TAR Lombardia (MI) Sez. II n.1298 del 17 maggio 2018
Urbanistica.Sanatoria e necessario requisito della doppia conformità
La c.d. “doppia conformità” costituisce un requisito dal quale non può prescindersi ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” – consistente nel rilascio del titolo edilizio sulla base della sola conformità dell’opera abusiva rispetto alla pianificazione urbanistica vigente – finirebbe per dare luogo a un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione
Pubblicato il 17/05/2018
N. 01298/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02957/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2957 del 2013, proposto da
Cristian Sarcina, in proprio e quale amministratore unico e legale rappresentante di Immobiliare Quarto Oggiaro s.a.s. di Sarcina Cristian & C., rappresentati e difesi dagli avvocati Luigi Decio e Giovanna Lenti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Corridoni, 11;
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Paola Cozzi e Maria Lodovica Bognetti, con domicilio in Milano, Via della Guastalla, 6;
per l'annullamento
- della nota P.G. 497164/2013, a firma del Dirigente del Servizio interventi edilizi maggiori e del Direttore del Settore Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Milano, datata 22 luglio 2013 e notificata il 31 luglio 2013, avente ad oggetto “Provvedimento di diniego dell'istanza di Permesso di Costruire a parziale sanatoria per l'ampliamento ai sensi dell'art. 67 del R.E. pervenuta in data 01.12.2011 in atti P.G. n. 850947/2011, pratica n. 14521/2011 e ordine di demolizione delle opere edilizie in VIA AMORETTI 80”;
- della nota P.G. 497164/2013, a firma del Dirigente del Servizio interventi edilizi maggiori, datata 9 maggio 2013, avente ad oggetto “VIA C. AMORETTI 80 - Pratica n. 14521/2011 Comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della Legge n. 241/90, dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di richiesta di permesso di costruire a parziale sanatoria per l'ampliamento ai sensi dell'art. 67 del R.E. pervenuta in data 01.12.2011 - P.G. n. 850947/2011”;
- di tutti gli eventuali altri atti presupposti, connessi e/o conseguenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2018 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso portato alla notifica il 13 novembre 2013 e depositato il successivo 10 dicembre, il sig. Cristian Sarcina e Immobiliare Quarto Oggiaro s.a.s. di Sarcina Cristian & C. hanno impugnato – insieme alla precedente comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza – il provvedimento del Comune di Milano datato 22 luglio 2013, PG 323529/2013 del 13 maggio 2013, con il quale è stata respinta la richiesta di permesso di costruire a parziale sanatoria del 25 novembre 2011 “per opere qualificate come “ampliamento ai sensi dell’art. 67 del R.E.”, e consistenti nell’avvenuta realizzazione di locale studio e locale w.c. al piano rialzato per una s.l.p. dichiarata pari a circa mq. 25,50 (opere già eseguite) e realizzazione di tramezzatura interna al piano seminterrato”.
2. I ricorrenti hanno rappresentato che le opere oggetto del provvedimento impugnato sono state eseguite su un fabbricato a uso residenziale edificato in virtù di una licenza edilizia rilasciata dal Comune di Milano il 18 aprile 1946. Il fabbricato insiste sull’area sita in Via Amoretti n. 80, identificata al NCEU al foglio 12, mappale 86; area di cui è esclusiva proprietaria Immobiliare Quarto Oggiaro s.a.s. di Sarcina Cristian & C., della quale il sig. Cristian Sarcina è amministratore unico e legale rappresentante.
Secondo quanto prospettato nel ricorso, gli abusi risalirebbero a epoca antecedente agli anni ’80 del secolo scorso.
3. I ricorrenti hanno, inoltre, allegato che, secondo le disposizioni del previgente Piano Regolatore Generale (PRG), l’area ricadeva in zona omogenea B1 e aveva destinazione funzionale “M - Aree per attrezzature connesse alla mobilità”. La relativa disciplina, contenuta all’articolo 45 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), prevedeva che “Le aree M sono riservate alle attrezzature e agli impianti pubblici per gli interscambi e le interconnessioni tra i diversi mezzi di trasporto e relativi parcheggi”.
