T.A.R. Lazio (RM) Sezione II-Bis n. 1668 del 4 febbraio 2016
Rifiuti.Gestione rifiuti e giurisdizione

La devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti presuppone che gli atti o comportamenti della p.a., o dei soggetti alla stessa equiparati, costituiscano espressione dell'esercizio di un potere autoritativo dell'amministrazione pubblica, rimanendone escluse unicamente le controversie nelle quali sia dedotto in giudizio un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale, intesa a regolare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, che continuano ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario

N. 01668/2016 REG.PROV.COLL.

N. 05482/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5482 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giuseppe Armaleo, Farinelli Angelina, Giuliani Angelo, Gobbi Franco, Tapinassi Rina, Di Claudio Armanda, Pereira Dianah Janeth, Menghetti Giorgio, Menghetti Michael Alexander, Gobbi Anna, Dominici Enrico, Perilli Leonia, Farinelli Ennio, Farinelli Emanuella, Savioli Domenico, Savioli Daniela, Diamilla Cesare, Colasanti Francesco, Fontana Alessandro, Cooperativa Coltivatori Diretti Casali di Poggio Nativo, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Franco Giampietro, Alberta Milone, con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via F. Sacchetti, 114;

contro

Comune di Poggio Nativo, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Anna Maria Barbante, con domicilio ex lege presso la Segreteria del Tar Lazio, via Flaminia 189, Roma,
Regione Lazio, in persona del Pres. P.t., rappresentata e difesa dall'avv. Stefania Ricci, dell’Avvocatura regionale con domicilio eletto presso la stessa, in Roma, Via Marcantonio Colonna,27;
Arpa Lazio, Arpa Lazio - Sezione Provinciale di Rieti, Azienda Usl di Rieti, Provincia di Rieti, n.c.;

nei confronti di

Soc. a r.l. R.E.S.S. - Recupero Ecologico Servizi Smaltimento, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. ti Elena Stella Richter e Sara Piccoli, con domicilio eletto presso la prima in Roma, viale Mazzini 11;

per l'annullamento

con il ricorso introduttivo

dell'autorizzazione n. 1/2015 prot. 1185 del 23.2.2015, del Comune di Poggio Nativo, avente ad oggetto: Impianto di trattamento di rifiuti inerti ubicato nel territorio del Comune di Poggio Nativo;

del verbale della Conferenza di Servizi, tenutasi presso il Comune predetto, n. 3 dell’8 gennaio 2015, avente ad oggetto: Istanza della RESS ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 e degli artt. 15 e 16 della l. reg. n. 27/98 per impianto di trattamento di rifiuti inerti;della nota della Regione Lazio n. GR/03/36/597124 del 28 ottobre 2014;

della determinazione della Regione Lazio n. G14815 del 21 ottobre 2014;della nota della Regione Lazio n. 655183 del 9 gennaio 2015;

della nota ARPA Lazio Rieti n. 98450 del 13 dicembre 2013;

della nota ASL Rieti n. 414 del 7 gennaio 2015;

e con il primo ricorso per motivi aggiunti notificato il 26 giugno 2015:

della nota del Comune di Poggio Nativo n. 3252 del 26 maggio 2015 avente ad oggetto l’Archiviazione del procedimento e revoca dell’ordinanza;

della nota di chiarimenti del Comune medesimo prot. N. 1770 del 20 marzo 2015;

di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi quelli impugnati con il ricorso introduttivo;

con il secondo ricorso per motivi aggiunti notificato in data 2 settembre 2015:

della convenzione stipulata tra il comune di Poggio Nativo e la Società R.E.S.S. avente ad oggetto il Ricevimento ed il recupero dei rifiuti inerti prodotti direttamente dai cittadini per attività di costruzione e demolizione svolta nei rispettivi domicili, depositata in giudizio dalla Società in data 3 luglio 2015;

di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi gli atti impugnati con il ricorso introduttivo;

con il ricorso per motivi aggiunti notificati il 24 settembre 2015:

della delibera di CC con cui è modificato il piano di zonizzazione acustica, con riferimento all’area di localizzazione dell’impianto di trattamento rifiuti per cui è causa, n. 8 dell’8 giugno 2015;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Poggio Nativo, della Regione Lazio e della Società R.E.S.S. Recupero Ecologico Servizi Smaltimento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2015 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

