Corte costituzionale, sentenza n. 233/2015. Analisi

di Massimo GRISANTI

La sentenza n. 233/2015 della Corte costituzionale sarà citata molto spesso in dottrina e in giurisprudenza in ragione delle molteplici statuizioni esplicite ed implicite di carattere generale che essa contiene.

Si riporta il passo d’interesse, quello inerente la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 207 e 208 della legge 10/11/2014, n. 65 della Regionale Toscana:

< (…) 3.– Il secondo motivo di ricorso è fondato, poiché gli impugnati artt. 207 e 208 della legge regionale n. 65 del 2014 sono in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.

3.1.– È opportuno sottolineare preliminarmente che il tenore letterale delle disposizioni impugnate consente agevolmente di definire l’oggetto dell’intervento legislativo regionale e l’ambito materiale cui questo risulta ascrivibile. Infatti, le rubriche delle due disposizioni, e, in particolare, i commi 1 e 4 dell’art. 207 ed il comma 1 dell’art. 208 fanno esplicito riferimento a «sanzioni ed opere per interventi edilizi abusivi», e ad opere ed interventi edilizi eseguiti ed ultimati «in assenza di titolo abilitativo o in difformità dal medesimo».

Si è in presenza di una normativa riferibile ad opere e interventi edilizi, esplicitamente qualificati, dalla stessa legge regionale, come «abusivi», e quindi di un intervento afferente alla materia «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (ex plurimis e da ultimo, sentenze n. 272 e n. 102 del 2013), nel cui ambito alle Regioni spetta l’adozione di una disciplina legislativa di dettaglio, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenze n. 167 del 2014 e n. 401 del 2007).

In particolare, per tali opere ed interventi, viene prevista, in deroga alla disciplina generale dettata dagli artt. 196, 199, 200 e 206 della citata legge regionale (delineata sulla falsariga di quella prevista in generale dalle norme statali del testo unico sull’edilizia), l’applicazione di sole sanzioni amministrative pecuniarie, per le ipotesi in cui la valutazione discrezionale dell’autorità comunale competente per territorio conduca ad escludere la persistenza di un interesse attuale al ripristino dello status quo ante.

Pur disponendo che il versamento delle somme corrispondenti alle sanzioni amministrative pecuniarie – differenziate a seconda dell’epoca di realizzazione ed ultimazione delle opere e degli interventi edilizi, con esclusione di quelli anteriori al 1° settembre 1967 e ricadenti all’esterno della perimetrazione dei centri abitati – «non determina la legittimazione dell’abuso» (comma 3 di entrambi gli articoli), le norme impugnate producono due evidenti effetti sostanziali.

Il primo di essi consiste − in considerazione dell’esclusione della sanzione demolitoria (e della succedanea acquisizione gratuita delle aree al patrimonio comunale, in caso di inadempimento dell’ordine di demolizione), in generale prevista per gli immobili abusivi dal testo unico sull’edilizia e dalle corrispondenti norme della stessa legge della Regione Toscana − nella conservazione, in mano privata, del patrimonio edilizio esistente.

Il secondo effetto, di non minore portata, consiste nella possibilità di eseguire ulteriori interventi edilizi – sotto forma di «demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d’uso, aumento del numero delle unità immobiliari, incremento di superficie utile lorda o di volume» (attività rispettivamente previste dai commi 7 e 6 degli artt. 207 e 208) – previa emanazione di appositi piani operativi, che diventano addirittura superflui per gli immobili ultimati al di fuori dei centri urbani e prima del 1° settembre 1967. Anzi, il comma 4 dell’art. 207 si spinge a definire tali ultimi manufatti quali «consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio».

La combinazione di queste due conseguenze produce, per tutti gli immobili oggetto di disciplina, gli effetti tipici di un «condono edilizio straordinario», che si differenzia, in quanto tale, dall’istituto a carattere generale e permanente del «permesso di costruire in sanatoria», disciplinato dagli artt. 36 e 45 del testo unico sull’edilizia.

In tema di condono edilizio “straordinario”, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum: la decisione sul se disporre, nell’intero territorio nazionale, un condono straordinario, e quindi la previsione di un titolo abilitativo edilizio straordinario; quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria; infine l’individuazione delle volumetrie massime condonabili (nello stesso senso, sentenze n. 225 del 2012 e n. 70 del 2005).

Nel rispetto di tali scelte di principio, competono alla legislazione regionale l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze n. 225 del 2012, n. 49 del 2006 e n. 196 del 2004).

Ne consegue che le norme impugnate si pongono in contrasto con i consolidati princìpi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di «ampliare i limiti applicativi della sanatoria» (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di «allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato» (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale.

Il che è appunto quanto si verifica in applicazione delle norme impugnate.

