Condoni e lottizzazioni abusive
di Ciro ANGELILLIS
Relazione al Convegno "Le giornate della Polizia Locale" Riccione 2009


1) LA SPECULAZIONE EDILIZIA

L’inizio della nostra riflessione non può prescindere da una rilettura del concetto di speculazione edilizia.
La ‘speculazione’ tuo court è una manovra mercantile che consiste nell’acquisizione e nella successiva vendita di beni mobili e immobili, con il fine specifico di guadagnare un surplus tra il costo di acquisto ed il prezzo di vendita. Essa dunque, nonostante la sua corrente accezione di tipo dispregiativo, non giustifica, quanto meno sotto l’aspetto etimologico, alcun immediato riferimento ad attività di tipo truffaldino o criminoso.
Anche la speculazione edilizia ha per oggetto le legittime attività di acquisto e vendita di terreni ed immobili in fasi successive. Essa è storicamente legata all'urbanesimo ed allo sviluppo talvolta caotico delle città intorno alle fabbriche, con la costruzione di abitazioni operaie di bassissimo livello abitabile e sanitario.
Al concetto di speculazione edilizia che, comunque, si ispira a criteri e obiettivi di mero lucro si contrappone quello di urbanistica che combatte attraverso le regole razionali l'urbanizzazione caotica e devastante delle città.
Nella storia più recente dell’Italia la speculazione edilizia è legata al c.d. boom economico degli anni '50-'60, quando si sviluppa il c.d. boom edilizio dovuto allo spostamento di grandi quantità di popolazione, alle accresciute attività economiche ed una maggiore ricchezza che coinvolge tutti i ceti sociali.
Le città si espandono a macchia d'olio senza che le amministrazioni riescano a governare il fenomeno. In tale situazione i terreni inizialmente agricoli divengono in poco tempo, a seguito delle opere di urbanizzazione eseguite dai Comuni, aree edificabili. Lo speculatore acquista il terreno a prezzo agricolo ed aspetta le strade, le fognature, l'energia elettrica, ecc. che inevitabilmente verranno costruite sotto spinte di vario genere. Il valore del terreno una volta urbanizzato e divenuto per questo idoneo all'edificazione sale a dismisura e può essere venduto lucrando la differenza divenuta cospicua tra prezzo d'acquisto e prezzo di vendita.
In questo quadro trova il suo humus ideale la corruzione che determina i pubblici amministratori alla urbanizzazione dei terreni.
Il concetto di speculazione edilizia acquisisce, così, in quegli anni una valenza negativa che induce a collegamenti con fenomeni criminosi caratterizzati dal binomio: abusivismo edilizio - reati contro la PA.
Oggi la speculazione edilizia consiste pur sempre in un’attività di ‘sfruttamento del territorio’ per fini di lucro ed anzi, nella sua accezione corrente, di ‘sfruttamento criminoso del territorio’ per fini di lucro; ma essa ha assunto forme del tutto nuove e variegate. Sotto il profilo socio-criminoso, intanto, essa non è più legata esclusivamente al circuito imprenditore edile corruttore - pubblico amministratore corrotto ma involge anche dinamiche del tutto diverse fino al punto da costituire una sottocategoria importante del più ampio fenomeno denominato ‘ecomafia’ attenendo alle attività di riciclaggio del danaro che la mafia investe in grandi opere edilizie non necessariamente abusive. Da questo punto di vista è più corretto parlare di sfruttamento criminoso del territorio e non di sfruttamento ‘abusivo’ (in violazione, cioè, della normativa strettamente urbanistica) del territorio, poiché il territorio può essere sfruttato per finalità fortemente criminose come quelle del riciclaggio senza necessariamente dovere coinvolgere aspetti di abusivismo edilizio ed urbanistico.


2) LE RAGIONI DI UNA SCONFITTA.
Prima di puntare l’obiettivo sulle forme più recenti e tecnicamente sofisticate di speculazione edilizia che si sostanziano in grosse lottizzazioni abusive, occorre delineare, sia pure rapidamente, il quadro sociale, normativo e giurisdizionale entro il quale oggi si collocano le nuove speculazioni edilizie.
