Consiglio di Stato Sez. II n. 7237 del 28 ottobre 2021
Urbanistica.Funzione della convenzione urbanistica
La funzione della convenzione urbanistica non è di integrare la disciplina urbanistica, di per sé completa, ma di definire nel dettaglio gli impegni delle parti, e principalmente dei privati, in vista del conseguimento dell’equilibrio nello scambio di utilità
Pubblicato il 28/10/2021
N. 07237/2021REG.PROV.COLL.
N. 05247/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5247 del 2014, proposto dal signor Gian Francesco Biancon, rappresentato e difeso dall’avvocato Elisabetta Fraccalanza, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Federica D’Innocenzo in Roma, via Federico Cesi, n.72,
contro
il Comune di Scorze', in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Manzi e Primo Michielan, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Alberico II, n. 33,
il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n.12,
nei confronti
della Società Co.Progetti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. I, n. 562/2013, resa tra le parti, concernente la rescissione o l’annullamento di atto di compravendita immobiliare con richiesta di risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Scorze' e del Ministero per i beni e le attività culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza del Presidente della sez. IV n. 431 del 18 febbraio 2020;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2021, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Elisabetta Fraccalanza e l’avvocato Andrea Manzi, su delega degli avvocati Primo Michielan e Luigi Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’odierno appello il signor Gian Francesco Biancon ha impugnato la sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 562 del 15 aprile 2013 con la quale ne è stato respinto il ricorso per la rescissione o l’annullamento della convenzione di lottizzazione stipulata in data 14 febbraio 2005 tra il Comune di Scorzè e la Società Co.Progetti S.r.l., di cui era all’epoca il legale rappresentante, nonché dell’ atto di vendita dell’immobile denominato “Villa Lina”, siglato in data 22 ottobre 2008, con conseguente rigetto della sottesa domanda di risarcimento danni. Il Tribunale adito, assorbite espressamente le numerose eccezioni in rito sollevate dalla difesa civica, ha escluso la sussistenza sia degli invocati presupposti rescissori, sia dell’ipotizzata costrizione psicologica, distintamente per la convenzione di lottizzazione e per il contratto di vendita che nella prima trova fondamento. La rappresentata preoccupazione di subire azioni di rivalsa sul proprio patrimonio è infatti «insuscettibile di integrare gli estremi dello stato di bisogno, il quale richiede una concreta e reale situazione di difficoltà economica per carenza di liquidità tale da incidere sulla libera determinazione a contrarre e impedire di adempiere al pagamento con mezzi normali». La vendita, inoltre, è avvenuta dopo l’annullamento del decreto ministeriale del 17 dicembre 2002, recante il diritto di prelazione sul terreno a favore dell’Amministrazione comunale, e dunque nella piena consapevolezza della sua mancanza di effetti.
2.Il signor Biancon, premessa una ricostruzione della complessa vicenda sottesa ai fatti di causa, ha affidato il gravame a quattro motivi di censura, dei quali i primi due sostanzialmente speculari in quanto rivolti a contrastare rispettivamente per l’atto di vendita (motivo sub 1) e per la convenzione di lottizzazione (motivo sub 2) la ritenuta carenza dei presupposti per la rescissione (punto a) ovvero per l’annullamento per violenza morale (punto b). Il primo giudice infatti avrebbe omesso di pronunciarsi su specifiche censure, travisando i fatti e mal interpretando la disciplina civilistica di riferimento, stante che al contrario sussisterebbero tutti gli elementi costitutivi degli istituti giuridici invocati. Con un terzo motivo di ricorso ha lamentato la violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo il primo giudice valutato i profili di responsabilità da ascrivere al Ministero per i beni culturali e le attività culturali, avuto riguardo alla dichiarata illegittimità del decreto di prelazione (responsabilità extracontrattuale o precontrattuale, intrinseca nell’avvenuto annullamento, come da giurisprudenza europea richiamata allo scopo); nonché al Comune in ragione della violazione di specifici obblighi contrattuali, in particolare quello di risarcire il danno conseguito all’esito vittorioso del ricorso straordinario, espressamente previsto alla lettera “l” della convenzione di lottizzazione e di accettare il prezzo del fabbricato offerto dalla Società in luogo della sua vendita. Infine (motivo sub 4) la sentenza non si sarebbe pronunciata sulla richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c. ovvero ex art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, seppure espressamente avanzata in via subordinata. Il danno subito ammonterebbe ad € 3.200.000,00, determinati assumendo a parametro di raffronto il prezzo corrisposto dal Comune per l’acquisto di altra area di caratteristica similare denominata “Eredità Daminato”.
3. Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali con atto di stile.
3.1. Si è costituito altresì il Comune di Scorzé, che ha presentato appello incidentale allo scopo di riproporre le originarie eccezioni di rito. In particolare, ha rilevato il difetto di competenza, atteso che le parti avevano espressamente pattuito di deferire ad un arbitro le questioni risarcitorie conseguite all’eventuale annullamento del decreto di prelazione; la carenza di giurisdizione, non rientrando la vendita effettuata nel perimetro dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), c.p.a.; il proprio difetto di legittimazione passiva, fondandosi la richiesta risarcitoria sull’avvenuto annullamento di un atto ministeriale; la inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica alla controinteressata Società Co.Progetti s.r.l., semplicemente “informata” del gravame e per mancata impugnativa dell’atto presupposto, ovvero la delibera di Giunta municipale n. 13 del 27 gennaio 2005, che aveva già approvato l’accordo tra le parti; la sua irricevibilità, per prescrizione, essendo ampiamente decorso il termine annuale per la proposizione dell’azione di rescissione rispetto alla convenzione del 2005, ovvero per la mancanza della c.d. “pregiudiziale amministrativa”, non potendo trovare applicazione al caso di specie l’art. 34 c.p.a. per mancata richiesta esplicita di conversione dell’azione originariamente intrapresa in azione di accertamento. Nel merito, ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
4. Con ordinanza n. 431 del 18 febbraio 2020 il Presidente della sez. IV di questo Consiglio di Stato ha chiesto alle parti di attualizzare la situazione. Entrambe hanno ribadito il proprio interesse alla decisione, l’appellante anche mediante deposito di documentazione inerente i fatti di causa.
