziale perchè l'ampliamento costituiva corpo unico con l'intero preesistente fabbricato.
Con ordinanza del 2 maggio 2013, il Tribunale di Frosinone, in funzione di giudice del riesame, rigettava l'appello proposto dall'odierno ricorrente.
Premessa la considerazione che il giudicato cautelare (testualmente) "si forma anche a seguito della omessa impugnazione di un'ordinanza impositiva", il tribunale osservava che, in ogni caso, non potevano considerarsi fatti nuovi: 1) la nota del Comune del 9 aprile 2013 con la quale si dava atto che l'immobile in sequestro era da considerarsi ultimato; 2) la presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria; 3) l'accoglimento dell'istanza di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34.
Quest'ultimo fatto, evidenziava l'impugnata ordinanza, non era suscettibile di produrre effetti penalmente rilevanti. Allo stesso modo, proseguiva, non poteva averne la mera presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria che, peraltro, in caso di positivo accoglimento, non avrebbe comunque estinto (e non estinguerebbe) gli ulteriori reati contravvenzionali di cui ai capi B e C dell'imputazione provvisoria. Dai rilievi fotografici eseguiti in occasione del sequestro, proseguiva, si evinceva che la parte di annesso agricolo realizzata in ampliamento, pur completa nelle strutture, mancava delle rifiniture (veniva citato, a titolo di esempio, il balcone del primo piano); nè poteva dirsi completata l'opera per il sol fatto che la stessa fosse utilizzata, coincidendo l'ultimazione dei lavori con la definitiva rifinitura degli interni e degli esterni, quali intonaci ed infissi. L'immobile, dunque, "nella sua parte abusiva non poteva ritenersi del tutto completato, in quanto necessità di, seppur limitati, lavori di finitura che inevitabilmente aggravano il reato".
Ad abundantiam, il tribunale evidenziava che, giusta giurisprudenza di questa Corte, il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere effettuato anche su immobili abusivi già ultimati e rifiniti laddove la loro libera disponibilità possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul c.d. carico urbanistico.
2. Ricorre per Cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, il sig. B. chiedendo l'annullamento dell'impugnata ordinanza ed articolando, a sostegno, tre motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo denunzia inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p., sotto il profilo della mancanza di attualità del "periculum in mora"; mancanza assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente in relazione alla pretesa irrilevanza, nell'ambito di valutazione delle esigenze cautelari, del provvedimento di cui all'art. 34 T.U. c.d., nonchè del parere favorevole intervenuto sulla domanda di sanatoria relativa al muro di contenimento in cemento armato.
Afferma il ricorrente che il provvedimento di cui all'art. 34 T.U. c.d., così come il parere favorevole al rilascio del permesso di costruire, pur non avendo incidenza sulla regolarizzazione dell'illecito, ciò nondimeno dimostra che le opere sono "tollerate nello stato in cui si trovano in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente".
Per cui, essendo a monte preclusa la possibilità di procedere ad una parziale demolizione dell'opera e dovendosi interpretare i citati atti e provvedimenti amministrativi come prova del venir meno della concreta offensività della condotta, ne consegue che dovevano ritenersi venute meno le esigenze cautelari.
2.2 Con il secondo motivo denunzia inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p., per mancanza del "periculum in mora" atteso che le opere abusive alla data del sequestro erano già ultimate; mancanza assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente nell'ambito di valutazione delle esigenze cautelari, il relazione alla asserita non ultimazione delle opere. Violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3.
La motivazione addotta dal tribunale a sostegno della decisione non tiene in alcun conto, afferma il ricorrente, della nota con la quale l'ufficio tecnico del Comune di Vico del Lazio aveva precisato che l'immobile, giusta la normativa vigente, doveva considerarsi ultimato. Tale nota, prosegue, proveniva dallo stesso organo che, unitamente al personale della Polizia Locale, aveva proceduto all'accertamento della notizia di reato mediante sopralluogo del 13 ottobre 2012. Il balcone, cui si fa riferimento nell'ordinanza, in realtà appartiene alla parte di immobile preesistente, legittimamente autorizzata con permesso di costruire del 27 maggio 2011 e successiva variante. La motivazione dunque è del tutto apparente, risultando le opere in contestazione già completate.
2.3 L'ultimo motivo di ricorso denuncia mancanza assoluta di motivazione, o motivazione meramente apparente, nell'ambito di valutazione delle esigenze cautelari, in relazione all'asserito aggravio del c.d. "carico urbanistico". Violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3.
Il tribunale non aveva motivato sulla reale incidenza dell'abuso sul carico urbanistico, essendosi limitato a richiamare genericamente l'insegnamento giurisprudenziale senza però applicarlo alla concreta realtà, che vede un limitato aumento di volumetria di un preesistente fabbricato rurale, la realizzazione di una scala esterna e di un muro di contenimento, in un contesto nel quale l'assenza di concreto danno urbanistico era avallata dagli atti e provvedimenti amministrativi sopra citati.