Quasi inutile sottolineare, infatti, che la lotta all’abusivismo edilizio in generale oggi registra una sconfitta che forse non ha eguali negli ultimi 50 anni.
I processi per abusivismo edilizio, soprattutto quelli per il grande abusivismo edilizio, sono percentualmente pochi; quelli che si celebrano finiscono con sentenze di estinzione del reato per prescrizione, in percentuali vicino al 95%; le poche sentenze di condanna passate in giudicato sono innocue poiché le misure ripristinatorie del territorio (demolizione, ripristino e confisca) non funzionano sia sul versante giurisdizionale che su quello amministrativo: basti pensare che dietro taluni immobili abusivi che pullulano nel nostro territorio ( espressione del piccolo abusivismo posto in essere per esigenze abitative come della grande speculazione edilizia) vi è stata, nel corso del tempo, una vicenda processuale con relativa sentenza di condanna, ma questo non è servito a modificare la realtà delle cose, in quanto l’autore dell’illecito che generalmente non è gravato da recidiva, per un verso riesce ad innocuizzare le conseguenze penali del processo avvalendosi di tutti i benefici che il legislatore assicura a chi delinque una sola volta, per l’altro conserva l’immobile.
L’elencazione delle cause di questa situazione meriterebbe ben altro spazio. Si cercherà di offrirne una sintesi partendo e soffermandosi sulle cause di tipo tecnico normativo.
• UNA LEGISLAZIONE INEFFICACE: I VUOTI NORMATIVI E IL RUOLO SUPPLETIVO DELLA CASSAZIONE.
La c.d. attività di supplenza della magistratura ordinaria, notoriamente legata all’atavica inefficacia dell’attività di controllo della P.A. ed al carente tasso di legalità nel funzionamento dei meccanismi dell’apparato pubblico, rischia ormai di estendersi alla funzione legislativa, anch’essa abbisognevole di soccorso da parte del Giudice, allorquando complessi istituti con effetti fortemente invasivi nell’ambito dei diritti soggettivi, sono affidati ad una scarna legislazione, idonea a generare dubbi più che a fugarli. Talvolta la sottile linea di confine tra interpretazione e creazione della norma viene superata lasciando indifferente ed anzi consenziente il potere legislativo che, in teoria, tale superamento subisce, e che, in realtà, favorisce ed alimenta con disarmante naturalezza.
Così avviene per molti degli istituti giuridici coinvolti nella annosa querelle dei rapporti tra Giudice penale e Pubblica Amministrazione e che sopravvivono grazie ad inequivoci esempi di ‘giurisprudenza creativa’ in cui la Corte di Cassazione funge da locomotore nella creazione di percorsi all’interno dei terreni inesplorati del diritto penale urbanistico e il legislatore la asseconda, la incoraggia, ne ratifica l’operato.
Emblematico è ‘l’ordine giudiziale di demolizione del manufatto abusivo’ per il quale, nel silenzio del legislatore, per anni, all’interno della Cassazione, si sono contese il campo due teorie, su quale fosse l’organo titolato ad eseguirlo, fino a quando nel ’97 le Sezioni Unite, con la nota sentenza Monterisi, hanno rotto gli indugi individuandolo nel Pubblico Ministero. La motivazione, in punto di diritto, è condivisibile, soprattutto se calata nel contesto degli anni ’90, in cui la III sezione della Cassazione penale rivitalizzava la materia della urbanistica individuando il bene-interesse tutelato dalla norma penale nel corretto assetto del territorio. Rimane il dubbio, però, che a motivare questa scelta di campo della Cassazione sia stata anche una valutazione lato sensu politica in quanto la soluzione alternativa, che individuava in capo al Sindaco, permanendo inoperoso il proprietario condannato, l’obbligo di eseguire la demolizione, aveva, sino a quel momento, dato pessima prova di funzionamento; così come impraticabili si erano rivelati i tentativi della giurisprudenza di merito di rimediare all’inerzia comunale, configurando improbabili omissioni di atti di ufficio da parte del Sindaco. Non è, ovviamente, in discussione, in questa sede, la opportunità di questa operazione di politica giudiziaria, posta in essere in assenza di un intervento legislativo che, una volta tanto, gettasse un fascio di luce su questo versante, cronicamente carente di certezze ed in un periodo storico in cui i condoni, a cadenza decennale, avevano spuntato le armi della lotta all’abusivismo. Semmai colpisce che il legislatore del 2002 nel Testo Unico delle Spese di Giustizia, con una operazione c.d. di ‘registrazione del diritto vivente’, abbia ‘benedetto’ questa operazione di politica giudiziaria intervenendo al rimorchio della Cassazione e fornendo la disciplina di dettaglio delle attività del Pubblico Ministero.
