Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4854, del 30 settembre 2013
Urbanistica.Illegittimità reiezione domanda di titolo edilizio per la costruzione di un frantoio oleario con progetto redatto dottore agronomo

A suo tempo questo stesso giudice ha già avuto modo di affermare la legittimità di un titolo edilizio per la realizzazione di un complesso industriale per la lavorazione di carni suine e di pollame su progetto redatto da un dottore agronomo, posto che la disposizione testè riportata consente la prestazione professionale di quest’ultimo relativamente alle industrie, tra le quali devono essere annoverate le “industrie agrarie” e, quindi, il complesso in questione, essendo indubitabile che nella disposizione medesima il termine “industria” è sempre usato nel senso tecnico-giuridico di attività diretta alla produzione di beni o di servizi di cui all’art. 2195, n. 1 c. c. e che l’opera in questione è, per l’appunto, relativa ad industria agraria. Lo stesso ragionamento non può, quindi, non valere anche per la realizzazione di un frantoio, trattandosi parimenti di “industria agraria” nel senso ora descritto. Va comunque precisato che se il progetto eventualmente fuoriesce dai caratteri propri della semplice edilità e richiede, ad esempio, opere di“conglomerato cementizio semplice od armato, la cui stabilità possa comunque interessare la incolumità delle persone”, la competenza professionale spetta inderogabilmente, ai sensi del tuttora vigente art. 1, primo comma, del R.D.L. 16 novembre 1939 n. 2229, agli ingegneri e agli architetti iscritti ai relativi albi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04854/2013REG.PROV.COLL.

N. 05334/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5334 del 2005, proposto da: 
Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali per la Provincia di Bari, in persona del suo Presidente pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Aavv. Alberto Bagnoli, con domicilio eletto in Roma presso lo studio del dott. Alfredo Placidi – S.n.c., via Cosseria N. 2;

contro

Comune di Barletta (BT)

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sez. III, n. 2578 dd. 10 giugno 2004, resa tra le parti e concernente diniego progetto di costruzione di un frantoio oleario



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Fulvio Rocco e udito per l’appellante Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali per la Provincia di Bari l’Avv. Paolo Re, su delega dell’Avv. Alberto Bagnoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.1. Con ricorso proposto sub R.G. 824 del 1999 innanzi al T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, l’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Bari ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento dd. 16 dicembre 1998 con il quale il Dirigente preposto al Settore V del Comune di Barletta la reiezione di una domanda avente ad oggetto il rilascio di un titolo edilizio richiesto dalla Cantina Cooperativa Coltivatori Diretti di Barletta per la costruzione di un frantoio oleario, in quanto il relativo progetto era stato redatto dal dott. Manlio Cassandro, dottore agronomo.

Il ricorrente Ordine ha dedotto in tale primo grado di giudizio l’avvenuta violazione dell’art. 2, lett. d), della L. 7 gennaio 1976 n. 3, recante l’ordinamento della professione di dottore agronomo, laddove si stabiliscono le competenze proprie di tale categoria di professionisti, menzionando – tra l’altro - “la progettazione... ed il collaudodei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali”.

1.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Barletta, eccependo preliminarmente l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso e chiedendone comunque la reiezione nel merito.

1.3. Con sentenza n. 2578 dd. 10 giugno 2004 la Sez. III dell’adito T.A.R. ha dichiarato inammissibile il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe l’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali per la Provincia di Bari chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo l’ammissibilità del ricorso e insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado in quanto con esso è stata violata la competenza professionale dei dottori agronomi fissata ex lege.

2.2. Non si è costituito nel presente grado di giudizio il Comune di Barletta.

3. Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va accolto per quanto qui appresso specificato.

