Consiglio di Stato Sez. VI n. 3393 del 29 aprile 2022
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e finalità delle disposizioni

In caso di lottizzazione, gli interventi materiali, idonei a stravolgere l’assetto del territorio, rendono non più praticabile la programmazione che risulta il bene giuridico protetto dalla norma. Le opere che trasformano attraverso l’urbanistica o l’edilizia i terreni devono essere interpretati in funzione alla ratio della norma, che oltre alla programmazione è costituita anche da un effettivo controllo del territorio da parte del Comune (un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard). La fattispecie è da rinvenire quindi nella trasformazione urbanistica ed edilizia della zona, contraria alla normativa, e non nell'eventuale difformità delle singole opere alle norme vigenti


Pubblicato il 29/04/2022

N. 03393/2022REG.PROV.COLL.

N. 02681/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2681 del 2019, proposto da
Carlo Mezzano, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Conticiani e Federico Tedeschini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Federico Tedeschini in Roma, largo Messico 7;

contro

Comune di Castelnuovo di Porto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Loredana Fiore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via M. Buonarroti, 40;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione II-Quater) n. 09436/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castelnuovo di Porto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2022 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti gli avvocati Paola Conticiani, Federica Tedeschini e Loredana Fiore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Carlo Mezzano otteneva dal Comune di Castelnuovo di Porto tre concessioni edilizie (nn. 50/2000, 51/2000 e 52/2000) per la realizzazione di tre compendi immobiliari rurali in zona agricola “E”, località “Tre Pontoni”. Il rilascio delle concessioni veniva, ex lege, subordinato all’atto d’obbligo con il quale l’interessato vincolava la destinazione d’uso dei locali agricoli ed irrevocabilmente il terreno a servizio dei fabbricati rurali.

2. Il Comune rilevava successivamente delle non conformità rispetto a quanto autorizzato ed emetteva rispettivamente tre ordinanze di sospensione dei lavori. Tali difformità erano: i) relativamente alle concessioni nn. 50 e 51: il piano interrato già destinato a garage era stato frazionato in 4 parti, tramezzato internamente e dotato di 4 scale di collegamento con il piano superiore, senza accessi carrabili ma con portico antistante; costruzione di 4 abbaini in luogo di due autorizzati; ii) relativamente alla concessione n. 52: costruzione di n. 4 abbaini in luogo dei due autorizzati (memoria del Comune del 12.5.2018, fascicolo di primo grado).

3. Seguivano tre distinte domande di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, che il Comune accoglieva, rilasciando i relativi permessi di costruire in sanatoria (nn. 12/2003, 13/2003 e 14/2003). La comunicazione di fine lavori avveniva il 16.4.2003.

4. Un anno dopo però, nel 2004, il signor Mezzano presentava al Comune 16 distinte domande di condono, concernenti quindi non più 3 unità originarie, ma 16 unità immobiliari; successivamente (nel 2005) integrava le domande con documentazione ulteriore. Il Comune di Castelnuovo di Porto, ritenendo tali condoni non accoglibili, notificava nel 2008 i rispettivi preavvisi di diniego. Contestualmente l’ente locale avviava il procedimento di contestazione di lottizzazione abusiva, diffusamente motivato, adottando, previo procedimento in contradditorio, l’ordinanza n. 17/2008. Il Comune aveva accertato non solo il cambio di destinazione d’uso delle tre case rurali, ma, anche in relazione alla particolare dinamica dei diversi abusi (ed i relativi tentativi di sanarli) nel tempo, il frazionamento illegittimo in 16 unità dei tre originari complessi, considerando anche che gli incrementi derivanti dalla conversione degli accessori agricoli in cubature residenziali rappresentavano un ulteriore rilevante elemento di abuso, spendibile anche ai fini dell’applicazione della fattispecie di lottizzazione abusiva, poiché la cubatura utile ottenuta era nettamente superiore alla capacità edificatoria dei fondi. Tutto questo aveva comportato secondo il Comune un radicale cambiamento dell’assetto territoriale. Infine, l’Amministrazione comunale rigettava anche le istanze di condono edilizio.