In base al vigente Piano di Governo del Territorio (PGT), approvato con delibera del Consiglio comunale n. 16 del 22 maggio 2012 e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia - Serie avvisi e concorsi n. 47 del 21 novembre 2012, l’area nella quale ricadono le opere abusive rientra, invece, nel Tessuto Urbano Consolidato (TUC) e, in particolare, nel Tessuto urbano di recente formazione - Ambiti di rinnovamento urbano. Per tali ambiti, i ricorrenti evidenziano che gli articoli 6 e 17 delle NTA del Piano delle Regole consentono qualsiasi tipo di intervento edilizio.
4. Posti tali dati, nel ricorso si afferma che, a seguito di sopralluoghi effettuati nell’area, con provvedimento datato 13 gennaio 2011, il Comune ha ordinato la demolizione delle opere abusive realizzate nel predetto fabbricato.
A seguito di tale determinazione è stata presentata l’istanza del 25 novembre 2011, diretta a ottenere il rilascio del permesso di costruire a parziale sanatoria.
Nell’ambito del suddetto procedimento, l’Amministrazione ha dapprima emesso – con nota datata 9 maggio 2013 – una comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e, successivamente, il provvedimento in data 22 luglio 2013, recante il diniego del titolo edilizio richiesto e l’ordine di demolizione delle opere abusive.
5. Il ricorso contro quest’ultimo provvedimento è affidato ai seguenti motivi:
I) difetto di legittimazione passiva del sig. Cristian Sarcina ed eccesso di potere; ciò in quanto il provvedimento impugnato sarebbe indirizzato unicamente al sig. Sarcina, in proprio, invece che a Immobiliare Quarto Oggiaro s.a.s., proprietaria esclusiva dell’area, della quale il sig. Sarcina è amministratore unico e legale rappresentante; la svista del Comune nascerebbe presumibilmente dal fatto che l’istanza di sanatoria era stata presentata per errore indicando il sig. Sarcina come proprietario: tuttavia l’Amministrazione avrebbe dovuto verificare la proprietà dell’immobile e non invece rivolgere l’ordine di demolizione nei confronti di un soggetto privo di alcun titolo sul bene;
II) in subordine: violazione degli articoli 3, 36 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed eccesso di potere sotto plurimi profili; ciò in quanto il locale studio e il locale w.c., oggetto della domanda di sanatoria, costituirebbero mere pertinenze dell’edificio residenziale e, inoltre, non eccederebbero il venti per cento del volume dell’edificio principale; conseguentemente, si tratterebbe di opere non qualificabili come nuova costruzione, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 380 del 2001 e non soggette alla sanzione demolitoria, bensì soltanto a quella pecuniaria di cui all’articolo 37 del d.P.R. n. 380 del 2001; inoltre, la realizzazione dei tavolati divisori interni sarebbe qualificabile come opera di manutenzione straordinaria e, come tale, risulterebbe conforme all’articolo 45, comma 6.3 delle NTA del PRG, che ammette tale tipo di interventi sugli edifici esistenti in contrasto con la destinazione funzionale “M”, quale è il fabbricato residenziale cui si riferisce la controversia;
III) violazione degli articoli 36 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed eccesso di potere sotto plurimi profili, in quanto l’ampliamento sarebbe stato realizzato comunque prima dell’entrata in vigore del PRG del 1980, per cui il Comune avrebbe dovuto assumere quale parametro di valutazione, al fine del rilascio del titolo in sanatoria, il PRG del 1953, che consentiva tale tipo di interventi; la realizzazione dei tavolati sarebbe, peraltro, conforme al PRG del 1980, secondo quanto già allegato con il precedente motivo; ciò comproverebbe – secondo la prospettazione dei ricorrenti – la c.d. “doppia conformità” delle opere, richiesta ai fini della sanatoria;
IV) violazione dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dei principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa, nonché eccesso di potere sotto plurimi profili; ciò in quanto, anche laddove dovesse ritenersi non sussistente la conformità delle opere alla disciplina urbanistica al tempo della loro realizzazione, dovrebbe ammettersi ugualmente la sanatoria, trattandosi di opere legittimamente realizzabili in base al vigente PGT;
V) violazione degli articoli 2, 4 e 5 della legge n. 241 del 1990 e dell’articolo 38 della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005, nonché del principio del buon andamento; ciò in quanto l’Amministrazione avrebbe disatteso i termini stabiliti dalla legge regionale per il rilascio del permesso di costruire; tale violazione, ove non dovesse discenderne l’annullamento del provvedimento impugnato, comporterebbe tuttavia l’insorgere del diritto al risarcimento del danno.
