TAR Lazio (RM) Sez. II-bis n. 5255 del 11 maggio 2018
Urbanistica. Concetti di “sagoma” e “prospetto”
La “sagoma” dell’edificio è la conformazione planovolumetrica della costruzione fuori terra, considerato in senso verticale ed orizzontale, ossia il contorno che caratterizza quest’ultima, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché debbono essere coerentemente configurati in termini di interventi edilizi incidenti sulla “sagoma” tutte le modificazioni idonee ad apportare un’alterazione della configurazione dell’edificio mediante un cambiamento della sua volumetria totale o complessiva. Per quanto attiene al “prospetto” esso si identifica come un quid pluris rispetto alla sagoma, precipuamente riguardante il profilo estetico-architettonico dell’edificio, ovvero l’aspetto l’esterno di quest’ultimo
Pubblicato il 11/05/2018
N. 05255/2018 REG.PROV.COLL.
N. 12589/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12589 del 2016, proposto da:
Condominio in Roma via degli Olimpionici n. 89, in persona del legale rappresentante p.t., e Simona Galvani, rappresentati e difesi dall’avv. Isidoro Sperti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.B. Tiepolo n. 4;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Camarda, con domicilio eletto presso il difensore nella sede dell’Avvocatura dell’Ente in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per l’annullamento,
previa sospensione,
dell’ordine dell’U.O.T. – Ispettorato Edilizia del Municipio II del 18 luglio 2016 di Roma Capitale, con cui è stato intimato di “non effettuare gli interventi previsti dalla S.C.I.A. con prot. n. 41906 del 19/04/2016”;
della successiva nota del 29 settembre 2016, di risposta alla richiesta di archiviazione presentata dall’Arch. Galvani, sottoscrittrice della S.C.I.A.;
di ogni atto presupposto, successivo consequenziale e comunque connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 marzo 2018 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 21 ottobre 2016 e depositato il successivo 10 novembre 2016, i ricorrenti impugnano il provvedimento con cui, in data 14 luglio 2016, Roma Capitale ha intimato al Condominio ricorrente di non effettuare i lavori di cui alla S.C.I.A. con prot. n. 41906 del 19/4/2016, consistenti nell’installazione di “un ascensore esterno per abbattimento barriere architettoniche in chiostrina senza modifica delle facciate”, “ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, in via degli Olimpionici n. 89” (connotata, tra l’altro, da urgenza per la presenza di un condomino “avente grave limitazione della capacità di deambulazione”, il sig. Vincenzo De Sapio), e la successiva nota in data 29 settembre 2016, di rigetto da parte della menzionata Amministrazione dell’istanza di annullamento in autotutela del provvedimento in precedenza indicato, inoltrata in data 14 settembre 2016 dal “progettista” (ossia, l’Arch. Simona Galvani), chiedendone l’annullamento.
A tali fini i ricorrenti – dopo avere precisato che i provvedimenti gravati si basano sull’insistenza dell’immobile “nella zona di P.R.G. all’interno del sistema insediativo – città storica – tessuti di espansione novecentesca ad impianto moderno ed unitario (T8)”, sull’inserimento dell’unità immobiliare nel “P.T.P.R. vincolata ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 con vincolo di tutela paesaggistici ed ambientali relativamente agli artt. 8, 35, 41, dell’incidenza dell’intervento sui prospetti (trattandosi di un piano pilotis) e, ancora, della presenza del “vincolo di protezione per le aree di interesse archeologico”, imponente l’autorizzazione “preventiva da parte della Regione Lazio” – deducono i seguenti motivi di diritto:
I.VIOLAZIONE DI LEGGE EX ART. 2 PUNTO B) DELLA LEGGE N. 1034/1971 IN RELAZIONE ALL’ART. 2/CO. 2 DELLA LEGGE N. 241/90 NONCHE’ DELL’ART. 23 DEL D.P.R. N. 380/2001. ERRONEITA’, CONTRADDITTORIETA’ E CARENZA DI MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO DEL 14.07.2016, AVENTE PROT. CB 76697, NONCHE’ DEL SUCCESSIVO PROVVEDIMENTO DEL 29.09.2016, AVENTE PROT. CB 105009, IN RIFERIMENTO ALL’ART. 3 DELLA LEGGE N. 241/1990 E ART. 6 DEL D.P.R. N. 380/2001, per mancato rispetto da parte dell’Amministrazione del termine di 30 gg., previsto dalla legge per l’esercizio da parte di quest’ultima del potere inibitorio dei lavori oggetto di S.C.I.A..