5. Avverso tali dinieghi venivano proposti ricorsi dinanzi al TAR del Lazio, che sono stati dichiarati però perenti.

6. Con ricorso r.g. n. 11029 del 2008 il sig. Mezzano gravava dinanzi al TAR del Lazio l’ordinanza n. 17/2008, censurando il provvedimento con quattro motivi: i) violazione dell’art. 2, comma 1, lett. e), della legge regionale del Lazio n. 12/2004, che non porrebbe alcun limite di cubatura condonabile agli interventi sussumibili nella fattispecie di una “ristrutturazione edilizia”, sicché la condonabilità dell’opera nel suo complesso escluderebbe l’applicazione del regime della lottizzazione abusiva; inoltre il mero mutamento di destinazione di manufatti non configurerebbe ex se un intervento di lottizzazione abusiva; ii) violazione ed errata applicazione, sotto un diverso profilo, dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto l’intervento contestato non sarebbe in contrasto con la pianificazione urbanistica esistente, in base a varianti al PRG del 2003 e 2007 (riclassificata come “sottozona C4” di espansione residenziale); iii) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto sarebbe comprovato che sussistevano opere di urbanizzazione sia primaria che secondaria; iv) violazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 3 e 10, comma 1, L. n. 241/1990, non avendo il Comune preso in considerazione le osservazioni presentate dal sig. Mezzano, con conseguente vizio della motivazione, chiedendo anche la condanna del Comune di Castelnuovo di Porto al risarcimento dei danni.

6.1 Nel 2016 il sig. Mezzano notiziava al Comune di Castelnuovo di Porto ulteriori rilievi in merito all’ordinanza n. 17/2008, chiedendo il riesame delle istanze di condono del 2004. Il Comune di Castelnuovo di Porto rigettava la richiesta di riesame con provvedimento del 24.2.2017. Nel frattempo l’ente locale aveva anche dato seguito alla procedura di acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli immobili illegittimamente realizzati.

6.2 Con ricorso per motivi aggiunti nel 2017 il sig. Mezzano impugnava tale rigetto della sua istanza di riesame, censurandola per violazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/2001, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, lamentandosi che il Comune avrebbe considerato le singole aree catastali di pertinenza, anziché le superfici complessive. Inoltre mancherebbero trasformazioni del territorio tali da poter configurare la lottizzazione abusiva. Il Sig. Mezzano evidenziava la disparità di trattamento da parte del Comune, segnalando che in una fattispecie identica avrebbe concesso i relativi condoni, escludendo l’ipotesi di lottizzazione abusiva. Il rigetto della riapertura del procedimento di condono sarebbe inoltre errata perché non si potrebbe negarla motivandola con l’avvenuta acquisizione al patrimonio comunale degli immobili.

6.3 Si costituiva il Comune di Castelnuovo di Porto che eccepiva l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti e chiedeva il rigetto del gravame.

7. Il TAR Lazio, sezione II-quater, con sentenza n. 9436/2018 respingeva il ricorso, ritenendo infondate le censure nel merito, sia del ricorso introduttivo che dei successivi motivi aggiunti.

7.1 Il primo giudice deduceva che la circostanza, per cui la divisione dei tre blocchi in appartamenti non avrebbe comportato incrementi di cubatura rispetto alla volumetria assentita con le concessioni rilasciate nel 2000 sarebbe smentita dalla ricostruzione in fatto, emersa dal sopralluogo effettuato dal Responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune in data 14.5.2007 nonché dagli accertamenti tecnici effettuati nell’ambito del procedimento penale n. 8991/2007 promosso dalla Procura della Repubblica di Tivoli. Non sarebbe vero che gli interventi non avevano alterato l’assetto del territorio, poiché la massiccia creazione di aggregazioni abitative mediante il frazionamento abusivo dei tre edifici originariamente assentiti, per finalità prive di qualsiasi connessione funzionale con la destinazione agricola dell’area, non ha determinato un mero mutamento di destinazione d’uso degli stessi, ma una complessiva trasformazione urbanistica dell’area interessata dai tre fabbricati, in totale contrasto con la disciplina edilizia ed urbanistica vigente, con conseguente lesione funzionale del potere di pianificazione territoriale riservato all’Amministrazione, integrando la fattispecie della lottizzazione abusiva ex art. 30 DPR n. 380/2001. Il TAR rilevava inoltre che la circostanza secondo cui la lottizzazione abusiva in esame sarebbe stata realizzata su una zona fortemente antropizzata, adiacente ad una zona compromessa e di espansione, non era rilevante, vista la realizzazione ex novo, in occasione della realizzazione dei fabbricati in questione, di opere di urbanizzazione primaria e di infrastrutture accessorie (strade di accesso, parcheggi, scarichi fognari, illuminazione e recinzioni) prima inesistenti. Il TAR sottolineava che la variante di PRG nel 2003 (e le successive integrazioni) è stata ritirata dal Comune. Infine respingeva anche la censura relativa alla violazione degli artt. 3 e 10 della L. n. 241/1990 (in combinato disposto con il principio del giusto procedimento), sottolineando la natura cautelare ed urgente del procedimento finalizzato alla contestazione di un’ipotesi di lottizzazione abusiva, nonché la mancata dimostrazione che le osservazioni svolte nella fase istruttoria del procedimento avrebbero potuto condurre ad una qualificazione diversa della vicenda rispetto a quella operata con l’atto impugnato.