Altro esempio di ‘giurisprudenza creativa’ è, appunto, quello della ‘lottizzazione edilizia abusiva’ anch’esso indotto e favorito da una legislazione lacunosa e piuttosto scadente. Il legislatore, infatti, si è occupato sostanzialmente due volte della lottizzazione abusiva. La prima, nel 1942, quando all’art. 41, lett.a) della L. n. 1150 (legge urbanistica fondamentale) introdusse l’istituto nel mondo giuridico ma, limitandosi a prevedere la sola sanzione penale “per la violazione del divieto stabilito nell'art. 28, primo comma”, omise di fornirne una qualche definizione. Fu una rozza operazione di trapianto in cui l’istituto, previsto appunto dall’art. 28 della legge urbanistica, fu sradicato prima con tutta la radice, poi con tutta la zolla dalla quale la pianta trae linfa, dal suo humus naturale che è il diritto urbanistico-amministrativo, e fu spostato nel diritto penale immergendolo nei suoi principi. Infatti dopo il solo divieto, previsto dal primo comma dell’art. 28, di lottizzare i terreni a scopo edilizio senza la preventiva autorizzazione, quando non sia approvato il piano regolatore particolareggiato, la L. n. 765 del 1967 (legge ponte) e la L. n. 10 del 1977 all’art. 17 (legge Bucalossi) modificarono la portata del precetto sanzionando “l’inosservanza [di tutte le disposizioni] dell’art. 28”. Come è noto, però, i trapianti necessitano di adeguati accorgimenti perché diversamente la pianta muore ed in questo caso, si trattò di un pessimo trapianto. Numerosissime furono, infatti, nel corso degli anni 80, le ordinanze dei Pretori di Riesi, Licata, Massa Marittima e Voghera che rappresentavano alla Corte Costituzionale l’indeterminatezza di quella fattispecie penale all’interno della quale era stato trapiantato il concetto, di esclusiva valenza amministrativa, di ‘lottizzazione’ senza alcun tipo di accorgimento. La Corte, dal canto suo, ha sempre buttato acqua sul fuoco attestando che il generico richiamo all’art. 28 della legge urbanistica non invalidasse il principio di tassatività della norma penale in quanto il giudice avrebbe potuto trarre i criteri interpretativi del termine ‘lottizzazione’ dalle ‘nozioni di comune esperienza’, alla stregua di quanto accade per altre espressioni del legislatore (l’accostamento è davvero discutibile a parere di chi scrive), utilizzate in ambito edilizio, come ‘costruzione’ o ‘limitata entità” ovvero, in ambiti completamente diversi, come “senza giustificato motivo”, “pudore” ecc. (per tutte, cfr ordinanza n. 159 del 1986).
Anche il secondo sostanziale intervento del legislatore non fu un gran che. Nel 1985, infatti, con l’art. 18 della L.n. 47, per un verso introdusse e delineò la lottizzazione abusiva negoziale, recependo, neanche a dirlo, le riflessioni giurisprudenziali più autorevoli del tempo, per l’altro fornì una definizione alla lottizzazione abusiva materiale individuando due distinte fattispecie. La prima ricorreva “quando vengono iniziate opere che comportino TRASFORMAZIONE…DEI TERRENI in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali”; la seconda “quando vengono iniziate opere che comportino TRASFORMAZIONE…DEI TERRENI… senza la prescritta autorizzazione”. Le due fattispecie sono state, poi, ereditate dal vigente Testo unico dell’Edilizia n. 380/01 che, all’art. 30, ripropone per intero il detto art.18.