Nella sentenza resa in primo grado si afferma “che il diniego fu comunicato il 21 e 22 dicembre 1998, sia al presidente della Cooperativa istante, che al progettista, dott. Manlio Cassandro, ma avverso di esso non fu proposto ricorso e la Cantina Cooperativa richiedente curò, invece, la redazione di un nuovo progetto, a firma questa volta di un ingegnere, che fu approvato in forza di atto di concessione rilasciato il 16 luglio 1999. … (Gli) effetti del gravato diniego ebbero come loro destinataria immediata e diretta la Cantina Cooperativa, titolare della facoltà di costruire incisa negativamente dal diniego stesso. Al riguardo, il redattore del progetto assume la posizione di terzo rispetto alla relazione giuridica, intercorrente tra concedente e l’aspirante concessionario; lo stesso, per effetto del contratto d’opera intercorso con il committente proprietario dell’area, al più avrebbe avuto titolo ad intervenire nel giudizio eventualmente promosso da quest’ultimo contro il rifiuto, ma non mai a porsi come ricorrente in via principale (cfr. T.A.R. Veneto, 22 gennaio 1982 n. 101). Peraltro, - e sul punto il Tribunale non ritiene di doversi discostare dall’insegnamento del giudice amministrativo, da ultimo confermato con le sentenze del Consiglio di Stato (Sez. V) 20 agosto 1996, n. 929, e 23 maggio 1997 n. 527, e del Csi n. 254 del 14 giugno 1999 - gli Ordini

professionali non sono persone giuridiche di diritto pubblico aventi, tra l'altro, anche la finalità di tutelare gli interessi della categoria; ma sono, invece, soggetti pubblici che, per le professioni, per l’esercizio delle quali occorre una speciale abilitazione dello Stato, hanno, in base alle disposizioni degli artt. 2229 e 2233 del Codice civile e delle varie leggi istitutive dei singoli Ordini, le specifiche competenze della tenuta degli albi, dell'esercizio della funzione disciplinare, nonché, della redazione e proposta delle tariffe e della liquidazione dei compensi a richiesta del professionista o del privato. Le predette funzioni - ha sottolineato il giudice amministrativo - sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo giustifica l’obbligo dell'appartenenza all'Ordine stesso, e non già per una tutela degli interessi della categoria professionale, che farebbe degli Ordini un'abnorme figura d'associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa di interessi privati settoriali.

In particolare, poi, l’interesse azionato dall’Ordine ricorrente fa capo ad ognuno dei soggetti abilitati all’esercizio della professione di agronomo e non può definirsi, quindi, come interesse collettivo, poiché di quest’ultimo è, invece, connotato essenziale l’essere l’ente esponenziale in veste di ente collettivo il legittimo, esclusivo portatore della situazione di vantaggio a carattere metaindividuale, perché l’anzidetta condizione, pur astrattamente riferibile a ciascuno degli individui facenti parte del gruppo sociale che si riconosce nel soggetto collettivo, tuttavia, non è “frazionabile” e non è, dunque, tutelabile singolarmente. Il difetto di legittimazione dell’Ordine ricorrente (e la conforme eccezione sollevata dall’amministrazione resistente risulta, perciò, fondata) deve pertanto essere affermato, alla luce di quanto appena detto, pure sotto il profilo sostanziale, poiché si è agito a difesa, in realtà, della posizione giuridica nella titolarità del redattore del progetto respinto e ciò in violazione dell’art. 81 c.p.c. in base al quale, fuori dai casi espressamente previsti dalla legge di sostituzione processuale o di rappresentanza, nessuno può far valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio. In definitiva, alla stregua delle su esposte considerazioni, il ricorso in esame è inammissibile”.

4.2. La giurisprudenza di questo Consiglio citata dal giudice di primo grado a supporto della statuizione da lui assunta non è stata infatti da quest’ultimo ben intesa, e ciò in quanto le predette decisioni n. 929 dd. 20 agosto 1996 e n. 527 dd. 23 maggio 1997 non relegano – come sembrerebbe – gli Ordini professionali allo svolgimento delle mere competenze della tenuta degli albi, dell’esercizio delle azioni disciplinari, della redazione e della proposta delle tariffe e della liquidazione dei compensi a richiesta del professionista o del privato, ossia ad attività preordinate “essenzialmente per la tutela della collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo giustifica l’obbligo dell'appartenenza all'Ordine stesso, e non già per una tutela degli interessi della categoria professionale” (così a pag. 4 la sentenza impugnata).