7.2 Il TAR ha considerato infondato anche il ricorso per motivi aggiunti, rilevando in merito alla sussistenza del vincolo paesaggistico insistente sull’area che la Regione aveva confermato l’adozione del vincolo con DGR n. 10591 del 5.12.1989 e l’attuale esistenza. Con riguardo all’asserita disparità di trattamento il TAR non riteneva che essa fosse stata dimostrata (mancando l’identità tra le fattispecie concrete in comparazione), non ha valutato il rigetto del riesame contradditorio in quanto non vi era alcun riconoscimento dell’asserita condonabilità delle opere, ma semmai la valutazione dell’inutilità di uno scrutinio delle richieste di condono presentate alla luce della sopravvenuta perdita di proprietà sui beni frutto di lottizzazione abusiva, per effetto della trascrizione dell’ordinanza n. 17/2008, e della conseguente impossibilità di procedere all’approvazione della richiesta di sanatoria.

8. Avverso la predetta sentenza del TAR Lazio Carlo Mezzano ha proposto appello. Si è costituito il Comune di Castelnuovo di Porto, chiedendo il rigetto del gravame in quanto inammissibile e infondato. All’udienza pubblica del 7 aprile 2022 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

9. Giunge a questo Consiglio di Stato un contenzioso riguardante l’applicabilità della fattispecie prevista dall’art. 30 del DPR 380/2001, la cosiddetta lottizzazione abusiva, ad un caso accertato e sanzionato dal Comune di Castelnuovo di Porto con ordinanza n. 17/2008.

10. La norma invocata così disciplina: “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.

10.1 La disciplina ipotizza dunque due ipotesi di lottizzazione abusiva:

a) la lottizzazione abusiva “materiale”, che contempla la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici (approvati o adottati), o di quelle stabilite direttamente in norme statali o regionali, sia in assenza del titolo autorizzatorio;

b) la lottizzazione abusiva “formale” o “cartolare”, in assenza di una compiuta trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, qualora i presupposti siano già presenti con il frazionamento e la vendita (o altri atti equiparati) del terreno in lotti. Gli elementi che tipicamente portano in evidenza la destinazione ad uso edificatorio sono la dimensione dei lotti, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l’ubicazione e la previsione di opere di urbanizzazione. L’interesse protetto dalla norma è la garanzia di un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell’ente pubblico. Le indicazioni contenute nei piani urbanistici (generali) comunali non sono di regola sufficienti per uno specifico titolo edificatorio, ma necessitano l’adozione di strumenti ulteriori, quali i piani attuativi, che, zona per zona, precisano nel dettaglio le indicazioni di assetto e sviluppo urbanistico complessivo contenute nel piano regolatore. Sono quindi strumenti che attuano il piano gradatamente e razionalmente, garantendo in questo modo che tutte le zone dispongano di standard corrispondenti agli insediamenti (opere di urbanizzazione). Chiarita questa cornice si comprende che la lottizzazione abusiva toglie all’ente pubblico ogni possibilità di pianificazione attuativa. L’effetto di questo abuso è quindi l’esistenza di fatto di insediamenti privi dei necessari servizi ed infrastrutture, recando un danno alla collettività e contribuendo al degrado urbano (così Cons. Stato, sez. VI, n. 5403/2021, sez. IV, n. 3115/2014, Cass. pen., sez. III, 51710/2013).

10.2 Queste due forme di lottizzazione abusiva sono state integrate dalla giurisprudenza con una ulteriore ipotesi, la lottizzazione abusiva “mista”, caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dalla citata norma (Corte Cass. sentenze n. 6080/2007; n. 24985/2015; ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 5384/2021).

11. Ciò posto, le eccezioni dell’amministrazione comunale di inammissibilità ed improcedibilità, per mancante interesse ad agire (sotto diversi profili) possono essere disattese dal Collegio, rilevando la manifesta infondatezza dell’appello sulla base della consolidata giurisprudenza in merito alla lottizzazione abusiva (da ultimo Cons. Stato, sez. VI, n. 883/2022; id., n. 7380/2021), che ha accertato tale fenomeno quando opere (di qualsiasi tipo) sono in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, a determinare un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione, che viene posta di fronte al fatto compiuto, nonché un maggior carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standard.

