TAR Toscana Sez. III n.1328 del 16 ottobre 2021
Urbanistica.Agibilità degli immobili

La conformità urbanistica dell’opera è requisito imprescindibile anche ai fini dell’agibilità di un immobile


Pubblicato il 16/10/2021

N. 01328/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02031/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2031 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Franco Valenti, Mauro Bernardi, Carla Castegnaro, Andrea Gruppioni, Nadia Pezzoli, rappresentati e difesi dagli avvocati Eugenia Brachini, Emanuela Raponi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Barbara Nepi, Raoul Sarghini, Lea Casucci, Marco Bonanni, Graziella Conte, Maurizio Lupardini, rappresentati e difesi dall'avvocato Gloria Citerni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Riccardo Tagliaferri in Firenze, via degli Artisti n. 20;

contro

Comune di Scansano in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luisa Gracili, con domicilio eletto presso lo studio - Studio Associato Gracili in Firenze, via dei Servi 38;
AUSL 9 di Grosseto, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

con il ricorso originariamente proposto:

del provvedimento di "sospensione dell'agibilità" del 26.08.2014 inviata a tutti i ricorrenti tra il giorno 29.08.2014 ed il giorno 10.09.2014; nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente.

con i motivi aggiunti depositati in data 09.01.2015:

del provvedimento di "conferma di sospensione dell'agibilità" del 07.11.2014 inviato a tutti i ricorrenti tra il giorno 12.11.2014 ed il giorno 20.11.2014; nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Scansano in persona del Sindaco pro tempore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 29 settembre 2021 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I ricorrenti sono proprietari di varie unità abitative realizzate nel comune di Scansano dalla società Poggio Valentine, nell’ambito di un piano di lottizzazione di iniziativa privata approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 52 del 28.9.2000; l’area ricade in zona di PRG T- turistico ricettiva, sottozona T1 – centro turistico di Scansano; il Comune di Scansano e la società Poggio Valentine stipulavano in data 18.3.2003 una convenzione accessiva del piano di lottizzazione; la convenzione prevedeva, a carico della lottizzante, la realizzazione di una serie di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Nel 2006 la società richiedeva una prima volta l’agibilità per gli edifici residenziali realizzati nel contesto della lottizzazione, agibilità che veniva negata per non essere state completate le opere di urbanizzazione previste in convenzione, tra cui l’allacciamento allo scarico fognario.

I proprietari si attivavano quindi in proprio e veniva realizzato un depuratore al quale venivano agganciate le unità abitative; effettuato tale intervento i titolari degli immobili si rivolgevano ad altro professionista, che presentava attestazione di agibilità degli immobili la cui efficacia veniva inibita dall’amministrazione con primo atto del 26.8.2014, impugnato.

Lamentano i ricorrenti:

1) violazione di legge, abnormità, violazione del principio di tipicità dell’atto amministrativo; la normativa applicabile consentirebbe al professionista abilitato di attestare sotto la propria responsabilità l’agibilità degli edifici, senza possibilità per l’amministrazione di sospenderne l’efficacia; l’amministrazione avrebbe, al più, potuto attivarsi con i poteri di autotutela previsti dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies della l. n. 241/90;

2) violazione di legge, eccesso di potere, illogicità e violazione dell’art. 10 l. n. 241/90; l’inibitoria sarebbe stata instaurata senza il prescritto contraddittorio procedimentale;

3) violazione di legge, eccesso di potere, illogicità; il provvedimento inibisce l’agibilità sulla scorta di una affermata non conformità urbanistica, aspetto che non sarebbe tuttavia rilevante ai fini dell’agibilità stessa;

4) violazione di legge, eccesso di potere, illogicità; il provvedimento effettua esplicito richiamo alla precedente nota del 19.10.2006, con la quale l’agibilità era stata negata alla società costruttrice per mancanza di autorizzazione allo scarico in fognatura; nelle more tuttavia la situazione di fatto sarebbe notevolmente cambiata;

