TAR Lombardia (MI) Sez. II 22 luglio 2025
Urbanistica.Stato legittimo e rappresentazione dello stato di fatto compiuta dal progettista
Con l’art. 1, comma 1, lett. b), del d.l. n. 69 del 2024, convertito con modifiche dalla legge n. 105 del 2024, il legislatore ha deciso, con riferimento allo stato legittimo dell'immobile, di tutelare l’affidamento del privato consentendo, a determinate condizioni, di dare rilevanza esclusiva alle risultanze dell’ultimo titolo, comprese quindi le dichiarazioni rese dal progettista nella relativa pratica e concernenti lo stato di fatto. La norma subordina però questo favorevole effetto alla condizione che l’amministrazione, in sede di rilascio dell’ultimo titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi. Ne consegue che, per dimostrare lo stato legittimo, l’interessato può sì limitarsi a produrre l’ultimo titolo edilizio, ma deve trattarsi di un titolo che (oltre a riguardare un intervento che interessi l’immobile nella sua interezza) dia conto dell’accertamento effettuato dall’amministrazione circa la sussistenza e la regolarità dei titoli edilizi precedenti che legittimano lo stato di fatto in esso dichiarato. L’attestazione dell’amministrazione circa la regolarità dei titoli pregressi deve essere esplicita e, in assenza di tale attestazione esplicita, la rappresentazione dello stato di fatto compiuta dal progettista non è di per sé sufficiente, poiché la circostanza che un'opera non legittima sia rappresentata nelle pratiche edilizie non può comportarne la regolarizzazione postuma. (segnalazione M. Grisanti)
Pubblicato il 22/07/2025
N. 02749/2025 REG.PROV.COLL.
N. 01104/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1104 del 2023, proposto da
IMPRESA FAMA COSTRUZIONI GENERALI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Emanuele Ratto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Viale Emilio Caldara, n. 44;
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Paola Cozzi, Maria Giulia Schiavelli, Maria Lodovica Bognetti, Alessandra Montagnani Amendolea, Elena Maria Ferradini, Anna Maria Pavin e Salvatore Smaldone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale in Milano, Via della Guastalla, n. 6;
per l'annullamento
dell’atto prot. n. 0232354.U in data 21 aprile 2023 avente ad oggetto “Via Rembrandt n. 38 – Provvedimento di inammissibilità, ai sensi dell’art. 2, comma 1 della L. 241/1990, del progetto presentato con Segnalazione Certificata di Inizio Attività Alternativa al PDC Condizionata atti P.G. 277811/2022 – Pratica progr. 2434/2022”;
nonché per la condanna
al risarcimento del danno patito e patendo dalla società ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 giugno 2025 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
In data 18 maggio 2022, la società Impresa Fama Costruzioni Generali s.r.l. (d’ora innanzi anche “Fama”) ha depositato presso il Comune di Milano una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) al fine di realizzare un edificio residenziale di tre livelli fuori terra su un’area di sua proprietà in precedenza occupata da altro edificio (poi demolito) situato nel territorio del predetto Comune, catastalmente indentificato al foglio n. 336, particella n. 179, sub. 5. La nuova costruzione si sarebbe dovuta realizzare mediante utilizzazione della superficie lorda (s.l.) espressa dall’immobile demolito.
Con provvedimento del 21 aprile 2023, il Comune di Milano ha inibito la SCIA rilevando le seguenti criticità: a) stato di fatto diverso da quello dichiarato in progetto, posto che l’edificio demolito sarebbe stato adibito a scuderia (piano terra) e fienile (piano primo), e non a laboratorio (come dichiarato nel progetto); b) la s.l. espressa dall’immobile demolito sarebbe inferiore a quella dell’immobile da realizzare posto che la parte adibita a fienile non esprime s.l.; c) a corredo della SCIA non sarebbe stata prodotta la documentazione necessaria a verificare il rispetto dell’art. 21.2 delle norme di attuazione del PGT, il quale stabilisce che le edificazioni nei cortili devono avere altezza pari o inferiore a quella dell’edificio preesistente.
Con il ricorso in esame, la società Impresa Fama Costruzioni Generali s.r.l. impugna questo provvedimento. Oltre alla domanda di annullamento, viene proposta domanda risarcitoria.
Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Milano.
Con ordinanza n. 621 del 12 luglio 2023, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare.
Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.
La causa è stata trattenuta in decisione in esito all’udienza del 3 giugno 2025.
Il Collegio osserva innanzitutto che si può prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Amministrazione resistente stante l’infondatezza nel merito del ricorso
Con un unico articolato motivo, vengono proposte diverse censure.
