Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1493, del 19 marzo 2015
Urbanistica.Demolizione di edificio non assistita da permesso con ricostruzione fedele
La demolizione di edificio non assistita da permesso con ricostruzione fedele, lo pone fuori del campo delle ristrutturazioni collocandolo in quello delle nuove costruzioni, alle quali si deve pertanto applicare la sopraggiunta disciplina urbanistica. In questo senso, peraltro, si è ripetutamente espressa la giurisprudenza amministrativa, evidenziando che in caso di demolizione in assenza del mantenimento della sagoma e della volumetria precedente si è in presenza di una nuova costruzione, sicché non possono essere applicate le eventuali norme locali che consentano di derogare ai cennati vincoli. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 01493/2015REG.PROV.COLL.
N. 01754/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1754 del 2014, proposto da:
Romano Pirazzoli, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Gualandi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
contro
Comune di Comacchio, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna - Bologna: Sezione I, n. 00842/2013, resa tra le parti, concernente la ricostruzione di fabbricato demolito sul sedime originario con ampliamento in sopraelevazione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2014 il Cons. Raffaele Potenza e udito per la parte appellante l’avv. Aniello Mele, per delega dell'Avv. Gualandi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- La sentenza impugnata espone che, con permesso di costruire n. 59/09 del 24 aprile 2009, il Comune di Comacchio (prov. di Ferrara) assentiva l’esecuzione di lavori di “ristrutturazione con ampliamento in sopraelevazione per ottenere due unità immobiliari” su immobile sito in località Lido degli Estensi (via Tasso). Il titolo edilizio, rilasciato all’allora proprietario, veniva successivamente volturato in favore del sig. Romano Pirazzoli, il quale procedeva all’effettuazione dei lavori demolendo innanzitutto il fabbricato preesistente, ma in ragione di ciò incorrendo in un provvedimento comunale (in data 6 dicembre 2012) recante l’ordine di immediata sospensione dei lavori stessi, perché asseritamente concretatisi in una demolizione non autorizzata. Allo scopo di superare le addotte irregolarità, il ricorrente, in data 12.2.2013, presentava una SCIA che, senza determinare aumento di superficie/cubatura rispetto al titolo edilizio originario, mirava unicamente a formalizzare la demolizione e fedele ricostruzione del fabbricato preesistente. Da ultimo, valutando insussistenti i presupposti perché quell’intervento fosse realizzato, il Dirigente del Territorio e Sviluppo economico del Comune di Comacchio disponeva di «respingere» la segnalazione in quanto l’intervento segnalato “ consistente in ricostruzione di fabbricato demolito sul sedime originario con ampliamento in sopraelevazione risulta in contrasto con l’art. 37 comma 5 delle N. T. A. e alla delibera in adozione di Consiglio Comunale n. 70 del 10/06/2009 art. 36 comma 3 punto B1.b e non si configura negli interventi previsti dall’art. 19 della L. R. 31/02” (provvedimento prot. n. 20627 del 29 aprile 2013).
2.- Contro tale provvedimento e avverso il parere sfavorevole in data 4 aprile 2013 (ivi richiamato) , il Pirazzoli adiva il TAR Emilia-Romagna chiedendone l’annullamento e deducendo in sintesi le seguenti censure:
- insufficiente motivazione del diniego, per risolversi lo stesso nella mera elencazione delle norme violate;
- erroneità dell’implicita qualificazione della variante come “essenziale” (art. 18 legge reg. n. 31/2002) e quindi ingiustificato richiamo ai nuovi indici e parametri previsti dalla disciplina di piano medio tempore adottata, trascurando trattarsi in realtà di “variante minore” (art. 19 legge reg. n. 31/2002) volta unicamente a recepire nel titolo ad aedificandum la parte di intervento edilizio consistente nella demolizione e ricostruzione del fabbricato originario, senza determinare aumento di carico urbanistico né incremento di superficie/cubatura rispetto a quanto già assentito dal permesso di costruire del 2009, con il risultato quindi di rimanere soggetta alla disciplina di piano vigente all’epoca di rilascio del titolo abilitativo iniziale;
- tardività del provvedimento di diniego in quanto intervenuto oltre trenta giorni dopo la comunicazione del ricorrente, con conseguente violazione dell’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990 e con l’inosservanza altresì dell’obbligo di motivazione (circa l’interesse pubblico attuale e concreto) del provvedimento di autotutela che in simili casi può essere adottato.