5) violazione dell’art. 1 del primo protocollo aggiuntivo CEDU e dell’art. 1 l. n. 241/90 per lesione della proprietà privata; il provvedimento impugnato lederebbe le prerogative domenicali dei ricorrenti, riducendo il valore economico dei beni di loro proprietà;

6) violazione di legge, difetto di istruttoria, eccesso di potere, illogicità, contraddittorietà delle previsioni con il fine perseguito; il provvedimento stigmatizza la mancata autorizzazione allo scarico e la mancata ultimazione delle opere di urbanizzazione; tratterebbesi tuttavia di elementi superati in fatto;

7) violazione di legge, difetto di istruttoria, eccesso di potere; la realizzazione delle opere di urbanizzazione e l’autorizzazione allo scarico di acque nere non costituirebbero presupposti per il rilascio dell’agibilità, tanto più che si tratterebbe di interventi che avrebbe dovuto porre in essere il comune, avendo escusso la garanzia fideiussoria rilasciata dalla società costruttrice.

Hanno quindi formulato richiesta di annullamento del provvedimento impugnato e domanda risarcitoria.

A seguito della prima inibitoria il tecnico dei ricorrenti presentava attestazione di “conferma di agibilità”, che veniva nuovamente inibita con atto del 7.11.2014, nuovamente impugnato

con atto di ricorso per motivi aggiunti depositato in data 9.1.2015; con tale impugnativa i ricorrenti proponevano avverso la nuova inibitoria identiche censure rispetto a quelle già mosse avverso la prima sospensione di efficacia.

Con ordinanza n. 92/2015 di questo TAR l’istanza di misure cautelari veniva respinta.

Si è costituito il Comune di Scansano, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo. Ha evidenziato in particolare che, a fronte delle inadempienze della lottizzante, l’amministrazione dichiarava la decadenza dai titoli edilizi e sospendeva l’agibilità degli edifici; la società costruttrice proponeva allora la sottoscrizione di una convenzione integrativa in cui si dichiarava disponibile a completare le opere mancanti (in particolare mancato completamento di opere di sistema fognario, viabilità, illuminazione pubblica, verde pubblico) ma anche la convenzione integrativa non veniva poi perfezionata e l’intervento restava inattuato. In data 28.4.2010 il Comune procedeva alla risoluzione della convenzione, accertava il mancato completamento delle opere e procedeva all’escussione della polizza fideiussoria; stante la resistenza della compagnia di assicurazione si rendeva necessario un giudizio civile innanzi al Tribunale di Grosseto, conclusosi con accordo transattivo del 4.7.2017; incassati a titolo transattivo € 550.000,00, l’amministrazione provvedeva al completamento delle opere. La regolare esecuzione delle opere è stata certificata il 29.6.2021; la regolarità urbanistica sussisterebbe quindi solo a partire da tale data.

Fissata udienza di discussione le parti hanno depositato memorie.

All’udienza del 29.9.2021 la causa è stata discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Deve premettersi che, con memoria depositata in data 7.9.2021 per l’udienza di discussione, i ricorrenti hanno formulato istanza di rinvio rilevando come, allo stato dei fatti, il Comune avrebbe realizzato le opere di urbanizzazione ma i ricorrenti sarebbero ancora in attesa del collaudo e dell’autorizzazione allo scarico ai sensi del d.lgs. n. 152/2006 per quanto riguarda il sistema di scarico acque. Per tale aspetto hanno dunque sostenuto di avere interesse a che il Tribunale proceda, in un contesto di giurisdizione esclusiva, all’accertamento di conformità delle opere nelle more realizzate.

L’istanza non può trovare accoglimento.

Il presente giudizio ha ad oggetto l’impugnazione di due atti di inibitoria dell’efficacia di due – sostanzialmente identiche - dichiarazioni di agibilità degli immobili di proprietà dei ricorrenti, presentate ed appunto inibite dall’amministrazione nella loro efficacia nel 2014.

Come noto la domanda in giudizio cristallizza il thema decidendum.