In vista dell’odierna udienza, esse si sono scambiate memorie e memorie di replica, per ribadire le proprie contrapposte prospettazioni, controdeducendo in particolare sulle eccezioni in rito e sollevandone di ulteriori. Il Ministero per i beni e le attività culturali si è invece limitato a versare in atti il proprio controricorso nel procedimento di primo grado, corredato della documentazione inerente le sorti del d.m. 17 dicembre 2002 fino alla sua caducazione con d.P.R. del 27 luglio 2006, di recepimento del parere del Consiglio di Stato in sede consultiva.
5. Alla pubblica udienza del 5 ottobre 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. Il Collegio ritiene opportune alcune puntualizzazioni sui fatti di causa, in quanto indispensabili a delineare la cornice giuridica nella quale collocare la controversia, anche ai fini dello scrutinio delle numerose questioni di rito (ri)proposte dalla difesa civica.
6.1. Il signor Biancon è divenuto proprietario del fabbricato conosciuto come Villa Lina, già costituente parte del più vasto complesso monumentale di Villa Soranzo-Connestabile, con annesso parco, con atto di compravendita del 27 settembre 2002. Con decreto ministeriale del 17 dicembre 2002 veniva disposta la prelazione a favore del Comune, che ne aveva manifestato la volontà, in riferimento alle sole porzioni di giardino e parco ritenute ancora soggette a vincolo diretto. Quale legale rappresentante della Società Co.progetti s.r.l. siglava la convenzione di lottizzazione denominata “Ronchi”, avente ad oggetto la realizzazione da parte della stessa di un vasto complesso immobiliare comprensivo di otto palazzine plurifamiliari, impegnandosi, a scomputo degli oneri di urbanizzazione, a realizzare le opere di urbanizzazione primaria e a cedere sia la villa che il sedime oggetto della prelazione, cui il Comune era interessato per collocarvi propri uffici. Avendo l’appellante impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il decreto del 2002, alla lettera “l” della convenzione si statuiva espressamente che quale che ne fosse l’esito gli accordi sarebbero comunque stati mantenuti, salva la devoluzione al Sindaco del Comune, individuato come arbitro, della disamina delle «eventuali richieste di risarcimento danni». Pur avendo il Consiglio di Stato in sede consultiva accolto il gravame (Cons. Stato, sez. II, 18 gennaio 2006, n. 7915, le cui considerazioni sono integralmente richiamate in premessa) la vendita, sottoscritta in data 22 ottobre 2008, veniva perfezionata sia con riferimento al fabbricato che al giardino di pertinenza per una superficie pari a mq. 2740. Va infine precisato che in data 4 luglio 2005, ovvero subito dopo la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, il signor Biancon aveva venduto le proprie quote societarie. All’esito del ricorso straordinario aveva poi iniziato a scrivere all’Amministrazione per chiedere la revisione del vincolo gravante sull’immobile nonché il risarcimento del danno asseritamente subito in ragione della accordata prelazione poi dichiarata illegittima. Dal canto suo il Comune, a fronte del mancato adempimento da parte della Società degli obblighi sottoscritti, non riscontrava nei termini le richieste di permesso di costruire avanzate dalla Società rispettivamente in data 21 febbraio 2008 e 13 maggio 2008.
7. Chiarito quanto sopra, possono ora esaminarsi le eccezioni di incompetenza e difetto di giurisdizione, invertendone l’ordine di trattazione in ragione delle priorità rivenienti dalla tassonomia nell’esercizio della potestas iudicandi per come precisata anche dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, A.P., n. 5 del 27 aprile 2015; cfr. pure Cass., sez. un., 5 gennaio 2016, n. 29). Non senza premettere, tuttavia, che la corretta qualificazione degli atti in controversia incide non tanto e non solo sulla (contestata) competenza a deciderne da parte di questo giudice, ma soprattutto sulla valutazione del merito della causa.
Viene dunque all’esame del Collegio la natura di una convenzione di lottizzazione non in generale, ma per la parte in cui contiene l’impegno a cedere un bene estraneo all’operazione urbanistica regolata dalla stessa, nonché, conseguentemente, dell’atto che ha realizzato ridetta cessione, a firma peraltro di un soggetto divenuto formalmente estraneo all’originario rapporto sinallagmatico.
7.1. Rileva al riguardo la Sezione che il fervore del dibattito dottrinario e giurisprudenziale insorto sulla tematica, affine ma connotata da specificità di disciplina giuridica, della cessione volontaria in luogo dell’esproprio, ha fatto emergere la necessità di non risolvere le questioni di giurisdizione - e di conseguente merito- sul piano delle mere astrazioni dogmatiche, suggerendo prudenzialmente di rimettere al vaglio e allo scrutinio in concreto degli atti da parte del giudice l’individuazione dell’atteggiarsi del modello utilizzato, pur se normativamente già previsto, senza attingere soltanto alla categoria concettuale generale del contratto ad oggetto pubblico. E’ dunque rimessa al giudice, a fronte di una fattispecie consensuale pubblica, una precisa operazione ermeneutica che non può prescindere dalla disamina della fase formativa dell’accordo, della sua struttura e dei suoi effetti, senza partire da categorizzazioni preconcette: solo all’esito di tale specifica analisi, è infatti possibile non tanto e non solo l’inquadramento concettuale della singola fattispecie, ma anche e soprattutto l’individuazione degli strumenti rimediali alla stessa applicabili (sul punto, v. Cons. Stato, sez. II, 6 febbraio 2020, n. 941).
