TAR Liguria Sez. I n. 785 del 6 luglio 2016
Urbanistica. Esistenza di un titolo edilizio e lottizzazione abusiva
L’esistenza di un titolo edilizio non annullato e non sospeso non impedisce la possibilità di configurare la lottizzazione abusiva fondata sulla realizzazione delle trasformazioni del territorio attuate con il titolo stesso.
N. 00785/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00874/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 874 del 2015, proposto da:
Luca Calvi, Gabriella Marchese, Maria Piera Zanardi, Angelo Pirola, Susan Ruth Pfister, Giuseppina Berruti e Antonio Lupi, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Giovanni Gerbi ed Emanuele Gerbi, presso i quali sono elettivamente domiciliati nel loro studio in Genova, via Roma, 11/1;
contro
Provincia di Imperia, rappresentata e difesa dall’avv. Manolo Crocetta, domiciliata ex lege presso la segreteria del T.A.R. Liguria in Genova, via dei Mille, 9;
Comune di Dolcedo, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell’ordinanza dirigenziale 29/6/2015 n. H2/670, notificata il giorno successivo, avente ad oggetto sospensione di ritenuta lottizzazione di terreni a scopo edificatorio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Imperia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2016 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il signor Luca Calvi e gli altri sei litisconsorti indicati nell’epigrafe si ritengono lesi dall’ordinanza della Provincia di Imperia n. H2/670 del 29 giugno 2015, per l’annullamento della quale hanno notificato il presente ricorso, affidato alle seguenti censure:
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, d.P.R. 380/2001, e dell’art. 50, l.r. 16/2008. Incompetenza.
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, d.P.R. 380/2001, e dell’art. 50, l.r. 16/2008. Difetto del presupposto. Eccesso di potere per contraddittorietà. Carenza di istruttoria e di motivazione. Violazione delle norme in tema di partecipazione degli interessati al procedimento.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, d.P.R. 380/2001, e dell’art. 50, l.r. 16/2008. Eccesso di potere per difetto di presupposto. Travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Sviamento.
Con ordinanza n. 258 del 22 ottobre 2015, è stata accolta la domanda cautelare proposta in via incidentale dai ricorrenti.
Con memoria depositata il 13 aprile 2016, la Provincia di Imperia, già costituitasi formalmente in giudizio, ha contrastato nel merito la fondatezza del ricorso.
Ha replicato parte ricorrente con memoria depositata il 27 aprile 2016.
Alla pubblica udienza del 18 maggio 2016, la causa è stata trattenuta in decisione che, tuttavia, è stata differita alla successiva camera di consiglio del 9 giugno 2016.
DIRITTO
Forma oggetto della presente impugnazione il provvedimento con cui la Provincia di Imperia ha ingiunto agli interessati la sospensione della lottizzazione a scopo edificatorio dei terreni di proprietà che erano menzionati nei provvedimenti abilitativi rilasciati dal Comune di Dolcedo dal 1997 al 2003 (concessioni edilizie nn. 37/1997, 22/2002 e 23/2002; permessi di costruire nn. 62/2003 e 63/2003).
Come esposto nell’atto introduttivo del giudizio, si tratta di altrettante abitazioni conformate a villa, erette con singoli assensi comunali, inizialmente annullati dalla Provincia e sospesi nella loro efficacia dal Comune con provvedimenti che vennero in seguito “ritirati”.
In fatto, va aggiunto che il territorio dello stesso Comune venne sottoposto ad un’intensa edificazione assentita dall’amministrazione locale con titoli rilasciati all’inizio degli anni duemila: come è già stato stabilito da questo Tribunale con le sentenze nn. 242, 243, 244, 445 e 446 del 2011 e n. 523 del 2013, trattandosi di attività costruttiva posta al di fuori della pianificazione prevista dalla normativa vigente, la Provincia resistente si attivò con le procedure consentite dalla legge regionale, annullando per lo più le concessioni o i permessi di costruire ritenuti illegittimi.
La vicenda divenne ulteriormente complessa, poiché taluno degli originari titolari degli assensi comunali provvide a rivendere a terzi gli immobili esistenti corredati dai permessi di costruire, cosicché risultò che in taluni casi la proprietà era stata trasferita a favore di stranieri i quali si dichiararono ignari della situazione creatasi; questa circostanza è stata all’origine delle anomalie che hanno caratterizzato anche il presente procedimento, da cui sono derivati i ritardi censurati dai ricorrenti.
