Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 39, del 8 gennaio 2013
Urbanistica. Condono data certa ultimazione dei lavori

L'onere della prova dell'ultimazione dei lavori edilizi entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria. Ciò perché mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che richiede la sanatoria può fornire qualche documentazione da cui si desuma che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, come ad es. fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all'esecuzione dei lavori e/o all'acquisto dei materiali ecc. La giurisprudenza di merito si è peraltro spinta ad affermare, sul solco di tale orientamento, che anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall'interessato, l'Amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono edilizio ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 00039/2013REG.PROV.COLL.

N. 00721/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 721 del 2009, proposto da: 
Spagnulo Brigida, rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Massari, con domicilio eletto presso Giampaolo Maria Cogo in Roma, via Antonio Bertoloni, 1/E;

contro

Spagnulo Francesco, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe A. Fanelli, con domicilio eletto presso Pierfrancesco Frascella in Roma, via di Villa Emiliani, 21;

nei confronti di

Comune di Monteiasi;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della PUGLIA - Sezione STACCATA DI LECCE- SEZIONE III n. 03929/2007, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA RELATIVA A IMMOBILE ABUSIVAMENTE REALIZZATO.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Giampaolo Maria Cogo (su delega di Nicola Massari) e Giuseppe Fanelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellato Sig. Francesco Spagnulo l’annullamento della concessione edilizia del 12.4.2000 n. 30 rilasciata dal Comune di Monteiasi, asseritamente conosciuta dall’appellato in data 8.10.2001, avente ad oggetto la sanatoria ex art. 12 della legge n. 47/1985 dell’immobile abusivamente realizzato dalla controinteressata Brigida Spagnulo.

L’originario ricorrente aveva in proposito esposto di essere proprietario di un appartamento sito in Monteiasi, via Gramsci n. 17, piano terra, ubicato in un immobile composto anche da un piano terra e da un primo piano di proprietà della Sig.ra Brigida Spagnulo.

Alcuni anni fa, quest’ultima (odierna appellante) aveva realizzato abusivamente un manufatto edilizio al primo piano dell’edificio, in ampliamento dell’immobile esistente e su un lastrico solare di proprietà dell’originario ricorrente (a sua volta da quest’ultimo abusivamente realizzato e successivamente sanato dalla concessione edilizia 23 giugno 1999 n. 35, rilasciata ai sensi dell’art. 13 della l. 47 del 1985).

L’originario ricorrente in data 10.10.2001 aveva conseguito, mediante esercizio del diritto di accesso, copia della concessione edilizia 12.4.2000 n. 30, avente ad oggetto la sanatoria ex art. 12 l. 47/1985 dell’immobile abusivamente realizzato dalla controinteressata Brigida Spagnulo ed aveva proposto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sostanzialmente lamentando che la predetta concessione in sanatoria era illegittima perché fondata su una dichiarazione mendace in ordine alla data di realizzazione dell’abuso e, quindi, su un falso presupposto.

Il primo giudice ha in primo luogo respinto l’eccezione di irricevibilità per tardività del proposto gravame, evidenziando che l’odierna appellante (sulla quale gravava l’onere di fornire la prova della intempestività dell’azione giudiziaria intentata) non aveva provato la piena ed effettiva conoscenza da parte dell’originario ricorrente della avversata concessione edilizia in data incompatibile con la proposizione del ricorso.

Nel merito ha ritenuto fondato il gravame, avendo accertato che la perizia giurata allegata alla richiesta di <<concessione edilizia a sanatoria, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 47/85>> presentata dalla controinteressata aveva individuato l’epoca di costruzione del manufatto nel periodo 1967-1968 e nei genitori della Spagnulo gli autori dell’abuso.

Ivi, infatti, era dato riscontrare l’affermazione per cui <<tale abuso, da quanto riferito dalla sig.ra Spagnulo Brigida, fu realizzato dai genitori Spagnulo Santo e Piccoli Teodora nel periodo 1967-1968, in difformità dalla licenza edilizia rilasciata dal Comune di Monteiasi in data 21.5.1964. In data 12.4.1973, con atto per notaio Giovanni Sebastio, i genitori donarono il fabbricato in oggetto alla Sig.ra Spagnulo Brigida>>.

Conformemente a tale asserzione, nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà 8.3.2000 resa dalla appellante ed allegata all’istanza di concessione edilizia in sanatoria la Sig.ra Brigida Spagnulo aveva dichiarato che <<le opere eseguite in difformità della licenza edilizia rilasciata in data 21/05/1964 a Spagnulo Santo a primo piano risalgono al periodo 1967-68>>.