8. Proprio in ragione di tale analisi concreta, il Comune di Verzè afferma che la controversia non rientrerebbe nel perimetro dell’art. 133, lett. a), n. 2, c.p.a., che individua tra le materie di competenza esclusiva del giudice amministrativo «la formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo».
La eterogeneità contenutistica della specifica obbligazione di cedere il bene, peraltro di proprietà di un terzo, seppure con le precisazioni che seguiranno, ne implicherebbe anche lo stralcio dalla materia urbanistica ed edilizia che il medesimo art. 133 c.p.a., lettera f), autonomamente annovera tra quelle soggette alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ratione temporis, v. art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall’art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205).
In sintesi, la peculiarità contenutistica della specifica clausola in controversia, dunque, non ne consentirebbe la sussunzione né nell’ambito degli atti di governo del territorio, né in quello degli accordi sostitutivi o integrativi di provvedimento.
9. Non vi sono dubbi che la giurisdizione esclusiva in materia urbanistica abbracci le controversie inerenti tutti i provvedimenti riconducibili alla pianificazione dell’uso del territorio, tra i quali rientrano anche i piani di lottizzazione. Nella fattispecie si discute tuttavia della successiva convenzione di lottizzazione, che costituisce, di regola, il punto di approdo nel quale si formalizzano a livello negoziale i reciproci obblighi dei lottizzanti e dell’Amministrazione dopo che quest’ultima ha favorevolmente accolto la proposta urbanistica dei privati, ove il piano attuativo sia rimesso alla loro iniziativa, ovvero l’adesione alla propria, nel caso inverso. La convenzione, cioè, costituisce atto autonomo e indipendente rispetto al provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, il quale ultimo diventa un presupposto giuridico (e non necessariamente logico, salvo l’ipotesi in cui permangano volontà e presupposti della pianificazione approvata per la lottizzazione) della stipula; essa rappresenta cioè soltanto una delle eventuali attività che possono concretizzarsi dopo l’approvazione del piano.
9.1. Ciò trova piena conferma nei passaggi procedurali che connotano l’odierna vicenda. Lo strumento urbanistico attuativo dell’area classificata dal P.R.G. del Comune di Scorzè come “C2/3”, destinata ad edilizia convenzionata, è stato approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 38 del 26 aprile 2004; l’autorizzazione alla firma del successivo accordo è stata formalizzata nella delibera di Giunta n. 13 del 20 gennaio 2005, atto prodromico a legittimare la rappresentanza legale dell’Ente a trattare con il privato a condizioni predeterminate, come tale presupposto della successiva stipula, ma privo di autonoma lesività in concreto, sicché sotto tale profilo non è degna di pregio l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa civica, a maggior ragione non essendo quella odierna una controversia di tipo meramente caducatorio.
10. La convenzione di lottizzazione, dunque, non può essere assimilata ad un contratto sic et simpliciter di diritto privato, in quanto presuppone pur sempre il formale atto amministrativo con cui il Comune, nell’esercizio della propria potestà di conformazione del territorio, ha approvato la proposta di piano attuativo avanzata dal privato, verificandone peraltro la rispondenza alle prescrizioni discendenti dalla strumentazione urbanistica generale e dalla normativa primaria.
Da qui la ricerca del fondamento della riconducibilità delle questioni da essa scaturenti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel combinato disposto delle lettere a), n. 2) ed f) del comma 1 dell’art. 133 c.p.a., e non solo nell’ultima di tali disposizioni.
10.1. La Sezione peraltro ha già avuto modo di occuparsi della riconducibilità di tale tipologia di atti alla categoria degli accordi sostitutivi o integrativi di provvedimento, effettuando una ricostruzione della materia che ne ha evidenziato anche l’incidenza casistica in tale ambito (cfr. Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). A fronte, infatti, di un iniziale disinteresse per l’istituto, sono state successivamente ricondotte sotto l’egida dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, proprio le numerose fattispecie consensuali tipicamente in uso nella materia urbanistica, dove l’immanente esigenza di collocare l’esercizio dello ius aedificandi in una più vasta cornice di buon governo del territorio, rende talvolta conveniente per l’Amministrazione “scendere a patti”, richiedendo sforzi aggiuntivi al privato in termini di dare ovvero di facere, onde orientarne la maggiore libertà di movimento verso i propri obiettivi di programmazione, nel contempo ottimizzando le aspirazioni dello stesso a ricavare i maggiori vantaggi possibili dalla proprietà. La funzione della convenzione urbanistica non è di integrare la disciplina urbanistica, di per sé completa, ma di definire nel dettaglio gli impegni delle parti, e principalmente dei privati, in vista del conseguimento dell’equilibrio nello scambio di utilità.
10.2. Contenuto tipico delle convenzioni di lottizzazione è l’assunzione da parte del lottizzante dell’impegno a farsi carico delle opere di urbanizzazione necessarie alla realizzazione della progettualità approvata a scomputo dei previsti oneri, materia sulla quale non a caso il legislatore era già da tempo intervenuto, ben prima e ben al di fuori delle successive concettualizzazioni generali. L’origine della questione di cui ci si occupa, infatti, va ravvisata nelle previsioni dell’art. 8 della c.d. “legge - ponte”, ossia la l. 6 agosto 1967, n. 765, che ha introdotto nell’ordinamento giuridico l’obbligo, a carico dell’attuatore, di cedere gratuitamente le aree destinate alle opere di urbanizzazione con previsione, altresì, dell’onere di farsi carico di quelle correlate all’intervento approvato secondo i termini e le garanzie stabiliti da apposita convenzione. L’art. 31 della l. n. 1150/1942, novellato a sua volta in parte qua dalla richiamata l. n. 765/1967, ha subordinato il rilascio della concessione edilizia alla presenza dell’urbanizzazione primaria o, comunque, all’impegno del proprietario a realizzarla contemporaneamente all’intervento costruttivo. A chiusura del sistema, l’art. 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ha sancito che i proprietari che si sono dovuti assumere gli impegni urbanizzativi diretti, sono sgravati dall’obbligo di corrispondere la relativa quota di contributo (obbligo esteso, dalla predetta legge n. 10/1977, ad ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale). Tali disposizioni (oggi confluite nell’art. 16 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) costituiscono dunque applicazione del principio in forza del quale il contributo per gli oneri di urbanizzazione è alternativo alla realizzazione diretta, d’intesa con l’Amministrazione comunale, delle opere di urbanizzazione; principio già desumibile dall’art. 1 della richiamata l. n. 10 del 1977 secondo cui ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi; partecipazione che potrà attuarsi con la corresponsione in denaro del contributo calcolato ai sensi di legge, oppure mediante realizzazione diretta delle opere, oppure ancora in parte nell’uno e in parte nell’altro modo, purché ne resti escluso che per il medesimo insediamento si partecipi doppiamente agli oneri di urbanizzazione, con il contributo intero in denaro sommato alla completa realizzazione delle opere (per una ricostruzione della storia dell’istituto, v. Cons. Stato, sez. II, 9 dicembre 2019, n. 8377).
