TAR Emilia Romagna (PR) Sez. I n.280 del 31 ottobre 2018
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e intervento repressivo nei confronti dei proprietari successivi estranei al fatto originario

L’accertata lottizzazione abusiva costituisce un illecito permanente con la conseguenza che deve ritenersi legittimato l’intervento repressivo anche nei confronti dei successivi proprietari del fondo a nulla rilevando la loro eventuale estraneità al fatto originario poiché la lottizzazione abusiva opera in modo oggettivo ed indipendentemente dal subentro dei successivi proprietari interessati, i quali potranno far valere la propria (eventuale) buona fede nei confronti dei propri danti causa

Pubblicato il 31/10/2018

N. 00280/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00259/2014 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 259 del 2014, proposto da
Emiliano Gozzi, rappresentato e difeso dagli Avvocati Ermes Coffrini e Marcello Coffrini, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR, in Parma, piazzale Santafiora n. 7;

contro

Comune di Reggio Emilia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Santo Gnoni, con domicilio eletto presso l’Avv. Matteo Sollini, in Parma, borgo Antini n. 3;

per l'annullamento

dell'ordinanza datata 14 maggio 2014 avente ad oggetto " la sospensione dei lavori, ai sensi dell'art. 12, comma 7, della L.R. 23/2004 per lottizzazione abusiva in via dell'Inferno, località Codemondo di Reggio Emilia";


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Reggio Nell'Emilia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2018 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

A seguito di accesso effettuato il 13 febbraio 2014 sul fondo di proprietà del ricorrente sito in Reggio Emilia via dell’Inferno, censito ai Mappali 230, 231 e 188 (per ½), a cura del Comando della Polizia Municipale, veniva accertata la “realizzazione di due strutture prefabbricate collegate tra loro, all’interno di un’area verde parzialmente inghiaiata e completamente recintata”: esito confermato dai tecnici comunali in sede del sopralluogo effettuato il 23 marzo successivo.

Gli accertamenti istruttori del caso consentivano di evidenziare che “l’area in questione a partire dal 1967 è stata oggetto di continui frazionamenti che hanno generato n. 4 lotti [uno di proprietà del ricorrente] …. nonché una strada di accesso ai lotti stessi dalla pubblica via” inghiaiata e parzialmente asfaltata.

Con specifico riferimento all’immobile di proprietà del ricorrente, veniva rilevato che i terreni censiti ai Mappali 230 e 231 (sul n. 188, per la parte di proprietà del ricorrente, insiste la citata strada) presentavano sul perimetro “una recinzione metallica, con telo verde oscurante, ancorata al suolo” e sul lato ovest un cancello “legittimato” e “un muro di recinzione con mattoni faccia a vista” abusivo.

Sempre sul medesimo fondo insiste il proseguimento della “strada di urbanizzazione primaria” che collega i vari lotti e sul confine con il limitrofo lotto (Mapp. 237 e 238) è presente una cabina ENEL anch’essa realizzata in assenza di titolo.

Rilevato, pertanto, che “l’area di cui trattasi è stata oggetto di frazionamenti catastali …che hanno creato di fatto quattro distinti lotti”; che “sono state realizzate opere di urbanizzazione primaria al servizio degli stessi”; che “su uno dei lotti [quello di proprietà del ricorrente] è in corso la costruzione di due nuovi fabbricati”, e considerato che l’area in questione “è ricompresa in: Zone di particolare interesse paesaggistico ambientale (PSC art. 2.6) individuata dal PTC”, nonché, nelle “Strutture insediative territoriali storiche non urbane (PTCP) di cui all’art. 2.16 del PSC”, con ordinanza ex art. 12, comma 7, della L.R. n. 23/2004 del 14 maggio 2014, il Comune di Reggio Emilia ordinava al ricorrente, di “interrompere immediatamente le opere di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio in assenza di previsione urbanistica attuativa (POC)”; in particolare (per quanto di interesse nel presente giudizio) “di interrompere le opere edilizie in corso relative ai due fabbricati sui mapp.li 230 e 231”.

L’Amministrazione ammoniva contestualmente i destinatari del provvedimento che “trascorsi 90 giorni, ove non intervenga la revoca del presente provvedimento, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del Comune e lo Sportello unico per l’edilizia provvederà alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile dell’abuso”.

Il ricorrente impugnava la citata ordinanza, formulando due motivi di ricorso a mezzo dei quali deduceva la violazione dell’art. 12 della L. n. 23/2004 ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Il Comune si costituiva in giudizio confutando le avverse censure e chiedendo al reiezione del ricorso.

Il ricorrente replicava alle difese dell’Amministrazione con memoria depositata il 1°ottobre 2018.

All’esito della pubblica udienza del 24 ottobre 2018, la causa veniva decisa.

Il ricorrente, a sostegno delle censure formulate in ricorso, premette che acquistava il fondo in questione con annesso “basso servizio ad uso deposito” con rogito del 3 maggio 2011 con il quale si dava atto della dichiarazione della parte venditrice che relativamente al citato manufatto (deposito) interveniva concessione in sanatoria del 24 febbraio 1995.