Va innanzitutto esaminata la censura con la quale parte ricorrente sostiene che, contrariamente da quanto ritenuto dal Comune, l’edificio demolito del quale si intende utilizzare la s.l. avrebbe avuto destinazione produttiva e che la destinazione residenziale, che si intende attribuire al nuovo fabbricato, dovrebbe comunque ormai ritersi ammessa stante l’avvenuto consolidamento di precedenti titoli edilizi. A questo proposito Fama rileva che il l’edificio demolito è stato in passato oggetto di diversi titoli edilizi (mai attuati ma) finalizzati a trasformarlo in immobile a destinazione residenziale. L’interessata si riferisce in particolare alla DIA sostitutiva del permesso di costruire del 29 novembre 2013 e alla DIA in variante del successivo 20 gennaio 2014, mai contestate dall’Amministrazione e perciò da ritenersi ormai consolidate, nelle quali il progettista aveva dichiarato, relativamente allo stato di fatto, che l’immobile demolito aveva appunto destinazione produttiva e nelle quali si prevedeva di conferire al nuovo fabbricato destinazione residenziale. Siccome tali documenti costituirebbero gli ultimi titoli edilizi validi rilasciati dal Comune, sarebbe ad essi che, ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 2001, occorrerebbe far riferimento per stabilire quale sia lo stato legittimo dell’immobile. Aggiunge la ricorrente che l’attività istruttoria compiuta dall’Ente locale a seguito della presentazione delle suddette DIA non ha mai avuto come esito quello della contestazione della destinazione produttiva dell’immobile demolito e che, quindi, la contestazione mossa sul punto con il provvedimento impugnato sarebbe lesiva del suo affidamento.
Ritiene il Collegio che questa censura sia infondata per le ragioni di seguito esposte.
Stabilisce l’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione vigente all’epoca di approvazione del provvedimento impugnato, che <<Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare…>>.
Per dimostrare lo stato legittimo di un immobile, non è quindi sufficiente produrre l’ultimo titolo edilizio che lo ha interessato ma è necessario anche l’esame di quello che ne ha previsto la costruzione (decisivo in questo senso è l’utilizzo della congiunzione “e” contenta nella norma). Ne consegue che la dichiarazione del progettista, concernente lo stato di fatto, contenuta nella pratica afferente all’ultimo titolo non è di per sé sufficiente a dimostrare lo stato legittimo del bene, dovendo tale dichiarazione trovare riscontro nel titolo precedente: se il progettista, nella pratica afferente all’ultimo titolo edilizio, aveva dichiarato che lo stato di fatto era legittimo ma in realtà non lo era in quanto l’edificio era stato in precedenza abusivamente modificato o non era comunque conforme al titolo che ne aveva assentito la costruzione, l’abuso rimane e può essere sempre sanzionato dall’amministrazione nonostante l’erronea dichiarazione abbia appunto consentito il rilascio di un nuovo titolo.
Solo con l’art. 1, comma 1, lett. b), del d.l. n. 69 del 2024, convertito con modifiche dalla legge n. 105 del 2024, il legislatore ha deciso di tutelare l’affidamento del privato consentendo, a determinate condizioni, di dare rilevanza esclusiva alle risultanze dell’ultimo titolo, comprese quindi le dichiarazioni rese dal progettista nella relativa pratica e concernenti lo stato di fatto. Stabilisce infatti l’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione successiva alle modifiche introdotte dalla citata norma, che <<Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o l'intera unità immobiliare, a condizione che l'amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi…>>. Come si vede, questa disposizione, utilizzando la congiunzione “o” in luogo della congiunzione “e”, consente ora di dare rilevanza esclusiva all’ultimo titolo riguardante un intervento che ha interessato l’immobile nella sua interezza, impedendo così all’amministrazione di contestare, successivamente al suo rilascio, precedenti abusi non riscontrati in quella sede.
La norma subordina però questo favorevole effetto alla condizione che l’amministrazione, in sede di rilascio dell’ultimo titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi. Ne consegue che, per dimostrare lo stato legittimo, l’interessato può sì limitarsi a produrre l’ultimo titolo edilizio, ma deve trattarsi di un titolo che (oltre a riguardare un intervento che interessi l’immobile nella sua interezza) dia conto dell’accertamento effettuato dall’amministrazione circa la sussistenza e la regolarità dei titoli edilizi precedenti che legittimano lo stato di fatto in esso dichiarato.
La giurisprudenza di questo T.A.R. ha chiarito che l’attestazione dell’amministrazione circa la regolarità dei titoli pregressi deve essere esplicita, e che, in assenza di tale attestazione esplicita, la rappresentazione dello stato di fatto compiuta dal progettista non è di per sé sufficiente ai fini che qui interessano, poiché la circostanza che un'opera non legittima sia rappresentata nelle pratiche edilizie non può comportarne la regolarizzazione postuma (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 25 gennaio 2025, n. 227).