11. Non è superfluo peraltro qui evidenziare che con sentenza 15 luglio 2016, n. 179 la Corte Costituzionale ha ravvisato la piena conformità della surriportata disciplina (art. 133, comma 1, lettera a), numero 2), e lettera f) attualmente in vigore rispetto agli artt. 103 e 113 della Costituzione, rimarcando in particolare che «in sede di regolazione della giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato il collegamento funzionale delle convenzioni urbanistiche al procedimento di rilascio dei titoli abilitativi. In quanto inserite nell’ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti di obbligo stipulati dall’Amministrazione con i privati costituiscono pur sempre espressione di un potere discrezionale della P.A.». Quando l’Amministrazione medesima si avvale per i propri fini dello strumento delle convenzioni urbanistiche, esercita comunque in via mediata il proprio potere sul governo del territorio.
12. La ricostruzione effettuata fa emergere appieno la peculiarità dell’odierna vicenda, ove la cessione dell’immobile denominato “Villa Lina” costituisce una sorta di addendum non funzionale alla realizzazione della progettualità assentita, cui l’appellante dice di essere stato costretto in ragione delle mire variamente esplicitate dal Comune sulla sua acquisizione al proprio patrimonio, tanto da avere ripiegato sull’esercizio della prelazione, originariamente richiesta per l’intero complesso, sul solo terreno circostante il fabbricato, giusta l’indicazione limitativa della competente Soprintendenza regionale, confluita nel decreto ministeriale del 2002, successivamente annullato nel 2006. Da qui da un lato il fondamento dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune; dall’altro, le doglianze dell’appellante in ordine al contesto nel quale sarebbe maturato il proprio consenso alla vendita.
E’ indubbio, infatti, che di regola la cessione di un bene quale parte di una convenzione accessiva ad un piano urbanistico attuativo è strumentale alla sua finalizzazione alla realizzazione dell’intervento approvato. Ciò non vieta, tuttavia, che la convenzione finisca per essere contenitore di ulteriori scelte della Pubblica amministrazione, nel caso di specie l’acquisizione di un immobile individuato come funzionale alle proprie esigenze organizzative sin dal novembre del 2002, quando, reso edotto della volontà dell’originaria dante causa di vendere all’attuale appellante l’intero complesso, il Comune di Scorzè aveva avanzato una complessiva proposta di prelazione ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 441 del 2000.
L’art. 11 della l. n. 241 del 1990, infatti, ha definitivamente positivizzato la capacità negoziale delle amministrazioni pubbliche, individuando nel procedimento il “luogo” tipico nel quale potestà e autonomia negoziale possono trovare un giusto momento di sintesi, sì da asservire la seconda, in quanto modalità ritenuta più conveniente in relazione al singolo caso di specie, al perseguimento dell’interesse pubblico che connota la prima. L’esercizio della potestà pubblicistica non va, dunque, a detrimento della capacità privatistica ma si somma ad essa: vi è un concorso e non un’alternatività di poteri, salva, ovviamente, l’impossibilità di conseguire due volte lo stesso risultato.
Laddove, cioè, il responsabile del procedimento valuti che il modulo della negoziazione costituisce lo strumento più idoneo per la composizione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, può addivenire alla stipula di un contratto cui l’ordinamento giuridico ricollega determinati effetti, ciascuno dei quali a loro volta conseguibile anche con provvedimenti. La significatività dell’istituto sta pertanto proprio nel suo mutuare aspetti necessariamente civilistici mischiandoli a contenuti tipicamente autoritativi, con ciò realizzando un’efficace sintesi -rectius, la miglior sintesi possibile, secondo la valutazione del soggetto pubblico agente- tra l’interesse pubblico sotteso all’intervento, complessivamente inteso, e il necessario incontro tra le volontà, quale metodologia per il suo perseguimento.