Il giudizio amministrativo non rappresenta, anche nelle sue forme di giurisdizione esclusiva, una forma di sorveglianza attiva e permanente sull’attività dell’amministrazione; esso resta cristallizzato dal petitum, rispetto al quale le sopravvenienze possono avere una incidenza, al più, sull’attualità dell’interesse ad agire, non certo giustificare una indefinita ed indefinibile modifica dell’oggetto del contendere, che sarebbe strutturalmente incompatibile con le regole processuali (che vedono il thema dedidendum definito con gli atti introduttivi) e con la ragionevole durata del processo.

L’istanza di rinvio non può quindi trovare accoglimento.

Resta in fatto pacifico in atti che, rispetto al momento in cui il tecnico dei ricorrenti ha attestato l’agibilità degli edifici inibita dal Comune, la situazione si è ampiamente evoluta; la stessa amministrazione ha realizzato una parte delle opere di urbanizzazione mancanti che sono state collaudate nel corso del 2021.

Ragionevolmente questa evoluzione avrebbe potuto condurre ad una declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse da parte degli interessati (che dovrebbero, nel loro interesse, attivarsi con una nuova attestazione di parte circa le condizioni degli immobili); posto che tuttavia le parti hanno spiegato ampie difese, in sostanza insistendo sull’assunto che l’inibitoria fosse anche all’epoca ingiustificata ed hanno formulato una domanda risarcitoria si procede all’analisi delle censure.

Per semplicità, vista l’identità di contenuto, si farà riferimento ai motivi del ricorso principale con argomenti che, stante appunto l’identità delle questioni, sono validi anche per quanto concerne i motivi aggiunti.

Pare preliminarmente opportuno definire il quadro normativo in cui le inibitorie si sono inserite.

La prima inibitoria è stata adottata nell’agosto del 2014, la seconda il 7.11.2014

L’art. 25 del d.p.r. n. 380/2001, con riferimento alla richiesta di agibilità, nel testo vigente sino al d.l. 12.9.2014, n. 133, prevedeva al comma 1 la possibilità di formulare richiesta di agibilità soggetta ad un meccanismo di silenzio assenso, ovvero, consentiva, ai commi 5 bis e 5 ter (introdotti in una logica di semplificazione dal d.l. n. 69/2013), quanto segue: “5-bis. Ove l'interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1, fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione di cui al comma 3, lettere a), b) e d), del presente articolo e all'articolo 5, comma 3, lettera a), presenta la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla seguente documentazione:

a) richiesta di accatastamento dell'edificio che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

b) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente.

5-ter. Le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 5-bis e per l'effettuazione dei controlli.”

A partire dal 13.9.2014 il testo dei suddetti commi è stato modificato nei termini che seguono:

“5-bis. Ove l'interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1, fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione di cui al comma 3, lettere a), b) e d), del presente articolo e all'articolo 5, comma 3, lettera a), presenta la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla seguente documentazione:

a) richiesta di accatastamento dell'edificio che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

b) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente.

5-ter. Le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l'effettuazione dei controlli”.

In definitiva, in una logica di sempre maggiore semplificazione della materia, il legislatore nazionale ha introdotto nel tempo accanto a forme provvedimentali di riconoscimento dell’agibilità (ancorchè a loro volta semplificate dalla previsione di meccanismi di possibile silenzio assenso) la possibilità di autocertificare con efficacia immediata la sussistenza dei presupposti di legge, grazie all’attestazione da parte di un tecnico abilitato; si tratta quindi di una iniziativa privata di autoresponsabilità, con eliminazione della necessità di una attività provvedimentale.

La normativa nazionale ha rimandato a tal proposito ad una ulteriore disciplina regionale, dapprima per la sua stessa fattiva attuazione (“modalità per l’attuazione e per l’effettuazione dei controlli”) e quindi, a partire dal settembre 2014, per la sola disciplina dei controlli.

