Divieto di nuova edificazione e disciplina della distanza tra costruzioni in zona territoriale omogenea A del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.
(Nota a TRGA, Sez. BZ, 22 dicembre 2014, n. 295)
di Massimo GRISANTI
La sentenza in esame dà lo spunto per tornare sui temi della disciplina delle distanze tra fabbricati e sul divieto di nuova edificazione in Zona A.
Riportiamo per esteso il passo d’interesse:
<FATTO
Waldmüller, proprietaria di un appartamento a Bolzano in Via Streiter 29 (p.ed. 226 CC Bolzano), impugna la concessione edilizia rilasciata dal Comune di Bolzano al confinante Haumer per “interventi di restauro e risanamento” nell’edificio residenziale sulla p.ed. 230 (Via Streiter 29/b), situato nella zona storica A.
Il progetto edilizio prevedeva la ridistribuzione interna degli alloggi, il recupero abitativo del sottotetto con trasformazione della soffitta in alloggio, la demolizione dei due abbaini esistenti (c.d. ‘Schleppgauben’, con tetto che scende) e la ricostruzione di un abbaino unico in forma diversa (c.d. ‘Kastengaube’, con tetto che si alza in direzione opposta), allargato e più alto, insieme all’allargamento della terrazza. Le pareti degli abbaini sono antistanti a due finestre dell’alloggio della ricorrente. (…)
DIRITTO
B1) Il secondo motivo
Il progetto prevede l’innalzamento del tetto del nuovo abbaino che ora va in direzione opposta, con conseguente sopraelevazione della parete che fuoriesce dalla sagoma preesistente, con aumento del volume dell’edifico preesistente, ancorché in misura non significativa. E’ regola giurisprudenziale abbastanza pacifica che gli interventi edilizi che apportano un innalzamento della sagoma ed un aumento del volume, vanno qualificati come sopraelevazione, sottostando pertanto al rispetto delle distanze (CdS, VI, 4501/13; CdS, IV, 844/013; CdS, IV, 5759/11; Cass. Civ., II, 5236/99; TAR, Toscana, FI, 1217/2014; TAR Toscana, FI, III, 4160/2008; TAR MI, II, 7505/10; TAR, Liguria, GE, I, 1406/13; TAR Campobasso, I, 599/2009 e altre). Dagli atti prodotti in giudizio emerge che l’intervento de quo si esegue ad una distanza inferiore di 3 m rispetto alla finestra dell’appartamento della ricorrente. (…)
C) Il quarto motivo
Il motivo viene esaminato al fine di dare un contributo alla soluzione del problema, molto attuale, intorno alle distanze da rispettare nella zone storiche (zone A).
La ricorrente si duole del mancato rispetto della distanza dei 10 m.
Nell’ordinanza cautelare n. 145/2014 questo collegio ha affermato che anche nelle zone storiche A debba essere rispettata la distanza dei 10 tra le pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti. Il Comune ed il controinteressato sono di avviso contrario, nel senso che nelle zone A sia sufficiente il rispetto della distanza minima di 3 m prevista dal codice civile all’articolo 873 CC.
C1) La discussione circa le distanze legali da rispettare nelle costruzioni è sorta in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2012 che, dichiarando illegittima la legge provinciale n. 4/11 (articolo 9, comma 6 e 7), aveva statuito il principio secondo il quale, in tema di distanze tra gli edifici, l’articolo 9 DM 1444/68 debba trovare applicazione anche nella Provincia Autonoma di Bolzano.
Con riferimento alle zone storiche (zone A), l’articolo 9, comma 1, numero 1 del DM 1444/68 così
prevede:
“1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.”
A differenza della altre zone (v. numero 2 del comma 1 dell’articolo 9), ove è prescritto il rispetto della distanza minima assoluta di 10 m tra gli edifici, per le zone A la norma nulla prevede in ordine alle distanze. Come ha avuto modo di chiarire la giurisprudenza (ex multis: Cass. Civ. II, 12767/08), la mancata previsione è dovuta al fatto che nelle zone A non sono ammesse nuove costruzioni, ma solo risanamenti o ristrutturazioni nei limiti dei volumi edificati preesistenti.
Nell’ambito della sua competenza primaria in materia urbanistica, il legislatore provinciale può derogare al divieto di nuove costruzioni sancito dal numero 1 sopra riportato, ma egli non può derogare alla disciplina sulle distanze, stante la sentenza n. 114/12 della Corte Costituzionale.