I ricorrenti hanno, inoltre, proposto domanda risarcitoria per il ritardo nella conclusione del procedimento avviato con l’istanza del 25 novembre 2011.
6. Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, insistendo per il rigetto del ricorso.
7. In esito alla trattazione cautelare della causa, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 26 in data 10 gennaio 2014, con la quale ha dato atto della rinuncia all’istanza di sospensione del provvedimento impugnato.
8. In prossimità dell’udienza pubblica fissata per la trattazione della causa, il Comune di Milano ha depositato documenti.
Entrambe le parti hanno depositato memorie e, inoltre, hanno replicato alle produzioni avversarie.
9. All’udienza pubblica del 17 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
10. Il ricorso è infondato, per le ragioni che si espongono di seguito.
11. Con il primo motivo i ricorrenti allegano che il provvedimento impugnato, recante il diniego del permesso di costruire in parziale sanatoria e l’ordine di demolizione delle opere abusive, sarebbe viziato per difetto di legittimazione del destinatario. Ciò in quanto la nota comunale sarebbe erroneamente indirizzata al sig. Cristian Sarcina in proprio, e non invece nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante di Immobiliare Quarto Oggiaro s.a.s.
11.1 Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che il sig. Sarcina aveva presentato in nome proprio la domanda di permesso di costruire in parziale sanatoria, qualificandosi come proprietario.
11.2 Ciò posto, nessuna illegittimità è ravvisabile nel provvedimento impugnato.
Deve tenersi presente, infatti, che il sig. Sarcina è amministratore unico e socio accomandatario della società proprietaria dell’immobile, che è una società in accomandita semplice.
E, in fattispecie analoghe, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che “L'attività svolta della società in accomandita semplice è invero direttamente riconducibile al ricorrente, socio accomandatario e suo legale rappresentante, non rilevando pertanto la mancata indicazione della qualità per cui la sanzione è stata direttamente notificata al ricorrente, in ragione della confusione patrimoniale tra il soggetto illimitatamente responsabile e la società medesima (cfr. TAR Campania, Napoli, n. 927/2015)” (così TAR Abruzzo, L'Aquila, 9 agosto 2016, n. 482). Inoltre, in una tale situazione, deve ragionevolmente ritenersi che il destinatario sia in grado di apprezzare la lesività del provvedimento, sia come persona fisica, che come socio della società (Cons. Stato, Sez. VI, 1° dicembre 2015, n. 5426).
11.3 Nel condividere integralmente e fare propri tali indirizzi, il Collegio rileva inoltre che, nel caso oggetto del presente giudizio, l’idoneità del provvedimento a produrre effetti anche nei confronti della società è dimostrata non solo – sul piano astratto – dai profili di confusione patrimoniale rilevati dalla giurisprudenza richiamata, ma anche dalla circostanza che – in concreto – è stato proprio il sig. Sarcina a determinare la commistione tra l’attività svolta per sé e quella esercitata per Immobiliare Quarto Oggiaro s.a.s. L’istanza di permesso di costruire in parziale sanatoria, benché presentata dal sig. Sarcina in nome proprio, è stata infatti avanzata per conto e a beneficio della società. E’ perciò del tutto incongruo ritenere che la stessa società, che ben avrebbe potuto beneficiare dell’esito favorevole dell’istanza, non sia invece tenuta a sopportare le conseguenze della conclusione negativa dell’iter.