Tutto ciò premesso, rileva il Collegio che con l’ultima doglianza, da trattare con priorità per ragioni argomentative, i ricorrenti contestano che la fattispecie dedotta possa essere ritenuta integrante una lottizzazione abusiva.
L’assunto è corroborato dalle altre tesi esposte, secondo cui l’attività edilizia di che trattasi venne posta in essere in forza dei titoli menzionati che non sono mai stati annullati né resi inefficaci, se non per il breve periodo ricordato, sì che non si potrebbe configurare l’illecito contestato in assenza di una previa attività di secondo grado sugli assensi comunali.
Osserva il Collegio che le sentenze già pronunciate in argomento hanno distinto le fattispecie di illecito occorse, nel senso che la lottizzazione abusiva può configurarsi anche in presenza di un titolo o della sua illegittimità solo parziale: in questa ipotesi, la condotta è andata al di là del perimetro consentito dai permessi di costruire, posto che è stata l’attività materiale e giuridica complessivamente intesa che ha integrato la fattispecie contestata, la cui realizzazione non è pertanto influenzata dalla sussistenza o dalla legittimità di un titolo (Cons. Stato, 8/1/2016, n. 26; Cass. pen., 16/6/2015, n. 36366; Cons. Stato, 19/6/2014, n. 3115; Cass. pen., 3/12/2013, n. 3649).
La tesi così accolta discende dalla ricostruzione che la normativa e, successivamente, la giurisprudenza hanno fatto dell’ipotesi in argomento: l’abuso singolo infrange una regola giuridica contenuta nello strumento vigente, mentre la lottizzazione sostituisce un disegno pianificatorio a quello delineato dallo strumento stesso.
E’ poi noto che la focalizzazione dell’attenzione sull’ipotesi lottizzatoria derivò anche da ragioni finanziarie, allorché si notò che numerosi territori erano stati urbanizzati in modo esteso dai costruttori i quali avevano poi rivenduto i fondi edificati a terzi, senza provvedere all’approntamento dei servizi che ogni immobile moderno deve avere.
In tale situazione, i Comuni avevano dovuto sostituirsi ai costruttori lottizzanti e provvedere, a spese della fiscalità generale, a dotare i nuovi agglomerati di strade, acquedotti, fognature, illuminazione e quant’altro necessita per la vita associata: la giurisprudenza (ad esempio, T.A.R. Campania, Napoli, 4/2/2016, n. 624; Cass. pen., 9/12/2015, n 50189) ha ravvisato proprio nel provvedimento impugnato un atto prodromico alla successiva acquisizione degli immobili oggetto dell’abusiva pianificazione, attività che non necessita dell’accertamento dell’inottemperanza del trasgressore all’ordine impartitogli, integrandosi così un’altra distinzione rispetto a quanto è previsto per gli ordinari abusi edilizi.
Ciò a rimarcare un’altra differenza nel trattamento giuridico della lottizzazione rispetto a quella del comune abuso edilizio, potendosi quindi ritenere che l’acquisizione del bene al patrimonio comunale non configura soltanto una sanzione accessoria, ma anche un contributo alle casse comunali che si trovano onerate dei costi sopra indicati.
Le premesse così poste inducono a disattendere la prospettazione contenuta nel ricorso, risultando provato in atti che gli originari titolari delle concessioni e dei permessi di costruire edificarono cinque abitazioni vicine l’una all’altra, a conformazione di villa e a destinazione residenziale, in un’area destinata dal p.d.f. all’attività agricola, e non predisposero i servizi che la normativa del piano ritiene necessari.
Un ulteriore profilo che induce a disattendere l’argomentazione dei ricorrenti, secondo cui non vi fu nella specie una lottizzazione, è contenuto nell’atto introduttivo stesso: in tale sede viene allegato che, nelle fasi precedenti l’adozione del provvedimento qui gravato, gli interessati proposero al Comune di adottare un piano di recupero, contraddicendo con ciò la (peraltro non provata) asserzione secondo cui le realizzazioni in questione, ubicate nella località Colombera, sarebbero state assentibili in sanatoria con un titolo convenzionato.