12. Con il primo motivo di ricorso la parte appellante critica la sentenza per erroneità dei presupposti (anche in ordine alla ricostruzione fattuale) e della valutazione della fattispecie prevista dall’art. 30 D.P.R. n. 380/2001 nel caso presente. Il TAR avrebbe valutato erroneamente i fatti e gli atti di causa. In questo motivo di appello, l’appellante ripete sostanzialmente la critica prospettata in primo grado lamentando l’erronea valutazione con riguardo alla natura degli interventi e l’applicabilità della normativa edilizia in materia di lottizzazione abusiva e della normativa della Regione Lazio.

12.1 In particolare viene contestato l’assunto dal TAR che i complessi avrebbero una cubatura di ca. 5.600 m3 (sei volte superiore a quella assentita), determinando la parcellizzazione dei tre fondi agricoli in lotti con una superficie inferiore a quella minima consentita dalla legge per un solo alloggio a vocazione agricola. La volumetria sarebbe invece quella assentita con concessioni edilizie nn. 50, 51e 52 del 2000, e successive concessioni in sanatoria nn. 12, 13 e 14 del 2003, mai annullati. Sarebbe solo apparente la discrasia tra i volumi citati nella perizia di 5.600 m3 e quelli assentiti dai titoli edilizi rilasciati di 5.013 m3 (strutture considerate al lordo delle murature perimetrali, tettoie e volumi tecnici, mentre tali andrebbero esclusi dal novero dei volumi utili). Il TAR sarebbe incorso in un errore accertando che in esclusiva conseguenza di opere interne si sarebbe realizzata la parcellizzazione dei tre fondi agricoli in lotti con una superficie inferiore a quella minima consentita dalla legge per un solo alloggio a vocazione agricola. L’edificazione in zona agricola sarebbe ammessa “a condizione che [...] le strutture costituiscano, o vengano a costituire, un aggregato abitativo non necessariamente ubicato in prossimità del centro aziendale [...]” (art. 55, comma 2, L.R. Lazio n. 58/1999) e pertanto in zona agricola l’edificazione in forma di aggregato abitativo (pur tenendo conto che la disciplina del cd. “lotto minimo” è tutt’altro che ineludibile) sarebbe espressamente ammessa la derogabilità, mediante P.U.A., ex art. 59, L.R. Lazio n. 38/1999 (come modificata dalla L.R. n. 8/2003). L’ipotesi lottizzatoria non si potrebbe rinvenire, in quanto gli interventi contestati sarebbero opere meramente interne ad edifici legittimi, che non avevano comportato alcun incremento delle superfici e dei volumi esistenti, né modifiche dei loro prospetti e/o delle sagome. La tutela ex art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 non si estenderebbe alle trasformazioni di edifici legittimamente esistenti, laddove si tratti di trasformazioni inidonee ad incidere sul consumo del suolo ed ove insisterebbe il preesistente edificio legittimo. Nel caso oggetto del giudizio si sarebbero mutato solo il numero delle unità immobiliari, tramite opere esclusivamente interne ed a parità di volume rispetto alla preesistenza, dando vita ad interventi di mera manutenzione straordinaria, o, anche nell’ipotesi di un avvenuto cambio di destinazione d’uso, si verterebbe in ipotesi di ristrutturazione edilizia leggera ex art. 3, comma 1, lett. d), ed art. 10, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 (secondo l’appellante irrilevante a fini della lottizzazione abusiva).