Senonché l’originario ricorrente aveva depositato in giudizio documentazione fornita di data certa che dimostrava -in assenza di contrari elementi probatori dedotti da parte della odierna appellante - che l’abuso edilizio era stato presumibilmente compiuto in data successiva al 12 aprile 1973 e non, come dichiarato dalla appellante, nel periodo 1967-1968.

Infatti, in data 12 aprile 1973, i Sigg. Santo Spagnulo e Teodora Piccoli avevano donato alla figlia Sig. Brigida Spagnulo l’immobile sito al primo piano del fabbricato realizzato in Monteiasi, via Gramsci n. 16 (nello stesso periodo, i genitori avevano donato altresì all’altro figlio e originario ricorrente, Sig. Francesco Spagnulo la residua parte dello stesso immobile sita al piano terra).

Detto atto di donazione 12 aprile 1973, versato in atti, conteneva una descrizione dell’immobile (<<ingresso, un vano alla strada, un vano interno, cucina e gabinetto che formano l’intero primo piano dello stabile>>) che non comprendeva le opere successivamente oggetto di sanatoria (e che, secondo la dichiarazione allegata alla istanza di sanatoria, dovevano essere già esistenti da circa cinque anni).

Parimenti, la scheda catastale 6 aprile 1973 n. 17 (richiamata nell’atto di donazione al fine di individuare, con maggiore esattezza, l’immobile trasferito) non riportava assolutamente la parte dell’immobile successivamente oggetto della concessione in sanatoria impugnata.

In assenza di contrarie allegazioni da parte della odierna appellante, doveva pertanto ritenersi, secondo i primi Giudici, che il manufatto abusivo fosse stato realizzato in data successiva al 12 aprile 1973 (data dell’atto di donazione dell’immobile) e non nel periodo 1967-1968, come falsamente dichiarato nella richiesta di concessione in sanatoria: detto provvedimento abilitativo “sanante” era pertanto illegittimo, in quanto fondato su un falso presupposto, e doveva quindi essere annullato.

Peraltro il Tribunale amministrativo regionale ha anche rilevato che la dichiarazione non rispondente al vero si inseriva in un contesto complessivo in cui era del tutto mancato qualsivoglia accertamento in ordine alla proprietà (o, almeno, alla disponibilità) dell’area oggetto dell’intervento di edificazione, per effetto della violazione della previsione dell’art. 29, 2° comma della l.r. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 (in quanto il manufatto era stato realizzato sul lastrico solare abusivamente realizzato dall’appellato) .

L’odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe (chiedendo la riforma dell’appellata decisione).

Ha ripercorso il risalente e prolungato contenzioso intercorso con il proprio germano ed odierno appellato ed ha fatto presente che erroneamente il Tar aveva fondato la propria decisione sulla circostanza che l’atto di donazione non recava menzione delle opere abusivamente realizzate: sarebbe stato, infatti, impossibile che il detto atto ne avesse fatta menzione, in quanto ciò avrebbe implicato un’autodenuncia dell’abuso.

Anche sotto il profilo dell’accertamento della proprietà la sentenza appariva errata, in quanto aveva acriticamente recepito la tesi dell’appellato, secondo cui quest’ultimo avrebbe ampliato il piano terra dell’immobile e, successivamente, la germana odierna appellante avrebbe costruito sul lastrico solare.

Il primo giudice aveva dato atto della incertezza in ordine alla individuazione del soggetto effettivamente proprietario: ciò avrebbe reso necessaria la sospensione del giudizio in attesa che sulla questione si pronunciasse il Tribunale ordinario di Taranto (reiterando altresì la domanda di sospensione del giudizio anche finalizzata all’adozione di una ordinanza di sospensione del giudizio adottata nell’odierno procedimento d’appello).

L’appellato ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello, perché infondato, facendo presente che risultava per tabulas che l’abuso era stato commesso dopo il 1973 e che – comunque- ai fini della verifica della illegittimità della concessione in sanatoria rilasciata dal comune non era affatto necessaria la risoluzione della pregiudiziale questione in ordine alla titolarità dell’area; non ricorreva, pertanto, la necessità di sospendere il processo in attesa della definizione del giudizio innanzi al Tribunale ordinario.

Ha poi riproposto i motivi di censura già articolati in primo grado ed assorbiti dal primo giudice.

All’adunanza camerale del 5 luglio 2011 la Sezione con ordinanza n. 7839/2011 ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione, in base alla considerazione per cui “anche se è pendente causa dinanzi al giudice civile sulla proprietà delle parti dell’immobile, allo stato non risulta adottato alcun provvedimento di demolizione;”.