11.4 Il motivo va, perciò, rigettato.
12. E’ pure infondato il secondo motivo, con il quale si sostiene, sotto diversi profili, che le opere abusive non sarebbero soggette alla sanzione demolitoria.
12.1 I ricorrenti affermano, anzitutto, che il locale studio e il locale w.c. costituirebbero mere pertinenze, contenute entro il limite del venti per cento del fabbricato principale, per le quali non sarebbe richiesto il rilascio del permesso di costruire. Conseguentemente, si tratterebbe di abusi non soggetti alla sanzione della demolizione, ma soltanto a quella pecuniaria prevista dall’articolo 37 del d.P.R. n. 380 del 2011 per le opere realizzate in assenza di denuncia (oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
12.1.1 Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che le opere in esame non sono qualificabili come pertinenze del fabbricato, ma consistono in ampliamenti al di fuori della sagoma originaria, come correttamente allegato dalla difesa comunale e come chiaramente risulta dagli elaborati progettuali depositati agli atti del giudizio. Tali opere non hanno portato, infatti, alla realizzazione di manufatti meramente accessori e serventi all’edificio, privi di incidenza sul carico urbanistico, ma costituiscono vani aggiunti all’originario edificio, con corrispondente incremento della relativa superficie lorda di pavimento.
Né potrebbe ritenersi, in senso contrario, che la natura pertinenziale di tali locali discenda dalle loro modeste dimensioni e dal fatto che non siano autonomi rispetto al fabbricato preesistente. A ben vedere, infatti, i ricorrenti distorcono la nozione di pertinenza – che presuppone, per sua natura, la realizzazione di un manufatto distinto, ma accessorio rispetto al fabbricato principale – facendovi rientrare qualunque incremento volumetrico aggiunto successivamente a un edificio, purché di dimensioni contenute. Tuttavia, nei casi come quello oggetto del presente giudizio, la circostanza che il vano aggiuntivo non sia autonomo rispetto all’immobile principale dipende proprio dal fatto che esso viene a costituire parte integrante di tale immobile, incrementandone la superficie e la volumetria. Circostanza, questa, che di per sé esclude il carattere dell’accessorietà, tipico delle pertinenze, le quali non possono consistere in porzioni costitutive del medesimo immobile cui dovrebbero servire.
12.1.2 Esclusa, pertanto, la qualificazione di tali locali aggiuntivi quali mere pertinenze, essi rientrano a pieno titolo tra gli interventi di “nuova costruzione”, trattandosi di ampliamenti del fabbricato all'esterno della sagoma esistente (articolo 3, comma 1, lett. e.1) del d.P.R. n. 380 del 2001).
Si tratta, conseguentemente, di opere per le quali era richiesto il permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e, come tali, soggette alla disciplina sanzionatoria di cui al successivo articolo 31, e non invece alle previsioni dell’articolo 37, che si riferisce agli interventi realizzati in assenza di denuncia (oggi segnalazione certificata) di inizio attività.
12.2 Non merita accoglimento neppure la seconda censura articolata nel secondo motivo, con la quale i ricorrenti lamentano che il Comune non avrebbe potuto ordinare la demolizione delle opere di divisione interne, in quanto qualificabili come mero intervento di manutenzione straordinaria e, come tali, ammesse dalla disciplina urbanistica dettata dal PRG per gli edifici incompatibili con la destinazione della zona “M”, quale è il fabbricato residenziale sul quale le opere sono state eseguite.
12.2.1 Al riguardo, deve infatti osservarsi che – come correttamente evidenziato dalla difesa comunale – è stata presentata un’unica domanda di sanatoria per tutte le opere eseguite senza titolo. E’ la stessa parte richiedente, perciò, ad aver qualificato le opere come un unico intervento edilizio abusivo.
L’istanza non avrebbe potuto, pertanto, essere valutata in modo parcellizzato dall’Amministrazione, poiché non è consentito al Comune prendere in considerazione singole porzioni dell’unico progetto di sanatoria, al fine di attribuire solo a una parte delle opere la qualificazione di “manutenzione straordinaria”, estrapolandole dal complessivo intervento di “ampliamento” denunciato dall’interessato. E, d’altro canto, l’adozione di un’ordinanza di demolizione riferita all’abuso nella sua interezza, per come dichiarato dal privato, costituisce una mera conseguenza del diniego dell’accertamento di conformità.