Allega ulteriormente che in data 19 luglio 2013, manifestava l’intenzione di procedere ad opere di manutenzione straordinaria riguardanti il “basso servizio ad uso deposito” ma di essere stato diffidato dall’Amministrazione a non eseguire i lavori per rilevate irregolarità del DURC dell’impresa incaricata.

Circa la pretesa illegittimità dell’ordinanza impugnata, con il primo motivo di ricorso, deduce che l’area acquistata non poteva essere soggetta ad alcun frazionamento poiché l’appezzamento di terreno in questione era “già contraddistinto in catasto con specifici mappali”.

Di ciò si troverebbe conferma nella stessa ordinanza impugnata laddove si precisa che l’area era stata oggetto di ripetuti frazionamenti a partire dal 1967 e, quindi, in periodo precedente al proprio acquisto e, in ogni caso, senza che l’Amministrazione avesse sanzionato detti abusi “evidentemente, non sussistendo i relativi presupposti” (pag. 6 del ricorso).

L’Amministrazione, infatti, si evidenzia in ricorso, non poteva non essere a conoscenza della lottizzazione stante l’intervenuta accatastamento effettuato in sede di istanza di condono (1995).

Inoltre, difetterebbe il presupposto indefettibile della lottizzazione abusiva rappresentato dallo scopo edificatorio che, per quanto concerne il lotto del ricorrente, non potrebbe essere desunto dall’erezione di una recinzione e di un cancello, peraltro, dichiarato legittimato dalla stessa Amministrazione.

Nessun indizio nel senso potrebbe ricavarsi dall’esistenza di una strada che non presenterebbe i caratteri propri di una “strada di lottizzazione non avendone le caratteristiche minime”.

A tal proposito il ricorrente evidenzia che l’Amministrazione non ne specificherebbe le dimensioni, né evidenzierebbe “altri sintomi della natura di strada di lottizzazione, quali ad esempio, l’illuminazione pubblica; ovvero, gli scoli delle acque, con relative fognature” (pag. 8 del ricorso).

Irrilevante sarebbe anche la presenza dell’armadio ENEL che sarebbe “privo di impianti che ne possano permettere la funzionalità”.

La preesistenza all’acquisto del fondo della contestata lottizzazione, infine, renderebbe illegittima la contestata “assenza di previsione attuative (POC)” poiché in tal modo l’Amministrazione applicherebbe retroattivamente una disciplina normativa sopravvenuta solo con L.R. n. 20/2000.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente, in sintesi, afferma di essere estraneo alla fattispecie contestata avendo acquistato il fondo in epoca successiva alla sua abusiva realizzazione e che, in ogni caso, dallo stato di fatto rilevato non potrebbe essere ipotizzata alcuna lottizzazione atteso che non sono presenti elementi suscettibili di palesare un intento edificatorio.

A conferma della suesposta tesi il ricorrente evidenzia come i “ripetuti frazionamenti” assunti a fondamento dell’ipotesi contestata siano da tempo noti all’Amministrazione (come dalla stessa ammesso) senza che, tuttavia, quest’ultima abbia mai, sino all’adozione dell’ordinanza impugnata, intrapreso alcuna iniziativa.

Tali affermazioni non possono essere condivise.

Riconosce il Collegio che ai fini della configurabilità di una lottizzazione abusiva non è sufficiente accertare la realizzazione di manufatti assumendo rilievo dirimente la finalità dell’intervento posto in essere che deve porsi in contrasto con le vigenti previsioni urbanistiche (ex multis, Cons. St., Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4486).

Sul punto la giurisprudenza, muovendo dalla formulazione dell’art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 laddove prevede che "si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio” perviene alla conclusione che “può integrare un'ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opera in concreto idonea a stravolgere l'assetto del territorio preesistente ed a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, pertanto, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione del territorio (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un nuovo e non previsto carico urbanistico” (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 14 giugno 2018, n. 3972).

Detto principio trova puntuale specificazione nella giurisprudenza di secondo grado che, in tema di individuazione degli elementi sintomatici rivelatori di detta intenzione, precisa che “l'intento lottizzatorio - inteso come volontà di realizzare un non consentito frazionamento dei suoli, o comunque di alterarne surrettiziamente la destinazione urbanistica in contrasto con gli strumenti vigenti - può essere legittimamente desunto da una pluralità di elementi indiziari, anche di per sé non univocamente significativi, ma che nel loro complesso evidenzino in modo ragionevolmente inequivoco la strumentalità degli abusi al perseguimento delle suindicate finalità (Cons. Stato, Sez. VI, 7 agosto 2015, n. 3911, e 14 gennaio 2015, n. 4749; Sez. IV, 22 agosto 2013, n. 4254; Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1809)” (Cons. St., Sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3416).

