Brevi considerazioni
in merito alla procedura amministrativa di acquisizione degli immobili abusivi
al patrimonio comunale.
di Luca RAMACCI
Nota a Cass. Sez. III
sent.1222 del 292004 (ud. 962004)
"All’esito del procedimento penale il giudice, nel disporre la restituzione dell’immobile in sequestro, deve verificare l’intervenuto completamento della procedura di acquisizione ope legis al patrimonio comunale dell’immobile abusivo e dell’area di sedime conseguente alla mancata ottemperanza nel termine all’ordine di demolizione individuando, conseguentemente, quale avente diritto alla restituzione l’autorità comunale"
sentenza per esteso
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Brevi considerazioni
in merito alla procedura amministrativa di acquisizione degli immobili abusivi
al patrimonio comunale.
Il dilagante fenomeno
dell’abusivismo edilizio costituisce una delle forme più gravi di aggressione
al territorio e produce danni pressoché irreparabili, incoraggiati anche
dall’ormai esagerato ricorso allo strumento del condono edilizio, utilizzato
allo scopo dichiarato di garantirsi l’incasso delle somme fissate a titolo di
oblazione (ma senza tenere conto dei conseguenti “costi sociali” della
proliferazione degli immobili e di quelli, ulteriori, per la realizzazione delle
necessarie opere di urbanizzazione).
Una non indifferente
responsabilità nella moltiplicazione degli abusi va peraltro attribuita proprio
a quei soggetti cui la legge impone precisi doveri.
Ne è perfettamente
consapevole la Corte Costituzionale che, trovandosi – invero non senza qualche
difficoltà – a dover giustificare il condono del 1994, riconosceva
esplicitamente che la diffusione dell'abusivismo edilizio era, almeno in parte,
ascrivibile all’inerzia nei controlli manifestata dagli enti locali ed alla
mancanza di una attività coordinata di polizia locale specializzata nel
controllo del territorio[1].
L’inerzia cui si
riferiva la Corte dieci anni addietro non è venuta meno col passare del tempo
ed, anzi, sembra potersi escludere, tenendo conto dell’esperienza quotidiana,
che la stessa sia in qualche modo non voluta o comunque giustificabile:
l’abuso edilizio, per la sua stessa natura e consistenza, è, di regola,
immediatamente visibile e la moderna tecnologia offre oggi a prezzi ragionevoli
mezzi adeguati per un controllo effettivo del territorio (si pensi, ad esempio,
alle rilevazioni aeree o satellitari periodiche confrontabili e sovrapponibili
mediante apposito software di “change detection”).
Ancor più sorprendente
appare, inoltre, la diffusa resistenza opposta dalle amministrazioni comunali
nel provvedere alla doverosa procedura di acquisizione degli immobili abusivi
che comporterebbe, di regola, oltre alla fisica eliminazione dell’abuso anche
un vantaggio economico non indifferente conseguente alla acquisizione di
proprietà dell’area ove l’abuso insiste con possibilità di una successiva
alienazione a terzi.
La sentenza in rassegna
prende in esame un caso in cui tale procedura è stata posta in essere con
successiva acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale.
Prima di esaminare nel
dettaglio i termini della questione affrontata dai giudici di legittimità,
appare opportuno richiamare, seppure in modo sommario, la sequenza
procedimentale disciplinata ora dall’articolo 31 del Dpr 380 1 e,
precedentemente, dall’articolo 7 della ormai abrogata legge 4785 precisando
che non vi è dubbio che sussista continuità normativa tra le due previsioni
essendo stato trasfuso il contenuto dell’articolo 7 citato nella disposizione
attualmente in vigore[2].
La procedura
descritta deve essere avviata dal competente funzionario comunale (dirigente o
responsabile dell’ufficio tecnico) senza alcuna necessità di promuovere il
contraddittorio con i responsabili degli abusi ai sensi della legge 2411990[3]
sebbene tale prassi sia comunque ampiamente diffusa.
L’avvio della
procedura è, peraltro, obbligatorio e non è escluso dall’eventuale
concomitante sussistenza di violazioni paesaggistiche né pare soggetto a
termini di decadenza o prescrizione nulla disponendo la legge in tal senso.
Il ritardo o
l’omissione determina un evidente danno erariale di competenza del giudice
contabile.