13. Ciò posto, calando i princìpi rammentati sopra nel caso di specie, dall’esame degli atti e dei documenti emerge chiaramente come l’accordo intercorso tra le parti nel 2008 non esaurisca la sua “causa” nel trasferimento del terreno al Comune in cambio di un corrispettivo economico. Esso costituisce piuttosto il segmento terminale di una fitta rete di relazioni che ha visto la sovrapposizione di due distinti procedimenti, quello urbanistico e quello concernente le sorti di Villa Lina, il cui unico trait d’union, tutt’affatto neutro, è costituito dal fatto che il signor Gian Francesco Biancon al momento della stipula della convenzione di lottizzazione del 2005 era sia il rappresentante legale della Società lottizzante, sia il proprietario del bene alla cui acquisizione il Comune mirava da anni. La scelta, dunque, di far convergere nella condivisione dei reciproci rapporti di dare e avere anche la cessione di quel bene, seppure nella pendenza del ricorso straordinario proposto sulla possibilità di esercitare la prelazione sui terreni circostanti, è consensuale e di per sé lecita. In nessun modo, infatti, è emersa una qualche coercizione dell’Amministrazione sul privato, beneficiario dell’avallo di un’operazione immobiliare di cospicua consistenza, sì da avere ritenuto evidentemente vantaggioso a quel momento inserire nel calcolo degli oneri a scomputo anche il prezzo di cessione del bene in controversia. La clausola di salvaguardia di eventuali future rivendicazioni risarcitorie, del tutto imprecisate, si palesa dunque a ben guardare estranea al perimetro della attuale causa, malgrado i tentativi dell’appellante di ricondurvela, pretermettendo di riferirne l’esatta origine quale punto di approdo di autonoma trattativa transattiva. Essa infatti si associa comunque all’impegno, declinato alla lettera “j” della medesima convenzione, a «trasferire al Comune di Scorzè a titolo gratuito l’immobile denominato Villa Lina, acquistato per il prezzo di Euro 413.000,00 […] dal signor Gian Francesco Biancon», quale modalità di scomputo degli oneri di urbanizzazione, unitamente a quello di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione primaria. «Nulla sarà dovuto dall’Amministrazione comunale in restituzione», infine, ove l’importo complessivo (dato dalla sommatoria del prezzo di vendita della villa, pattuito in euro 413.000,00, corrispondente alla somma corrisposta dall’appellante alla sua dante causa all’atto dell’acquisto, risalente a soli tre anni prima e costo delle opere da realizzare, quantificato in euro 103.660,56) fosse risultato superiore all’ammontare degli oneri tabellari di urbanizzazione primaria e secondaria.
14. L’art. 133, comma 1, lettera a), n. 2), nel quale è confluito il comma 5 dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, contestualmente abrogato ad opera dell’art. 4, comma 1, punto 14, dell’allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, fa riferimento non solo alle controversie in materia di formazione e conclusione degli accordi sostitutivi o integrativi di provvedimento, ma anche a quelle riferibili alla loro esecuzione. L’atto di vendita del 2008 costituisce inequivocabilmente l’esecuzione della convenzione di lottizzazione del 2005. Affermata pertanto la giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla prima, essa non può che estendersi anche, per quanto sopra detto, al secondo, con conseguente rigetto dell’appello incidentale nella parte in cui ripropone la relativa eccezione in rito assorbita nella decisione di merito del primo giudice.
15. Secondo la difesa civica la presenza di una clausola arbitrale nell’ambito della convenzione di lottizzazione, precluderebbe comunque la devoluzione della controversia al giudice amministrativo, dovendo le parti rivolgersi al Sindaco di Scorzè, individuato allo scopo «con decisione inappellabile» per tutte le «eventuali richieste di risarcimento danni» conseguenti all’esito positivo dell’impugnativa del decreto di prelazione (v. capoverso della lettera “l” della convenzione del 2005).
15.1. L’art. 12 c.p.a., nel consentire di devolvere ad un arbitrato rituale le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, sancisce a contrario la nullità della clausola contrattuale che preveda in tali ipotesi un arbitrato irrituale. Secondo l’appellante, la disposizione di cui alla lettera “l” della convenzione costituirebbe proprio una clausola compromissoria irrituale, mancando, per la configurabilità della prima fattispecie, il requisito fondamentale della terzietà ed imparzialità del giudice.
15.2. La distinzione tra arbitrato rituale e irrituale è questione di ermeneutica contrattuale, che va risolta con riguardo al contenuto obiettivo del compromesso o della clausola compromissoria e alla volontà delle parti. Si ritiene che le parti abbiano voluto un arbitrato rituale se hanno inteso attribuire agli arbitri una funzione sostitutiva del giudice, mentre hanno voluto un arbitrato irrituale, se hanno inteso demandare loro la soluzione della controversia mediante un negozio di accertamento o strumenti conciliativi o transattivi, sicché il relativo dictum è destinato a riempire il contenuto, in bianco, di un accordo transattivo sottoscritto dalle parti. Ove permanga un dubbio sulla natura dell’arbitrato voluto dalle parti, prevale la sua riconducibilità all’arbitrato irrituale, dovendo quello rituale, ove non previsto espressamente dalla legge, essere considerato un’eccezione, per la deroga che comporta alla giurisdizione pubblica. E’ indicativo dell’intento delle parti di addivenire ad un arbitrato rituale l’uso di espressioni prettamente processuali, quali “controversie”, “competenza”, “giudizio”, e per converso il mancato uso di espressioni tipiche per individuare l’arbitrato irrituale.
15.2. Nel caso di specie la vaghezza delle espressioni utilizzate nella richiamata clausola (“eventuali richieste di risarcimento danni derivanti” dal provvedimento di prelazione, ove dichiarato illegittimo) non consente di inquadrarne in maniera inequivoca la tipologia.
Rileva tuttavia il Collegio come la natura settoriale e specifica della vicenda giuridica antecedente la cessione riferita al solo terreno inedificato non ne consenta la sovrapposizione con la causa petendi dell’odierna controversia. Per quanto, infatti, sia lo stesso appellante ad introdurre in maniera confusa singoli momenti della stessa, sì da farvi convergere, in una continua osmosi tra cause ed effetti, tutte le proprie pregresse rivendicazioni, è palese che l’annullamento della prelazione a favore del Comune in tanto rileva nell’odierno giudizio in quanto la sua pregressa insistenza ha asseritamente condizionato la scelta di cedere la villa, non ex se. A fronte, cioè, di un assetto dominicale sicuramente non soddisfacente per nessuno, che vedeva il privato proprietario della villetta ma non dell’adiacente giardino e il Comune di Scorzè, di converso, nella disponibilità del parco ma non dell’immobile da destinare ad uffici, le parti avevano già siglato un accordo transattivo - denominato “convegno preliminare” - in data 17 aprile 2003, nonché portato avanti una trattativa (essa sì certamente incisa dalle sorti incerte della prelazione) sfociata nella variante al locale Piano particolareggiato (Piano di lottizzazione) denominato “Ronchi” (già approvato nel 2002), esecutivo delle previsioni di P.R.G. per la zona residenziale “C2/3-edilizia convenzionata”, addivenendo alla fine delle trattative ad un aumento dell’indice volumetrico da 1,1 mc/mq a 1,265 mc/mq, per un totale di aumento del 15%, pari a complessivi mc. 25.273.
