Cass. Civile Sez. 1, Sentenza n. 10480 del 08/05/2006
Presidente: Proto V. Estensore: Del Core S. Relatore: Del Core S. P.M. Velardi M. (Conf.)
Barbuti (Tucci ed altro) contro Reg. Toscana (Ciofi ed altro)
(Rigetta, Trib. Lucca, 9 Agosto 2001)
SANZIONI AMMINISTRATIVE - IN GENERE - - Tutela delle acque dall'inquinamento - Scarico autorizzato - Superamento dei valori - Limite - Violazione tabelle - Responsabilità del titolare dell'autorizzazione - Esclusività.

L'art. 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (c.d. legge Merli) ha introdotto il principio (ripreso dal d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art.45) della personalità dell'autorizzazione allo scarico. Solo il titolare dell'autorizzazione allo scarico è responsabile del superamento dei valori limite di emissione previsti per legge e soltanto su di lui grava l'obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi; ne deriva che il titolare dell'autorizzazione è l'unico responsabile anche qualora il superamento dei predetti valori sia materialmente riconducibile a terzi cui egli abbia consentito l'utilizzo dello scarico.
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. DEL CORE Sergio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BARBUTI EMILIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA MUZIO CLEMENTI 68, presso l'avvocato LUCA PARDINI, rappresentata e difesa dall'avvocato TUCCI ERMINDO, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
REGIONE TOSCANA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEL VIMINALE 43, presso l'avvocato FABIO LORENZONI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato CIOFI MARY ROSA, giusta mandato in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 936/01 del Tribunale di LUCCA, depositata il 09/08/01;
udita la relaziona della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/03/2006 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE;
udito per il resistente l'Avvocato MOSCA, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ersilia Barbuti, titolare della "Lavanderia Tulipano", propose opposizione avverso l'ordinanza emanata dalla Regione Toscana in data 4 luglio 2000, con la quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di L. 4.000.000 per avere, in violazione della L. n. 319 del 1976, art. 22, superato i limiti di accettabilità della tabella K di cui alla L. R. n. 5 del 1986. Espose di essere titolare di una autorizzazione, rilasciata con deliberazione n. 1262/92, allo scarico nel sottosuolo delle acque provenienti dalla sua attività, ovverosia esclusivamente da una macchina lavatrice ad acqua. Lamentò che l'ordinanza-ingiunzione era stata emanata solo nei suoi confronti benché il medesimo sistema di smaltimento venisse utilizzato da Marilena Malfatti, titolare di un salone di parrucchiera, e da Sani Maria Corradina, proprietaria di un'abitazione, alle quali pure, in un primo momento, era stata contestata la infrazione. Soggiunse che non era possibile ricondurre con certezza la violazione di legge allo scarico originante dalla sua attività.
Nella contumacia della Regione Toscana, l'adito Tribunale di Lucca respinse l'opposizione, osservando che: l'opponente è titolare di autorizzazione allo scarico rilasciata dal Comune di Lucca il 9 luglio 1992; la L. n. 319 del 1976, art. 22, impone al titolare dello scarico il rispetto dei limiti di cui alla allegata tabella K; egli è, pertanto, l'unico soggetto responsabile in caso di violazione dei medesimi limiti; l'opponente aveva ammesso di aver consentito l'utilizzazione dello scarico a una attività di parrucchiera e a una civile abitazione; anche nel caso in cui il superamento dei limiti tabellari fosse stato causato dagli scarichi provenienti dagli immobili degli altri soggetti, responsabile del rispetto dei limiti predetti era sempre l'opponente, in quanto titolare dell'autorizzazione; su questi, infatti, ove la situazione rimanga immutata, grava l'obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare le migliorie necessarie.
Della sopra compendiata sentenza, la Barbuti ha chiesto la cassazione con ricorso sostenuto da tre motivi.
Resiste, con controricorso, la Regione Toscana.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione o la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3. Premesso che la responsabilità per l'illecito amministrativo è personale, lamenta la ricorrente che, non essendo essa l'unica a fruire dello scarico, non poteva essere riferita l'azione materiale produttrice dell'evento. Manca nella sentenza qualsiasi indagine sulle reali cause che hanno portato al superamento dei limiti di accettabilità imposti per legge e all'elemento psicologico necessario ai fini della attribuzione di responsabilità, adagiandosi la relativa statuizione su una colpa in re ipsa fondata sulla mera inosservanza della regola di condotta imposta solo sulla base della titolarità di un'autorizzazione.
