TAR Lazio (RM), Sez. II-Quater, n. 2395, del 6 marzo 2013
Urbanistica.Legittimità diniego sanatoria entro la fascia di rispetto di 150 metri dagli argini dei corsi d'acqua
Il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto di 150 metri dagli argini dei corsi d'acqua risale all'art. 82, comma 5, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ed all'art. 1 quater L. 8 agosto 1985, n. 431 (nonché all'art.7 della L.R. n. 24/1998 richiamato dall'art. 146, lett.c. del D.Lgs, n. 490/1999) e rappresenta un limite inderogabile all'attività edificatoria dei privati, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha costantemente ritenuto la presenza di manufatti nella zona di rispetto comunque incompatibile con la tutela dei luoghi indipendentemente dalle sue caratteristiche tipologiche e costruttive. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02395/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02598/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2598 del 2009, proposto da: Torrini Rosina, rappresentata e difesa dall'avv. Pietro Demontis, con domicilio eletto in Roma, via Grumo Appula,31;
contro
Il Comune di Frascati, in persona del l.r. p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Caterina Albesano, Massimiliano Graziani, con domicilio eletto presso Caterina Albesano in Frascati, piazza G.Marconi, presso la sede dell’avvocatura comunale;
per l'annullamento
del diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Frascati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Data per letta nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2013 la relazione del Consigliere Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Espone in fatto parte ricorrente:
- di essere proprietaria di un fabbricato insistente su un terreno coltivato a vigneto ed uliveto, in Frascati, della superficie complessiva di mq. 43731,00, da essa acquistato all’incanto (decreto Trib. Roma del 12.4.1999) e per il quale (fabbricato) la società cedente aveva già presentato, nel 1986, richiesta di concessione in sanatoria ai sensi della legge n.47 del 1985;
- di aver, successivamente all’entrata in vigore del d.l. n.269 del 2003 (convertito nella legge n.326 del 2009), fatta domanda di sanatoria per l’ampliamento del piano terra del fabbricato (da essa ricorrente realizzato in assenza di titolo abilitativo) e per il cambio di destinazione d’uso, da residenziale a commerciale (ristorante), del piano terra stesso: domanda respinta dall’amministrazione comunale col provvedimento in epigrafe indicato e che col corrente ricorso è stato impugnato per i profili di doglianza che vengono descritti e scrutinati nella parte motiva della presente decisione.
Il Comune di Frascati, costituitosi in giudizio, ha prodotto documentazione inerente la posizione dell’istante e con memoria ha contestato le deduzioni avversarie proponendone la reiezione.
All’udienza del 31.1.2013 la causa è stata trattenuta e spedita in decisione.
DIRITTO
I)- Reputa il Collegio opportuna, prima di procedere allo scrutinio dell’atto introduttivo del giudizio, la ricostruzione del quadro fattuale e di quello normativo che contraddistingue l’odierna controversia.
Della provenienza dell’immobile e dell’abuso edilizio cui è correlata la domanda di sanatoria si è già detto in narrativa. Tale descrizione va ora completata con i dati informativi (emergenti dagli atti di causa) seguenti:
- l’immobile ricade in area sottoposta a vincolo paesaggistico con i dd.mm. 2.2.1954 e 7.9.1962 nonchè classificata zona simica nr. 2;
- nel vigente P.R.G. l’area de qua rientra nell’ambito della “zona agricola – sottozona A1”, in cui sono consentite (Variante stralcio del comune di Frascati) le costruzioni necessarie alla conduzione agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole purchè siano realizzate su lotti aventi superfici non inferiori a 20000 mq, con indice di edificabilità pari a 0.01 mc/mq e abbiano cubatura massima di mc 900,00;
- l’immobile della ricorrente, che si definisce imprenditrice agricola, ha una superficie (del terreno) di mq 43731,00 (dunque superiore ai limite dei 20.000mq sopra riportato); mentre il fabbricato ha una cubatura (ved. perizia tecnica di parte) di mq 1050,60 ( e dunque superiore al limite sopra richiamato previsto dalle NN.TT.AA. dello strumento di piano;
- l’immobile de quo si trova a distanza di mt.136 dal lato esterno del “Fosso della Selvetta” (ved. cit. perizia di parte), identificato sia dal P.T.P. approvato con L.R. n. 24 del 1998 come “corso d’acqua pubblico”, soggetto, in quanto tale (ved. già art.146 del d.lgs n.490 del 1999 ed art. 7 c.1 della citata L.R., ad una fascia di rispetto di mt.150 per ambo i lati.
Con riferimento, invece, al quadro normativo nel cui ambito si colloca il contenzioso va richiamato il (già sopra menzionato) d.l. n. n.269 del 2003, il cui art.32 (che detta “Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali”), al comma 26 (rinviando all’allegato 1 al d.l. stesso) individua le tipologie di illecito suscettibili di sanatoria ed al successivo c.27 dispone che “27. Fermo restando quanto previsto dagli artt.32 e 33 della legge n.47 del 1985, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:
d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
Orbene, gli elementi valutativi dianzi sintetizzati, (intesi dal Comune quali ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria) sono stati partecipati, ex art.10 bis della legge n.241 del 1990, dalla resistente p.a. alla sig.a Torrini con nota del novembre 2008 che è rimasta disattesa dalla destinataria.