I – Con il ricorso introduttivo specificato in epigrafe, gli istanti, premesso di essere residenti e/o proprietari relativamente ad immobili siti in area limitrofa al sito di interesse, censurano il provvedimento con cui l’Amministrazione (e gli atti procedimentali presupposti) ha autorizzato ex art. 208, d.lgs. n. 152 del 2006 la realizzazione da parte della Società controinteressata di un impianto di trattamento di rifiuti inerti in Comune di Poggio Nativo. Il gravame è sostanzialmente diretto a contestare la legittimità del provvedimento che sarebbe intervenuto in violazione della normativa VIA, in quanto avrebbe autorizzato un impianto, ‘elusivamente’ frazionando i quantitativi trattati al fine di evitare la valutazione di impatto ambientale.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono dunque la violazione del d.lgs. n. 152 del 2006, parte II e della direttiva comunitaria n. 2001/92/UE, nonché il vizio di eccesso di potere per molteplici figure sintomatiche; con il secondo motivo denunziano anche la violazione di legge con riferimento all’art. 3 della l. n. 241 del 1990 e la carenza istruttoria, la violazione dell’art. 2, lett. e), l. n. 447 del 1995, dell’art. 2, co. 3, d.P.C.M. 14 novembre 1997 e l’eccesso di potere per carenza istruttoria con riguardo alla disciplina dell’inquinamento acustico, poiché nell’autorizzazione non vi sarebbe alcuna valutazione dell’impatto acustico dell’impianto; ancora deducono la carenza istruttoria e la violazione di legge con riguardo alla mancata considerazione della collocazione dell’impianto nelle vicinanze della via Salaria e della natura dell’impianto medesimo quale industria insalubre di prima classe, sì da essere tenuto lontano dalle abitazioni ed isolato nelle campagne ai sensi del r.d. n. 1265 del 1934. Inoltre, deducono carenze istruttorie e motivazionali con riguardo alla descrizione delle dimensioni dell’impianto ed alla compatibilità dello stesso con la destinazione agricola dell’area.

Si costituisce la R.E.S.S. per resistere al gravame, eccependo il difetto di legittimazione dei ricorrenti

Tuttavia, già con nota prot. 2055 del 2 aprile 2015, notificata alla Società controinteressata in data 30 aprile il Comune avviava l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione in seguito ad una nota dell’ARPA con riguardo ad una difformità dei rifiuti inerti trattati con quelli autorizzati, informando della possibilità di produrre memorie; con provvedimento del 3 aprile era ordinata la sospensione per sessanta giorni dell’efficacia dell’autorizzazione.

Mentre il ricorso era notificato il 17 aprile.

Vale sin d’ora precisare che questo TAR accoglieva l’istanza di sospensione (decreto presidenziale n. 2618 del 2015 e di seguito ordinanza n. 2890 del 2015), poiché allo scadere del termine suindicato, si rappresentava la ripresa dei lavori.

Peraltro in data 26 maggio 2015 era archiviato il procedimento di autotutela.

Avverso tale nota i ricorrenti hanno proposto ricorso per motivi aggiunti deducendo:

1 – l’illegittimità derivata per i motivi già esposti in ricorso;

2 – illegittimità propria per violazione della normativa nazionale e comunitaria già sopra richiamata (d.lgs. n. 152 del 2006, parte II, all. IV, n. 7 lett. zb) e direttiva comunitaria n. 2011/92/UE) e della l. r. n. 27 del 1998 (art. 15, lett. c), della l. n. 447 del 1995 e dell’art. 2, co. 3, d.P.C.M. 14 novembre 1997 nonché per eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifesta, per l’illegittimo frazionamento dell’impianto;

3 – perché al momento di emanazione dell’autorizzazione le soglie di cui all’all. IV, parte II, d.lgs. n. 152 del 2006 erano state sospese.

Con secondo ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti hanno gravato ancora la convenzione stipulata dal Comune con la Società controinteressata, per i medesimo profili.

Con un terzo ricorso per motivi aggiunti hanno impugnato la deliberazione del CC avente ad oggetto il “Piano di zonizzazione acustica – Integrazione – Aggiornamento”.