Orbene sia il testo normativo sia i suoi lavori preparatori (che pure costituirono la basnon fornisce all’interprete né una stabile piattaforma sulla quale piantare le proprie teorie, nè un nucleo concettuale dell’istituto che, ancorchè foriero di inevitabili dubbi in fase di concreta applicazione, sia sufficientemente delineato; al contrario la sua fumosa ed imprecisa formulazione letterale ha privato l’interprete di qualsivoglia riferimento lasciandogli completa libertà di azione.
Si consideri la seconda ipotesi (trasformazione dei terreni senza la prescritta autorizzazione) che già con la legge Bucalossi aveva costituito, per giurisprudenza e dottrina, l’archetipo del reato di lottizzazione abusiva; essa ricorda ictu oculi, anzi ricalca l’art. 1 della legge Bucalossi in base al quale “ogni attività comportante TRASFORMAZIONE DEL TERRITORIO …..è subordinata a concessione da parte del sindaco..” ovvero la lett e) dell’art.3 del T.U.E. in base alla quale sono ‘interventi di nuova costruzione’( subordinati a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del T.U.E.) “quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio..’, e pone, con immediatezza, la madre di tutti i problemi: quando la trasformazione dei terreni necessita di concessione edilizia (oggi permesso di costruire) e quando di autorizzazione lottizzatoria? In altri termini quando la realizzazione di un manufatto privo di qualsivoglia titolo abilitativo integra gli estremi della lett. B) dell’art. 44 TU 380/01 e quando gli estremi della lett. C) del medesimo articolo? Il legislatore, nonostante i lavori preparatori della L. n. 47/85 associassero il concetto di ‘trasformazione urbanistica ed edilizia’ ad un intervento articolato idoneo a mutare l’assetto urbanistico della zona, non ha mai individuato con nitidezza questa linea di demarcazione, generando un vuoto molto significativo, foriero di una congerie di dubbi e perplessità che aumentano ove si pensi che quando si è trattato di individuare le linee di demarcazione verso il basso, tra gli interventi edilizi che necessitano del titolo abilitativo classico del permesso di costruire e gli altri (prima autorizzazione edilizia e D.I.A., oggi solo D.I.A.) sino agli interventi liberi, pur essendovi sullo sfondo interessi meno pregnanti sotto il profilo ambientale, è stato molto meno pigro. Basti vedere, gli artt. 31 e 48 della L n. 457 del 1978 e gli artt. 9 e 26 della L.47/85 che, con riferimento agli interventi sul ‘preesistente’, forniscono in termini certamente più compiuti la definizione e la disciplina degli interventi di manutenzione, ristrutturazione e risanamento, fino alla realizzazione delle opere interne. Parimenti quando si è trattato di stabilire in quale misura l’opera realizzata in concreto possa legittimamente differire da quella concessa per tabulas, la puntualità riscontrata, con riferimento alla concessione edilizia, agli artt. 8 e 15 della L.47/85 sulle varianti essenziali e le varianti in corso d’opera, svanisce del tutto in materia di lottizzazione edilizia, in cui la figura della variante è, ancora oggi, una controversa creatura della giurisprudenza.
Le medesime perplessità e le medesime considerazioni possono essere specularmente riproposte nell’ambito della prima ipotesi di lottizzazione edilizia abusiva materiale legata alla trasformazione del territorio in violazione delle prescrizioni. Premesso che la formulazione è così generica che, in teoria, abbraccerebbe ipotesi pacificamente diverse dalla lottizzazione come quella della edificazione di un singolo manufatto di medie o modeste dimensioni, che superi gli indici di zona previsti, occorre rilevare che questa fattispecie è riconducibile alla lottizzazione abusiva per illegittimità del titolo. Solo che anche per la fattispecie dell’opera dotata di un titolo abilitativo illegittimo, il legislatore non specifica quando in concreto si ruoti nell’orbita della concessione edilizia illegittima, reato sanzionato dalla lett. B) dell’art. 44 TU n. 380/01 e quando in quella della autorizzazione a lottizzare illegittima, reato sanzionato dalla lett. C) del medesimo articolo. Fermo restando che non potrà essere il nomen del provvedimento illegittimo ad orientare il Giudice.