Un tale
comportamento può poi essere soggetto a valutazione in sede penale, sebbene la
giurisprudenza della Corte di Cassazione si sia pronunciata in modo non sempre
chiaro e condivisibile sul punto.
Con specifico
riferimento al reato di cui all’articolo 328 c.p. si è, ad esempio, osservato
che, per atto di ufficio che per
"ragione di giustizia" deve essere compiuto senza ritardo, deve
intendersi qualunque provvedimento od ordine autorizzato da una norma giuridica
per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o
più agevole l'attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali
di polizia giudiziaria. La ragione di giustizia si esaurisce, quindi, con la
emanazione del provvedimento di uno degli organi predetti e non si estende agli
atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad adottare in esecuzione del
provvedimento dato per ragione di giustizia.
Ciò
ha indotto ad escludere la responsabilità di un Sindaco per la mancata adozione
di provvedimenti di attuazione di una sua ordinanza di inibitoria all'utilizzo
di un immobile abusivo e di ottemperanza a una ordinanza del T.a.r. con la quale
si disponeva la demolizione
dell'immobile (in merito a tali atti la Corte ha escluso anche la sussistenza
dell'ulteriore requisito della "indifferibilità")[4].
Precedentemente,
il reato è stato in altre occasioni ritenuto insussistente escludendo che l'attività
omessa rientri nella categoria degli atti urgenti[5]
ovvero ritenendo la natura discrezionale dell’atto da emanare[6]
mentre, in altre pronunce, è stata evidenziata la natura di atto dovuto del
provvedimento di demolizione riconoscendo, di conseguenza, la configurabilità
del reato[7].
Si
tratta, in ogni caso, di decisioni risalenti nel tempo.
Più
recentemente si è, invece, ritenuto configurabile il reato di abuso in atti
d’ufficio nei confronti di un Sindaco (essendo tale soggetto competente
all’epoca dei fatti) per avere con il suo comportamento ritardato da parte del
comune non l'acquisto del diritto reale, ma addirittura quello del possesso
dell'immobile abusivo, così procurando un vantaggio patrimoniale, sia pure di
portata modesta, al proprietario di quel bene[8].
Nella stessa pronuncia si evidenzia l’ammissibilità dell'abuso
mediante omissione richiamando la giurisprudenza pressoché unanime della
medesima corte pur chiarendo che la peculiarità del caso concreto (nel quale
l'omissione addebitata consiste nel semplice ritardo a emettere un
provvedimento) impone che la prova della finalizzazione della volontà
dell'agente alla realizzazione del danno o del vantaggio debba essere ancora più
rigorosa poiché, in caso contrario, qualsiasi dilazione ingiustificata nel
compimento o nel deposito di un atto legislativo, amministrativo o giudiziario,
suscettibile di arrecare un vantaggio patrimoniale o un danno ad alcuno, darebbe
luogo a una violazione dell'articolo 323 C.P. fatto, questo, che sicuramente il
legislatore ha voluto escludere nelle ipotesi in cui il ritardo sia dovuto a
mera negligenza o ad altre analoghe ragioni; ciò anche se il soggetto agente si
sia rappresentato con certezza l'evento conseguente alla sua condotta.
Per tali ragioni la Corte esclude, nel caso concreto, la sussistenza
dell’elemento soggettivo in quanto non provata.
La soluzione adottata si affianca ad altre che evidenziano, con
riferimento all’elemento soggettivo nel reato di abuso d’ufficio, la
necessità di individuare il “dolo intenzionale” richiesto dalla
configurazione attuale dell’articolo 323 c.p. esclusivamente come riferito a
condotte illecite del pubblico ufficiale avente, quale finalità immediata ed
esclusiva, il procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto patrimoniale o,
comunque, arrecare ad altri un danno ingiusto e che ha determinato condivisibili
critiche da parte della dottrina[9].
Pare tuttavia che la particolarità della procedura di acquisizione
consenta al giudice, senza troppe difficoltà, di operare una distinzione tra la
semplice inerzia o negligenza del pubblico ufficiale e la condotta finalizzata a
consentire all’autore dell’abuso di utilizzare l’immobile o mantenerne la
proprietà o il possesso.