Ciò chiarito, va ora rilevato che, come dichiarato nel ricorso e nelle memorie difensive delle parti, l’immobile di cui si discute è stato costruito negli anni trenta. Il titolo edilizio che ha assentito la costruzione non risulta reperibile, per cui l’unico atto da cui desumere la sua originaria destinazione funzionale è il verbale di terza visita richiamato nell’atto impugnato, da cui risulta che lo stesso immobile è stato in origine destinato a scuderia (piano terra) e fienile (piano primo). Non risultano esservi titoli edilizi successivi che ne abbiano autorizzato il mutamento di destinazione d’uso (la concessione in sanatoria del 13 maggio 1996 è a tal fine irrilevante atteso che essa riguarda solo una piccola tettoria ad uso industriale e artigianale posta al piano terreno), né la parte ha provato che tale mutamento sia stato impresso in epoca antecedente all’introduzione dell’obbligo di munirsi di titolo edilizio.
Si deve pertanto ritenere che la sua legittima destinazione sia appunto a scuderia e fienile e che, quindi, la destinazione produttiva, a cui di fatto l’edificio è stato successivamente adibito, sia stata conferita in assenza di titolo.
A conclusioni contrarie non possono portare le dichiarazioni rese dal progettista nelle pratiche afferenti alla DIA del 29 novembre 2013 e alla successiva DIA in variante del 20 gennaio 2014 (laddove egli ha attestato che l’edificio è legittimamente destinato a funzioni produttive) posto che, come detto, tali dichiarazioni non sono da sole sufficienti a conferire legittimità ad uno stato di fatto in realtà non conforme alla disciplina urbanistico-edilizia.
Si precisa che, nella fattispecie in esame, non è applicabile la norma di favore introdotta dal d.l. n. 69 del 2024 atteso che l’atto impugnato è stato adottato in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. In ogni caso, anche ammettendo l’applicabilità delle nuove disposizioni, l’effetto sanante non pare comunque conseguibile atteso che non risulta che il Comune di Milano abbia in qualche atto esplicitamente attestato di aver accertato la regolarità dei suddetti titoli edilizi.
Neppure può ritenersi che il consolidamento della DIA del 29 novembre 2013 e della successiva DIA in variante del 20 gennaio 2014 abbia reso definitivamente ammissibile la destinazione residenziale.
Invero, anche ammettendo la perdurante efficacia di questi titoli (che il Comune contesta stante la mancata ultimazione dei lavori nei termini di legge), ciò che si può al massimo sostenere è che fosse ancora realizzabile l’intervento in essi previsto. La ricorrente, se effettivamente avesse ritenuto che le citate DIA fossero ancora efficaci, avrebbe dovuto coerentemente proseguire i lavori realizzando l’edificio residenziale ivi previsto senza preoccuparsi di ottenere un diverso titolo. Avendo invece la stessa ricorrente deciso avvalersi di altro titolo presentando la SCIA del 18 maggio 2022, non può ora la medesima pretendere che il Comune rimanga per sempre vincolato a quelli precedenti e debba per forza permettere il consolidamento della suddetta SCIA astenendosi dal valutarne la conformità alla vigente disciplina urbanistico-edilizia.
Del tutto infondata è poi l’argomentazione secondo cui la contestazione della illegittimità della destinazione produttiva compiuta nell’atto impugnato sarebbe lesiva dell’affidamento della ricorrente e, perciò, a sua volta illegittima.
In proposito va innanzitutto osservato che, come visto, è stato lo stesso legislatore a farsi carico della comparazione di interessi fra privato e amministrazione e che, quindi, l’affidamento del privato può avere rilievo solo laddove ricorrano le condizioni previste dal novellato art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, norma, si ripete, neppure applicabile nella fattispecie in esame.
In secondo luogo si rileva che in data 3 luglio 2020, la precedente proprietaria dell’immobile aveva presentato una SCIA avente ad oggetto lavori identici a quelli contemplati nella SCIA del 18 maggio 2022. Questa precedente SCIA è stata inibita dal Comune di Milano con provvedimento non impugnato e notificato in data 14 maggio 2021 a Fama che, nel frattempo, aveva acquisto la proprietà del fabbricato. Il provvedimento è stato adottato proprio perché si è ritenuto che lo stato di fatto legittimo dichiarato in progetto non fosse in realtà conforme alla disciplina urbanistico-edilizia. La ricorrente, prima di presentare la SCIA del 18 maggio 2022, era dunque consapevole di tale criticità, e non può perciò adesso lamentare una lesione del suo affidamento.