II. VIOLAZIONE DI LEGGE EX ART. 2 PUNTO B) DELLA LEGGE N. 1034/1971 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 6 (NUOVA FORMULAZIONE), 22, 23 DEL D.P.R. N. 380/2001 E AL REGOLAMENTO EDILIZIO DEL COMUNE DI ROMA, NONCHE’ ART. 6 DELLA LEGGE 13/1989 E DELL’ART. 149 DEL CODICE DEI BENI CULTURALI. ERRONEITA’, CONTRADDITTORIETA’ E CARENZA DI MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO DEL 14.07.2016, AVENTE PROT. CB 76697, NONCHE’ DEL SUCCESSIVO PROVVEDIMENTO DEL 29.09.2016, AVENTE PROT. CB 105009, IN RIFERIMENTO ALL’ART. 3 DELLA LEGGE N. 241/1990 E ARTT. 6, 22, 23 DEL D.P.R. N. 380/2001 E AL REGOLAMENTO EDILIZIO DEL COMUNE DI ROMA, tenuto conto della circostanza che condomini limitrofi hanno proceduto ad installare impianti di tale genere senza alcun rilievo da parte dell’Ente territoriale e, ancora, delle peculiarità dell’intervento, atte a rendere quest’ultimo soggetto ad una disciplina di favore e, ancora, a dimostrarne l’installazione all’interno della sagoma dell’edificio ovvero nella chiostrina, con conseguente rispetto dell’estetica e del decoro architettonico e, dunque, chiara inoperatività della disciplina applicata. Del resto, risulta evidente che, per affermare la “necessità della preventiva autorizzazione regionale”, i tecnici del Municipio assimilano “la sagoma al prospetto” ma è noto che si tratta di concetti differenti, con l’ulteriore precisazione che anche il “parere preventivo” previsto in caso di “vincolo di protezione per le aree di interesse archeologico” è da ritenere non necessario in quanto trattasi di “area condominiale già interessata a scavi con terreno di riporto e sedime di impianti tecnici già realizzati nella fase di costruzione del fabbricato”. In ultimo, è da aggiungere che l’elaborato grafico prodotto – in relazione al quale l’Amministrazione contesta la mancata rappresentazione dello stato “ante e post” - è stato correttamente redatto “perché si è ritenuto di non aver modificato la sagoma dell’edificio”.
Con atto depositato in data 28 novembre 2016 si è costituita Roma Capitale, la quale – nel prosieguo e, precipuamente, in data 13 dicembre 2016 – ha prodotto documenti, tra cui figura una nota del Municipio II, i cui contenuti danno conto – in particolare – che, “essendo il fabbricato realizzato su piano pilotis”, l’intervento in trattazione “trasforma inevitabilmente tutti i prospetti dell’immobile” e pongono, altresì, in evidenza che l’area è gravata da vincolo archeologico, sicché – comportando l’intervento “lavori di scavo” – “per tale opera è necessario il parere della Soprintendenza Archeologica Ministeriale, previa nomina di un tecnico atto alla sorveglianza degli scavi”.
Con ordinanza n. 8240 del 22 dicembre 2016 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare.
In data 6 febbraio 2018 i ricorrenti hanno depositato una memoria, corredata da documenti, con cui – dopo avere rappresentato l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione sismica – hanno ribadito l’illegittimità dei provvedimenti gravati, insistendo, tra l’altro, sulla circostanza che “l’ascensore è stato alloggiato nella chiostrina interna del fabbricato ed è privo di visibilità dalla spazio pubblico” e, pertanto, “non vi è alterazione della sagoma dell’edificio”.
Il successivo 7 febbraio 2018 i ricorrenti hanno depositato “istanza di rimessione in termini” per il deposito di cui sopra, adducendo l’avvenuta esecuzione del deposito telematico già in data 22 gennaio 2018 e, pertanto, attribuendo il ritardo – al più – ad un disguido in relazione agli indirizzi utilizzati.