13. La doglianza, così articolata, non ha alcun pregio.

13.1 Risulta al Collegio che le concessioni edilizie originarie n. 50, 51 e 52 del 2000 prevedevano la realizzazione di tre distinti fabbricati ognuno dei quali con un solo appartamento ad uso agricolo della cubatura di 312,57 m3 per abitazione rurale e 208,38 m3 di annesso agricolo (comportando un volume di 937,71 m3 a titolo residenziale e 625,14 m3 di pertinenza agricola), l’area de qua è classificata dal PRG a destinazione agricola di tipo “E“, due delle tre particelle (le 333 e 334) risultano anche gravate da un vincolo paesaggistico ex art. 136 D.Lgs n. 42/2004 (ricadente nella fascia territoriale “Valle del Tevere”). Gli accertamenti del Comune di Castelnuovo di Porto del 2007 e dal consulente nominato nell’ambito del procedimento penale n. 8991/2007 della Procura della Repubblica di Tivoli accertavano l’intervenuta realizzazione sulle particelle 333, 334 e 336 del Foglio mappale 27 le seguenti superfici: 1654 m2 (p. 333), 1696 m2 (p. 334) e 2600 m2 (p. 336), in totale difformità dalle concessioni edilizie n° 50, 51 e 52 del 2000 e dalle successive concessioni in sanatoria del 2003. Risulta accertato inoltre una cubatura utile di circa 5.600 m3, che in effetti è sei volte superiore a quella assentita dalle concessioni del 2000, portando ad una parcellizzazione dei tre fondi agricoli in lotti con una superficie inferiore a quella minima consentita dalla legge e dalle NTA del PRG di Castelnuovo di Porto, valente per un solo alloggio a vocazione agricola (l’estensione minima del lotto minimo era di 10.000 m2). Correttamente il TAR ha rilevato, considerando puntualmente la dinamica e l’evolversi degli abusi nel tempo, una massiccia creazione di aggregazioni abitative (16 unità abitative residenziali in zona agricola E) mediante frazionamento abusivo, per finalità non funzionali alla destinazione agricola dell’area de qua. Non ha pregio neanche l’argomento che si sarebbe in presenza di un mero mutamento di destinazione d’uso degli edifici, trattandosi invece, come ha accertato il Comune ed anche il TAR successivamente, di una complessiva trasformazione urbanistica dell’area interessata dai originari tre fabbricati (case rurali con annesso agricolo) di fronte a 16 unità immobiliari meramente residenziali, in contrasto con la disciplina edilizia e urbanistica vigente e conseguente lesione funzionale del potere di pianificazione territoriale.

13.2 Le 16 domande di condono sono, ad avviso del Collegio, valide prove di un comportamento finalizzato ad aggirare i limiti di volume ammessi ai fini del condono (Cons. Stato, sez. IV, n. 2995/2014), confermativo ex se del disegno unitario della trasformazione urbanistica dell’area. Il Comune aveva supportato tale analisi considerando: i) la destinazione urbanistica “E” (agricola) dell’area, che risulta anche in parte vincolata, sprovvista di infrastrutture primarie e secondarie; ii) la trasformazione degli organismi in origine assentiti, ovvero tre case rurali con annessi agricoli, in 16 unità abitative con accessi autonomi dall’esterno; iii) il fondo agricolo, che non risultava urbanisticamente idoneo al mutamento di destinazione d’uso a residenziale, essendo in contrasto con le NTA del PRG vigente, ed in contrasto anche con la disciplina della zona agricola (L.R. 38/99 art. 55, comma 5, e art. 52, comma 3, e L.R. 8/2003, ratione temporis vigente); iv) gli interventi realizzati, che risultavano pertanto privi di ogni connessione funzionale con l’esercizio dell’attività di conduzione agricola; v) la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (strade di accesso, parcheggi, illuminazione e recinzioni, impianti tecnologici distinti ed autonomi per ognuna delle singole unità abitative realizzate, ognuna munita di giardino di pertinenza con recinzione, completate e funzionali in tutte le loro componenti, ivi incluse le finiture degli ambienti interni, concesse in locazione abitativa a privati cittadini). Deve sul punto essere ribadito che l’opera edilizia abusivamente eseguita va identificata con riferimento all'unitarietà del complesso immobiliare, ove realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione del complesso in più unità abitative e la presentazione di istanze separate tuttavia tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse, poiché tale condotta integra un espediente finalizzato ad aggirare i limiti di volume ammessi ai fini del condono (Cons. Stato, Sez. IV, n. 2995/2014).

13.3 Le censure non riescono a smentire l’aumento di cubatura a 5.600 m3, che portava quindi ad un notevole aggravamento del carico urbanistico ed una elevata compromissione ambientale. Anche questo Collegio rileva l’impossibilità, di fronte ad una iniziativa edilizia non autorizzata, di una corretta ed ordinata pianificazione urbanistica del territorio, come anche la totale mancanza di rispetto delle prescrizioni urbanistiche. Né un eventuale sopravvenuta sanatoria (che nel caso di specie non sarebbe peraltro stata più possibile) poteva comportare alcuna valutazione di conformità alle scelte urbanistiche, non avendo la concessione edilizia una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell’uso del territorio. Il reato di lottizzazione abusiva non è suscettibile di sanatoria (ex multis, Cass. Pen., n. 15289/2004), non prevista dalla legislazione (la legge n. 47/1985 e successivamente il DPR 380/2001 o dalle disposizioni in materia di condono edilizio). L’appellante non è riuscito neanche a comprovare che gli utenti siano operatori del settore agricolo, rilevandosi invece al contrario i lotti frammentati inferiori all’unità culturale minima (relazione doc. 89 fascicolo di primo grado).