In effetti, il capo VI (articoli 52 ss) della legge urbanistica provinciale L.P. 13/97 è dedicato alle zone di recupero, tra le quali vanno annoverate le zone storiche A. E’ utile citare l’articolo 53 (1. comma) che detta una disciplina suppletiva analoga all’articolo 9 (comma 1, numero 1) del DM 1444/68: in assenza di un piano di recupero sono consentiti interventi di risanamento e ristrutturazione conservativa (attraverso il rinvio alle lettere a), b) e c) dell’articolo 59 L.P. 13/97), ma non è ammessa l’innesto di nuovi volumi edilizi (ai quali si dedicano le lettere d) ed e) dell’articolo 59 L.P. 13/97, le quali, però, non vengono richiamate dall’articolo 53).
Per quanto riguarda la presente zona A esiste un piano di recupero, denominato “centro storico A1”, che è stato approvato con delibera della Giunta provinciale n. 6461/90. L’attività edilizia è disciplinata all’articolo 6 delle norme di attuazione.
C2) Un tanto premesso, tornando alla sentenza n. 114/12 della Corte Costituzionale (in tema v. anche le sentenze n. 6/2013 e 173/11), essa non fa altro che riassumere, in sostanza, il pensiero assolutamente dominante, quasi granitico, della giurisprudenza: la disciplina sulle distanze prevista dall’articolo 9, dettata da ragioni di interesse pubblico superiore (impedire la creazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico e sanitario), è assoluta e inderogabile. Essa vincola non solo l’autonomia negoziale dei privati ma anche la potestà legislativa regionale e la potestà regolamentare pianificatoria comunale (ex multis: CdS, IV, 2650/2104; CdS, IV, 354/13; CdS, IV, 844/13; Cass. Civ. II, 24013/14; TAR Campania, Napoli, III, 4520/13; TAR Sicilia, Palermo, III, 2543/13 e altre). Al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità (ex multis: TAR Puglia, Bari, III, 1235/12), egli deve disapplicare le norme contrastanti illegittime e sostituirle direttamente con quelle dell’articolo 9 (ex multis: TAR Campania, Napoli, VIII, 4520/13; TAR Sicilia, Catania, I, 2549/13 e altre).
Quella parte della giurisprudenza che si è specificamente dedicata al tema delle distanze da rispettare nelle zone A, è in larga maggioranza del parere che gli interventi edilizi che non siano limitati al semplice restauro conservativo o alla ristrutturazione del volume edificato preesistente, devono rispettare il limite generale dei 10 m dalle pareti finestrate degli edifici antistanti perché, aumentando la cubatura con modifica della sagoma, sono considerati nuove costruzioni (TAR Toscana, FI, 1217/2014; TAR Campania, Salerno, 473/2014; TAR Liguria, Genova, I, 704/13; TAR Liguria, Genova, I, 1066/13, CdS, V, 280/99).
C3) Esistono, però, anche alcune sentenze contrarie che ritengono che nella zone A si possa rimanere al di sotto della distanza minima di 10 m (TAR Lombardia, Brescia, 1712/09; Cass. Civ. II, 879/99; in senso solo apparentemente contrario: TAR Friuli, Trieste, 411/12).
Molte sentenze contengono massime del tipo “…nelle zone territoriali diverse dalla zona A deve essere rispettata inderogabilmente la distanza minima assoluta di 10 m tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti...” (esempio: CdS, IV, 1818/14 o Cass. Civ., II, 10387/08). Le massime, se lette superficialmente, potrebbero indurre ad una lettura che la distanza di 10 m debba essere rispettata solo nelle “zone diverse”, mentre possa essere inferiore nelle zone A. In realtà, le massime nulla dicono sulle distanze da rispettare nelle zone A.
Esse vanno interpretate correttamente, nel senso, cioè, che partono dal presupposto che nelle zone A sia comunque vietata qualsiasi attività edilizia nuova (che non sia quella di restauro o ristrutturazione).
C4) Esaminata la giurisprudenza, questo collegio, inserendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza maggioritaria, è del parere che anche nelle zone A debba essere rispettata la distanza minima di 10 m, qualora l’attività edilizia superi il semplice restauro conservativo o la ristrutturazione dei volumi già esistenti, prevedendo nuova cubatura e modifiche della sagoma attraverso sopraelevazioni o innalzamenti.