Sino alla l.r. Toscana n. 65/2014 (in vigore dal 27.11.2014), trovava applicazione in materia in regione Toscana la l.r. Toscana n. 2/2005, di interesse per il presente contenzioso, la quale, in tema di abitabilità/agibilità, prevedeva all’art. 86 l’attestazione del professionista con immediata efficacia, salvo interventi di controllo da parte dell’amministrazione.

Così ricostruito il quadro normativo applicabile ne consegue che, all’epoca dei due provvedimenti per cui è causa, il professionista incaricato poteva effettivamente, con propria attestazione, dichiarare la sussistenza dei requisiti di agibilità dell’immobile, fatti salvi gli ovvi poteri di controllo dell’amministrazione.

Se tale è il quadro normativo, ferme le facoltà del professionista abilitato, non sono tuttavia condivisibili gli assunti di cui al primo motivo di ricorso, dai quali pare desumersi che:

a) l’amministrazione avrebbe dovuto attivare un vero e proprio procedimento di autotutela;

b) l’amministrazione non avrebbe potuto sconfessare l’autocertificazione del tecnico.

Quanto al primo aspetto, non essendo in tale modulo procedimentale semplificato prevista la formazione di alcun atto, ancorchè per silentium, non sussistono margini per provvedimenti di autotutela, fisiologicamente di secondo grado, appunto perché non si tratta di rivalutare atti adottati dall’amministrazione ma, più semplicemente, di controllare una attività privata.

Quanto al secondo aspetto, è evidente che la facoltà di attestare con efficacia immediata la sussistenza di presupposti di legge non preclude affatto il controllo (anzi esso è espressamente disciplinato tanto dalla legge nazionale che da quella regionale e, per l’aspetto urbanistico edilizio, è sempre sussistente in capo all’amministrazione comunale), per l’ovvia ragione che la dichiarazione del professionista attesta la sussistenza di determinati requisiti ma, ove in ipotesi inesistenti, siffatti requisiti non si realizzano certo per il solo fatto di essere stati autocertificati, con il risultato che una attestazione a monte della quale non sussistano i presupposti di legge non è idonea a produrre alcun effetto. Tanto è stato prontamente evidenziato dall’amministrazione con le inibitorie impugnate.

L’amministrazione è quindi correttamente intervenuta in fase di controllo, riscontrando la mancanza di presupposti in fatto tra quelli legali previsti anche per l’agibilità, il tutto in piana applicazione del disposto del d.p.r. n. 380/2001 e della l. r. Toscana n. 2/2005.

Né l’inibitoria di efficacia può essere intesa come una “sospensione sine die”, trattandosi del mero rilievo che l’attestazione di agibilità implicava l’affermazione di esistenza di presupposti (tra cui la conformità urbanistico edilizia espressamente richiesta dall’art. 25 co. 1 del d.p.r. n. 380/2001, la conformità al progetto richiamata dal comma 5 bis del medesimo articolo) in verità non sussistenti; il provvedimento evidenzia chiaramente la problematica contestata e non presenta alcun improprio effetto sine die, né tanto meno impediva ai proprietari di comprendere quali fossero i requisiti oggettivamente mancanti.

Il primo motivo di ricorso deve quindi essere respinto.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta che l’amministrazione non abbia instaurato un contraddittorio preventivo.

Ritiene il collegio che la problematica del contraddittorio debba necessariamente essere calata nel particolare modulo procedimentale rappresentato dalla attestazione privata di agibilità (a efficacia immediata) e successivo eventuale esercizio del potere di controllo dei requisiti; in tale contesto, considerata l’efficacia legale immediata della dichiarazione e la circostanza che l’iniziativa muove dal privato, è evidente come l’inibitoria di efficacia assuma ex se le caratteristiche di atto “urgente” poiché volta a paralizzare una efficacia, appunto, immediata ed attestata dal privato senza previa interlocuzione con l’amministrazione la quale, in tesi e come ritenuto nel presente caso, può riscontrare la mera non rispondenza della realtà di fatto alla attestata sussistenza dei presupposti legali.