Si sono costituiti anche il Comune e la Regione per resistere al ricorso, quest’ultima precisando che nessuno specifico vizio era dedotto avverso gli atti regionali.

All’udienza di discussione la parte controinteressata ha eccepito la tardività dell’ultima produzione documentale di parte istante, mentre è stata espressa rinuncia ai termini a difesa per i motivi aggiunti.

DIRITTO

I – Osserva il Collegio che va, in via preliminare, respinta l’eccezione di difetto di legittimazione sollevata dalla parte resistente, in considerazione della circostanza di fatto, non smentita in atti, che gli istanti sono proprietari o residenti nell’area limitrofa a quella d’interesse. Seppure, infatti, l’orientamento giurisprudenziale prevalente – e oramai sul punto pressocchè consolidato - ritiene come la mera “vicinitas” di un fondo, o di un’abitazione, all’area oggetto di intervento, non sia di per sé sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse al ricorso, dovendo invece la parte attrice dare la prova concreta della specifica lesione inferta dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, appare evidente che la particolarità e specificità dell’oggetto dell’intervento - trattamento dei rifiuti - è in sé idoneo a dimostrare lo “specifico vulnus alla … sfera giuridica sub specie della sussistenza di un detrimento economico – patrimoniale comunque derivante per il bene” di proprietà (come richiesto dalla giurisprudenza, cfr. Cons. di Stato n.8364/2010), nonché ad altri invocati beni tutelati.

II – Per ragioni di economia processuale le censure possono essere esaminate congiuntamente.

Per delimitare l’ambito di trattazione del giudizio, in breve, vale precisare che devono essere ritenuti superati i motivi di ricorso con i quali gli istanti censurano il difetto di motivazione e di istruttoria sotto il profilo della difformità di dimensione tra autorizzato e capacità massima, a seguito della nota (impugnata con i primi motivi aggiunti), che ha revocato il provvedimento di autotutela. In vero, a seguito della segnalazione dell’ARPA, la RESS rispondeva precisando che la misura 42.850 tot/anno è quantitativo per cui l’autorizzazione era richiesta, mentre 141.150 tot/anno è la capacità massima dell’impianto, per un quantitativo massimo di produzione di 9,5 tot/giorno, sicchè con la nota del 20 marzo il Comune ha chiarito che le quantità giornaliere ed annuali degli inerti che l’impianto può effettivamente lavorare non sono quelle riportate nell’autorizzazione, bensì quelle della relazione tecnica allegata al progetto. In tal senso, dunque, ha proceduto alla correzione dell’errore materiale consistito nella errata indicazione in autorizzazione. Le censure, dunque, attinenti alla distonia tra i quantitativi richiesti e quelli autorizzati devono intendersi divenute improcedibili, perchè corrette dalla stessa Amministrazione.

Non può neppure ritenersi che la controinteressata abbia inteso indurre in errore l’Amministrazione, al fine di operare un illegittimo frazionamento per evitare la procedura VIA, poiché, come riconosciuto dalla stessa Amministrazione, il valore esatto è rinvenibile nel progetto per il quale si richiedeva l’autorizzazione, ovvero come precisato a seguito della nota del 20 marzo: l’impianto infatti risulta destinato a trattare un quantitativo complessivo di inerti ammontante a 9,5 tonnellate, dunque per una potenzialità sotto la soglia prevista per la necessità di procedura VIA (di cui allegato IV parte II, d.lgs. n. 152 del 2006), con la conseguenza che chiaramente ogni diverso utilizzo sarebbe in violazione dell’autorizzazione ricevuta e, conseguente illecito con le conseguenti responsabilità, che tuttavia, al presente vaglio si pongono come del tutto eventuali.

Ne discende che deve ritenersi infondata la censura di violazione di legge con riguardo al d.lgs. n. 152 del 2006, formulata in ricorso e con i conseguenti motivi aggiunti.

Altresì infondata è la censura di violazione della direttiva comunitaria 2011/92/UE che rimette agli Stati membri la possibilità di stabilire le soglie per la sottoposizione alla valutazione di impatto ambientale.