II)- Le doglianze azionate con la corrente domanda di giustizia possono così sintetizzarsi.
Vi è un primo motivo di diritto con cui la ricorrente – dopo aver riportato la norma di cui all’art.32 c.27, lett “d” sopra estesa e (in maniera indistinta ) le disposizioni degli artt.2 e 3 della L.R. Lazio nr. 12 del 2004 (che detta “Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi”) - sostiene che:
a) la distanza del fabbricato dal “Fosso della Selvetta” è “non inferiore a mt.150” e che detto “Fosso” non è iscritto nei corsi di acqua pubblici: e tanto in sintonia con quanto riportato nella perizia tecnica di parte allegata al gravame;
b) che la possibilità di edificare, nella zona interessata, è consentita sino alla cubatura massima di 900 mc ( e non di mc 1056,50 del fabbricato); ma, nel caso di specie trova applicazione l’art.2 della L.R. n.12/04 che consente (art.1 lett. “e”) la sanatoria delle opere abusive consistenti in “opere di ristrutturazione edilizia….. realizzate in assenza del o in difformità dal titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, eseguite all'interno della sagoma originaria del fabbricato entro e fuori terra, anche con aumento della superficie utile lorda; limitatamente alle opere di ristrutturazione edilizia degli immobili ad uso commerciale l'eventuale ampliamento della superficie utile lorda non può superare il 20 per cento della superficie utile lorda originaria e, comunque, i 200 metri quadrati”. E poiché l’ampliamento del manufatto non ha comportato aumento della volumetria superiore al 20%, ovvero superiore al limite di 900 mc, rispetto all’originaria costruzione, l’opera deve ritenersi sanabile.
Vi è poi un secondo motivo di diritto con si contesta l’erronea applicazione della norma dell’art.32 sopra citata in quanto la stessa, correttamente interpretata, esclude la sanabilità dell’opera allorquando si riscontrano, contestualmente, la sussistenza di un preesistente vincolo di edificabilità (derivante, nel caso in esame, dai dd.mm. impositivi del vincolo paesaggistico) e la non conformità alla normativa pianificatoria locale. Ora nel caso di specie, prosegue la ricorrente, poiché l’amministrazione si è limitata a richiamare il solo art.32 senza alcun rinvio specifico alla normativa di piano violata, l’atto sarebbe illegittimo per difetto di istruttoria.
Tutti i profili censori sopra rassegnati non possono essere condivisi: giudizio questo che, con immediatezza, si impone con riguardo allo scrutinio delle doglianze sub lett.”a” del I° mezzo di gravame e con riguardo al secondo di tali mezzi, atteso che:
- la doglianza sub lett.”a” è smentita dalla serena lettura della perizia di parte che attesta che l’immobile de quo si trova a distanza di mt.136 dal lato esterno del “Fosso della Selvetta”, identificato sia dal P.T.P. approvato con L.R. n. 24 del 1998 come “corso d’acqua pubblico”;
- il secondo mezzo di gravame è, anch’esso, smentito dalla lettura dell’atto avversato in cui sono specificate le disposizioni urbanistiche vigenti con cui la costruzione si pone in contrasto.
Ma è altresì infondato anche il profilo di doglianza sub lett. b), atteso che la norma regionale evocata dalla ricorrente riguarda le opere suscettibili di sanatoria non realizzate in area vincolata e, dunque, non pertinenti alla fattispecie in esame cui va applicata la norma contenuta nel successivo art.3: disposizione riguardante le “Cause ostative alla sanatoria edilizi” e che, in ogni caso, lascia fermo quanto già regolamentato dall’art.32 c.27 del d.l. n.269 del 2003.
Dunque e conclusivamente:
- poiché l’art.32 citato è previsione normativa che esclude dalla sanatoria le opere edilizie abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e della falde acquifere, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), subordinando peraltro l'esclusione a due condizioni costituite: a) al fatto che il vincolo sia stato istituto prima dell'esecuzione delle opere abusive; b) al fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (giur.za pacifica);
- poiché l’abuso commesso dalla ricorrente interessa area già paesaggisticamente vincolata ed è, nello stesso tempo, in contrasto con le previsioni di piano locali nonché con l’art.7 della l.r. L.R. n. 24/1998 [(al riguardo si rammenti la decisione di questa Sezione nr. nr.2722/2007 in cui è stato affermato che “Il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto di 150 metri dagli argini dei corsi d'acqua risale all'art. 82, comma 5, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ed all'art. 1 quater L. 8 agosto 1985, n. 431 (nonché all'art.7 della L.R. n. 24/1998 richiamato dall'art. 146, lett.c. del D.Lgs, n. 490/1999) e rappresenta un limite inderogabile all'attività edificatoria dei privati, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha costantemente ritenuto la presenza di manufatti nella zona di rispetto comunque incompatibile con la tutela dei luoghi indipendentemente dalle sue caratteristiche tipologiche e costruttive (cfr. TAR Lazio Sez. II, n. 662 del 31.1.2006; n. 13726 del 31 dicembre 2003; TAR Emilia Romagna Parma, n. 869 del 29 settembre 2001)”];
ne segue l’infondatezza del gravame in epigrafe che deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), respinge il ricorso in epigrafe,
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che, forfetariamente, liquida in €1000,00 a beneficio della resistente amministrazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere, Estensore
Maria Laura Maddalena, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)