All’udienza pubblica del 6 marzo 2018 – nel corso della quale il difensore di Roma Capitale ha chiesto lo stralcio della memoria e dei documenti da ultimo prodotti dai ricorrenti poiché depositati oltre i termini di legge - il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per accogliere l’istanza di “rimessione in termini” formulata dai ricorrenti per il deposito della memoria difensiva e dei documenti risalente al 6 febbraio 2018, tenuto conto che la documentazione all’uopo prodotta il successivo 7 febbraio 2018 prova l’attivazione, a tali fini, dei predetti già in data 22 gennaio 2018, sicché la circostanza che tale deposito non sia risultato nel sistema può essere – in effetti – ricondotto ad un “errore scusabile”.
2. Ciò detto, il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
2.1. Come esposto nella narrativa che precede, i ricorrenti lamentano l’illegittimità del provvedimento con cui, in data 14 luglio 2016 ma successiva protocollazione in data 18 luglio 2016, Roma Capitale ha intimato di non effettuare i lavori di cui alla S.C.I.A. presentata il precedente 19 aprile 2016, consistenti nell’installazione “di un ascensore esterno per abbattimento barriere architettoniche ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, in via degli Olimpionici n. 89”, e della nota con cui, in data 29 settembre 2016, la già menzionata Amministrazione ha respinto la richiesta di annullamento in autotutela del provvedimento di cui sopra, inoltrata dall’arch. Simona Galvani il precedente 14 settembre 2016.
A tali fini i ricorrenti denunciano – in sintesi – l’intervenuta adozione del provvedimento in trattazione oltre il termine di 30 gg., prescritto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’Amministrazione, e, ancora, sostengono la violazione della disciplina in materia di interventi edilizi diretti alla rimozione delle barriere architettoniche, quali gli “ascensori”, tenuto conto, tra l’altro, dell’assoluta inidoneità dell’intervento oggetto della S.C.I.A. dai predetti presentata ad incidere sul prospetto dell’immobile.
Tali motivi di diritto non sono meritevoli di positivo riscontro.
3. Ai fini del decidere, appare opportuno ricordare che il provvedimento gravato, riportante l’ordine “di non effettuare gli interventi previsti nella S.C.I.A. con prot. n° 41906 del 19/4/2016”, con l’ulteriore precisazione che “tale ordine viene notificato in autotutela nel caso in cui le trasformazioni dovessero aver avuto già inizio”, poggia essenzialmente – in ragione dell’insistenza dell’immobile in aree soggette a tutela paesaggistica e ambientale nonché “di interesse archeologico” - sull’incidenza dell’intervento, oggetto della S.C.I.A., sul prospetto dell’immobile e, conseguentemente, sulla connessa violazione dell’obbligo della previa acquisizione del parere paesaggistico nonché dell’autorizzazione preventiva da parte della Regione Lazio.
3.1. Ciò detto, è doveroso rilevare che:
- come noto, l’art. 6 del D.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Attività edilizia libera”, oggetto di numerose modifiche normative nel corso del tempo, tra cui quella – per quanto di rilevanza in questa sede – apportata dal D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222, prescrive che “sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo”, tra gli altri, “b) gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio”;
- ai sensi, poi, dell’art. 149 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, titolato “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, l’autorizzazione paesaggistica – espressamente indicata al precedente art. 146 come “atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico edilizio”, la cui previa acquisizione risulta imposta per apportare “modificazioni” a “immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lett. d), e 157” – non è richiesta, tra gli altri, “a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”;
- secondo il disposto dell’art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, “Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni….”, mentre il successivo art. 23, ai commi 3 e 4, prevede che, “nel caso di vincoli e delle materie oggetto dell’esclusione di cui al comma 1 bis, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1,”, utile per dare avvio all’“effettivo inizio dei lavori”, “decorre dal rilascio del relativo atto di assenso” e, per i casi in cui non sussista la competenza dell’Amministrazione comunale, lo stesso termine di trenta giorni decorre dall’esito di una conferenza di servizi appositamente convocata dal “competente ufficio comunale”;
- ove si tratti, ancora, di un’area di interesse archeologico ai sensi dell’art. 41 del P.T.P.R., adottato con DGR n. 556 del 25 luglio 2007, modificato ed integrato con DGR 1025 del 21 dicembre 2007, per le “nuove costruzioni” e “gli ampliamenti al di fuori della sagoma esistente compresi interventi pertinenziali inferiori al 20%” è previsto il preventivo parere della Soprintendenza Archeologica.