13.4 La lottizzazione risulta inoltre accertata materialmente dal fatto che l’area era originariamente superiore ai 10.000 m2 di superficie, e si è invece successivamente ridotta in maniera significativa (1654 + 1669 + 2600 = 5923 m2) creando aggregazioni abitative non previste nello strumento urbanistico, per soggetti privi di operatività nel settore agricolo.

13.5 Il TAR ha quindi rilevato l'esistenza dei presupposti necessari perché si potesse configurare la fattispecie della lottizzazione abusiva, valutata la destinazione agricola delle aree, interessate anche da vincolo paesaggistico, per la loro ridotta dimensione, derivante dallo spezzettamento di un’area più vasta, che si evidenziano complessivamente come inadeguati allo scopo agricolo a cui sono destinati dagli strumenti urbanistici vigenti e finalizzati a scopo edificatorio. L’iter logico-giuridico svolto del TAR non è irrazionale ed è anzi logico. Risulta sufficientemente provato che L'art. 30 del D.P.R. 380/2001 fornisce una duplice definizione della “lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio”, ricollegandola:

a) a un “attività materiale” quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni e

b) a un “attività giuridica” quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o l'eventuale previsione di opere di urbanizzazione e in rapporto a elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.

Questo secondo tipo di lottizzazione viene denominato “negoziale” o “cartolare” e si fonda sulla presenza di elementi indiziari, da cui risulti, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio del terreno. Tali elementi indiziari (descritti con elencazione normativa non tassativa) non devono però essere presenti in concorso fra di loro in quanto è sufficiente anche la presenza di uno solo di essi, rilevante e idoneo a far configurare con margine di plausibile veridicità la volontà di procedere a lottizzazione. I due tipi di attività illecite volte alla lottizzazione (lottizzazione materiale e negoziale) possono essere espletati, inoltre, anche congiuntamente (lottizzazione abusiva mista), in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni non autorizzata oppure in violazione della pianificazione vigente. Del resto, la stessa formulazione del citato articolo consente di affermare che può integrare un'ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l'assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standard.

La partecipazione alla lottizzazione materiale contestata con i provvedimenti impugnati è stata ampiamente vagliata dal TAR, accertando che gli interventi materiali, idonei a stravolgere l’assetto del territorio, rendono non più praticabile la programmazione che risulta il bene giuridico protetto dalla norma (Cons. Stato, sez. VI, nn. 3416/2018, 5805/2018). Le opere che trasformano attraverso l’urbanistica o l’edilizia i terreni devono essere interpretati in funzione alla ratio della norma, che oltre alla programmazione è costituita anche da un effettivo controllo del territorio da parte del Comune (un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard). La fattispecie è da rinvenire quindi nella trasformazione urbanistica ed edilizia della zona, contraria alla normativa, e non nell'eventuale difformità delle singole opere alle norme vigenti (sanzionate dagli artt. 3l e ss. del DPR 380/2001). In tal senso l’appellante non è in grado di smentire con le sue affermazioni il dato per cui può integrare un'ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l'ordinato assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione, sia un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standard.

13.6 Conclusivamente si deve ribadire che la lottizzazione abusiva è un fenomeno unitario che trascende la consistenza delle singole opere di cui si compone e talora ne prescinde, come nel caso del mutamento di destinazione d’uso di complessi edilizi regolarmente assentiti, e assume rilevanza giuridica per l’impatto che determina sul territorio interferendo con l’attività di pianificazione, conservazione dei valori paesistici e ambientali, dotazione e dimensionamento degli standard (C.G.A.R.S., sez. I, n. 93/2021). I rilievi degli appellanti non risultano idonei ad inficiare la coerenza logica del provvedimento, posto che da un lato, si soffermano su singoli aspetti, trascurando la globalità del insieme probatorio posto a fondamento del provvedimento, e dall’altro alto si rivelano in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza dominante.

