Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
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Consiglio di Stato Sez. II n. 6678 del 30 ottobre 2020
Beni Ambientali.Sanzione pecuniaria alternativa alla sanzione di carattere reale della rimozione dell'opera
L’art. 167 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (che peraltro non consente la cd. sanatoria paesaggistica tramite il pagamento di una somma pecuniaria in caso di opere che comportano aumenti di volumetria) prevede la sanzione pecuniaria come alternativa alla sanzione di carattere reale della rimozione dell’opera realizzata senza autorizzazione paesaggistica, rimettendo la scelta tra le due all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo. Dunque, la sanzione è delineata non come mera sanzione pecuniaria, ma come sanzione riparatoria alternativa al ripristino dello status quo ante; proprio in funzione della sua natura di carattere ripristinatoria alternativa alla demolizione viene ragguagliata "al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione” e, in base all’art. 167 del d.lgs. 42 del 2004 , le somme “sono utilizzate per finalità di salvaguardia, interventi di recupero dei valori ambientali e di riqualificazione delle aree degradate”. Pertanto, come in generale per le sanzioni pecuniarie in materia edilizia, tali sanzioni pecuniarie non hanno carattere punitivo, con la conseguenza che sono sottratte al principio della responsabilità personale dell'autore della violazione, di cui alla legge n. 24 novembre 1981, n. 689, mentre la natura ripristinatoria le rende trasmissibili agli eredi come già affermato per le sanzioni pecuniarie in materia edilizia sostitutive di interventi di carattere ripristinatorio
Cass. Pen. Sez. III n. 31513 del 11 novembre 2020 (Up. 29 set. 2020)
Pres. Rosi Est. Reynaud Ric.Ciorra
Nucleare.Stabilimenti termali
Con riguardo alla violazione degli obblighi dell’esercente uno stabilimento termale di effettuare le misurazioni di concentrazione media annua di radon nell’aria al fine di valutare il rischio di esposizione dei lavoratori, vi sia continuità normativa tra la contravvenzione prevista dall’art. 142 bis d.lgs. 230/1995 e quella prevista dall’art. 205, comma 1, d.lgs. 101/2020, quest’ultima, peraltro, più severamente punita – e facente riferimento ad un livello il valore medio annuo di concentrazione di attività di radon in aria per i luoghi di lavoro inferiore - con conseguente necessità di fare applicazione dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.
Consiglio di Stato Sez. IV n. 6658 del 30 ottobre 2020
Rifiuti.Obblighi di bonifica
Il proprietario di un sito contaminato, in quanto dominus gravato da obblighi di custodia, è tenuto a porre in essere le misure di prevenzione, tra cui rientrano le MISE. La bonifica di un sito tuttora inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non direttamente responsabile dell’inquinamento, ma che sia subentrata a quella responsabile per effetto di operazioni societarie avvenute pure nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e ciò quand’anche le condotte inquinanti siano state poste in essere in epoca antecedente all’introduzione, nell’ordinamento giuridico, dell’istituto della bonifica
TAR Piemonte Sez. I n. 653 del 31 ottobre 2020
Rifiuti.Trasmissibilità mortis causa degli obblighi di bonifica
L’obbligo di bonifica, ricostruito dalla giurisprudenza come obbligo positivo e permanente di ripristinare l’ambiente danneggiato, è trasmissibile mortis causa trattandosi di situazione in fondo assimilabile alla già ritenuta trasmissibilità agli eredi degli obblighi di ripristino in materia edilizia. D’altro canto se la ratio normativa è di far gravare su colui che ha beneficiato economicamente di una attività nociva i costi del ripristino, risulta anche coerente che gli eredi che beneficiano in via successoria dei profitti tratti con tale attività ne sopportino i costi, potendo detti costi sempre essere circoscritti al limite del loro arricchimento con l’accettazione con beneficio di inventario.
Cass. Pen. Sez. III n. 31184 del 9 novembre 2020 (Up. 23 set. 2020)
Pres. Izzo Est. Noviello Ric. Maddaloni
Urbanistica.Apertura e coltivazione di cava e reato urbanistico
Per l'apertura e la coltivazione di una cava non è richiesto il permesso di costruire ond'è che in materia non è configurabile il reato di cui all'art. 44 comma 1, lett. b) dpr 380\01; ciò in considerazione del fatto che, in materia di cave e torbiere, l'autorità comunale non ha potere di controllo, ne' sotto forma di autorizzazione, ne' di concessione, perché l'attività urbanistica è strettamente correlata agli insediamenti sul territorio e, per quanto questi possano diversificarsi, è certo che non è tale una attività estrattiva. Va tuttavia precisato che l'attività di apertura e coltivazione di cava pur non richiedendo il preventivo rilascio della concessione edilizia, deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell’art. 44 lett. a) del DPR 380/01
I piani paesaggistici devono essere predisposti congiuntamente fra Regioni e Stato, in base al principio di leale cooperazione
di Stefano DELIPERI
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