3.2. Stante quanto in precedenza riportato, risulta evidente il carattere dirimente rivestito - per la definizione della controversia in trattazione - dall’effettiva incidenza dell’intervento oggetto della S.C.I.A. sui prospetti e sulla sagoma dell’edificio, posto che è proprio la sussistenza di tale incidenza a determinare e, dunque, supportare l’operatività della disciplina su cui si fonda la decisione adottata.
In ordine a tali aspetti, è da rilevare che:
- i concetti di “sagoma” e di “prospetto” di un edificio non sono oggetto di esplicita regolamentazione da parte del legislatore all’interno del D.P.R. n. 380 del 2001;
- al fine di individuare gli elementi che contraddistinguono i su indicati termini, di chiaro ed inequivoco ausilio si presentano le decisioni giurisprudenziali emesse in materia, unitamente al “Regolamento Edilizio Tipo”, pubblicato nella G.U. del 16 novembre 2016, n. 268 (in particolare, la rubrica n. 18 dell’Allegato A);
- orbene, tali decisioni e il menzionato Regolamento conducono a considerare la “sagoma” dell’edificio come la “conformazione planovolumetrica della costruzione fuori terra, considerato in senso verticale ed orizzontale”, ossia il contorno che caratterizza quest’ultima, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti, sicché debbono essere coerentemente configurati in termini di interventi edilizi incidenti sulla “sagoma” tutte le modificazioni idonee ad apportare un’alterazione della configurazione dell’edificio mediante un cambiamento della sua volumetria totale o complessiva (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 25 maggio 2012, n. 1441);
- per quanto attiene al “prospetto”, le stesse decisioni inducono a identificare quest’ultimo come un quid pluris rispetto alla sagoma, precipuamente riguardante il profilo estetico-architettonico dell’edificio, ovvero l’aspetto l’esterno di quest’ultimo (cfr., tra le altre, Cass., Sez. III Penale, 20 maggio 2015, n. 20846; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 26 ottobre 2012, n. 4288).
Ciò detto e preso, comunque, atto che – come, peraltro, affermato dalla giurisprudenza - le modificazioni normative apportate nel tempo hanno sì introdotto una semplificazione della disciplina vigente in materia, specie in relazione agli interventi di “ristrutturazione”, ma che - in ogni caso – l’operatività delle stesse risulta esclusa in relazione ad immobili soggetti a vincolo, il Collegio ritiene che le censure formulate siano infondate per le seguenti ragioni:
- come si trae da quanto in precedenza riportato, il termine di trenta giorni di cui agli artt. 22 e ss. del D.P.R. n. 380 del 2001 non può essere utilmente invocato per contestare l’esercizio del potere “inibitorio” da parte dell’Amministrazione in tutti i casi in cui – come quello in trattazione – sussistano vincoli e non siano stati resi i dovuti pareri e/o le prescritte autorizzazioni;
- la disamina dell’intervento oggetto della S.C.I.A. presentata dai ricorrenti impone di riscontrare una modificazione sicuramente incidente sul “prospetto” dell’edificio esistente in quanto – comunque – idonea a creare un nuovo ambiente “chiuso”, a livello del c.d. piano pilotis (ordinariamente costituente un ambiente aperto, su cui poggiano esclusivamente le mura portanti o, meglio, i pilastri della struttura);
- quanto, poi, affermato circa la realizzazione di impianti similari in carenza di rilievi da parte di Roma Capitale, oltre a concretizzare una doglianza connotata da genericità, non vale a supportare l’illegittimità denunciata, atteso che eventuali carenze in relazione all’operato dell’Amministrazione non valgono – in ogni caso – a giustificare e, tanto meno, a imporre la commissione di ulteriori carenze. Come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, l’eccesso di potere per disparità di trattamento costituisce – del resto – un vizio che bene si rivolge all’ipotesi di discriminazioni nell’attribuzione di un bene della vita che risulta dovuto (cfr., tra le altre, TAR Piemonte, Sez. I, 1 agosto 2011, n. 938) e, pertanto, non è affatto configurabile ove si tratti di ipotesi in cui il richiedente non è in condizione di ottenere il titolo richiesto, atteso che l’eventuale illegittimità commessa a favore di altri non può essere in alcun modo invocata per ottenere che la stessa illegittimità venga compiuta anche in proprio favore (cfr. C.d.S., Sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1235; TAR Liguria, Sez. I, n. 785 del 2012).
4. Per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.
Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 12589/2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2018 con l’intervento dei Magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere, Estensore
Ofelia Fratamico, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonella Mangia Elena Stanizzi