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione o la falsa applicazione della L. n. 319 del 1976, art. 23. Deduce che nell'autorizzazione a suo tempo rilasciatale dalla Regione Toscana si richiedeva che gli scarichi idrici dell'attività di lavanderia non producessero un carico inquinante superiore ai limiti di accettabilità della tabella K della L. R. n. 5 del 1986, non che lo scarico nel suo insieme non superasse tali limiti. È, dunque, evidente l'errore di valutazione e di applicazione della normativa in esame da parte del giudice del merito, il quale ha ritenuto la Barbuti responsabile del rispetto dei limiti tabellari in quanto titolare dell'autorizzazione, senza curarsi minimamente di verificare se il superamento di tali limiti fosse o meno ascrivibile soltanto alla attività dalla stessa esercitata.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione o la falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23. Il giudice a quo non ha effettuato alcuna indagine e si è semplicemente limitato ad affermare la responsabilità della Barbuti in base alla titolarità di un'autorizzazione. Il materiale acquisito in esito alla svolta istruttoria non poteva fornire la prova certa che il superamento dei limiti di cui alla tabella K era ascrivibile alla sola attività di lavanderia. Da ciò consegue che, ai sensi del comma 12 della richiamata disposizione, il giudice avrebbe dovuto accogliere l'opposizione non sussistendo prove sufficienti della responsabilità dell'opponente.
In quanto ruotano intorno a un'unica questione (id est, l'accertamento della responsabilità della Barbuti) - con sovrapposizione di censure e ripetitività di concetti - i sopra riportati motivi esigono trattazione congiunta.
Assolutamente corretta è la premessa di carattere giuridico da cui il tribunale muove le proprie argomentazioni, rilevando che la Barbuti, quale esclusiva titolare del diritto di scarico, è da considerarsi destinataria della previsione normativa di cui alla L. n. 319 del 1976, art. 21, comma 3, come modificato dalla L. n. 172 del 1995, che vieta il superamento nelle acque scaricate dei limiti di accettabilità previsti dalle apposite tabelle (per il caso in esame, tabella K, allegata alla legge della Regione Toscana). Come noto, infatti, la L. 10 maggio 1976, n. 319, art. 22 (c.d. legge Merli) ha introdotto il principio (ripreso dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 45) della personalità dell'autorizzazione allo scarico. Solo il titolare dell'autorizzazione allo scarico è responsabile del superamento dei valori limite di emissione previsti per legge; solo su di lui grava l'obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi; ne deriva che egli è (l'unico) responsabile anche qualora il superamento dei predetti valori sia materialmente riconducibile a terzi cui egli abbia consentito l'utilizzo dello scarico. Del tutto inconferenti, si rivelano pertanto le doglianze concernenti il mancato accertamento del nesso di causalità tra lo scarico dell'attività della ricorrente e il riscontrato superamento dei limiti di accettabilità della tabella K di cui alla L. R. n. 5 del 1986.
La responsabilità per il superamento dei limiti di accettabilità di uno scarico - si ripete - è del titolare della relativa autorizzazione, a meno che egli ne dimostri la riconducibilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà. In altri termini, l'autorizzazione allo scarico non è un fatto meramente formale, che esonera da ogni responsabilità, ma al contrario responsabilizza il titolare, imponendogli una vigilanza e un controllo continui. Avendo consentito l'uso dello scarico a terzi, la Barbuti imputet sibi l'eventuale riconducibilità alle attività di costoro dell'accertato superamento dei limiti di accettabilità.
Nè maggior fondamento può essere riconosciuto alla censura concernente la prova dell'elemento soggettivo. È da tempo consolidato il principio secondo cui la L. n. 689 del 1981, art. 3, in base al quale in tema di sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di chi lo ha commesso, riservando a costui l'onere di provare di aver agito senza colpe (per tutte, cfr. Cass. Sez. Un. n. 10508/1995). Orbene, riguardando le argomentazioni difensive unicamente gli effetti che la presenza di altri soggetti i quali riversano reflui nello stesso scarico comporterebbe nella valutazione della condotta omissiva del titolare della relativa autorizzazione, deve ritenersi tutt'altro che superata detta presunzione; peraltro, così come prospettata, la censura in realtà non attiene specificamente al profilo soggettivo ma a quello, logicamente e giuridicamente antecedente, dell'individuazione del soggetto destinatario della norma.
Il ricorso va, in definitiva, rigettato con la conseguente condanna della sua proponente alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari d'avvocato, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2006