3. Il 5 febbraio 2014 il difensore dell'imputato ha depositato in Cancelleria il permesso di costruire in sanatoria rilasciato ai sensi dell'art. 36 T.U. Ed avente ad oggetto il solo muro di contenimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
5.Va preliminarmente ricordato che avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324 c.p.p., il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge.
Come già spiegato da questa Corte "in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui dell'art. 606 c.p.p., lett. e)". (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonchè, tra le più recenti, Sez. 5^, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1^, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6^, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore).
Motivazione assente (o materiale) è quella che manca fisicamente (Sez. 5^, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5^, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o che è graficamente indecifrabile (Sez. 3^, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi); motivazione apparente, invece è solo quella che "non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti" (Sez. 1^, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa (Sez. 1^, n. 1831 del 22/04/1994, Caldaras; Sez. 4^, n. 520 del 18/02/1999, Reitano; Sez. 1, n. 43433 dell'8/11/2005, Costa; Sez. 3^, n. 20843, del 28/04/2011, Saitta) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6^, n. 7441 del 13/03/1992, Bonati; Sez. 6^, n. 25361 del 24/05/2012, Piscopo) e, più in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione.
Al riguardo va osservato che, soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101 Cost., comma 2), esercizio della funzione giurisdizionale da parte di magistrati autonomi e indipendenti (artt. 102, 104 e 106 Cost.), attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato per legge (art. 111 Cost., comma 1), obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111 Cost., comma 6), controllo esercitabile dalla Corte di cassazione su tutte le sentenze e su tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali (art. 111 Cost., comma 7), sono valori che qualificano, sul piano processuale, il quomodo della giurisdizione, e che sono posti, sul piano sostanziale, a presidio e garanzia del principio di legalità e, con specifico riferimento alla materia penale, del principio di riserva assoluta di legge (art. 25 Cost., comma 2), nonchè dell'inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.), del domicilio (art. 14 Cost.), della libertà e segretezza della corrispondenza (art. 16 Cost.), del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
In questo contesto, la motivazione assolve all'onere di chiarire se, e come, la regola generale e astratta (la legge, in senso lato) sia stata esattamente applicata al caso concreto e di evitare, attraverso il controllo di merito e, infine, di legittimità, che essa non affondi le sue radici in una volontà diversa da quella della legge cui il giudice è soggetto; essa assolve all'onere di spiegare perchè il diritto inviolabile ha potuto esser compresso, se ed in che modo sia stato rispettato il diritto di difesa, se ed in che modo l'esercizio di tale diritto abbia potuto contribuire a confezionare la regola del caso concreto.
In questo senso, la finta motivazione è l'abdicazione del giudice al suo dovere principale, è la negazione della sua funzione di garanzia, connaturale alla sua indispensabile terzietà, è una porta chiusa frapposta a ogni tipo di controllo, che non consente di ripercorrere la via che collega la regola astratta al fatto esaminato.
Alla luce di tale premessa, deve escludersi che l'ordinanza censurata, del cui contenuto s'è dato sopra sommariamente atto, sia priva di motivazione, o si articoli attraverso una motivazione che possa definirsi apparente.
Il Tribunale, infatti, ha spiegato, con motivazione certamente sufficiente e adeguata, perchè ha ritenuto irrilevanti, sotto il profilo della persistenza del "periculum in mora", i fatti dedotti dal ricorrente a fondamento dell'appello cautelare.
Tale giudizio di irrilevanza, peraltro, fonda sulla corretta applicazione della legge e dei principi di diritto concretamente applicati dal tribunale in risposta ai singoli motivi di ricorso.
5.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso, osserva preliminarmente la Corte che, in via generale, "la mera presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria non è, di per sè, idonea ad escludere il pericolo che la libera disponibilità dell'immobile abusivamente realizzato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell'illecito ovvero agevolarne la commissione di altri" (Sez. 3^, n. 39731 del 28/09/2011, Rainone). In ogni caso, il permesso di costruire in sanatoria di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 36, non estingue i reati edilizi in materia antisismica e in materia di opere in cemento armato, pure ipotizzati ai capi B e C della rubrica (principio assolutamente consolidato; si vedano, sul punto, Sez. 3^, n. 11271 del 17/02/2011, Braccolino; Sez. 3^, n. 20275 del 14/03/2008, Terracciano; Sez. 3^, n. 19256 del 13/04/2005, Cupelli; Sez. 3^, n. 23287 del 22/04/2004, Petito).
Sicchè, anche il rilascio del permesso di costruire in sanatoria relativo al (solo) muro di contenimento (fatto successivo all'adozione dell'ordinanza impugnata) è circostanza del tutto ininfluente ai fini del mantenimento del vincolo reale, persistendo gli altri reati che pure sono stati consumati con la sua costruzione.