14. Con il secondo motivo di censura si critica la pronuncia del TAR nella parte in cui ha accertato che gli interventi avevano modificato l’assetto del territorio, sostenendo invece parte appellante che: i) gli interventi sarebbero intervenuti esclusivamente a carico di un preesistente edificato, senza incrementare affatto il consumo del suolo inedificato, su un’area fortemente antropizzata, adiacente ad una zona già compromessa e destinata ad espansione residenziale; ii) le opere di urbanizzazione erano già presenti in loco da tempo, essendo parti del complesso di interventi di urbanizzazione realizzati a servizio dell’adiacente comprensorio di espansione residenziale; iii) l’area in questione era già stata riclassifica dall’Amministrazione comunale (con delibere del 2003 e 2007) come zona C, sottozona C4, destinata ad ospitare espansioni residenziali; il ritiro di quella variante sarebbe avvenuto 5 anni dopo la sua adozione, con la conseguenza che: a) l’adozione della variante evidenzierebbe la piena consapevolezza della stessa amministrazione comunale in merito al fatto che l’area sarebbe parte di un ambito ormai del tutto privo dei connotati richiesti ad una zona agricola e che, pertanto, risultava del tutto inattuale ed improprio mantenervi ferma la destinazione agricola; b) le opere cui s’è attribuito il preteso effetto di lottizzazione abusiva andrebbero scrutinate tenendo conto della disciplina urbanistica operante sull’area al momento dei fatti contestati, ossia, considerando che, all’epoca dei fatti, la zona già aveva smarrito ogni vocazione agricola e che la stessa Amministrazione comunale – pienamente consapevole di ciò – l’aveva preordinata, con la ridetta variante, a zona destinata ad espansione residenziale.

15. Anche questa doglianza, così articolata, non può essere condivisa.

15.1 Va respinta la tesi che gli interventi siano intervenuti “esclusivamente” a carico di un preesistente edificato, senza incrementare il consumo del suolo inedificato, su un’area fortemente antropizzata, adiacente ad una zona già compromessa e destinata ad espansione residenziale. Al contrario, il Collegio deve rilevare che – oltre all’accertamento della massiva riduzione della superficie agricola preesistente (vedasi supra, punti 2 e 13.4) è comprovato l’aumento del volume edificabile e quindi, del carico urbanistico (in tali dimensioni). Non si può ritenere possibile che la zona fosse destinata ad un’espansione residenziale, dal momento che la variante adottata nel 2003, quand’anche rilevante (il che è contestato dalla difesa del Comune) venne ritirata nel 2008, prima che fosse emessa l’ordinanza di sospensione recante l’accertamento della lottizzazione abusiva; sicché si deve ribadire come lo strumento urbanistico vigente all’epoca dell’accertamento dei fatti, come anche all’epoca della loro commissione, non era compatibile con il tipo di intervento realizzato. Né risulta conferente il richiamo al comprensorio edilizio vicino, trattandosi di un ambito esterno all’area agricola, oggetto di specifica ed autonoma pianificazione attuativa. Non coglie neanche nel segno il rilievo sull’allacciamento alla rete idrica consortile e lo smaltimento delle acque reflue mediante la fognatura comunale, atteso anche che le pregresse autorizzazioni venivano date alle originarie tre case rurali, ma non a 16 unità residenziali successivamente. La variante di PRG adottata con delibera del Consiglio Comune del 23.12.2003, n.42, e successive integrazioni, è stata, come affermato dal TAR, ritirata dal Comune nel 2008, e come deduce la difesa comunale, nei 90 giorni dall’emissione dell’ordinanza di sospensione della lottizzazione abusiva n. 17/2008, quando la originaria delibera era pertanto già stata revocata. Risulta che successivamente l’Amministrazione Comunale con l’atto di trascrizione dei beni al patrimonio comunale ha confermato le ragioni della sua emissione ovvero l’intervenuta radicale trasformazione dell’area con incisione sull’assetto del territorio, comportando le opere realizzate un notevole aggravio del carico urbanistico della zona necessitante di dotazione della stessa di nuovi ed efficienti servizi strumentali. La destinazione agricola impressa dal PRG non viene certo a mancare per effetto dell’edificazione non autorizzata ed avvenuta nel corso degli anni in violazione della normativa edilizia ed urbanistica.

16. Con il terzo motivo d’appello il Sig. Mezzano ripropone la censura di primo grado in merito alla violazione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 10, legge n. 241/1990, e del connesso principio del giusto procedimento. L’appellante ritiene che il TAR, se avesse inquadrato diversamente la fattispecie, avrebbe valutato in maniera diversa anche le osservazioni svolte nella fase istruttoria del procedimento, che – a dire dell’appellante – avrebbero potuto invece condurre ad un’altra qualificazione della vicenda, oltre a ritenere sanabili le opere richieste di condono, qualora il peso ponderale in sede di delibazione finale fosse stato più equilibrato, con una più puntuale motivazione sulle ragioni del perché il provvedimento sanzionatorio non poteva evitarsi.