Si nota, infatti, che la proposta collettiva di un piano di recupero, contenente la previsione di un accollo ai privati di almeno parte degli oneri urbanizzativi non adempiuti in sede di costruzione, lascia trasparire la consapevolezza nei ricorrenti che non si trattò nella specie di alcuni abusi considerabili isolatamente, ma di un’attività edificatoria coordinata che il legislatore ha ritenuto di qualificare nel senso indicato dal provvedimento in questione.
Appare sufficientemente provato, pertanto, che quanto ascritto ai ricorrenti dall’atto impugnato configura una lottizzazione abusiva; tale acquisizione è ovviamente pregiudiziale alle altre contestazioni mosse dai ricorrenti, dal che la necessità ravvisata di esaminare innanzitutto l’ultimo motivo di impugnazione, senza con ciò disattendere nella sostanza le acquisizioni giurisprudenziali sottolineate dal ricorso introduttivo relative alla natura preliminare dei vizi di competenza rispetto alle altre censure.
Tanto rilevato in via pregiudiziale, si nota che la prima censura denuncia l’incompetenza provinciale a pronunciarsi in via sostitutiva, attesa l’inerzia palesata dall’amministrazione civica nella contestazione della lottizzazione abusiva che si ritiene integrata: la tesi è nel senso che gli artt. 50 e 52 della legge regionale 6 giugno 2008, n. 16, prevedono ipotesi tassative e da leggere restrittivamente per i casi in cui le violazioni edilizie siano state sottovalutate dall’organo titolare della primaria potestà repressiva.
Il Collegio ritiene, invece, di poter richiamare le precedenti sentenze già menzionate, nonché la più recente pronuncia 13/1/2015, n. 79, con cui è stato riconosciuto che le disposizioni in questione hanno fatto corretta applicazione dei principi generali fissati dagli artt. 30 e 39 del d.P.R. 6/6/2001, n. 380, prevedendo in capo alla Regione – ed alla Provincia in caso di delega – la funzione sostitutiva dell’inerzia comunale.
A tenore del ricorso, tuttavia, la legislazione ligure non contemplerebbe la possibilità per l’amministrazione di disporre la sospensione della lottizzazione abusiva, posto che l’art. 50 della legge regionale 6/6/2008, n. 16, non menziona tale ipotesi, mentre l’art. 28 della legge 17/8/1942, n. 1150, non sarebbe applicabile nel territorio, poiché sostituito dall’art. 34, comma, 1 lett. a), della legge regionale n. 24 del 1987.
Il Collegio non condivide tale assunto, posto che la sospensione dell’attività abusivamente lottizzatoria è prevista in linea generale dall’art. 30 del d.P.R. 6/6/2001, n. 380, ed il già citato art. 39 dello stesso d.P.R. è la disposizione che fonda la legittimità della funzione sostitutiva della Regione o della Provincia delegata.
Tale assunto è stata condiviso dalla citata sentenza 13/1/2015, n. 79, ed è oltretutto conforme ad una lettura delle norme urbanistiche che prevede, da un lato, la competenza ripartita tra Stato e Regioni in questa materia e, dall’altro, la natura di principi generali delle disposizioni introdotte dal d.P.R. 6/6/2001, n. 380.
Ne deriva la possibilità di intendere che, anche in Liguria, sussiste la possibilità del controllo sostitutivo regionale – per legge delegato alla Provincia - sugli atti edilizi ed urbanistici comunali.
L’articolata censura in esame, pertanto, è infondata e va disattesa.
Viene ulteriormente denunciata l’illegittimità dell’atto impugnato in quanto sopravvenuto molti anni dopo i fatti e non preceduto dal necessario annullamento d’ufficio dei titoli assentiti dal comune di Dolcedo per la realizzazione degli immobili di che si tratta.
In merito alla prima questione, si osserva che l’art. 50, comma 6, della legge edilizia ligure impone l’immediata ingiunzione della sospensione dell’attività lottizzatoria in corso, circostanza che comporterebbe l’illegittimità del provvedimento giunto a molti anni dal rilascio delle concessioni e dei permessi di costruire citati; gli interessati notano che l’attività edilizia è ormai completata, ma il Collegio ritiene, al contrario, che l’illegittimità da valutare consista nell’utilizzo del bene in violazione delle norme del piano, sì che può affermarsi che tale attività è tuttora in corso.