12.2.2 Tale esito, peraltro, non preclude la presentazione di una nuova istanza, al fine di regolarizzare la sola parte dell’intervento che si ritenga eventualmente conforme alla disciplina urbanistica, eseguendo, per il resto, l’ordinanza di demolizione.
12.3 Da ciò il rigetto di tutte le censure articolate con il secondo motivo di impugnazione.
13. Va respinto anche il terzo motivo, con il quale si allega che le opere sarebbero suscettibili di sanatoria, in quanto presenterebbero il requisito della c.d. “doppia conformità”.
13.1 Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che il rilascio della sanatoria, ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, richiede che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
13.2 Nel caso oggetto del presente giudizio, la domanda di sanatoria è stata presentata nella vigenza del PRG del 1980. Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, il riferimento alla disciplina contenuta nel predetto strumento urbanistico non è, perciò, affatto fuori luogo, ma costituisce un dato determinante ai fini della valutazione in ordine al rilascio del titolo edilizio.
13.3 Ciò posto, il contrasto dell’intervento realizzato rispetto alla disciplina dettata per la zona “B1/M”, rilevato dal Comune, costituisce di per sé ragione sufficiente per negare la sanatoria. E ciò anche laddove fosse dimostrato quanto allegato dai ricorrenti, ossia la conformità delle opere in ampliamento rispetto al PRG del 1953, che – a detta loro – costituirebbe il piano vigente al tempo della realizzazione dell’abuso.
13.4 Deve, peraltro, osservarsi che l’esecuzione dell’intervento in epoca anteriore al 1980 non è stata affatto dimostrata e che, comunque, secondo gli elementi forniti in giudizio dalla difesa comunale, non è comprovata nemmeno la conformità delle opere rispetto al PRG del 1953. Il predetto piano destinava infatti l’area a verde agricolo e prevedeva, all’articolo 13 delle NTA, che fossero “consentite essenzialmente costruzioni al servizio dell’agricoltura”, nonché “entro il predetto limite complessivo di mc 2.000 per ettaro (...) costruzioni ad uso di abitazione”, ma in questo caso “osservando i criteri di edificazione e d’ubicazione che verranno concordati con l’Autorità comunale, in relazione alla superficie della singola azienda agricola”.
13.5 Quanto, infine, alla conformità al PRG delle opere di divisione interna, che sarebbero qualificabili come di manutenzione straordinaria, si rinvia a quanto sopra detto, laddove si è evidenziato che non è consentito valutare un intervento edilizio unitario, in quanto presentato come consistente in un insieme sistematico di opere, scomponendolo in singole parti, in modo da attribuire a ciascuna di esse una distinta qualificazione ai fini dell’applicazione della normativa urbanistica ed edilizia.
14. Non può, poi, darsi rilievo all’allegata conformità delle opere rispetto al vigente PGT, dedotta con il quarto motivo di ricorso.
14.1 Al riguardo, deve anzitutto rilevarsi che il PGT è entrato in vigore in un momento successivo non solo alla realizzazione dell’abuso, ma anche della presentazione della domanda di sanatoria.
14.2 Ciò posto, deve escludersi la possibilità che l’opera abusivamente realizzata possa essere sanata sulla base del solo riscontro della conformità agli strumenti urbanistici vigenti.
E invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, al quale la Sezione pienamente aderisce, “è legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1324; Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3235; Sez. V, 17 settembre 2012, n. 4914; Sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306). Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale: Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico.” (così Cons. Stato, Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2755).
La c.d. “doppia conformità” costituisce, perciò, un requisito dal quale non può prescindersi ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” – consistente nel rilascio del titolo edilizio sulla base della sola conformità dell’opera abusiva rispetto alla pianificazione urbanistica vigente – finirebbe per dare luogo a “un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione” (Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194).
Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza della regola posta dall’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 discende dall’esigenza, presa in considerazione dal legislatore, di evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione, anche in presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello strumento urbanistico (Cons. Stato, Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1324, e Id., n. 2755 del 2014, cit.).
14.3 Anche il quarto motivo di ricorso va, perciò, rigettato.
15. Con il quinto motivo di impugnazione, i ricorrenti deducono la violazione del termine per provvedere, richiamando la disciplina del rilascio del permesso di costruire di cui all’articolo 38 della legge regionale n. 12 del 2005.
15.1 Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che, nel caso oggetto del presente giudizio, il superamento del termine per provvedere è ontologicamente inconfigurabile.
L’istanza presentata al Comune, e che ha condotto all’emanazione del provvedimento impugnato, aveva, infatti, ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire a parziale sanatoria.
Conseguentemente, la disciplina applicabile alla suddetta istanza non è quella relativa al rilascio dell’ordinario permesso di costruire, dettata dall’articolo 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’articolo 38 della legge regionale n. 12 del 2005, bensì quella dell’accertamento di conformità di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Previsione, quest’ultima, che interviene, peraltro, in un ambito sottratto alla legislazione regionale, in quanto è finalizzata alla sanatoria di opere abusive (cfr. C. cost. n. 232 del 2017).
Ciò posto, deve rilevarsi che il predetto articolo 36 stabilisce espressamente che “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”. E, al riguardo, la giurisprudenza ha da tempo chiarito che la previsione normativa determina la formazione legale e automatica di un provvedimento di diniego una volta decorso il termine stabilito (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2681).
Nessun ritardo è, perciò, configurabile, atteso che la parte istante avrebbe potuto impugnare il provvedimento di diniego formatosi per silentium dopo sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza e che è stato poi superato dalla nuova determinazione negativa assunta espressamente dall’Amministrazione in esito all’istruttoria svolta.
15.2 In ogni caso, deve pure tenersi presente che anche a volere – in ipotesi – ritenere applicabili le diverse norme procedimentali invocate dai ricorrenti, non sarebbe comunque ravvisabile un vizio del provvedimento a causa del mancato rispetto dei termini da essi allegati. E ciò in quanto, in base ai principi, “in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio ed il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice irregolarità non viziante” (Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2012, n. 1084).
15.3 Anche il quinto e ultimo motivo di impugnazione va, perciò, rigettato.
16. I ricorrenti hanno domandato anche la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno derivante dal ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo.
16.1 Al riguardo, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’eccezione di tardività sollevata dalla difesa comunale, stante l’infondatezza nel merito della domanda.
16.2 La possibilità di risarcire il danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo presuppone, infatti, logicamente che un ritardo sia configurabile; evenienza, questa, che non si verifica in presenza di una fattispecie di silenzio c.d. significativo, quale quella riscontrabile nel caso oggetto del presente giudizio, secondo quanto sopra detto. E’, perciò, esclusa in radice la risarcibilità del danno da ritardo ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 1 della legge n. 241 del 1990 (Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028).
D’altro canto, come correttamente rimarcato dalla difesa comunale, la circostanza che l’Amministrazione, anche dopo la formazione del silenzio-diniego, abbia ulteriormente approfondito l’istruttoria, pervenendo poi, a distanza di tempo, a determinarsi espressamente, non risulta essersi risolta in danno dei ricorrenti, secondo quanto da essi genericamente allegato, bensì – semmai – a loro vantaggio. Deve, infatti, osservarsi che, secondo gli elementi agli atti del giudizio, il lungo tempo che i ricorrenti lamentano essere trascorso tra il deposito della memoria partecipativa e l’adozione del provvedimento conclusivo ha consentito agli interessati di procrastinare la demolizione dell’opera abusiva e di continuare a trarne profitto.
16.3 Da ciò il rigetto della domanda risarcitoria.
17. In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere respinto.
18. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel complessivo importo di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del Comune di Milano, delle spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Mario Mosconi, Presidente
Antonio De Vita, Consigliere
Floriana Venera Di Mauro, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Floriana Venera Di Mauro Mario Mosconi