Innanzitutto, perché la necessità di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico e sanitario non viene meno nelle zone A, anzi è più impellente proprio nelle zone storiche rispetto alle altre zone territoriali. In secondo luogo, perché la coerenza logica esige che, qualora eccezionalmente si ammettano nuove costruzioni, allora debba essere rispettata almeno la distanza di 10 m, non diversamente dall’attività edilizia fuori dalle zone A. In terzo luogo non si condivide l’argomento usato in una delle sentenze contrarie (v. TAR Lombardia, Brescia, 1712/09), secondo il quale il divieto di analogia in malam partem non consente di applicare alle zone storiche la limitazione dei 10 m prevista per le altre zone. Questo argomento tiene in conto solo le esigenze del costruttore, tralasciando del tutto le esigenze dei confinanti, per i quali, al contrario, l’estensione della limitazione dei 10 m costituisce un’applicazione analogica in bonam partem che contribuisce anche maggiormente al mantenimento della pace sociale, poiché a nessuno fa piacere, se – per fare un esempio illustrativo - il vicino tirasse su un muro a distanza di 3 m dalla propria finestra. (…)>.
Esaminata la sentenza del TRGA, lo scrivente formula le seguenti osservazioni, ribadendo alcuni concetti già espressi in altri scritti pubblicati sulla rivista Lexambiente, quale contributo alla chiarezza del portato della Legge n. 765/1967, di cui il D.M. n. 1444/1968 ne costituisce applicazione.
Si ritiene che non risponda al vero che il D.M. vieti tout court l’intervento di nuova costruzione in Zona A. Di contro, in ogni sua forma, non si dubita che sia vietato l’intervento di nuova edificazione privata.
L’art. 7 del Decreto, sul limite di densità edilizia, consente ai Comuni, previa adeguata valutazione, di ammettere nuove costruzioni in Zona A.
Inoltre, il successivo art. 8, sul limite di altezza degli edifici, mai consente innalzamenti di edifici di carattere storico-artistico, ma li ritiene possibili per quelli privi di tale requisito purché a seguito di specifici vagli di ammissibilità anche sotto il profilo della necessaria tutela storico-paesistica dell’abitato.
Sennonché, il quinto comma dell’art. 17 della Legge n. 765/1967, introducente l’art. 41-quinquies alla L.U.N., apparentemente non consentiva affatto alcun tipo di nuova costruzione: <Qualora l'agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento o restauro, senza alterazioni di volumi. Le aree libere sono inedificabili fino all'approvazione del piano regolatore generale.>.
Infatti, tale disposizione – che è stata in vigore fino al 30 giugno 2003 poiché abrogata dal T.U.E. ed era valevole direttamente dal 1/9/1967, anche ad avvenuta approvazione degli strumenti urbanistici, ed ha vincolato anche il redattore del D.M. n. 1444/1968 – si applicava, indubitabilmente, non solo ai centri storici soggetti alle Leggi n° 1497/1939 e n° 1089/1939, ma anche a quelle zone che sono state qualificate di tipo A, o come tali, dagli strumenti urbanistici.
Tenuto conto che la transitorietà della suddetta disposizione di legge è limitata ai soli interventi sulle aree libere al 1/9/1967 e che non erano consentibili (tuttavia non in maniera inderogabile) interventi eccedenti il restauro o consolidamento senza alterazioni di volume, ne sovviene che all’indomani dell’approvazione degli strumenti urbanistici ogni forma di nuova costruzione in Zona A era, ed è, ammissibile solamente per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico (v. art. 16 Legge n. 765/1967) su di immobili di carattere privi di carattere storico-artistico o su tali aree libere, purché osservando il limite inderogabile dell’art. 8 del D.M. Si ritiene che il pensiero del legislatore fosse andato non solo alle opere pubbliche in senso stretto, ma precipuamente agli interventi previdibili a mezzo dei piani P.E.E.P. ex Legge n. 167/1962 anche nei centri storici per risolvere criticità di igiene urbano e di carenza di urbanizzazioni.
Ad avviso dello scrivente, la sopravvenuta abrogazione parziale dell’art. 17 della Legge n° 765/1967 ad opera del T.U.E. non incide, assolutamente, sulla persistenza di tali limiti allo ius aedificandi, poiché essi sono stati tutti recepiti nel D.M. n. 1444/1968 (le cui disposizioni contengono principi fondamentali della materia del governo del territorio).
In conclusione, si ritiene che nelle Zone A siano vietati interventi eccedenti il carattere manutentivo (restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia mediante demolizione e fedele ricostruzione) privi della dichiarazione di pubblica utilità, la quale, per quanto riguarda i piani particolareggiati e quelli a cui sono estese le relative disposizioni, ha validità decennale: alla cui scadenza cessa la vigenza dello speciale regime derogatorio, salvo rinnovo della convenzione attuativa. Così come siano altrettanto vietati quegli interventi che, seppur ricadenti in tali categorie d’intervento, consentano un nuovo utilizzo dei locali in via permanente in assenza degli standards igienico sanitari prescritti per quelli di nuova edificazione.
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Scritto il 10 gennaio 2015