L’amministrazione comunale ha depositato una relazione, nell’ambito della quale ha ripercorso le principali tappe del procedimento di sanatoria avviato dall’appellante ed ha dato atto delle acquisizioni probatorie prodotte dall’appellante e depositate agli atti del procedimento.

Alla pubblica udienza del 18 dicembre 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio

DIRITTO

1. l’appello è infondato e va pertanto respinto: ritiene peraltro il Collegio che la causa sia matura della decisione e non sia necessario l’espletamento di alcun ulteriore incombente istruttorio: ogni istanza in tal senso deve essere pertanto disattesa, stante la completezza del materiale cognitivo agli atti alla stregua dell’ambito oggettivo delle questioni devolute all’esame del Collegio.

1.1. In via preliminare si evidenzia che è certamente inaccoglibile la doglianza tesa ad evidenziare la asserita erroneità della impugnata decisione laddove non aveva disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del processo pendente innanzi al Tribunale ordinario di Taranto, volto (tale processo civile) all’accertamento della reale titolarità dell’area (e, si precisa, la infondatezza della censura implica anche reiezione del petitum volto a sollecitare l’adozione del provvedimento di sospensione nel corso dell’odierno giudizio d’appello).

Ritiene a tale proposito il Collegio che impropriamente sia stata invocata – quale disposizione applicabile alla fattispecie - quella di cui all’art. 295 cpc: ciò in adesione al condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo cui, “qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non ancora passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato è, ad ogni modo, possibile soltanto ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c., giammai ai sensi dell'art. 295 c.p.c..”. ( Consiglio di Stato sez. VI 15 febbraio 2012 n. 746; Cass. civ., Sez. III, ordinanza 16 dicembre 2009, n. 26435).

Ciò premesso, invero la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha affermato (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 14-02-1989, n. 123) che: “ ai fini dell'applicazione nel processo amministrativo dell'istituto della sospensione necessaria del giudizio disciplinata dall'art. 295 c. p. c. per i casi di pregiudizialità tra giudizi, è necessario che sussista tra i diversi provvedimenti oggetto di distinte controversie, un nesso di presupposizione o un vincolo a fronte del quale un atto –pregiudicato- sia strumento di esplicazione, attuazione o svolgimento del contenuto precettivo di un'altro oppure trovi in questo il suo supporto logico.”.

Tale consolidato orientamento si armonizza con la costante giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione secondo la quale, in materia di procedimento civile, “la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. è necessaria soltanto quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, sia imposta da una espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico - giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi, obbligatoria per il giudice, ed è meramente facoltativa , con la conseguenza che il disporla o meno rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità.” (Cassazione civile, sez. III, 12 maggio 2003 , n. 7195).

Nel caso di specie il giudizio amministrativo verteva (e verte) sulla legittimità o meno della concessione in sanatoria rilasciata: esso è un giudizio, quindi, che si appunta in via principale, se non anche esclusiva, sulla oggettiva sanabilità del manufatto in relazione al contenuto della domanda presentata, a prescindere dal soggetto realizzatore dello stesso ovvero del titolare dell’area nel quale venne realizzato.

E’ evidente pertanto che né in primo grado né nell’odierno giudizio d’appello sussistono le ragioni di pregiudizialità (neppure facoltativa) per sospendere il processo.

La doglianza va pertanto certamente disattesa.

2. Analoga sorte meritano le censure di merito, fondate sulla apodittica affermazione della pregressa realizzazione dell’abuso ad opera dei genitori dell’odierna appellante.

2.1.In via preliminare è incontroverso sia in dottrina che in giurisprudenza che, perché sia legittimamente accolta una domanda di sanatoria di abusi edilizi perpetrati, occorra sia riscontrata la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per ottenere il condono, attraverso un controllo in ordine alla veridicità delle dichiarazioni sottese alla domanda presentata dall’interessato.

Detto controllo avviene in sede amministrativa, in prima battuta, e successivamente ed eventualmente in sede giurisdizionale: in carenza di esito positivo di tale riscontro la domanda è legittimamente respinta ( ex multis: “in tema di condono edilizio, il giudice - prima di sospendere il processo a norma dell'art. 44 della L. 28 febbraio 1985, n. 47- ha il potere-dovere di controllare la sussistenza delle condizioni di applicabilità del condono in quanto si tratta di un potere di controllo strettamente connesso all'esercizio della giurisdizione, il cui mancato esercizio determina inevitabilmente ed inutilmente la dilatazione dei tempi del processo. Ciò che deve costituire oggetto del controllo giudiziale è: a) la data di esecuzione delle opere; b) il rispetto dei limiti volumetrici; c) le eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento della sanatoria ; d) la tempestività della presentazione, da parte di soggetti legittimati, di una domanda di sanatoria riferita alle opere abusive contestate nel capo di imputazione.”T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 23-03-2012, n. 910).