Ne deriva che non può assimilarsi l’illecito in questione al comune abuso edilizio, dovendosi richiamare in tal senso le osservazioni svolte relativamente alla natura della lottizzazione come violazione della pianificazione in sé.
Gli assensi comunali erano stati conseguiti per una destinazione almeno in parte agricola, dal che l’infondatezza del rilievo, posto che non è dubbio che i beni realizzati sono attualmente volti all’utilizzo abitativo.
Oltre a ciò, il Collegio deve concordare con le osservazioni svolte dalla difesa della Provincia di Imperia, nella parte in cui essa rileva che, a differenza di quanto disposto per l’annullamento dei titoli edilizi illegittimi dall’art. 53, comma 2, della legge regionale 6/6/2008, n. 16, non è previsto un termine decadenziale o di prescrizione per l’esercizio della funzione repressiva in questione.
Si osserva, altresì, che la conclusione esposta non deriva soltanto dall’interpretazione letterale della norma indicata, ma anche dalla diversa conseguenza prevista per le due differenti tipologie di abuso.
Alla violazione delle norme di piano consegue, infatti, l’annullamento d‘ufficio del titolo abilitativo, mentre alla più grave attività di perturbamento della funzione pianificatoria consegue la nullità dell’eventuale permesso rilasciato.
La distinzione così operata dalla legge in ordine alla reazione rispetto alle diverse condotte lesive rende logica anche la differente previsione in ordine al tempo assegnato all’amministrazione per disporre le contestazioni.
In conclusione, le argomentazioni addotte per asserire la tardività della contestazione non sono fondate.
I ricorrenti denunciano anche l’illegittimità dell’atto provinciale nella parte in cui non è stato preceduto dal necessario annullamento dei titoli comunali che abilitavano all’edificazione.
A questo riguardo, è sufficiente richiamare quanto esposto in precedenza relativamente alla natura dell’illecito contestato ed alle differenze che sussistono tra l’ipotesi in rassegna e gli abusi con cui sono violate le singole norme edilizie.
Nel caso di specie, è infatti ininfluente l’eventuale esistenza del titolo edilizio, posto che si tratta di una violazione che attiene ad un diverso livello di antigiuridicità e che comporta la trasgressione delle regole imposte per la corretta pianificazione del territorio.
La giurisprudenza citata in precedenza conforta pertanto la tesi esposta, secondo cui l’esistenza di un titolo edilizio non annullato e non sospeso non impedisce la possibilità di configurare la lottizzazione abusiva fondata sulla realizzazione delle trasformazioni del territorio attuate con il titolo stesso.
Anche questo motivo, pertanto, è infondato e va disatteso.
Va dato conto, infine, della censura relativa al mancato rispetto delle norme sull’intervento procedimentale, poiché sarebbe stata omessa ogni considerazione della memoria depositata dagli interessati, con cui si allegava la proposta di adozione di un piano di recupero.
Il Collegio rileva che la determinazione impugnata è stata adottata da un Ente che ha agito in forza della ricordata potestà sostitutiva del Comune, non risultando che quest’ultimo avesse offerto una fattiva collaborazione nell’attività di repressione dell’abuso accertato.
In tale contesto, sarebbe spettato allo stesso Comune promuovere o, almeno, approvare lo strumento di recupero che avrebbe potuto porre gli immobili in questione al riparo dalla doverosa attività amministrativa della Provincia.
Ne consegue che la notazione contenuta nel provvedimento, relativa al fatto che una proposta di piano di recupero non equivale al piano stesso, è sufficiente a disattendere la censura, posto che non spettava alla Provincia, ma semmai al Comune, la risposta all’interlocuzione sollecitata dalla memoria depositata dal difensore dei ricorrenti.
In conclusione, il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
Le spese vanno opportunamente compensate, in considerazione della decisione assunta in sede cautelare, del tempo trascorso dai fatti e della complessità delle questioni poste.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2016 ed in quella riconvocata del 9 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Davide Ponte, Consigliere
Richard Goso, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/07/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)