III – Quanto, invece, alla normativa sopravvenuta, le censure meritano una più attenta disamina con riferimento all’evoluzione della disciplina.

Va rilevato che il d.l. 24 giugno 2014, n. 91 recante “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea”, convertito con l. n. 116 del 2014, prevede all’art. 15 (Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, in materia di valutazione di impatto ambientale. Procedure di infrazione n. 2009/2086 e n. 2013/2170) un’importante modifica della disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale (VIA) ed alla valutazione ambientale strategica (VAS), contenuta nella parte seconda e nei relativi allegati del d.lgs. 152/2006 (recante norme in materia ambientale), al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2086.

Le modifiche alla disciplina vigente riguardano: la definizione di “progetto”; i progetti soggetti a verifica di assoggettabilità alla VIA (screening); l’accesso alle informazioni ed alla partecipazione al pubblico ai processi decisionali in materia di VIA e VAS.

Con le lettere c), d) ed e) del comma 1 dell’art.15 della nuova legge vengono introdotte nuove disposizioni, sostitutive di quelle introdotte dall’art. 23 della l. 97/2013, al fine di pervenire ad un recepimento della direttiva capace di superare in maniera definitiva le censure mosse dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a VIA (screening) con l’art. 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2011/92/UE.

Infatti, il 27 febbraio 2012 la Commissione europea, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2009/2086, ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora per la non conformità della normativa italiana alla direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (VIA), come modificata dalle direttive 97/11/CE, 2003/35/CE e 2009/31/UE, con particolare riferimento alle disposizioni contenute nella parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 – come modificato dal d.lgs.. 4/2008.

L’articolo 4, della direttiva VIA prevede che:

• paragrafo 1: i progetti elencati nell’allegato I siano sottoposti a valutazione d’impatto ambientale (VIA) a norma degli articoli da 5 a 10 della direttiva stessa;

• paragrafo 2: per i progetti elencati nell’allegato II della direttiva gli Stati membri determinano se il progetto debba essere sottoposto a VIA mediante a) un esame del progetto caso per caso; o b) soglie o criteri fissati dagli Stati membri;

• paragrafo 3: gli Stati membri tengono conto dei criteri di selezione riportati nell’allegato III nell’esaminare caso per caso o nel fissare soglie o criteri ai fini del paragrafo 2.

Secondo la Commissione, “la legislazione italiana (allegati II, III, o IV del d.lgs. 152/2006 modificato) fissa per i progetti cui si applica la direttiva, elencati all’allegato II, soglie dimensionali al di sotto delle quali si presuppone che i progetti siano tali da non avere in nessun caso impatti notevoli sull’ambiente”. Richiamando una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la Commissione sottolinea, al contrario, come gli Stati membri, anche nel caso in cui decidano di stabilire soglie per facilitare la determinazione dei progetti da assoggettare a VIA, hanno l’obbligo di prendere in considerazione tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva (art 4, par. 3 della direttiva), che dunque non possono considerarsi automaticamente assorbiti dalla fissazione di soglie, determinate, peraltro, tenendo conto prevalentemente di soli criteri di tipo dimensionale.”

Il paragrafo 2 dell’art. 4 della direttiva 2011/92/UE prevede che gli Stati membri debbano determinare se sottoporre o meno a VIA una serie di progetti (elencati nell’allegato II della direttiva) o conducendo un esame caso per caso oppure fissando delle soglie e/o dei criteri. Attraverso tali soglie o criteri gli Stati membri hanno la facoltà di definire quali progetti, rientranti nell’allegato II, debbano essere assoggettati a procedura di VIA.

L’art. 4, paragrafo 3, della citata direttiva stabilisce invece che, nel fissare le soglie, gli Stati devono tenere in considerazione i criteri dettati dall’allegato III della direttiva.

Al riguardo la Commissione europea, nell’ambito della richiamata procedura d’infrazione, ritiene che la normativa italiana prenda in considerazione solo alcuni di tali criteri (in particolare la “dimensione del progetto” e le “zone classificate o protette dalla legislazione degli Stati membri”, ) senza tenere conto di tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva.