E’ agevole riscontrare che la data di commissione dell’illecito edilizio rientri certamente nel fulcro della attività accertativa, sia amministrativa che giudiziale (“è da escludere la formazione del c.d. silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, di cui all'art. 31 l. 28 febbraio 1985 n. 47, qualora il fabbricato abusivo sia stato ultimato dopo il 31 ottobre 1983 e l'istanza di sanatoria sia stata prodotta senza la prescritta documentazione, di talché …… ne è superfluo l'annullamento in autotutela”- Cons. Stato Sez. V, 06-05-1995, n. 721) e che, in subiecta materia, l’esigenza che le dichiarazioni sottese alla domanda siano effettivamente veridiche (trattandosi di legalizzare in via eccezionale una condotta che l’ordinamento giuridico considerava illegittimo al momento della commissione) consente , in ipotesi contraria, il ricorso ai poteri di autotutela in termini assai più ampi che laddove si trattasse di “ritirare” un atto amministrativo in virtù di un rinnovato apprezzamento dell’interesse pubblico ovvero dell’incolpevole emergere di circostanze prima ignorate (ex multis: “le domande di condono "dolosamente infedeli" non sono atte a determinare il sorgere di fattispecie di silenzio-assenso e, di conseguenza, non essendosi formato alcun –silenzioso - provvedimento di accoglimento, neppure vi è necessità per il Comune di ricorrere alla c.d. autotutela prima di emanare il provvedimento di diniego, mancando qualsivoglia atto da annullare” T.A.R. Liguria Genova Sez. I, 01-07-2005, n. 998).

Di converso, la giurisprudenza penalistica ha costantemente affermato che, laddove il privato, in una dichiarazione allegata alla domanda di sanatoria di un abuso edilizio, riferisca falsamente di avere completato l’abuso in una epoca antecedente a quella reale, ricorre la fattispecie criminosa di cui all’art. 483 del codice penale (ex multis: L'art. 483 cod. pen. - falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico - postula, di norma, l'esistenza di disposizioni extrapenali integratrici che concorrono a determinare il contenuto delle dichiarazioni del privato e attribuiscono al pubblico ufficiale il potere-dovere di documentarle in atti aventi, "ex lege", una determinata funzione probatoria. In tale ambito rientra la legge 4 gennaio 1968 n. 15 che agli artt. 2 e 4 facultizza il privato alla dichiarazione sostitutiva di certificato o di atto di notorietà, la quale diventa atto pubblico per il solo fatto della sottoscrizione autenticata dal "funzionario competente a ricevere l'atto, o da un notaio, cancelliere, segretario comunale o altro funzionario incaricato dal Sindaco" e che all'art. 26, commi 1 e 2, stabilisce che tali dichiarazioni "sono considerate come fatte a pubblico ufficiale". Di conseguenza, è dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, rientrante nella previsione dell'art. 483 cod. pen., anche quella allegata alla domanda di concessione edilizia in sanatoria, diretta al Sindaco, ma ricevuta dal funzionario competente o da altro pubblico ufficiale appositamente incaricato.” -Fattispecie relativa alla falsa attestazione che la costruzione era stata eseguita in un determinato anno- Cassazione penale Sezione V, sent. n. 11186 del 26-10-1998; “integra il delitto di falsità ideologica del privato in atto pubblico la condotta di chi, in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio allegata a una domanda di sanatoria , indica una falsa data di ultimazione della costruzione, sussistendo il requisito dell'attestazione in atto pubblico.”Cass. pen. Sez. V, 26-11-2009, n. 2978).

Sotto altro profilo, costituirebbe inspiegabile aporia dell’ordinamento quella che permettesse di godere dei frutti di una propria condotta affermata quale illecita dall’ordinamento: è questa la ragione per cui, nel caso di specie, ritiene il Collegio che la decisione del Tar gravata con l’odierno appello sia in realtà ineccepibile, e non potesse essere diversa.

Allorché, infatti, sia accertata la falsità della dichiarazione attestante l’epoca di realizzazione dell’abuso, la conseguenza unica di tale circostanza riposa nell’illegittimità del provvedimento di sanatoria (”il decreto penale di condanna per dichiarazione falsa circa la data di ultimazione di un manufatto ai fini dell'ottenimento della concessione edilizia in sanatoria è circostanza che provoca l'illegittimità sopravvenuta della concessione per difetto di un atto presupposto essenziale.” Cons. Stato Sez. V, 18-12-2006, n. 7581).