Atto iniziale
della procedura di acquisizione, in presenza di opere abusive è, dunque, l’
emissione dell’ordinanza con la quale viene ingiunta la demolizione.
Con riferimento
ai destinatari dell’atto si è osservato in dottrina[10]
che l’ingiunzione alla demolizione ha come scopo la sanzione di una situazione
oggettivamente antigiuridica e, conseguentemente, va intimata non solo
all’autore della violazione urbanistica (ancorché non coincidente con il
proprietario attuale) ma anche a chi si trovi ad essere proprietario
dell’opera al momento dell’emissione del provvedimento anche se estraneo
all’illecito.
Le conseguenze
della demolizione ricadranno, poi, sul proprietario del bene e sui titolari di
altri diritti reali mentre le spese della riduzione in pristino saranno a carico
dei responsabili in solido tra loro mentre ne resterà esente il proprietario
estraneo all’abuso sul quale, inoltre, non potrà spiegare effetti (tranne nel
caso in cui sia accertata la conoscenza dell’abuso ed una conseguente inerzia)
neppure la acquisizione gratuita del bene e delle aree al patrimonio comunale[11].
L’ordinanza
di demolizione può essere preceduta dall’ordine di sospensione dei lavori
che, tuttavia, ha evidenti finalità cautelari la mancanza delle quali non
giustifica, di regola, l’emissione di tale provvedimento che si risolverebbe,
nella pratica, in un prolungamento del termine imposto per l’abbattimento
dell’abuso.
L’ordinanza
di demolizione deve ovviamente contenere tutti gli estremi per
l’identificazione dell’abuso e dell’area ove insiste (compresi foglio e
mappale) e deve essere notificata ai destinatari[12].
Essa può essere impugnata davanti al giudice amministrativo.
Osserva a tale
proposito la Cassazione che al fine della revoca o sospensione dell’ordine “…anche la provvisoria sospensione disposta dal Tar è, di
regola, ininfluente, a meno che non sia stata motivata con l'esistenza del fumus
della esistenza di vizi relativi a violazioni sostanziali della normativa
urbanistica; la sospensione si prospetta irrilevante se concessa per ragioni non
comportanti un preliminare giudizio di disvalore dell'atto amministrativi
impugnato”[13].
L’inutile decorso del termine
di 90 giorni dalla notifica senza che sia avvenuta la demolizione spontanea o il
ripristino dello stato dei luoghi determina ope legis l’automatico
passaggio della proprietà dell’abuso e dell’area di sedime
all’amministrazione comunale nei termini indicati dall’articolo 31 dpr
380 1.
Tale automatismo è del tutto evidente e conforme alla lettera della
legge.
A tale proposito deve registrarsi, tuttavia, il dissenso espresso in
alcune pronunce della Suprema Corte.
In un caso, infatti, si è sostenuto che l'acquisizione del manufatto abusivo al patrimonio del Comune non si
verificherebbe per il solo fatto dell'omessa demolizione entro il termine ma
sarebbe necessaria un’ulteriore attività del comune consistente nel formale
accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire da parte del
responsabile, nella successiva notifica dell'eseguito accertamento
e nella trascrizione nei registri immobiliari del titolo di acquisizione
dell'immobile e degli estremi sostanziali e catastali individuanti l'immobile[14].
In
altra occasione il perfezionamento della procedura di acquisizione è stato
individuato nell'approvazione
della delibera di demolizione dell'immobile o di dichiarazione di prevalenti
interessi pubblici che ne giustifichino la conservazione[15].
In altro ancora nell’avvenuta trascrizione nei registri immobiliari[16].
Le
conclusioni cui giungono le decisioni sopra richiamate non appaiono tuttavia
condivisibili in quanto si pongono in evidente contrasto con la lettera della
legge.
Correttamente
la sentenza in rassegna evidenzia come il comma quarto dell’articolo 31
stabilisce che gli adempimenti consequenziali e accessori dell’accertamento
dell’inottemperanza e della relativa notifica costituiscono titolo
per l’immissione in possesso e per la trascrizione. Si
tratta, in altre parole, di attività complementari successive
all’acquisizione della proprietà che, in modo altrettanto inequivocabile, il
precedente comma terzo dell’articolo 31 indica quale automatica conseguenza
del mero decorso del termine utilizzando l’espressione “…sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”.