Da aggiungersi, per altro, che la problematica dell’agibilità degli edifici era dibattuta da tempo tra le parti ed era questione sulla quale era in atto un confronto tra comune e proprietari degli immobili (i quali hanno anche in effetti cercato di supplire alle carenze della società costruttrice), sicchè non è certo sostenibile che gli stessi non fossero pienamente edotti delle contestazioni e della posizione dell’amministrazione.

Anche il secondo motivo di ricorso deve quindi essere respinto.

Quanto al merito (ed in particolare ai motivi 3, 7 di ricorso), come evidenziato dalla difesa dell’amministrazione, il cuore delle contestazioni concerne la necessità o meno della conformità urbanistico edilizia per ottenere l’agibilità.

Sul punto, pur a fronte di pregressi variegati orientamenti giurisprudenziali, è recentemente intervenuta la pronuncia Cons. St. sez. II n. 3836/2021 (avente ad oggetto proprio una ipotesi di inadempienza rispetto alla realizzazione di opere di urbanizzazione previste da una convenzione edilizia) che, in modo esaustivo, ha chiarito quanto segue: “Occorre innanzi tutto chiarire come il termine “agibilità” sia stato in passato utilizzato dal legislatore in un’accezione del tutto diversa da quella attualmente riconducibile alla richiamata disciplina urbanistica, con ciò generando una certa confusione interpretativa ed atecnicità di linguaggio, in particolare in relazione a specifiche tipologie di immobili. Ad essa, ad esempio, si fa ancora oggi riferimento in relazione alla certificazione dei requisiti di solidità e sicurezza che devono possedere i teatri e luoghi di pubblico spettacolo ai sensi dell’art. 80 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, T.U.L.P.S, denominata, appunto, “licenza di agibilità”, nell’art. 1, comma 1, n. 9, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che ha trasferito la competenza al relativo rilascio ai Comuni.

L’art. 220 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, invece, disciplinava la c.d. “abitabilità”, ovvero la fruibilità degli immobili a fini abitativi. La norma disponeva che «I progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del podestà, che provvede previo parere dell’ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia». Agli stessi tipi di immobili (“abitazioni”) aveva riguardo anche il d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, contenente il Regolamento recante disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità. L’art. 4, comma 1, dello stesso prevedeva che ai fini del rilascio del documento di cui all’art. 220 del T.U.L.S. il direttore dei lavori attestasse sotto la propria responsabilità, anche «la conformità rispetto al progetto approvato».

Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, la “abitabilità” cede il passo (a seguito dell’abrogazione sia dell’art. 220 del T.U.L.S. che del d.P.R. n. 425/1994) alla omnicomprensiva “agibilità”, siccome riferita a qualsivoglia tipologia di edificio, non solo di natura abitativa. Il relativo termine sopravvive pertanto esclusivamente nel gergo degli operatori del settore, che continuano ad utilizzarlo in relazione agli immobili a destinazione residenziale per distinguerli da quelli con diversa destinazione d’uso, per i quali quello nuovo di “agibilità” si palesa anche etimologicamente più confacente.

L’art. 24, dunque, nella sua stesura originaria, vigente al momento dell’odierna controversia, stabiliva che: «Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente». La presunta tassatività dell’elencazione non tiene tuttavia conto del fatto che il successivo art. 25, che declina il procedimento di rilascio, nell’elencare le declaratorie a corredo della richiesta, menziona espressamente la «conformità dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona sostanza, la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.”