Esse producono un effetto di sanatoria amministrativa straordinaria di immobili abusivi, non solo senza alcuna limitazione volumetrica, ma anche al di là delle modalità e, soprattutto, dei tempi disciplinati dalle precedenti normative statali.

Il riferimento, in particolare, è alla legge n. 47 del 1985, la cui efficacia è stata estesa dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), cui ha fatto seguito l’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, pure contenente misure di regolarizzazione di immobili abusivi.

In applicazione di tali norme statali, ben sarebbe stato possibile procedere, nei tempi e nei modi da quelle previsti, alla sanatoria delle stesse opere e degli stessi interventi edilizi oggetto della disciplina censurata. Sicché, consentirlo invece ora, alla luce delle disposizioni regionali impugnate, significa introdurre un nuovo condono extra ordinem, al di fuori di qualsiasi previa e necessaria cornice di principio disciplinata dalla legge statale.

3.2.– Il contrasto delle norme impugnate con i principi che governano il riparto di competenze in materia di condono edilizio “straordinario” non è attenuato dalla subordinazione degli effetti sostanziali, da queste prodotti, alla valutazione discrezionale, che le stesse disposizioni demandano all’amministrazione comunale competente per territorio, in ordine alla sussistenza di un perdurante interesse pubblico alla rimessione in pristino.

La difesa regionale sostiene che, nel corso degli ultimi anni, la rigidità della disciplina statale concernente la repressione degli abusi edilizi sarebbe stata «attenuata dalle previsioni interpretative giurisprudenziali dei giudici amministrativi». Questi ultimi avrebbero seguito il principio secondo cui anche le sanzioni edilizie devono essere applicate previa comparazione e valutazione di prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata rispetto all’affidamento del privato. Sicché, qualora sia trascorso un lungo lasso di tempo tra realizzazione e accertamento dell’abuso, l’irrogazione delle sanzioni sarebbe subordinata ad una motivazione specifica sulla sussistenza di un pubblico interesse attuale alla eliminazione dell’opera.

Il legislatore regionale, per parte sua, avrebbe appunto dettato norme conformi a tale principio, discendente dall’interpretazione giurisprudenziale ritenuta «ormai pacifica» della legge nazionale.

Tale argomento è privo di pregio.

Innanzitutto, l’affermazione relativa alla sussistenza di un “diritto vivente”, nei termini prospettati dalla difesa regionale, è smentita dalla constatazione della coesistenza (se non proprio della prevalenza), nella giurisprudenza amministrativa, di un opposto orientamento, secondo cui l’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico-edilizia e al corretto governo del territorio. Secondo tale indirizzo, non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia ordinata la demolizione di un manufatto, anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione. Ciò perché la repressione degli abusi edilizi è espressione di attività strettamente vincolata, non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione (in questi termini, ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 5 gennaio 2015, n. 13; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 30 dicembre 2014, n. 6423; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 1° ottobre 2014, n. 4878; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 28 gennaio 2013, n. 496).

Ma, quand’anche una diversa opzione ermeneutica potesse considerarsi talmente affermata da costituire approdo “pacifico” nella giurisprudenza amministrativa, è assorbente il rilievo per cui un suo eventuale riconoscimento normativo non potrebbe essere rimesso al legislatore regionale, ma solo a quello statale. In relazione a scelte così delicate in materia edilizia, valgono evidenti esigenze di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale (analogamente, sentenza n. 164 del 2012), e solo la legge statale può ovviamente assicurarle.

Per queste ragioni, le questioni di legittimità costituzionale promosse avverso gli artt. 207 e 208 della legge della Regione Toscana n. 65 del 2014 sono fondate, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. (…) >.

***

Innanzi tutto un rilievo.

La Corte costituzionale non si è pronunciata sugli articoli 196, 199, 200 e 206 della LRT 65/2014 perché il Presidente del Consiglio dei Ministri non ne ha sollevato questione di legittimità costituzionale.

Il fatto che il Governo non abbia ricorso contro di essi non significa che tale disciplina generale sia legittima, bensì significa che era irrilevante ricorrere avverso di essa perché quest’ultima era – ed è – sicuramente incostituzionale.

Infatti, troppo spesso gli Interpreti dimenticano che il “governo del territorio” è caratterizzato dalla duplice esclusiva competenza legislativa: compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, compete alla Regione la fissazione della disciplina di dettaglio.

Non essendovi dubbio alcuno che le disposizioni del Testo Unico dell’edilizia relative agli interventi abusivi siano ascrivibili all’ambito materiale di esclusiva competenza statale, ecco che le Regioni non possono emanare alcuna normativa, nemmeno meramente riproduttiva di quella statale (cfr. Corte costituzionale, n. 259/2014 – redattore Mattarella).