In assenza di un articolato normativo chiaro ed esaustivo, è inevitabile, allora, che il diritto si formi lontano dalle aule legislative, per il tramite di una costellazione di pronunce - ciascuna delle quali, peraltro, definisce il reato in modo inevitabilmente legato al caso di specie - che contribuiscono a rendere la galassia della lottizzazione abusiva materiale difficilmente dominabile.
Auspicabile, allora, un confronto di livello alto su questo ruolo della Cassazione che, obtorto collo, è chiamata a creare diritto e, si badi, non in presenza di ipotesi limite che il legislatore non poteva prevedere e che richiamano alla mente istituti come l’analogia e la interpretazione estensiva, ma in presenza di veri e propri vuoti normativi che, nella variegata realtà giudiziaria, postulano la supplenza dei Giudici. Il fenomeno può essere letto sotto una duplice ed opposta chiave di lettura, la prima, che mette in luce la degenerazione del rapporto dei poteri che ne pregiudica l’equilibrio e genera un’ingerenza del potere giudiziario addirittura in quello legislativo, oltre che in quello esecutivo, con conseguente calo del tasso di democrazia del sistema, la seconda che, al contrario, esalta, nella supplenza giudiziaria, la funzione di sicurezza del sistema che consente di evitarne il collasso difronte proprio ai cattivi funzionamenti degli altri due poteri.

• UNA GIURISDIZIONE CHE NON FUNZIONA.
L’attività dello iuris dicere è quella esercitata nelle aule giudiziarie tramite il meccanismo del processo. Il cattivo funzionamento di questo meccanismo è sotto gli occhi di tutti. Oggi i reati di tipologia ambientale sono quelli maggiormente sacrificati in quanto le risorse e le energie limitate dell’Autorità Giudiziaria, titolare del potere della giurisdizione, sono convogliate preferibilmente verso reati ritenuti di maggiore allarme sociale (reati di mafia, reati contro il patrimonio ecc.), anche perché soprattutto negli Uffici del P.M. vengono selezionate le notizie di reato con maggiore possibilità di ‘sopravvivenza’ e sacrificate quelle che invece sono inesorabilmente destinate alla prescrizione anche ove fossero ‘attivate’ con immediatezza.
Occorre prendere atto che i tempi medi di un processo sono assolutamente incompatibili con quelli della prescrizione prevista per gli illeciti che determinano le grandi speculazioni edilizie.

• UN RAPPORTO GIUDICE PENALE – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CHE NON FUNZIONA.

Il legislatore nel concepire il c.d. sistema del doppio binario (amministrativo-penale) ha previsto un doppio percorso, l’uno affidato al Giudice penale, l’altro alla Pubblica Amministrazione, comunque diretto al perseguimento di un unico fine: la tutela del territorio.
Titolare del bene giuridico tutelato con la normativa urbanistica (il corretto sviluppo del territorio) è proprio la Pubblica Amministrazione.
Oggi, da questo punto di vista, la realtà delle aule giudiziarie presenta scenari inverosimili che sono l’emblema dello scarto esistente tra lo schema astratto predisposto dal legislatore e la realtà. La Pubblica Amministrazione è spesso infatti presente, nei processi per le grandi speculazioni edilizie, sia come parte offesa che come imputato poiché le grosse speculazioni edilizie spesso sono volute e autorizzate dai Comuni che poi processualmente risultano le vittime da tutelare.

3) LE FORME PIU’ RECENTI DI SPECULAZIONE EDILIZIA: LE NUOVE FORME DI LOTTIZZAZIONE ABUSIVA.
Entro questo quadro si colloca un fenomeno recentissimo di sofisticato e ‘raffinato’ abusivismo edilizio, registra una tecnica di aggiramento della norma edilizia al fine di ostentare come legittimo un fenomeno di abusivismo dalla portata a dir poco devastante per il paesaggio e per gli equilibri urbanistici che una strumentazione urbanistica persegue.
Il fenomeno è capace di produrre non solo effetti trasformativi del territorio ma anche forti ripercussioni sul piano socio-economico e occupazionale.