Fatta tale analisi delle disposizioni vigenti già all’epoca di interesse per la presente controversia il giudice d’appello ha proseguito ricordando che:

“Come emerge dal delineato quadro normativo, quindi, il rilascio del certificato di agibilità, ovvero, oggi, la sua dichiarazione, presuppone una molteplicità di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che erano sottese al vecchio certificato di abitabilità, cui il primo pertanto non può essere del tutto assimilato, siccome affermato dal primo giudice. Di ciò è prova proprio nell’art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nel consentire, infatti, al Sindaco di intervenire comunque dichiarando la inabitabilità di un immobile, già certificato come agibile, ai sensi dell’art. 222 del T.U.L.S., il legislatore ha inteso ribadire le differenze tra i due istituti: altro è, infatti, la strutturale conformità del fabbricato a tutti i requisiti richiesti e, in parte, assorbiti nella conformità al titolo edilizio in forza del quale è stato realizzato, altro la sua (sopravvenuta) carenza di requisiti igienici tale da non consentirne l’occupazione a fini abitativi. Anche prima della riforma che ne ha ricondotto il conseguimento ad una mera segnalazione certificata, il procedimento di acquisizione della agibilità si connotava per la sostanziale attribuzione al privato richiedente dell’onere di dimostrare la regolarità di quanto realizzato, salvo poter richiedere comunque al Comune di “certificarne” i contenuti. Solo a seguito della acquisizione della stessa, peraltro, può considerarsi legittimo l’utilizzo in concreto dell’immobile in conformità con la propria destinazione d’uso, seppure il relativo illecito sia punito con una sanzione pecuniaria di non particolare entità. Al fine, dunque, di non procrastinare indebitamente proprio la fruizione del bene, ovvero la sua commerciabilità, il comma 4 dell’art. 25, nella formulazione vigente ratione temporis, prevedeva che decorsi trenta giorni dalla ricezione della domanda, ovvero, in caso di presenza del richiesto parere della A.S.L., sessanta giorni, l’inerzia dell’Amministrazione abbia validità di assenso….Diversamente opinando, ovvero ritenendo certificabile come agibile anche un immobile abusivo, purché conforme ai requisiti igienico-sanitari e di risparmio energetico previsti, si finirebbe per trasformare la relativa qualificazione in una sorta di ulteriore sanatoria cartolare, ovvero, al contrario, per svuotarne completamente la portata, stante che la natura permanente dell’illecito edilizio ad essa sottesa non ne impedirebbe comunque l’assoggettamento al previsto regime sanzionatorio…In sintesi, la violazione di una convenzione accessiva ad un Piano attuativo urbanistico impatta sulla regolarità dei lavori eseguiti, condizionando la validità del titolo. Essendo la agibilità la summa del possesso dei requisiti sia igienico-sanitari che urbanistico-edilizi di un edificio, essa non può essere conseguita nel caso in cui il titolo edilizio sottostante, seppure esistente, non possa considerarsi efficace, sicché non ne è necessario il preventivo annullamento.”

In definitiva il giudice d’appello ha, con ampi argomenti storico-sistematici, chiarito come la conformità urbanistica dell’opera sia requisito imprescindibile anche ai fini dell’agibilità di un immobile.

Nel caso di specie è del tutto pacifico che l’impresa costruttrice non abbia completato le opere di urbanizzazione, per profili per altro di significativa rilevanza: allacciamento al sistema fognario, viabilità, illuminazione, verde pubblico.

Vero è che, trovandosi nella condizione di non avere neppure l’allaccio alla fognatura, i privati proprietari si sono attivati quantomeno per dotare gli immobili di forme di smaltimento delle acque nere; resta il dato, del tutto pacifico in giudizio, che ben dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati, le opere di urbanizzazione sono risultate non completate ed ancora oggi, a distanza di svariati anni dalle inibitorie, gli stessi ricorrenti chiedono che si “attenda” il perfezionamento dell’autorizzazione allo scarico.

Ne deriva la correttezza dell’inibitoria di efficacia, fondata su un dato di fatto (mancanza di opere di urbanizzazione alcune di impatto anche significativo) del tutto incontestato in giudizio.

Sono conseguentemente infondati i motivi 3,7 di ricorso.