Il pagamento della sanzione di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 34, comma 2, inoltre, non ha alcuna efficacia sanante dei reati ipotizzati a carico del ricorrente poichè si tratta di norma che si applica ai soli interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo edilizio, non anche a quelli (come nella specie) eseguiti in assenza di permesso di costruire (o di titolo equipollente). Sicchè, oltre a non spiegare alcun effetto sostanziale, l'accettazione del pagamento da parte dell'autorità comunale non può essere legittimamente intesa come manifestazione di "tolleranza" delle opere nello stato in cui si trovano, posto che, per tali opere, il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, prevede esclusivamente la demolizione e il ripristino dello status quo ante (comma 2) e, in caso di inottemperanza, l'acquisizione del bene e dell'area di sedime al patrimonio del Comune. Si tratta di conseguenze che possono essere evitate solo con il permesso in sanatoria rilasciato all'esito del positivo accertamento di conformità di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, cit.. Ma anche tale accertamento non sfugge al necessario controllo di legalità del giudice penale che, ove rilevi la non conformità dell'opera alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda, deve comunque ritenere la sussistenza del reato, a prescindere dal giudizio positivamente espresso dalla pubblica amministrazione (Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012, Lo Vullo; Sez. 3^, n. 26144 del 22/04/2008, Papa; Sez. 3^, n. 41620 del 02/10/2007, Emelino; Sez. 3^, n. 18764 del 26/02/2003, Demori; Sez. 3^, n. 4877 del 18/12/2002, Tarini). L'accettazione del pagamento della somma di cui all'art. 34 d.P.R. 380/2001, dunque, è circostanza che, ponendosi completamente al di fuori dello schema legale tipico sopra delineato, non è affatto suscettibile di essere valutata alla stregua di un giudizio di "tolleranza" dell'opera, men che meno di assenza di concreta offensività della condotta.
5.2. Con il secondo motivo vengono prospettate questioni di fatto, non valutabili in questa sede.
Il ricorrente, infatti, sostiene che il tribunale ha affermato che l'opera "non risulterebbe ultimata in quanto sarebbe mancante del balcone al primo piano", che, però, aggiunge il ricorrente, appartiene all'immobile preesistente.
Il tribunale, in realtà, ha affermato una cosa diversa; ha infatti sostenuto che dalle fotografie si evince che "la parte di annesso agricolo realizzata in ampliamento e non autorizzata, pur essendo completa nella struttura, manca di rifiniture (ad esempio il balcone al primo piano)" ed ha proseguito affermando che "l'immobile nella sua parte abusiva non può ritenersi del tutto completato, in quanto necessita di seppur limitati lavori di rifinitura".
Nell'ottica ricostruttiva dei fatti, dunque, il balcone è citato solo quale esempio della mancata rifinitura dell'opera, ma è evidente che è l'opera nel suo complesso che viene in rilievo, non il solo balcone.
Così stando le cose, il tribunale ha fatto corretta applicazione del consolidato principio affermato da questa Corte di cassazione secondo il quale, in tema di reati edilizi, "ai fini del concetto di ultimazione dei lavori, non basta che siano portate a compimento le strutture essenziali della costruzione ma occorre, altresì, che non si rendano necessari ulteriori lavori di completamento.
L'attività criminosa permane anche in tal caso, realizzandosi lo scopo economico-sociale in modo non conforme con la tutela degli interessi pubblici connessi alla disciplina del territorio. La tecnica moderna consente, infatti, di poter realizzare in tempi anche molto brevi le strutture essenziali di un manufatto (che in termini economici rappresentano soltanto una parte del costo complessivo) lasciandosi ad un momento successivo il completamento (pavimenti, servizi, intonacatura, ecc.)" (Sez. 3^, n. 908 del 6/12/1982, Guccione; si veda, più recentemente, Sez. 3^, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, citata anche nell'ordinanza impugnata).
Si tratta di un giudizio che, riguardando il momento consumativo del reato, è riservato esclusivamente al giudice penale ed è ancorato a dati di fatto, non a valutazioni della pubblica amministrazione o di altri organi, fosse anche la stessa polizia giudiziaria, i quali possono descrivere lo stato delle cose, ma non trarne le relative conseguenze.
Bene dunque ha fatto il tribunale a negligere la nota con la quale l'ufficio tecnico comunale avrebbe precisato (il 9 aprile 2013 e dunque in epoca successiva al sequestro) che l'immobile doveva considerarsi ultimato "secondo la normativa vigente".
5.3.Le considerazioni che precedono assorbono ed esauriscono ogni ulteriore esame in ordine al terzo motivo di ricorso posto che le considerazioni in ordine alla sussistenza del c.d. "carico urbanistico" sono state svolte solo "ad abundantiam" dal tribunale e con richiami sostanziali alla mancata ultimazione dell'opera.
6. Il ricorso deve dunque essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2014