Trattasi dei c.d. ‘falsi alberghi’ (altrimenti conosciute come R.T.A.: residenze turistico alberghiere di cui si muta la destinazione d’uso) che sono grandi complessi immobiliari autorizzati e realizzati come strutture turistico-recettive ( pertanto, con il beneficio di agevolazioni fiscali), ma poi trasformati in complessi immobiliari costituiti da unità autonome destinate per lo più alle c.d. seconde case. I riflessi negativi sono
sul piano urbanistico per l’inevitabile pregiudizio alla pianificazione del territorio;
sul piano sociale per l’esposizione degli acquirenti che dopo le vendite affrettate di questi complessi edilizi e la sparizione dallo scenario dei costruttori che, incassati i prezzi di acquisto sono assolutamente indifferenti verso una ipotetica condanna, si pongono come gli unici veri interlocutori con l’Autorità giudiziaria per contrastarne le eventuali intenzioni di confisca;
sul piano occupazionale per la mancata assunzione del personale dipendente destinato ad operare nella struttura alberghiera;
sul piano economico per il pregiudizio all’economia turistica del territorio.
Questi fenomeni speculativi hanno di recente interessato la Toscana, la Sardegna, l’Emilia Romagna, la Liguria, il Veneto, la Puglia ed anche in territorio alpino dove un recente studio di Legambiente sul c.d. business delle seconde case, ha evidenziato che in Lombardia per 35 comuni turistici montani esaminati, con oltre 31.000 posti letto di cui 24.000 alberghieri, vi sono ben 68.000 seconde case per un valore che corrisponde al 70% delle abitazioni presenti. La Lombardia è prima in classifica, tra tutte le regioni alpine, quanto a numero di seconde case montane.
• Lo studio di Legambiente.
«Il problema delle seconde case è presente in tutto l'Arco Alpino – spiega in una nota Legambiente - ma mentre nei Paesi tedeschi si cerca di arginarlo con misure urbanistiche e fiscali, da noi la speculazione d'alta quota pare inarrestabile, ed è assecondata dai condoni e dall'attuale 'piano casa» .
L' Alta Valtellina , con 11.700 posti letto alberghieri copre ben il 49% dell'offerta, facendone il comprensorio trainante dell'intero turismo montano della regione. All'interno del comprensorio spicca fortemente il ruolo della località di Livigno , 'star' turistica delle Alpi lombarde con 4982 letti alberghieri e 2674 extralberghieri, mentre i due terzi delle quasi 10.000 seconde case sono concentrate nell'agglomerato Bormio-Valdisotto-Valdidentro. Rilevanti, secondo il parametro della ricettività alberghiera, anche il comprensorio dell'alta Valcamonica (Ponte di Legno e Temù) con 1891 letti alberghieri, quello di Aprica (che comprende la camuna Corteno Golgi), con 1737 letti, dell'Alta Valchiavenna (Campodolcino e Madesimo) con 1416 letti e della Valmalenco (Chiesa, Lanzada e Caspoggio) con 1374 letti.
Ciò posto, la ricettività offerta dalle seconde case surclassa abbondantemente quella delle attività turistiche vere e proprie: per ogni letto alberghiero ed extralberghiero ci sono infatti ben 1,63 'seconde case' .
Complessivamente povero di ricettività alberghiera è il territorio orobico , dove si concentra maggiormente la 'piaga' delle seconde case, presenti dovunque, anche al di fuori delle località di notorietà turistica, con una forte concentrazione nelle valli bergamasche (le località turistiche della Val Seriana con Valbondione, Castione, Clusone, Fino del Monte, Gromo, che contano 11.700 seconde case; quelle della Val Brembana con Piazzatorre e Foppolo con 3400 case, Schilpario in Val di Scalve ed infine alcune località turistiche molto prossime alla città di Bergamo, come Selvino, Serina, Roncola, con altri 6.400 alloggi): complessivamente le 11 località turistiche bergamasche comprendono un terzo delle seconde case dell'intero campione lombardo!