Da qui – specie con il rilievo operato dalla Corte di non perfetta coincidenza tra norma statale e regionale, essendo, quest’ultime, state costruite sulla falsariga delle prime – la sicura incostituzionalità degli artt. 196, 199, 200 e 206 della LRT 65/2014 (e di tutti gli altri riproduttivi della disciplina statale di principio) e la perdurante doverosa applicazione – ai sensi dell’art. 2, comma 3 – di tutte le disposizioni statali del TUE, atteso che anche quelle classificate con la lettera (R) – essendo funzionali all’esplicazione dei principi fondamentali – ne traggono la medesima forza.

Non è un caso che della LRT 65/2014 sono stati impugnati gli artt. 207 e 208 perché istituivano surrettizi condoni edilizi, le cui corrispondenti norme statali si trovano al di fuori del TUE e precisamente nella L 47/1985.

*

Le disposizioni regionali sono state dichiarate incostituzionali perché introducenti, in difetto assoluto di legislazione, forme surrettizie di condono edilizio, anche per gli immobili costruiti prima del 1/9/1967, non essendo vero a priori che non occorresse la licenza edilizia al momento della loro realizzazione (in ciò riaffermandosi la correttezza delle sentenze amministrative che stabiliscono la doverosità della licenza qualora richiesta anche da regolamento edilizi più restrittivi della disciplina statale, sia antecedenti che posteriori alla L 1150/1942).

Gli effetti sostanzialmente condonistici – nonostante il pagamento di una sorta di gabella pecuniaria “non legittimante l’abuso” – sono stati rinvenuti dalla Corte:

  • nella conservazione, in mano privata, del patrimonio edilizio esistente sostanzialmente abusivo;

  • nella possibilità di eseguire ulteriori interventi edilizi.

< … La combinazione di queste due conseguenze produce, per tutti gli immobili oggetto di disciplina, gli effetti tipici di un «condono edilizio straordinario», che si differenzia, in quanto tale, dall’istituto a carattere generale e permanente del «permesso di costruire in sanatoria», disciplinato dagli artt. 36 e 45 del testo unico sull’edilizia. >.

Ed allora vi chiedo, cari lettori:

< I tecnici comunali, spesso coadiuvati da legali senza scrupoli, ed i Giudici amministrativi possono rispettivamente adottare, ed avallare, provvedimenti di rinuncia all’annullamento in autotutela di titoli abilitativi edilizi che sono stati rilasciati (presentati) in difformità sostanziale dalla disciplina urbanistica facendo dichiarata applicazione dell’art. 21-nonies L 241/1990?

Quando il Comune non adotta i provvedimenti di annullamento in autotutela conia ex abrupto altre forme surrettizie di condono edilizio straordinario (perciò incostituzionali) in violazione dell’istituto generale e permanente del permesso a sanatoria ex art. 36 TUE, atteso che gli effetti di tali manifestazioni di volontà sono coincidenti con quelli stigmatizzati dalla Consulta?

Sia i dirigenti comunali, sia i Giudici amministrativi, compiono abuso d’ufficio quando adottano ed avallano – facendo, i secondi, distorto uso del potere giudiziario, in quanto non applicano le leggi – tali provvedimenti di rifiuto all’annullamento in autotutela che, per quanto ha statuito la Corte, si rivelano, invece, doverosi nell’azione e vincolati nel contenuto?

Non è ancora giunta l’ora, Ecc.mo Presidente del Consiglio di Stato, di fornire direttive, anche attraverso pronunce in adunanza plenaria se del caso, in ordine all’impossibilità, per i Giudici amministrativi, di avallare tali comportamenti omissivi-commissivi che sono manifestamente violativi dell’art. 4 L. 1150/1942 atteso che, facendo perdere alle norme edilizie la loro funzione di strumenti di attuazione della pianificazione, si atteggiano ad inammissibili varianti urbanistiche extra ordinem per giunta adottate dal dirigente comunale in difetto assoluto di attribuzione? >

*

Ma vi è di più.

Poiché la Corte ha statuito che le disposizioni regionali cassate si pongono in contrasto con i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale, può dirsi che vi è stata ripetuta – e perciò gravemente colpevole e forse integrante responsabilità penali – volontà dei consiglieri della Regione Toscana di appropriarsi di un ambito materiale di competenza esclusiva statale?

La Regione Toscana – troppo spesso indicata a sistema di buon governo (quale non è dato sapere, sicuramente non quello urbanistico, visto che la conservazione delle bellezze naturali è frutto più della fortunata carenza di infrastrutture che di specifica volontà preservatrice dei governanti degli ultimi trent’anni) – è divenuta avvezza a predicare bene e razzolare male, costituendo, nei fatti, uno stato nello Stato?

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Scritto il 14 febbraio 2016