Con riferimento ai citati criteri presi in considerazione dalla normativa italiana, l’esame delle vigenti (prima della l. 116/2014) disposizioni del d.lgs. 152/2006 evidenziava che:

• i progetti sottoposti a screening, elencati nell’allegato IV alla parte seconda del d.lgs. 152/2006, sono in linea di massima gli stessi previsti dall’allegato II della direttiva, ma, a differenza della direttiva, l’allegato IV contempla sovente delle soglie dimensionali minime per sottoporre il progetto a verifica di assoggettabilità, escludendo quindi dalla stessa i progetti sotto-soglia;

• l’art. 6, comma 6, del d.lgs. 152/2006 stabilisce che per i progetti di cui all’allegato IV relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione, che ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, la fase di screening sia bypassata e si proceda direttamente alla valutazione di impatto ambientale;

• l’art. 6, comma 9, prevedeva, in capo alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, non l’obbligo ma solo la facoltà di modificare le soglie previste in sede statale e di fissare criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità, con la conseguenza che non sussisteva alcuna garanzia che le soglie fissate dal d.lgs. 152/2006, in maniera giudicata (dalla Commissione europea) non conforme al diritto dell’Unione, venissero modificate dalle regioni e dalle province autonome.

Le disposizioni di cui all’art.15 del d.l. richiamato hanno delegificato l’individuazione delle soglie e dei criteri, che viene demandata ad un decreto ministeriale (il coinvolgimento delle regioni viene garantito prevedendo che in sede di emanazione del citato decreto venga acquisita l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni).

Il testo dell’art.15 dispone che ”per tali progetti, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e, per i profili connessi ai progetti di infrastrutture di rilevanza strategica, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministero per io sviluppo economico e, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono definiti i criteri e le soglie da applicare all’assoggettamento alla procedura di cui all’articolo 20 dei progetti di cui all’allegato IV sulla base dei criteri stabiliti all’Allegato V”.

Le modifiche per le soglie introdotte dalla lettera c), si applicheranno solo a partire dalla data di entrata in vigore del d.m. Ambiente come previsto dalla seguente lettera d). La lettera d) del comma 1 del ripetuto art. 15 integra, infatti, il disposto dell’art. 6, comma 7, lettera c), del d.lgs. 152/2006, prevedendo che, per i progetti elencati nell’allegato IV, siano emanate con d.m. Ambiente (d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni), disposizioni volte a definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto prevista nell’allegato IV per l’assoggettamento alla procedura di screening, sulla base dei criteri stabiliti nell’Allegato V.

Nell’art. 6, il comma 9, del d.lgs. 152/2006 come sostituito dall’art.15 della legge predetta dispone ora: “9. Fatto salvo quanto disposto dall’Allegato IV, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui al comma 7, lettera c), le soglie dell’allegato IV, ove previste, sono integrate dalle disposizioni contenute nel medesimo decreto”.

Si tratta di una disposizione transitoria che significa che le modifiche alla soglie dell’allegato IV entreranno in vigore solo con la pubblicazione del decreto del Ministro dell’ambiente, previsto dal comma 7, lettera c) nel testo novellato”.

Per quanto qui più rileva, invece: “Fino alla data di entrata in vigore” del decreto la procedura di "screening" ambientale è fatta caso per caso, sulla base dei criteri dell'allegato V, "Codice ambientale".

IV - Da quanto detto, consegue che è fondato il motivo di censure contenuto in tutti e tre i ricorsi per motivi aggiunti, attraverso il quale gli istanti invocano l’applicazione della normativa sopravvenuta. Nella specie, il d.l. evocato non richiedeva come dedotto anche dalle amministrazioni resistenti – è vero - nelle more dell’emanazione dei criteri da parte del d.m., la VIA, né nuove soglie, bensì la valutazione caso per caso.

Nella specie tale valutazione, tuttavia, in relazione al caso specifico non è stata compiuta in quanto la Regione Lazio, con nota de 9 gennaio 2015 esprimeva parere favorevole dopo aver esaminato la documentazione e lo stesso Comune dichiarava di aver compiuto la disamina con nota trasmessa alla Regione in data 28 novembre 2014, meramente sulla base della autodichiarazione della Società controinteressata, omettendo dunque, qualsiasi vaglio idoneo a verificare la necessità di una valutazione di impatto ambientale o meno nelle more dell’emanazione degli specifici criteri ministeriali. Sotto tale profilo, dunque, la carenza predetta rileva anche sotto il profilo del difetto di istruttoria e motivazionale censurato dalla parte ricorrente.