Rilevanti concentrazioni di seconde case si rinvengono anche nei comprensori dell'Alta Val Camonica (6400 seconde case tra Pontedilegno e Temù), dell'Aprica (7660 seconde case tra Aprica e Corteno), della Valmalenco (5600) e dell'Alta Valchiavenna (5400), oltre che in località caratterizzate da turismo consuetudinario e familiare (Borno, Barzio, Collio e Bagolino). Nello scenario lombardo si evidenziano alcuni esempi particolarmente negativi e sbilanciati: le stazioni sciistiche di Madesimo, Piazzatorre e Foppolo , con una dotazione di seconde case pari o superiore al 90% dell'intero patrimonio abitativo, il gigantesco agglomerato di seconde case di Castione della Presolana , ma anche quelli di Pontedilegno , dell' Aprica e della Valmalenco.









• ULTIMO PRESIDIO CONTRO LA SPECULAZIONE EDILIZIA: LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
Al fine di fronteggiare questo fenomeno particolarmente insidioso, la più recente elaborazione giurisprudenziale della Cassazione, è giunta a configurare il reato di lottizzazione abusiva materiale anche nell’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso di immobile preesistente; la fattispecie riguarda frazionamenti di complessi edilizi autorizzati come residenze turistico alberghiere (R.T.A.) ed invece venduti come singole unità immobiliari destinate ad uso abitativo.
L’istituto della lottizzazione abusiva manifesta ancora una volta la sua natura camaleontica essendo pronto a cambiar pelle dietro le spinte della Cassazione che da trenta anni si cimenta per mantenere la tutela del territorio al passo della mutevole e variegata realtà dell’abusivismo edilizio.
Questa nuova figura di lottizzazione edilizia contribuisce a rendere antica l’immagine del lotto di tipo agricolo parcellizzato per fini edificatori, evocata ormai solo dalla tradizionale casistica, legata alle origini dell’istituto. Oggi il reato è configurabile anche con riferimento a ad interventi che incidono non in via immediata sui terreni ma su complessi edilizi già esistenti determinandone una modifica di destinazione d’uso in zone urbanistiche in zone in cui tale modifica non risulta inclusa tra quelle astrattamente possibili. Ciò in quanto “anche un abusivo mutamento di destinazione d’uso di edifici già esistenti può influire sull’assetto urbanistico dei terreni sui quali essi insistono e può altresì comportare la necessità di nuovi interventi di urbanizzazione”(Sez. III, 7/3/08, n. 24096, Desmine).
Questo, naturalmente, è possibile nella misura in cui la modifica dell’assetto del territorio incida, alterandolo, sul bene protetto dalla norma della lottizzazione abusiva: lo sviluppo del territorio così come pianificato. Infatti una siffatta modifica della destinazione del territorio snatura la programmazione dell’uso del territorio così come delineata nello strumento urbanistico generale finendo fatalmente per necessitare di una integrazione delle opere di urbanizzazione già eventualmente esistenti.
La forza di questa posizione della Cassazione riveniva dal fatto che la lottizzazione abusiva, sino a qualche mese addietro, comportava una misura davvero efficace (la sola?) contro la speculazione edilizia: la confisca dei terreni anche a carico dei terzi acquirenti in buona fede.
Oggi la Corte di Cassazione ha mutato questo orientamento dietro le spinte della giurisprudenza europea spostando l’istituto dalla sottocategoria di ‘sanzione amministrativa reale’ applicabile anche ai terzi in buona fede (alla stregua dell’ordine di demolizione, attesa la loro valenza esclusivamente ripristinatoria del territorio) alla sottocategoria di sanzione amministrativa personale’ con funzione sanzionatoria con conseguente applicazione dei principi personalistici che ispirano la L. 689/81 e che escludono la confisca nei confronti del terzo in buona fede; pertanto, se l’immobile oggetto di speculazione abusiva viene, nelle more dell’accertamento giudiziale, parcellizzato e venduto ai singoli acquirenti in buona fede, la confisca non può più operare, così rendendo inoffensivo anche questo ultimo baluardo contro il fenomeno criminoso.
Occorre però rilevare che questa posizione della Cassazione non è scevra da critiche che potrebbero, nella situazione di grande fermento che è quella attuale, indurre a qualche ripensamento la Suprema Corte.