Anche i motivi 4 e 6 sono infondati in quanto, se è vero che al momento delle inibitorie qui impugnate la situazione in fatto era in parte mutata rispetto a quando l’agibilità era stata negata al costruttore (poichè, come detto, i proprietari si stavano attivando quantomeno per realizzare un sistema di smaltimento delle acque nere), resta incontestato che le opere di urbanizzazione (comprendenti tra l’altro anche sistema viario, illuminazione, verde) non erano complete e non vi era quindi la pur necessaria conformità urbanistico edilizia. Del tutto pacificamente le opere realizzate dal comune sono state completate nel 2021 e l’autorizzazione allo scarico non è ancora perfezionata. Ne consegue l’infondatezza dei due motivi di ricorso.

Quanto al 5 motivo di ricorso, con il quale si contestano presunte lesioni del diritto di proprietà, è evidente come i ricorrenti sbaglino sul punto avversario; è indubbio che la mancata corretta attuazione del piano di lottizzazione abbia leso le loro prerogative di proprietari ma è altrettanto indubbio che gli stessi sono stati danneggiati dalla condotta del costruttore e loro dante causa, non certo del comune che ha tempestivamente attivato gli strumenti in suo possesso quali la pronuncia di decadenza dalla convenzione, l’escussione della garanzia fideiussoria, la realizzazione delle opere una volta ottenuti i fondi dall’assicurazione.

Né infine, per completezza di argomentazioni, rileva in questa sede disquisire della natura o meno di obbligazioni propter rem e delle conseguenze di tale qualificazione rispetto agli impegni previsti da una convenzione edilizia; fermo infatti che la convenzione è stata sottoscritta dalla società costruttrice e dall’amministrazione e che quest’ultima si è resa inadempiente nei confronti del comune, la problematica delle eventuali responsabilità contrattuali o ambulatorie (per altro proprio nei confronti del comune, contraente leso) in capo al solo costruttore e/o anche agli acquirenti nulla aggiunge al dato di fatto che gli immobili, nel 2014, non presentavano la conformità urbanistico-edilizia e che tale carenza non era in alcun caso addebitabile al comune.

I ricorrenti, non potendo certo addossare all’amministrazione un danno loro provocato da terzi, posto che gli immobili, in quanto tali, restavano oggettivamente privi di conformità urbanistica, ben avrebbero potuto, in fatto, avere interesse a cooperare alla più celere regolarizzazione delle opere, anche per conseguire prima l’agibilità; ed in effetti gli stessi si sono parzialmente attivati.

In tale logica deve ritenersi che l’amministrazione abbia assecondato le iniziative dei privati, volte comunque al recupero di una conformità urbanistica, ed abbia fatto presente in giudizio l’interesse – di fatto – che i ricorrenti potevano vantare a cooperare o accelerare la soluzione delle problematiche emerse; restava ferma la possibilità dei proprietari, al più, di agire in danno o rivalsa nei confronti del loro dante cause ed effettivo danneggiante.

Ne deriva la complessiva infondatezza del ricorso principale e per motivi aggiunti, considerato che le inibitorie (unici atti impugnati e da valutarsi, evidentemente, alla luce della situazione alle medesime coeva) sono state adottate nel rispetto della disciplina applicabile.

L’infondatezza della domanda di annullamento comporta la reiezione anche delle pretese risarcitorie.

Resta ovviamente in facoltà dei privati dotarsi di nuova ed attualizzata attestazione – alla luce delle sopravvenute modifiche in fatto – previa verifica la sussistenza dei requisiti di legge, quando questi si realizzassero nella loro interezza.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

respinge il ricorso principale e per motivi aggiunti;

condanna i ricorrenti in solido a rifondere all’amministrazione resistente le spese di lite, liquidate in € 3000,00 oltre IVA, CPA e rimborso spese generali 15%.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2021 tenutasi mediante collegamento da remoto, secondo quanto disposto dall’art. 87, comma 4 bis, c.p.a. introdotto dal decreto-legge n. 80 del 2021, convertito con modificazioni in legge n. 113 del 2021 con l'intervento dei magistrati:

Riccardo Giani, Presidente FF

Pierpaolo Grauso, Consigliere

Paola Malanetto, Consigliere, Estensore