V – Non può, invece, trovare applicazione al caso che occupa il successivo decreto ministeriale entrato in vigore solo dopo che il procedimento in oggetto risultava concluso.

Nè può dunque rilevare che altra Società ( diversamente da quanto affermato da parte ricorrente) svolga attività di compostaggio in un’area che non è attigua, ma separata da quella destinata al progetto per cui è causa.

Tuttavia, la violazione della disciplina transitoria, come sopra riscontrata costituisce motivo idoneo e sufficiente per l’accoglimento del ricorso e dei primi e secondi motivi aggiunti. Per l’effetto deve essere annullata l’autorizzazione n. 1 del 2015 gravata con il ricorso introduttivo , il conseguente provvedimento di archiviazione del Comune n. 3252 del 2015 e la convenzione stipulata dal Comune e depositata in giudizio in data 3 luglio 2015, come gravata con i secondi motivi aggiunti, atti questi che assumono rilevanza esterna e dunque, valore provvedimentale ed essendo, conseguentemente l’Amministrazione tenuta a conformarsi a quanto contenuto nella presente decisione in ordine all’ulteriore sviluppo procedimentale ed alla nuova valutazione a cui sottoporre l’impianto oggetto di causa, tenendo altresì conto della disciplina vigente.

VI – Peraltro, vale la pena osservare incidentalmente che con riguardo alla convenzione impugnata con i secondi motivi aggiunti, il Collegio ritiene sottoposta anch’essa alla propria giurisdizione.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha affermato che la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti presuppone che gli atti o comportamenti della p.a., o dei soggetti alla stessa equiparati, costituiscano espressione dell'esercizio di un potere autoritativo dell'amministrazione pubblica, rimanendone escluse unicamente le controversie nelle quali sia dedotto in giudizio un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale, intesa a regolare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, che continuano ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario( cfr. Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza 11 giugno 2010, n. 14126 e 7 luglio 2010, n. 16032).

VII – Ancora, vale precisare che, seppure nessuna specifica censura risulta proposta con riferimento agli atti regionali impugnati; tuttavia, dal contenuto del ricorso e dei motivi aggiunti si può evincere che i ricorrenti hanno inteso gravare gli atti regionali per gli stessi motivi con cui lamentano l’errata applicazione della disciplina in materia di sottoposizione VIA, per difetto di istruttoria e di motivazione, censure che sostanziano peraltro, il profilo della mancata valutazione da parte delle Amministrazioni preposte con riferimento allo specifico caso.

Ne consegue che non trova fondamento la richiesta di estromissione da parte dell’Amministrazione regionale, che ben avrebbe potuto attivarsi adeguatamente nell’ambito del complesso iter procedimentale.

VIII – Per quanto attiene poi al terzo ricorso per motivi aggiunti, esso è improcedibile, alla luce dell’annullamento nel presente giudizio dell’autorizzazione per cui è causa.

Ciò rende del tutto irrilevante ai fini del decisione del gravame i documenti prodotti dalla parte istante il 21 ottobre 2015 (dunque oltre il termine dei 40 giorni liberi dall’udienza di discussione), che in ogni caso devono essere espunti dal giudizio – come reclamato da parte resistente in sede di discussione - per i ravvisati profili di tardività.

IX – Per quanto sin qui osservato il ricorso ed i primi due motivi aggiunti debbono essere accolti, con assorbimento di ogni profilo di censura non esaminato, mentre i terzi sono dichiarati improcedibili, come precisato.

Tuttavia, in ragione della complessità della controversia, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così dispone:

1 – accoglie il ricorso introduttivo ed i primi due ricorsi per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nei limiti ed ai fini indicati in motivazione;

2 – dichiara improcedibile il terzo ricorso per motivi aggiunti, previa espunzione dei documenti prodotti da parte ricorrente tardivamente come sopra specificato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

 

Domenico Lundini, Presidente

Solveig Cogliani, Consigliere, Estensore

Antonella Mangia, Consigliere

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)