Il problema si pone raffrontando la confisca con l’ordine giudiziale di demolizione del manufatto abusivo, pacificamente estensibile al terzo in buona fede. Sino ad oggi i due istituti sono stati accomunati nella categoria della ‘sanzione amministrativa’; pertanto, o il riconoscimento dei caratteri personalistici della sanzione amministrativa coinvolgerà anche l’ordine di demolizione che non potrà più essere dato a carico del terzo in buona fede, in tal modo contravvenendo evidentemente alla previsione di legge così come, pacificamente interpretata dalla stessa Cassazione (Cass. III, 5/11/98, n. 2882, Frati) e ‘valutata’ dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 15/7/91, n. 345), oppure tra le due misure dovrà essere introdotta una differenziazione, per nulla scontata nella sentenza in commento, che consenta di escludere la misura dell’ordine di demolizione dalla categoria della sanzione amministrativa in senso stretto e di preservarne la natura ‘reale’.
Tale differenziazione, però, finirebbe per fare i conti con il principio di proporzionalità e ragionevolezza poiché rappresenterebbe una disarmonia nel contesto normativo atteso che gli interessi urbanistici compromessi dal reato cui consegue l’ordine di demolizione (esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso di costruire di cui alla lett. b, art. 44 DPR 380/01) sono meno pregnanti rispetto a quelli coinvolti dal reato di lottizzazione abusiva che attiene ad una forma di intervento ben più incisiva, in quanto idonea a compromettere la programmazione edificatoria del territorio. In questa ottica, infatti, si spiega, come attestato dalla Corte Costituzionale con le ordinanze n. 148 del 21/4/94 e n. 107 del 16/3/89, il diverso trattamento riservato alle due fattispecie dal legislatore che, dal punto di vista delle cause di estinzione del reato, ha previsto solo per il reato meno grave, di cui alla lett. b art. 44 DPR 380/01, la possibilità del rilascio in sanatoria (in senso stretto) del permesso di costruire (art. 36 DPR 380/01) e del rilascio in sanatoria mediante oblazione (condoni edilizi di cui agli artt. 31 L.47/85, 39 L.n.724/94 e 32 D.L.269/03). Soprattutto si spiega perché il legislatore agganci alla sentenza di condanna solo l’ordine di demolizione e non la confisca che, invece, è prevista per la mera sussistenza del fatto. Nel primo caso, infatti, quando l’imputato è prosciolto pur sussistendo il fatto, l’abuso edilizio, potrà, comunque, essere ‘assorbito’ nell’ambito della programmazione edificatoria della P.A. che non ne rimane irrimediabilmente pregiudicata; nel secondo, invece, il fatto consiste proprio in tale pregiudizio della pianificazione del territorio e, pertanto, la sua gravità non consente di limitare la misura ripristinatoria alle pronunce di condanna.
In tale contesto risulta, allora, contraddittoria la tutela del terzo in buona fede che sarebbe garantita solo nell’ipotesi criminosa di maggiore offensività (la lottizzazione abusiva accertata, indifferentemente, con sentenza di condanna o di proscioglimento) ed a costo della definitiva rinuncia alla programmazione edificatoria del territorio (si pensi alla lottizzazione per realizzazione di un imponente complesso edilizio in cui la presenza di un solo acquirente in buona fede, di una singola unità immobiliare, renderebbe impossibile il ripristino dell’intera area compromessa) e non per il reato di realizzazione di un singolo manufatto abusivo, accertato con sentenza di condanna e inidoneo a pregiudicare, allo stesso modo, la pianificazione del territorio.
Questa ricostruzione rappresenterebbe la violazione del principio di proporzionalità per palese irragionevolezza del bilanciamento degli interessi da parte del legislatore che farebbe prevalere la tutela del terzo in buona fede solo nell’ambito del reato di lottizzazione edilizia dall’elevato indice di offensività, così sacrificando il relativo bene giuridico e, viceversa, salvaguarderebbe, a discapito del terzo, il meno pregnante bene giuridico tutelato dalla lett. b dell’art. 44 DPR 380/01.