Nello
stesso senso sono orientate precedenti pronunce[17]
le quali non hanno mancato di evidenziare che “…l'atto di accertamento dell'inottemperanza e la trascrizione hanno
natura dichiarativa, il primo necessario per opporre il trasferimento al
proprietario responsabile dell'abuso ed immettersi nel possesso ed il secondo
per opporre il trasferimento ai terzi ex art. 2644 cod. civ.”[18]
e che “l'inutile decorso del
termine di novanta giorni dall'ingiunzione a demolire emessa dal sindaco
determina l'immediato trasferimento al patrimonio del Comune della res abusiva,
dell'area di sedime e delle pertinenze, così che l'atto ablatorio che la P.A.
è tenuta ad adottare all'esito della prescritta procedura si rende necessario
al solo fine di escludere la sopravvenienza di altri provvedimenti
amministrativi o giurisdizionali che abbiano fatto venire meno o sospeso
l'effetto acquisitivo derivante dall'accertata inadempienza.”[19]
La
interpretazione della norma in esame maggiormente conforme alla lettera della
legge è condivisa anche in dottrina[20]
ove si precisa, inoltre, che l’accertamento dell’inottemperanza è
suscettibile di impugnazione innanzi al giudice amministrativo per i soli vizi
da cui risulti eventualmente inficiato mentre non può essere posta in
discussione, in quella sede, la legittimità dell’acquisizione gratuita in
quanto la stessa non deriva dall’atto impugnato essendo conseguenza diretta
dell’inottemperanza.
All’acquisizione
consegue necessariamente la demolizione dell’abuso, da eseguirsi da parte del
competente funzionario comunale a spese dei responsabili e salvo che, con
deliberazione consiliare, non venga dichiarata l’esistenza di prevalenti
interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi
urbanistici o ambientali.
Le
modalità esecutive della demolizione sono descritte nell’articolo 41 del dpr
380 1. Giova ricordare, a tale proposito, che nella legge 3262003 di
conversione del decreto legge che introduceva l’ultimo condono edilizio,
l’articolo 41 era stato sostituito prevedendo una diversa (e apparentemente più
farraginosa) procedura per la demolizione che assegnava un ruolo determinante ai
prefetti. La modifica apportata al T.U. è stata tuttavia travolta dalla
pronuncia di incostituzionalità che ha colpito le disposizioni in tema di
condono edilizio[21].
Dall’esame
delle disposizioni che regolano la procedura di acquisizione deve dunque
rilevarsi che la stessa è inequivocabilmente disciplinata dalla vigente
normativa. Ciò rende ancor meno giustificata la frequente inerzia delle
amministrazioni comunali nel portare a compimento la procedura riscontrabile
nella quotidiana esperienza.
A
fronte di tale situazione appare evidente il rilievo che assume per la sua
chiarezza la decisione in rassegna in quanto, riconoscendo esplicitamente la
necessità che il giudice, atteso l’automatismo del passaggio di proprietà,
restituisca quanto sequestrato all’avente diritto individuato
nell’amministrazione comunale, pone l’amministrazione stessa nelle
condizioni di procedere agli ulteriori adempimenti (trascrizione, immissione in
possesso, demolizione).
Spesso,
infatti, si ha modo di constatare che l’attività degli uffici tecnici
comunali è limitata alla sola emissione dell’ordinanza di demolizione e alla
verifica dell’inottemperanza senza procedere alla trascrizione ed immissione
in possesso di quanto ormai di proprietà del comune lasciando di fatto
l’immobile e l’area ove insiste nella libera disponibilità di chi non è più
proprietario.
La
decisione in rassegna, infine, non è isolata e si aggiunge ad altre precedenti
(parte delle quali citate in motivazione) che, altrettanto inequivocabilmente,
avevano individuato nell’amministrazione comunale il destinatario del
provvedimento di restituzione[22]
[1] Corte Costituzionale sent. 4161995
[2] In tal senso v. Cass. Sez. III n. 32211 del 31/07/2003, Di Bartolo
[3] In tal senso la giurisprudenza amministrativa è univoca (cfr. Cons. Stato Sez. V n. 1968 del 30121998)
[4] Cass. Sez. VI n.784 del 2111999, Muccilli.