In altre parole, è l’appellante ad avere traslato sul piano delle proprie scelte imprenditoriali la (diversa) vicenda proprietaria, evidentemente ritenendone conveniente la contrapposizione alla ottimizzazione del risultato economico cui aspirava la Società all’epoca rappresentata. Solo una volta ottenuto il risultato auspicato, ed essersi allontanato dalla compagine societaria, ne ha inteso rimettere in discussione le conclusioni. L’originaria autonomia delle due vicende, confluite in un unico procedimento negoziale, rileva ormai solo avuto riguardo alla portata, per nulla chiara nella sua formulazione letterale, della clausola arbitrale, che continua a ritagliare un tassello di negoziazione a parte alla vicenda risarcitoria (eventualmente) da correlare alla prelazione illegittima: identificare tuttavia in quest’ultima, suscettibile di distinta definizione, un vizio tale da comportare la caducazione dell’intera operazione esula dal contenuto degli accordi intercorsi, per come interpretabili alla luce di tutte le precedenti trattative. L’accordo, cioè, ha inteso comunque mettere un punto fermo alle stesse, laddove ha pure previsto che agli impegni si sarebbe comunque dato seguito «qualsiasi sia l’esito del ricorso» (ancora lettera “l” della convenzione).
A ciò consegue il rigetto anche in parte qua dell’appello incidentale, con contestuale rigetto della richiesta risarcitoria autonoma dell’appellante laddove vorrebbe individuare l’elemento costitutivo dell’illecito comportamentale ascritto al Comune sia nell’avvenuto annullamento del decreto ministeriale, cui quest’ultimo non è in effetti estraneo per averne compulsato l’adozione manifestando la propria volontà di esercitare la prelazione sul bene, sia, in particolare, nella asserita violazione della clausola arbitrale, la cui azionabilità davanti a questo giudice è da ritenersi esclusa, prima e piuttosto che da ragioni di competenza, dalla ricostruita estraneità contenutistica all’assetto finale delle scelte consensualmente determinate.
16. Il Collegio non ritiene necessario scrutinare le ulteriori censure di rito prospettate dalla difesa civica, stante la già anticipata infondatezza nel merito dell’appello. Vero è che si palesa meritevole di accoglimento, quanto meno avuto riguardo alla convenzione di lottizzazione, anche la eccepita tardività dell’azione. Una volta concluso l’accordo, infatti, i diritti e gli obblighi che sono sorti in funzione della stipula inter partes, hanno determinato o rideterminato una tendenziale condizione di parità tra la parte pubblica e quella privata in ragione del reciproco consenso, reso nella consapevolezza della cornice nella quale esso andava ad inserirsi. La scelta di cedere il bene era già confluita nella convenzione del 2005, di cui l’atto del 2008 costituisce mera esecuzione, sicché se coercizione della volontà vi era stata, è a tale momento che essa andava ascritta, non potendo certo l’annullamento (sopravvenuto) del decreto di prelazione trasformare retroattivamente in coartata la manifestazione di volontà a suo tempo liberamente espressa. A nulla rilevando il fatto che essendosi l’appellante “sganciato” dalla lottizzazione con la vendita delle quote societarie non avrebbe più potuto agire per la rinegoziazione ovvero per la risoluzione consensuale dell’accordo, senza danneggiare la Società lottizzante, le cui difficoltà economiche vengono dallo stesso ascritte proprio alle lungaggini attuative del procedimento edilizio assentito.
17. Prima ancora di valutare la consistenza residua delle argomentazioni addotte dalla parte a sostegno della richiesta di rescissione o annullamento, occorre interrogarsi sulla compatibilità a monte dei rimedi invocati con il paradigma del contratto ad oggetto pubblico.
E’ indubbio, infatti, che un ulteriore profilo problematico posto dall’art. 11 della l. n. 241 del 1990 riguarda il rinvio contenuto nel secondo comma ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti. Più precisamente, la norma afferma che «si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili». La giurisprudenza si è nel tempo pronunciata sulla applicabile, ad esempio, dell’art. 1453, in materia di risoluzione per inadempimento (Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2004, n. 7245), ovvero della clausola penale (Cons. Stato, sez. IV, 3 dicembre 2015, n. 5510). Si sono analogamente ritenuti compatibili con l’istituto i rimedi di cui all’art. 1463 c.c., sulla impossibilità sopravvenuta, ovvero 1467 c.c., sulla eccessiva onerosità sopravvenuta.
Il Collegio ritiene che non siano ravvisabili ostacoli alla ritenuta ammissibilità anche dell’azione di rescissione ovvero di annullamento per violenza morale, questione che né il primo giudice, né le parti hanno comunque lambito, sicché non se ne rende necessario un ulteriore approfondimento. 18. L’appello peraltro, riproponendo la sistematica della sentenza impugnata, avanza censure distinte riferibili singolarmente a ciascuno dei due accordi, la convenzione e la vendita, distintamente peraltro per la rescissione e per l’annullamento. Ne è tuttavia possibile un’analisi congiunta stante la già rilevata unitarietà ricostruttiva. Essa ruota sulla coloritura che si è inteso attribuire ai fatti di causa, ovvero l’esistenza di un ambiguo regime giuridico diversificato fra fabbricato e terreno, da un lato, e la difficoltà economica nella quale si sarebbe trovata la Società lottizzante a cagione del rallentamento della lottizzazione convenuta col Comune.