Per tutte queste ragioni va ribadita l’infondatezza della censura in esame.
Con altra censura contenuta nell’unico motivo di ricorso, parte ricorrente sostiene che l’atto impugnato sarebbe inficiato dal vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione in quanto l’amministrazione non avrebbe tenuto conto delle memorie da essa depositate in sede procedimentale e non avrebbe adeguatamente illustrato le motivazioni sottese alla decisione avversata.
In proposito va rilevato che, contrariamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, l’Amministrazione ha chiarito le ragioni per le quali ha deciso di inibire la SCIA del 18 maggio 2022. Si è detto infatti che, nel provvedimento impugnato, si chiarisce che tale decisione è stata assunta in quanto sono state rilevate le seguenti criticità: a) stato di fatto diverso da quello dichiarato in progetto, posto che l’edificio demolito sarebbe stato adibito a scuderia (piano terra) e fienile (piano primo), e non a laboratorio (come dichiarato nel progetto); b) la s.l. espressa dall’immobile demolito sarebbe inferiore a quella dell’immobile da realizzare posto che la parte adibita a fienile non esprime s.l.; c) a corredo della SCIA non sarebbe stata prodotta la documentazione necessaria a verificare il rispetto dell’art. 21.2 delle norme di attuazione del PGT, il quale stabilisce che le edificazioni nei cortili devono avere altezza pari o inferiore a quella dell’edificio preesistente.
Per quanto concerne poi la contestazione riguardante la mancata valutazione dell’apporto procedimentale, si deve osservare che parte ricorrente si limita a dedurre che l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle memorie depositate nel corso del procedimento. La parte non chiarisce però nello specifico quali elementi non sarebbero stati valutati e quali argomentazioni sviluppate nelle memorie procedimentali sarebbero state superate senza specifica confutazione. La censura è pertanto, in questa parte, del tutto generica.
Va ora esaminata la censura con cui parte ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto intervenuto oltre il termine di trenta giorni da quello di presentazione della SCIA, senza che sia stata in precedenza effettuata alcuna comparazione di interessi e senza esplicitazione delle superiori ragioni di interesse pubblico che hanno indotto l’Amministrazione ad esercitare il potere di autotutela.
In proposito si osserva quanto segue.
Come noto, in base all’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990, l’amministrazione, per esercitare il potere inibitorio puro nei casi di SCIA in materia edilizia, ha un termine di trenta giorni, decorso il quale può ancora intervenire ai sensi del precedente comma 4 ma solo ove ricorrano le condizioni previste per l’esercizio del potere di autotutela.
Questa previsione ha la finalità di tutelare l’affidamento del privato che matura e si consolida con il trascorrere del tempo. Per questa ragione la giurisprudenza ha chiarito che, quando il titolo abilitativo si forma a seguito di una falsa rappresentazione del privato e non vi è quindi alcun affidamento da tutelare, non solo è ammesso il superamento del termine massimo per l'esercizio del potere di autotutela, ma neppure è necessario procedere alla comparazione di interessi posto che l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto è, in questi casi, sostanzialmente in re ipsa, non potendosi tollerare il mantenimento di un atto illegittimo determinato dal contegno scorretto del privato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 8 agosto 2024, n. 7056; id., 30 giugno 2023, n. 6387).
Ciò chiarito, va ora rilevato che, come visto, nel caso concreto, parte ricorrente, quando ha presentato la SCIA del 18 maggio 2022, era consapevole del fatto che lo stato di fatto legittimo dichiarato dal progettista non era in realtà tale. Non vi era quindi alcun affidamento da tutelare e non era perciò necessario che l’amministrazione, nell’esercizio del potere inibitorio, effettuasse una comparazione di interessi.
Anche questa censura non può pertanto essere accolta.
L’ultima censura contenuta nell’unico motivo di ricorso è diretta contro la parte del provvedimento impugnato con la quale l’Amministrazione contesta la mancata produzione della documentazione necessaria a verificare il rispetto dell’art. 21.2 delle norme di attuazione del PGT.
In proposito va rilevato che, come visto, lo stesso provvedimento impugnato si fonda su una pluralità di ragioni fra cui la errata rappresentazione dello stato di fatto contenuta nel progetto. Si è visto anche che tale ragione fondante è risultata immune dalle censure dedotte nel ricorso.
L’esame dell’ultima censura può pertanto essere omesso posto che il suo accoglimento non potrebbe comunque determinare l’annullamento dell’atto (cfr. fra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 31 luglio 2020, n. 4866).
In conclusione, per tutte le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.
La complessità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Maria Ada Russo, Presidente
Giovanni Zucchini, Consigliere
Stefano Celeste Cozzi, Consigliere, Estensore