Ciò premesso, come in parte anticipato, è incontestabile che il ricorrente abbia eretto due fabbricati in zona agricola realizzando una pluralità di opere che sono inequivocabilmente al servizio dei medesimi.

Come, infatti, rilevato dal Comando della Polizia Municipale, e in parte già anticipato (v. comunicazione del 6 marzo 2014):

- i fabbricati (di dimensioni specificate e compatibili con l’uso abitativo e dotati di tetto e grondaie) presenti sul fondo del ricorrente venivano realizzati in assenza di titolo edilizio su di un’area parzialmente inghiaiata e “completamente recintata con rete metallica e telo verde oscurante”;

- l’accesso all’area avviene attraverso un cancello metallico automatico sorretto da colonne in muratura;

- “a ridosso della recinzione lato nord è presente un manufatto in mattoni faccia a vista al cui interno sono presenti i collegamenti alle utenze di acqua e luce”.

La documentazione fotografica allegata al verbale di sopralluogo evidenzia, inoltre, come l’area recintata sia servita da impianto di illuminazione esterna e come la strada (la cui natura di strada di urbanizzazione viene negata in ricorso) sia inghiaiata, con accesso regolato da una sbarra a comando elettrico e colleghi tutti i lotti risultanti dal frazionamento.

Gli esiti del sopralluogo di cui al referto tecnico del 23 maggi 2014 evidenziano ulteriormente che:

- “l’area in questione risulta essere recintata con muretto in ca con soprastante recinzione in rete metallica” mai autorizzata;

- sul lato ovest della recinzione, ove insiste il cancello assentito, è presente una “recinzione in muratura”, anche questa mai autorizzata;

- lungo il confine con lotto limitrofo è presente un “armadio ENEL dal quale è garantita la fornitura di energia elettrica”.

Il complesso degli illustrati elementi (come anticipato, documentati fotograficamente) costituisce un insieme di indizi che univocamente tradiscono la finalità edificatoria dell’intervento, in contrasto con la destinazione urbanistica della zona.

Ne deriva, pertanto, la correttezza della qualificazione operata dall’Amministrazione in termini di lottizzazione abusiva.

Nessun rilievo nei sensi invocati dal ricorrente riveste, infine, la circostanza che la lottizzazione fosse intervenuta in epoca precedente all’acquisto del fondo da parte del ricorrente e che l’Amministrazione ne fosse a conoscenza da tempo.

La giurisprudenza è, infatti, granitica nel ritenere che il decorso del tempo dalla commissione dell’abuso non limiti in alcun modo i poteri repressivi dell’Amministrazione (Cons. St. Ad. Plen. 17 ottobre 2017 n. 9).

La giurisprudenza afferma, altresì, con identica fermezza che l’accertata lottizzazione abusiva costituisce un illecito permanente con la conseguenza che deve ritenersi legittimato l’intervento repressivo anche nei confronti dei successivi proprietari del fondo a nulla rilevando la loro eventuale estraneità al fatto originario (TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 12 dicembre 2016, n. 10) poiché, come recentemente ribadito ulteriormente, “la lottizzazione abusiva opera in modo oggettivo ed indipendentemente dal subentro dei successivi proprietari interessati, i quali potranno far valere la propria (eventuale) buona fede nei confronti dei propri danti causa (C.d.S. sez. IV n. 3115/14 e n. 1589/14)” (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 4 maggio 2018, n. 756).

Con il secondo motivo, il ricorrente nega che, al momento dell’accesso della Polizia Municipale e dei tecnici comunali, fossero in corso lavori di costruzione di due nuovi fabbricati insistendo sull’area unicamente un manufatto assentito nel 1995 soggetto ad intervento manutentivo.

Anche nell’ipotesi in cui lavori di manutenzione fossero “andati oltre la comunicata manutenzione straordinaria”, l’eventuale abuso non potrebbe di per sé integrare una lottizzazione trattandosi di un autonomo abuso.

L’affermazione del ricorrente è priva di fondamento.

Deve rilevarsi che sul fondo del ricorrente insisteva un manufatto (un basso servizio ad uso agricolo) abusivamente realizzato e condonato nell’anno 1995, precedentemente all’acquisto da parte del ricorrente.

Relativamente a detto fabbricato, in data 7 settembre 2011, come anticipato, il ricorrente presentava un SCIA per l’esecuzione di lavori di demolizione e ricostruzione edilizia che l’Amministrazione vietava con atto del 7 giugno successivo.

Relativamente al medesimo fabbricato, il ricorrente, in data 19 luglio 2013 presentava una CIL per lavori di manutenzione straordinaria cui seguiva, con atto del 3 settembre 2013, la diffida dell’Amministrazione dalla prosecuzione di ogni attività.

Alla data odierna, come ampiamente documentato in atti, detto manufatto non è più esistente avendo il ricorrente edificato sull’area i due fabbricati più volte richiamati.

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 2.000,00 oltre oneri di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Marco Poppi, Consigliere, Estensore

Roberto Lombardi, Primo Referendario