19. Appare dunque opportuno operare una premessa di ordine generale sulle condizioni indispensabili per pervenire all’accoglimento dell’azione di rescissione contrattuale per asserita lesione ultra dimidium, per come contemplate nei primi tre commi dell’art. 1448 c.c.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione è concorde nel ritenere che i tre requisiti - cioè l’eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, l’esistenza di uno stato di bisogno, che funzioni come motivo dell’accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato e, infine, l’avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall’altrui stato di bisogno del quale era consapevole - debbano ricorrere simultaneamente (cfr. ex multis, Cass.civ. , sez. II, 12 giugno 2018, n. 15338). Fra essi non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, per cui riscontrata la mancanza o l’omessa dimostrazione dell’esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la sussistenza degli altri due e l’azione di rescissione deve essere senz’altro respinta (cfr. Cass., sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3646).
In modo ancor più specifico, i giudici di legittimità hanno statuito che per stabilire se risultino integrati gli estremi della lesione nella compravendita di un immobile, quale quella oggetto dell’odierna controversia, occorre, da un lato, far riferimento al valore che esso presumibilmente avrebbe avuto in una comune contrattazione al tempo della stipulazione e, dall’altro lato, tener presente che, ancorché anche una semplice difficoltà economica o una contingente carenza di liquidità siano idonee ad integrare lo stato di bisogno, si profila comunque necessario che esse si pongano in rapporto di causa ed effetto con la determinazione a contrarre, «nel senso che debba emergere, dall’istruzione della causa, quantomeno una situazione tale da consentire di ritenere, attraverso una motivata valutazione complessiva, che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre» (v., ancora, Cass. Civ., sez. II, 2 settembre 2011, n. 18040). In taluni casi si è addirittura esclusa la possibilità di rescindere il contratto in assenza di un “danno grave alla persona”, attingendo cioè ad una nozione non diversa da quella accolta dall’art. 54 c.p., quale condizione di non punibilità, o dall’art. 2045 c.c., quale motivo di esenzione della responsabilità (Cass., sez.III , ord. 20 aprile 2020, n.7963). Quanto all’approfittamento dello stato di bisogno, esso presuppone la consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali derivante dallo stato di bisogno altrui di cui ha parimenti conoscenza, non essendo a tal fine sufficiente uno squilibrio solo ipotizzato da parte del contraente in posizione di vantaggio (cfr. Cass.civ., sez. VI, 28 gennaio 2015, n. 1651/2015).
20. Il doppio limite all’applicabilità delle disposizioni civilistiche contenuto nell’art. 11, comma 2, della l. n. 241 del 1990, ne implica l’operatività non solo ove non sia diversamente previsto, ma anche avuto riguardo a disposizioni comunque compatibili con la disciplina degli accordi. Ciò comporta che una volta ammesso il ricorso ai principi di diritto comune, essi vanno tuttavia “ricollocati” sotto la lente del superiore interesse pubblico alla stregua del quale è orientata la funzione amministrativa.
Il Collegio ritiene opportuno richiamare in proposito i principali snodi logico-argomentativi sui quali si fondano alcuni precedenti del Consiglio di Stato in materia di contratti ad oggetto pubblico, stante che le relative conclusioni costituiscono un imprescindibile filtro di compatibilità alla stregua del quale ponderare l’equilibrio del sinallagma. Si è dunque affermato che:
a) «gli impegni assunti in sede convenzionale - al contrario di quanto si verifica in caso di rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l’edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio - non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma a base dell'accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti»; b) «la causa della convenzione urbanistica, e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione»; c) «non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative» (Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2020, nn.5877 e 5878; id, 3 agosto 2020, n. 4892).
21. I presupposti dell’azione di rescissione - e di quella di annullamento - dunque, necessitano di un vaglio ancor più restrittivo siccome permeato degli elementi pubblicistici sopra evidenziati.
Il che rafforza le affermazioni del primo giudice in ordine all’insussistenza di qualsivoglia stato di bisogno, tale non essendo né la (presunta) difficoltà psicologica identificata nel «timore di esporre sé e i suoi beni ad eventuali azioni di rivalsa da parte della società Co-Progetti e del curatore fallimentare», né l’esito incerto del ricorso straordinario avverso il decreto del 2002, né, men che meno, la difficoltà economica nella quale versava (non l’appellante, ma ) la Società dante causa, sia perché, appunto, divenuta terza rispetto allo stesso al momento della cessione delle quote, sia perché, piuttosto, di essa egli era in buona parte responsabile, stante che proprio l’inottemperanza all’obbligo assunto ne aveva danneggiato, rallentandolo, l’iter di definizione del progetto edilizio intrapreso.
21.1. Le conclusioni non mutano ove si riguardi all’attuazione complessiva del programma convenzionale e, quindi, all’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni non escludendo la possibile astratta operatività della figura dell’indebito oggettivo. Tale valutazione va, infatti, comunque condotta non enfatizzando isolatamente gli impegni convenzionali ma, per l’appunto, tenendo conto della complessiva remuneratività dell’operazione e, in generale, del complessivo sinallagma impresso nella convenzione. La clausola arbitrale sul risarcimento (eventuale) da annullamento della prelazione, pertanto, si pone su un piano parallelo rispetto alla ritenuta convenienza di pattuire da subito la cessione (anche) del terreno inedificato circostante la villa, seppure successivamente non ritenuto soggetto a vincolo. La priorità accordata all’acquisizione dell’immobile giustifica la mancata accettazione della prestazione in luogo di adempimento offerta dalla Società per rimediare all’inottemperanza dell’appellante, avendo evidentemente il Comune di Scorzè a sua volta ritenuto conveniente l’avallo dell’edificazione assentita con indici aumentati solo nella misura in cui veniva risolto il distinto e autonomo problema della individuazione di una sede consona per i propri uffici.
