Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 315, del 21 gennaio 2013
Urbanistica. Opere edilizie solamente indicate nel progetto autorizzato non sono automaticamente autorizzate

La circostanza che alcune opere edilizie fossero state indicate nel progetto allegato alla domanda di autorizzazione non implica, (soprattutto in presenza di una clausola dell’atto che le esclude dal suo ambito applicativo) che il provvedimento rilasciato dall’amministrazione le debba necessariamente ricomprendere. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 00315/2013REG.PROV.COLL.

N. 07772/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7772 del 2012, proposto da: 
Coico Maurizio e Testa Caterina, rappresentati e difesi dall’avvocato Elio Vitale, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, viale Mazzini, 6;

contro

Comune di Roma, ora Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso per legge dagli avvocati Rodolfo Murra e Umberto Garofoli, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21; XVIII Municipio del Comune di Roma;

per la riforma

della sentenza 20 luglio 2012, n. 6698 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 il Cons. Vincenzo Lopilato e udito per le parti l’avvocato Vitale.

 

FATTO e DIRITTO

1.– Con istanza del 26 gennaio 2006, prot. n. 3460, indirizzata al Dipartimento del Comune di Roma, il signore Maurizio Coico ha chiesto l’autorizzazione a realizzare un parcheggio a raso sul terreno, in comproprietà con la signora Caterina Testa, sito in Roma, via dell’Acquafredda, n. 196.

Con atto del 17 ottobre 2006, prot. n. 1958, è stata rilasciata l’autorizzazione a realizzare il parcheggio.

Con provvedimento del 21 agosto 2007, prot. n. 1621, il Comune di Roma ha ordinato la demolizione di un manufatto rifinito di metri 17,00 per metri 6 e di altezza pari a metri 2,50, di un cancello carrabile e del completamento di una recinzione in muratura, in quanto realizzati in difformità dal titolo autorizzatorio sopra indicato e in assenza del permesso di costruire.

1.1.– I Signori Coico e Testa hanno impugnato il provvedimento al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con sentenza 20 luglio 2012, n. 6698, ha rigettato il ricorso.

2.– I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello avverso la predetta sentenza per i motivi indicati nei successivi punti.

2.1.– Si è costituito in giudizio l’amministrazione comunale chiedendo il rigetto dell’appello.

3.– L’appello non è fondato.

3.1.– Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza e l’illegittimità dell’atto impugnato in quanto la realizzazione delle opere ritenute abusive era stata autorizzata con il citato atto del 17 ottobre 2006, prot. n. 1958. In particolare, si assume che il suddetto atto rinverrebbe «i suoi presupposti fattuali» nel progetto allegato al progetto, il quale conterebbe «gli elementi indispensabili» alla realizzazione di un parcheggio. In altri termini, l’appellante ritiene che fosse «tecnicamente implicito che il parcheggio consentito fosse delimitato» dalle opere necessarie di qualificazione.

Il motivo non è fondato.

L’amministrazione comunale, con il provvedimento indicato, ha autorizzato la realizzazione del parcheggio purché venissero rispettate talune prescrizioni, consistenti nell’arretramento del parcheggio stesso per consentire la creazione di un marciapiede, nel garantire condizioni di visibilità e nel prevedere un attraversamento pedonale. Nella parte finale dell’atto è affermato che dall’autorizzazione sono esclusi i «movimenti terra» e la «realizzazione di opere».

In presenza di un titolo abilitativo che presenta detto contenuto anche prescrittivo non poteva ritenersi “implicita” in esso, come correttamente ritenuto dal primo giudice, l’autorizzazione alla realizzazione delle opere oggetto dell’ordine di demolizione. La circostanza che alcune di tali opere fossero state indicate nel progetto allegato alla domanda di autorizzazione non implica – soprattutto in presenza di una clausola dell’atto che, come già rilevato, le esclude dal suo ambito applicativo – che il provvedimento rilasciato dall’amministrazione le debba necessariamente ricomprendere.

Si tenga conto, inoltre, che gli interventi edilizi posti in essere, comprendendo anche «interventi di nuova costruzione», richiedevano comunque il rilascio di un autonomo permesso di costruire (v. l’art. 10 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»).

3.2.– Con un secondo motivo si assume che la recinzione e il cancello di accesso erano state oggetto di una domanda di condono. Più precisamente si afferma che le predette opere «erano state in buona parte oggetto di procedura di condono, residuava e residua solo una minima parte di opere, che peraltro sono intimamente connesse con quelle autorizzate».

Il motivo, a prescindere dalla sua genericità per la mancanza di critiche specifiche rivolte alla sentenza impugnata, non è fondato.

Agli atti del processo risulta una sola domanda di condono per opere ultimate al 31 marzo 2003 consistenti in «recinzioni in muretti di cemento armato e murature di sostegno e divisorie». Ne consegue che, come correttamente rilevato dal primo giudice e non contestato con l’atto di appello, l’oggetto della predetta domanda, da un lato, non si estende chiaramente al manufatto interamente rifinito e al cancello metallico carrabile, dall’altro, riguarda la realizzazione delle recinzioni mentre l’ordine di demolizione attiene al «completamento» delle recinzioni stesse avvenuto in data successiva. L’espressione «murature di sostegno e divisorie» è, poi, generica per potere avere rilevanza in questa sede.

3.2.– Con un terzo motivo si deduce che l’amministrazione comunale avrebbe tenuto un comportamento contrario ai principi di affidamento e buona fede.

Il motivo, a prescindere dalla sua genericità, non è fondato.

In presenza, infatti, di un atto di autorizzazione che espressamente escludeva dal suo ambito applicativo le opere in esame non poteva ingenerarsi in capo agli appellanti alcun affidamento meritevole di protezione giuridica.

4.– Gli appellanti sono condannati al pagamento, in favore dell’amministrazione intimata, delle spese del presente grado di giudizio che si determinato in complessive euro 3.000,00, oltre iva e cpa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) condanna gli appellanti al pagamento, in favore dell’amministrazione intimata, delle spese del presente grado di giudizio che si determinato in complessive euro 3.000,00, oltre iva e cpa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)