[5] Cass. Sez. VI n.10038 del 22111996, Schirano
[6] Cass. Sez. VI n.9037 del 12101985, Nuoro
[7] Cass. Sez. VI n. 5441 del
1261986, Baietta; Sez. VI n. 4861 del 461986, Bisegna; Sez. II n. 7801
del 1661977, Facchin; Sez. VI n.1857 del 531973, Volponi; Sez. VI
n.8724 del 3061978, Wegecheider
[8] Cass. Sez. II n.4296 del 422004, Stellaccio
[9] V. A. NATALINI “intenzionalità del dolo ex art. 323 c.p. e pretesa esclusività della finalità tipica: l’avallo della Cassazione ad una discutibile assimilazione ermeneutica” in Cass. Pen. n.102004, 1050. L’A. rileva, in sintesi, come si vada sostituendo al “dolo intenzionale” previsto dalla norma un “dolo esclusivo”, discostandosi così dall’originario indirizzo il quale non richiedeva, per la configurabilità dell’elemento psicologico del reato, che il comportamento illecito del pubblico ufficiale fosse diretto, in via immediata ed esclusiva, a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto. Tale attuale lettura dell’articolo 323 c.p., che consente di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo ogni qualvolta sia dimostrata la sussistenza di una concorrente finalità pubblicistica dell’azione, si discosta dal dato letterale dell’articolo 323 c.p. nell’attuale formulazione e dalla volontà effettiva del legislatore desumibile dal contenuto dei lavori parlamentari e consente, con l’erronea individuazione della unicità del fine in luogo della precipuità del medesimo, un incremento di formalistiche assoluzioni fondate sulla sussistenza di un fine istituzionale strumentalmente invocabile dal pubblico ufficiale con estrema facilità allo scopo di coprire un intenzionale, ancorché non esclusivo, comportamento illecito.
[10] A. FIALE “Diritto Urbanistico” Napoli 2002, pag. 852
[11] Della posizione del proprietario dell’area estraneo all’abuso edilizio con riferimento all’acquisizione gratuita nel senso indicato si è occupata anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 3451991
[12] E’ del tutto superfluo evidenziare che la giurisprudenza amministrativa si ripetutamente occupata del caso, non infrequente, di passaggi di proprietà dell’area o della costruzione abusiva reali o simulati. Per una esaustiva rassegna delle principali decisioni, peraltro rappresentativa della sostanziale inutilità pratica di siffatte situazioni ai fini del completamento della procedura, si veda FIALE op. cit. pag. 858 e ss. Si veda, per un caso di demolizione di immobile locato a terzi, Cass. Sez. III n. 37051 del 2992993, Moressa che evidenzia la possibilità da parte del conduttore di ricorrere agli strumenti civilistici per fare ricadere in capo ai soggetti responsabili dell'attività abusiva gli eventuali effetti negativi sopportati in via pubblicistica. V. anche, sulla irrilevanza di soggetti terzi rispetto all’abuso che vantino la proprietà del suolo ove l’opera insiste, Cass. Sez. III n.35525 del 2892001, Consolo
[13] Cass. Sez. III 23992 del 2652004, Cena
[14] Cass. Sez. III n.44406 del 20112003, Coco ed altro
[15] Cass. Sez. III n. 37222
del 7112002, Clemente in Riv. Pen. 12003 pag. 49
[16] Cass. Sez. III n.40504 del 2122002, Petrucci
[17] Cass. Sez. III n. 22743 del 1252004, Maffongelli
[18] Cass. Sez. III n.33297 del 682003, PG in proc. Brullo ed altro in Riv. Pen. 52004 pag. 541. Nello stesso senso Cass. Sez. III n. 3755 del 29122000, Mereu in Arch. Nuova proc. pen. n.52000 pag. 504
[19] Cass. Sez. III n. 33548 del 782003, Formisano
[20] V. FIALE op. cit. pag. 862 e ss. cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti alla giurisprudenza anche amministrativa
[21] Corte Costituzionale sent. 196 del 28 giugno 2004 in www.lexambiente.it
[22] Cass. Sez. III n. 24320 del 562003, Guerra; Sez. III n. 37883 del 23102001 entrambe citate nella decisione in rassegna, nonché Sez. III n. 12288 del 29112000, Cimaglia