22. D’altro canto, il timore di un’azione di rivalsa da parte della Società consegue non ad un illecito comportamento del Comune, bensì alla scelta, lucrativa solo in termini personali, di “sganciare” da subito le proprie sorti da quelle della stessa, cedendo a terzi con scrittura privata autenticata del 4 luglio 2005 la propria quota di partecipazione, corrispondente al 60% del capitale sociale, per il corrispettivo di ben € 2.633.006,87, senza attendere neppure l’esito del ricorso straordinario, sicché risulta ancor più difficile immaginare quale danno possa essergli conseguito all’avvenuta autorizzazione alla prelazione di un bene di cui nel contempo ha assentito alla negoziazione. Legittimamente, dunque, la Società ne compulsava l’adempimento, qualificato come fatto del terzo dall’art. 4 della convenzione ex art. 1381 c.c., pur avendo il Biancon sottoscritto la convenzione anche in proprio, e dunque assumendo i relativi obblighi in prima persona. A conferma di ciò, al momento della ricordata cessione di quote si impegnava nuovamente e per iscritto , in solido con la Co.Progetti, «ad eseguire gli obblighi previsti all’art. 14 della convenzione […] e precisamente al trasferimento gratuito entro dicembre 2007 di Villa Lina (proprietà personale del signor Gian Francesco Biancon parco e fabbricato)». Altrettanto legittimamente, dunque, il Comune di Scorzé dal canto suo non ha inteso dare seguito alla convenzione fino a quando non se ne sia stato ottemperato il contenuto integrale, comprensivo della cessione del bene, essendole del tutto indifferente il mutato rapporto tra Società e suo (ex) rappresentante legale. Costituisce infatti principio consolidato in materia di pattuizioni sugli oneri concessori, applicabile mutatis mutandis al caso di specie, quello in forza del quale non rileva nei rapporti con il Comune l’esistenza di eventuali accordi interni ai debitori ai fini della liberazione del dante causa, nel caso di specie, come chiarito, neppure esistenti. In termini, non sono opponibili all’amministrazione né le vicende pregresse della proprietà né gli accordi tra i soggetti privati coinvolti nella costruzione e nell’utilizzazione dei beni.
23. Va infine condivisa allo scopo di escludere la rilevanza della presunta situazione di incertezza psicologica l’affermazione del primo giudice che ha inteso dare rilievo all’avvenuta stipula del contratto del 2008 quando ormai era stato definito da tempo il contenzioso inerente la prelazione sui terreni inedificati circostanti la villa. A ciò deve altresì aggiungersi che l’appellante era consapevole dei dubbi sulla natura vincolata o meno del bene acquistato sin dal 2002, stante che il relativo atto, la comunicazione del quale ha dato avvio all’esercizio della prelazione da parte del Comune, conteneva esplicita condizione sospensiva in tal senso.
24. Solo poche considerazioni aggiuntive in ordine alla richiesta alternativa di annullamento degli accordi per violenza morale. L’actio quod metus può essere esperita quando vi è stato un costringimento psicologico o fisico, che ha limitato o eliminato del tutto la libertà di scelta del soggetto che la subisce. Essa presuppone, cioè, la minaccia o la percezione della stessa riferibile ad un male ingiusto e notevole. Il Collegio ritiene di avere sufficientemente chiarito come la volontà del Biancon non sia stata in alcun modo coartata né direttamente, né indirettamente, in ragione del contesto nel quale l’operazione si è inserita, dal Comune di Scorzè, che ha piuttosto accondisceso alle richieste dallo stesso avanzate nell’ambito della trattativa urbanistica, salvo poi pretendere dalla Società lottizzante, rimasta suo unico interlocutore in merito, il rispetto degli impegni assunti.
25. A quanto detto consegue il rigetto delle istanze risarcitorie, la cui genericità di formulazione, peraltro, è al limite della ammissibilità, essendosi l’appellante limitato ad individuare nel provvedimento ministeriale illegittimo l’elemento costitutivo della responsabilità (anche) del Comune, agganciandola con evidente salto logico all’impegno a definire mediante arbitrato sindacale eventuali richieste in merito. Il che sarebbe comunque insufficiente ad integrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie per come da ultimo declinati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ( Cons. Stato, A.P. 23 aprile 2021, n. 7, che ha definitivamente qualificato come extracontrattuale la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi da illegittimità provvedimentale).
26. Del tutto inconferente, infine, si palesa il richiamo, anche in tale caso in maniera semplicisticamente promiscua, agli artt. 2041 c.c. ovvero 21 quinquies della l. n. 241 del 1990, nella parte in cui fanno riferimento all’obbligo di indennizzo, nel primo caso per indebito arricchimento, nel secondo per la sopravvenuta revoca di un atto amministrativo per ragioni di opportunità. Né, infatti, vi è stata da parte del Comune siffatta indebita locupletatio, essendosi l’Amministrazione limitata a dare seguito a quanto convenzionalmente statuito, né l’Amministrazione è intervenuta in via di autotutela sugli atti di cui è causa. Il richiamo testuale, contenuto nelle premesse della vendita del 2008, al parere del Consiglio di Stato all’esito del ricorso straordinario, non ha infatti in alcun modo inciso sul contenuto della cessione, comunque estesa anche al giardino in quanto in tal senso le parti si erano impegnate, quale che fosse stata la decisione in ordine alla possibilità di acquisire in via di prelazione il solo suolo inedificato.
27. Per tutto quanto sopra detto, il Collegio ritiene di dovere respingere sia l’appello principale che quello incidentale, confermando per l’effetto la sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 562 del 2013.
28. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
29. La reciproca soccombenza e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza del T.A.R. per il Veneto n. 562 del 15 aprile 2013. Respinge l’appello incidentale del Comune di Scorzè.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista, Consigliere
Francesco Guarracino, Consigliere