1.1- Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso proposto, adottando l’orientamento riassunto nella parte in diritto della presente pronunzia.
2.- Di qui l’appello proposto dal sig. Pirazzoli innanzi a questo Consesso e che chiede la riforma della sentenza impugnata.
2.1.- Non si è costituito nel giudizio il Comune di Comacchio. Con ordinanza n. 274/2014, la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione della sentenza impugnata, avanzata dall’appellante e, alla pubblica udienza del 16 dicembre 2014, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- L’appello in esame controverte della legittimità di un provvedimento repressivo di SCIA, presentata dall’odierno appellante, tesa a formalizzare un intervento edilizio di demolizione ricostruzione di un fabbricato preesistente, che si innesta su precedente concessione emanata per lavori di “ristrutturazione con ampliamento in sopraelevazione per ottenere due unità immobiliari”. La segnalazione è stata repressa dal Comune (29.4.2013, oltre il termine di trenta giorni previsto dalla legge) per contrasto con l’art. 37, c.5 delle NTA del PRG, recante un regime più restrittivo intervenuto tra il permesso originario e la SCIA, e non essendo l’intervento inseribile tra quelli contemplati dall’art. 19 delle legge regionale n. 31/2002.
2.- Con la sentenza impugnata il Tar, definito “intervento di nuova costruzione» quello originariamente assentito con il permesso di costruire del 24 aprile 2009, ha respinto il ricorso del sig. Pirazzoli ritenendo legittimo il censurato provvedimento repressivo della SCIA in quanto:
- la segnalazione di lavori finalizzati a “scindere ex post la parte demolita del fabbricato dalle opere di ampliamento dello stesso, come se queste ultime vivessero di vita propria e già ab initio integrassero un autonomo «intervento di nuova costruzione», è incompatibile “con una qualificazione giuridica dell’intervento complessivo che non tollera modifiche radicali o suddivisioni improprie compiute attraverso la via della variante in corso d’opera ex art. 19 della legge reg. n. 31 del 2002”;
- “il sostanziale mutamento dell’intervento da realizzare, rende necessaria -tra l’altro - l’applicazione della disciplina di piano vigente al momento di detta revisione, qualsiasi forma essa assuma (ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge reg. n. 31 del 2002, applicabile alla fattispecie ratione temporis” e per il quale i “titoli abilitativi devono essere conformi alle leggi, ai regolamenti ed alle prescrizioni contenute negli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica vigenti e adottati …”).
3.- L’appello in esame avversa la decisione formulando un triplice ordine di censure, che si rivelano prive di fondamento.
3.1.- Il primo argomenta che, nel respingere il primo motivo di ricorso (che lamentava difetto di motivazione), il giudice di primo grado, sostituendosi all’amministrazione, avrebbe indebitamente colmato le lacune del provvedimento impugnato che, pur indicando le norme ritenute preclusive dell’intervento, non recava le ragioni per le quali l’intervento non poteva essere considerato una variante minore in corso d’opera. L’argomentazione è infondata. Il difetto di motivazione sotto il profilo formale si configura allorché nell’atto non si reperisca alcuna motivazione e pertanto non è configurabile allorché il provvedimento indichi le ragioni su cui si fonda, seppur limitandosi ad indicare le norme che precludono l’intervento edilizio, essendo ciò necessaria e nel contempo sufficiente a sostenere l’atto impugnato.
3.2.- La seconda doglianza approfondisce il profilo sostanziale della controversia, criticando la sentenza per avere ritenuto l’intervento una ristrutturazione “pesante” (tutt’altro che “minore”), nonostante la sostenuta modestia del medesimo, carattere che lo avrebbe invece consentito. Ma il punto centrale controverso non è se l’intervento era o meno una variante minore in corso d’opera, assentibile in base all’art. 19 della legge regionale n. 31/2002, bensì, come ha posto in rilievo la sentenza gravata, se la demolizione totale dell’edificio consentiva o meno di realizzare l’ampliamento previsto dal titolo originario, legittimo secondo la normazione del tempo, ma non più possibile secondo la normativa sopravvenuta. E la questione non può che essere risolta (a conferma della decisione gravata) in senso negativo poiché in sostanza, la demolizione di edificio non assistita da permesso con ricostruzione fedele, lo pone fuori del campo delle ristrutturazioni collocandolo in quello delle nuove costruzioni, alle quali si deve pertanto applicare la sopraggiunta disciplina urbanistica. In questo senso, peraltro, si è ripetutamente espressa la giurisprudenza amministrativa, evidenziando che in caso di demolizione in assenza del mantenimento della sagoma e della volumetria precedente si è in presenza di una nuova costruzione, sicché non possono essere applicate le eventuali norme locali che consentano di derogare ai cennati vincoli (per il principio, v. tra le altre, Cons. di Stato, sez. IV, n.3929/2009).