E’ stato in particolare evidenziato, da parte della giurisprudenza di merito, che “l'inesatta volontaria rappresentazione della realtà contenuta nell'istanza di concessione in sanatoria su un presupposto essenziale (nella specie data di realizzazione dell'abuso) integra gli estremi della domanda dolosamente infedele, che, ai sensi dell'art. 40 L. 28 febbraio 1985, n. 47, impedisce il formarsi del c.d. silenzio-assenso previsto dall'art. 35 comma 18 della stessa L. 28 febbraio 1985, n. 47, e comporta altresì il non accoglimento della domanda medesima.” (TAR Sardegna, Sez. II, 28.5.2010 n. 1386).

L’affermazione per cui, se anche fosse stata comprovata la circostanza che l’immobile venne realizzato successivamente rispetto a quanto dichiarato, ugualmente la sanatoria sarebbe stata legittima è pertanto da contestare recisamente nei suoi presupposti teorici.

3. Venendo adesso al nodo essenziale del processo, risulta incontrovertibilmente dagli atti di causa, che l’atto notarile di donazione – assistito, come è noto, da una efficacia privilegiata - non reca alcuna menzione dell’opera abusivamente realizzata.

Del pari, l’odierno appellato ha affermato e sostenuto che, al momento della donazione dell’immobile da parte dei genitori - contrariamente a quanto dichiarato dall’appellante nell’autodichiarazione a sostegno della domanda di sanatoria - l’abusivo ampliamento non era stato realizzato.

Rammenta il Collegio in proposito che, per univoca giurisprudenza ”l'onere della prova dell'ultimazione dei lavori edilizi entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria ; ciò perché mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che richiede la sanatoria può fornire qualche documentazione da cui si desuma che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, come ad es. fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all'esecuzione dei lavori e/o all'acquisto dei materiali ecc.”(Cons. Stato Sez. IV, 02-02-2011, n. 752).

La giurisprudenza di merito si è peraltro spinta ad affermare, sul solco di tale orientamento, che “anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall'interessato, l'Amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono edilizio ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull' epoca dell' abuso.” (T.A.R. Campania Napoli Sez. II, 08-01-2010, n. 27).

Nel caso di specie, a fronte dell’autodichiarazione dell’appellante, v’è una assoluta assenza di elementi probatori indiretti di rilievo assoluto che ne comprovino la veridicità (tali non possono essere considerate le tardive dichiarazioni testimoniali asseritamente supportanti detta tesi, siccome sostenuto negli scritti difensivi e nella relazione comunale).

Al contempo (oltre alle contrarie asserzioni dell’originario ricorrente), si rinviene in atti un argomento assai pregnante e di valenza assoluta (appunto, l’atto notarile di donazione nel quale l’incremento volumetrico per cui è causa non era punto menzionato), che ne smentisce la rispondenza al vero (si rammenta sul punto il consolidato orientamento della Cassazione Civile secondo il quale: “nell'interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa l'estensione dell'immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di frazionamento approvato dai contraenti ed allegato nell'atto notarile trascritto, e l'indicazione dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari grado.” Cass. civ. Sez. II, 14-12-1994, n. 10698).

3.1. A fronte di tale elemento probatorio - certamente sfavorevole alla propria posizione - l’odierna appellante oppone unicamente un argomento logico-deduttivo (quello per cui dichiarare la esatta estensione dell’immobile nell’atto notarile di donazione avrebbe comportato una sostanziale autodenuncia), che non è idoneo a sorreggere un convincimento contrario a quello affermato dal primo giudice.

4. Per altro verso, il Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo il quale, specie allorché il provvedimento ampliativo illegittimamente ottenuto leda gli interessi di terzi, l’autotutela non necessita di particolare motivazione (“allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa.”T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 04-04-2012, n. 1002).

Ciò perché, in punto di diritto, la giurisprudenza ha giustamente affermato che in ipotesi di ritiro in autotutela di un'autorizzazione precedentemente rilasciata, nessun affidamento può essere invocato laddove sia stata posta a base dell'istanza che abbia condotto al rilascio dell'autorizzazione stessa una falsa dichiarazione (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 20 aprile 2009, n. 2373, ma anche

T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 26-01-2010, n. 92).

5. Conclusivamente, alla stregua delle superiori affermazioni, le censure dell’appellante, in quanto inidonee a superare il dato probatorio acquisito in atti ed esattamente valutato dal primo giudice, vanno disattese.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. Ne consegue che l’appello, in quanto integralmente infondato, deve essere respinto.

7.Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, ricorrendo le giuste ragioni di legge rappresentate dalla complessità e particolarità della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 721 del 2009 come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)