Nelle predette due decisioni si afferma infatti che l’attività degli Ordini professionali comunque concerne - ancorchè in vista dell’interesse della collettività e, solo di riflesso, anche degli stessi professionisti – gli iscritti agli ordini medesimi, ossia coloro che esercitano la libera professione mediante contratti d’opera direttamente con il pubblico dei clienti o, in alcuni casi, pure alle dipendenze di privati, mentre sfugge al controllo degli Ordini la posizione dei pubblici dipendenti che, svolgendo una prestazione di lavoro subordinato presso una pubblica amministrazione, effettuino compiti il cui contenuto corrispondente a quello di una libera professione, posto che costoro sono retribuiti in base a stipendi prefissati e soggiacciono alle regole disciplinari stabilite dalla p.a. datrice di lavoro e non dall'ordine professionale (cfr., negli stessi termini, le due sentenze dianzi citate).

E’ evidente, quindi, l’inconferenza di tali due richiami giurisprudenziali contenuti nella sentenza impugnata, posto che nelle due decisioni non si affronta in linea di principio la tematica della legittimazione processuale degli Ordini professionali.

Solo la decisione n. 254 dd. 14 giugno 1999 resa dalla Sezione consultiva del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, parimenti riferita nella sentenza impugnata, in effetti afferma – tra l’altro – che “per le attività e per l'esercizio gli ordini e i collegi professionali sono enti pubblici, per i quali serve un tipo di abilitazione dello Stato, in base agli art. 2229 e 2233 c.c. e secondo le diverse leggi istitutive dei singoli ordini, sono provvisti delle precise competenze della tenuta degli albi, dell’esercizio della funzione disciplinare, tanto più della redazione e proposta delle tariffe e dei pagamenti dei compensi secondo il privato o il professionista; perciò, queste funzioni si considerano elargite a difesa della collettività nei confronti degli esercenti la professione e non ormai a difesa dei vantaggi della classe professionale”.

Tali ultimi enunciati sono invero parzialmente conformi a quelli del giudice di primo grado: ma da essi comunque non è dato di ricavare la conseguenza da quest’ultimo affermata, ossia il difetto, per il caso di specie, della legittimazione processuale dell’Ordine professionale.

Tale affermazione si configura, pertanto, come del tutto autonomamente elaborata dal giudice di primo grado senza alcun previo supporto giurisprudenziale, avendo in particolar modo riguardo alla paventata ipotesi che l’Ordine professionale divenga – come detto innanzi – “un’abnorme figura d'associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa di interessi privati settoriali”, e posto che l’interesse azionato dall’Ordine, facendo capo a ciascuno dei soggetti abilitati all’esercizio della relativa professione comunque non potrebbe definirsi secondo lo stesso giudice come “collettivo”, né sarebbe “frazionabile” e, quindi, tutelabile dall’Ordine medesimo in vece del singolo suo iscritto.

La tesi del giudice di primo grado è – viceversa – smentita da esplicita e del tutto unanime giurisprudenza formatasi sul punto in discussione, secondo la quale gli Ordini professionali hanno legittimazione a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria di soggetti di cui abbiano la rappresentanza istituzionale qualora si tratti della violazione di norme poste a tutela della professione stessa, o allorché si tratti comunque di conseguire determinati vantaggi - sia pure di carattere strumentale - giuridicamente riferibili alla intera categoria, con il limite (che qui non rileva) derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli Ordini medesimi (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2010 n. 8006; cfr., altresì, la decisione n. 8404 resa sempre dalla Sez. V); ossia, detto altrimenti, sussiste nel nostro ordinamento la legittimazione di un Ordine professionale a tutelare anche in via contenziosa l’interesse collettivo dei professionisti suoi iscritti in modo generale e indistinto (così Cons. Stato, Sez. II, 24 gennaio 2011 n. 2783).

Nel caso in esame, quindi, non è ravvisabile – a differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado – una sostituzione processuale da parte dell’Ordine nei riguardi della posizione del singolo professionista, per certo preclusa a’ sensi dell’art. 81 c.p.c., ma è sussiste – anche al di là della lesione arrecata sia alla sfera dell’interesse individuale del progettista, sia alla sfera del committente dell’opera, i quali peraltro liberamente non hanno ritenuto di tutelarsi in sede giudiziale – un concomitante e del tutto autonomo interesse dell’Ordine a veder assicurata l’applicazione delle disposizioni normative che disciplinano la competenza professionale dei suoi iscritti - anche se materialmente non coinvolti nel presente procedimento giudiziale – proprio in quanto soggetto ex lege esponenziale di tutti gli iscritti medesimi.