Né può essere accolta la tesi per cui l’ampliamento era un altro intervento rispetto all’edificio base che è stato demolito e ricostruito fedelmente; l’ampliamento, nel caso in esame, si innesta su una ristrutturazione (come precisato dalla stessa giurisprudenza indicata dall’appellante a p. 13 del ricorso), ma non può esserne considerato “il mero sviluppo del progetto già assentito”, a ciò ostando quella conservazione degli elementi volumetrici e di sagoma originari che caratterizzano “ex lege” gli interventi di ristrutturazione (cfr. art. 31 l. n. 457/1978 e poi art. 22 DPR n. 380/2001).
3.3.- Il terzo mezzo riprende il tema della ritenuta tardività del provvedimento repressivo, che si assume emanato dopo lo spirare del termine di trenta giorni dalla SCIA (ex c. 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241/1990), sicché l’amministrazione non avrebbe avuto il potere di intervenire in autotutela, senza dare adeguata motivazione. Il TAR ha risolto negativamente la questione sotto il profilo dedotto (necessità di motivazione del pubblico interesse) affermando che il decorso del termine non produce l’effetto di dover motivare sotto tale profilo il provvedimento repressivo della SCIA. In contrario, l’appello lamenta omissione di pronunzia sul vizio di superamento del termine e sostiene che il provvedimento impugnato non è un atto di autotutela. Anche queste argomentazioni non possono essere condivise.
a) Il secondo assunto, secondo cui non si tratterebbe di un atto di autotutela, è anzitutto perplesso, o contraddittorio, poiché sostenere la necessità di una motivazione puntuale sull’interesse pubblico o a fronte di eventuale affidamento è principio tipicamente operante rispetto agli atti emessi in autotutela, della quale si nega che il provvedimento impugnato sia espressione.
b) In merito alla violazione del termine, la Sezione deve anche qui confermare la decisione del TAR, per le ragioni che seguono. Va premesso che il provvedimento repressivo della SCIA può assimilarsi ad un atto di autotutela nella misura in cui elimina l’effetto giuridico (assenso all’intervento) prodottosi per effetto congiunto della segnalazione e del decorso del termine previsto dalla legge per emettere l’atto repressivo.
Quanto al superamento di quest’ultimo, esso non comporta alcuna decadenza dal potere repressivo da parte dell’amministrazione poiché una tale conseguenza non emerge né dalla disposizione invocata né nel regime complessivo dell’istituto certificativo, e va quindi esclusa per il principio “ubi lex voluit dixit”. Inoltre la disposizione prevede come unica conseguenza giuridica la facoltà del privato di dare avvio all’intervento segnalato, sicché deve ritenersi che l’amministrazione, spirato detto termine, conserva certamente il potere di annullamento d’ufficio degli effetti prodottisi in favore del segnalante. Tantomeno il superamento del termine può dunque condurre alla possibilità giuridica di dare corso agli interventi segnalati.
4.- In conclusione, l’appello deve essere respinto poiché l’intervento precluso dall’atto impugnato limitatamente alla parte che ripropone un ampliamento assentito (p.c. 24.4.2009) sotto la vigenza di una disciplina urbanistica previgente, contrasta con la sopraggiunta modificazione della stessa (delib. consiliare n.70 del 10/6/2009).
4.1.- Restano assorbiti ulteriori motivi ed eccezioni, che il Collegio non ritiene rilevanti ai fini della presente decisione.
5.- Nulla si dispone per le spese della presente fase del giudizio, tra appellante ed appellato non costituitosi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.
Nulla dispone per le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)