17. La censura è infondata.

17.1 Il TAR ha accertato che “la censura relativa alla violazione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 10 della legge n. 241/1990 e del principio del giusto procedimento è priva di fondamento, tenuto conto della natura cautelare ed urgente del procedimento finalizzato alla contestazione di un’ipotesi di lottizzazione abusiva, nonché della mancata dimostrazione che le osservazioni svolte nella fase istruttoria del procedimento avrebbero potuto condurre ad una qualificazione diversa della vicenda rispetto a quella operata con l’atto impugnato.”

17.2 Risulta dagli atti versati in giudizio (doc. C e 6 fascicolo di primo grado, soprattutto la nota del Comune prot. 3137 del 24.2.2017) che il contraddittorio è stato pienamente rispettato, attraverso la comunicazione di avvio del procedimento ed il puntuale esame delle osservazioni del ricorrente. L’ente comunale ha motivato, sulla scorta di accertamenti esperiti, sopralluoghi effettuati ed atti acquisiti che i rilievi espressi dal ricorrente non si erano mostrati idonei a superare la sussistenza della fattispecie della lottizzazione abusiva. L’appellante non riesce a provare il contrario neanche in questa sede, essendo i suoi rilevi troppo generici e non utili a dimostrare né il contrario, né il possibile esito diverso del procedimento sanzionatorio, se non con un inquadramento giuridico della fattispecie totalmente diversa, che questo Collegio in base ai ragionamenti che riguardano i motivi precedenti (e validi anche per questa censura) non può condividere.

18. Con l’ultima doglianza il Sig. Mezzano critica il TAR per la valutazione della violazione del vincolo paesaggistico. Gli interventi contestati sarebbero mere opere interne, senza introdurre alterazioni di sorta a carico delle sagome, dei volumi, delle superfici e dei prospetti preesistenti. L’insistenza di un vincolo di tutela paesaggistica sarebbe quindi del tutto ininfluente, trattandosi di opere sull’esistente e quindi esenti da autorizzazione paesaggistica. La zona non sarebbe interessata da un vincolo paesistico diretto ai sensi dell’art. 136, d.lgs. n. 42/2004. In particolare, la Delibera G.R. Lazio 5.12.1989, n. 10591 (in BURL n. 14 del 19.5.1990) dichiarando di notevole interesse pubblico “il territorio interessato dalla località Valle del Tevere”, descriverebbe il perimetro del vincolo: sul “crinale delle coste di Aceto, si percorre detto crinale principale in direzione ovest sino ad incrociare la strada provinciale Tiberina in località Casale Nardi” (doc. 17 di primo grado). Riportando tale descrizione sulla Carta Tecnica Regionale si rileverebbe che il vincolo non comprende nessuno dei tre edifici in questione.

19. Anche questa censura risulta infondata al Collegio.

19.1 In disparte il fatto che questa censura non sarebbe idonea a comportare da sola l’annullamento dell’atto, essendo l’ordinanza gravata plurimotivata (cfr. supra punti 2-4) e che quindi è sufficiente il riscontro della legittimità di una delle altre autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa per condurre al rigetto dell’intero ricorso (Cons. Stato, sez. IV, n. 6470/2021), l’aumento del carico urbanistico, e quindi del volume edificabile, è già sufficiente a smentire la tesi dell’irrilevanza del vincolo paesaggistico, alla luce della consolidata giurisprudenza in materia che invece richiede l’assenza di superficie o volumetrie aggiuntive (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 5463/2018). In merito al vincolo paesaggistico della “Vale del Tevere” emerge piuttosto la corrispondenza con l’accertamento del Comune (che aveva motivato che l’area era parzialmente interessata dal vincolo). La nota prot. 45383/01 – 2007 della Regione Lazio (Ente preposto alla tutela paesaggistica), con allegata documentazione esplicativa e tavola a colori con l’evidenza grafica delle zone sottoposte a tutela (allegato 13 fascicolo primo grado), ha chiarito che il vincolo è operativo dal 23.6.1987 (data di pubblicazione presso l’albo pretorio) e definitivamente approvato con DGR n. 10591/1989. La fascia di tutela interessa pressoché integralmente gli edifici “A” e “B” (salvo una piccola parte), mentre ne è escluso l’immobile “C” (allegato 9, relazione del CTU par. 4 punto 2).

20. L’appello va, in definitiva, respinto. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata, liquidandole in € 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente FF

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere, Estensore