Tale interesse alla decisione del ricorso perdura anche allorquando – come, per l’appunto, nel caso di specie – l’annullamento dell’atto impugnato non può dispiegare effetti concreti ma è apprezzabile comunque la perdurante lesività dell’atto stesso per il credito, il prestigio e l’estimazione sociale della parte ricorrente, ossia allorquando comunque persistano come fatti storici valutazioni e giudizi negativi su qualità e capacità della parte medesima (così, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 30 luglio 2002 n. 4076 e Sez. V, 5 marzo 2001 n. 1250).

Nel caso di specie, è indiscutibile la permanenza a tutt’oggi dell’interesse dell’Ordine a rimuovere ope iudicis un provvedimento che, se considerato nel suo intrinseco contenuto, si pone come non corretta valutazione dell’idoneità professionale non solo – contingentemente - del dott. Cassandro ma di qualsivoglia iscritto all’Ordine professionale degli agronomi se chiamato a progettare un frantoio, configurandosi quindi come un precedente ostativo – anche perché reiterabile dallo stesso Comune, nonchè da altre pubbliche amministrazioni - per le opportunità professionali di tutti i suoi iscritti.

4.3. Premesso ciò, il ricorso proposto in primo grado va accolto, in quanto – come detto innanzi - l’art.2, lett. d), della L. 7 gennaio 1976 n. 3, recante l’ordinamento della professione di dottore agronomo, riconduce testualmente alla relativa competenza professionale anche “la progettazione... ed il collaudo dei lavori relativi alle costruzioni rurali e di quelli attinenti alle industrie agrarie e forestali”.

A suo tempo questo stesso giudice ha già avuto modo di affermare la legittimità di un titolo edilizio per la realizzazione di un complesso industriale per la lavorazione di carni suine e di pollame su progetto redatto da un dottore agronomo, posto che la disposizione testè riportata consente la prestazione professionale di quest’ultimo relativamente alle industrie, tra le quali devono essere annoverate le “industrie agrarie” e, quindi, il complesso in questione, essendo indubitabile che nella disposizione medesima il termine “industria” è sempre usato nel senso tecnico-giuridico di attività diretta alla produzione di beni o di servizi di cui all’art. 2195, n. 1 c. c. e che l’opera in questione è – per l’appunto - relativa ad industria agraria (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 29 ottobre 1992 n. 1078).

Lo stesso ragionamento non può - quindi - non valere anche per la realizzazione di un frantoio, trattandosi parimenti di “industria agraria” nel senso ora descritto.

Va comunque precisato che se il progetto eventualmente fuoriesce dai caratteri propri della semplice edilità e richiede, ad esempio, opere di“conglomerato cementizio semplice od armato, la cui stabilità possa comunque interessare la incolumità delle persone”, la competenza professionale spetta inderogabilmente, a’ sensi del tuttora vigente art. 1, primo comma, del R.D.L. 16 novembre 1939 n. 2229, agli ingegneri e agli architetti iscritti ai relativi albi, “nei limiti delle rispettive attribuzioni, ai sensi della L. 24 giugno 1923 n. 1395 e del R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, sull’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto, e delle successive modificazioni” (cfr. ivi; cfr., altresì, sul punto, ad es., Cassazione civ., Sez. II, 2 settembre 2011 n. 18038).

5. L’appello in epigrafe va, pertanto, entro tali limiti accolto.

6. Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio seguono la regola della soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.

E’ – altresì – posto a carico del Comune il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e – per l’effetto, e in riforma della sentenza impugnata – accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla il provvedimento ivi impugnato.

Condanna il Comune di Barletta al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di € 4.000,00.- (quattromila/00), oltre ad I.V.A. e C.P.A.

Pone – altresì - a carico del Comune di Barletta il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente FF

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)