Cass. Sez. III n. 45262 del 9 ottobre 2018 (PU 12 lug 2018)
Pres. Rosi Est. Gai Ric. Gallelli
Rumore.Accertamenti fonometrici

Il verbale di polizia giudiziaria relativo all'accertamento in ordine alla rumorosità costituisce un accertamento urgente su cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire modificazioni o di scomparire in tempi brevi e, in quanto atto irripetibile, ai sensi dell'art. 431, comma primo, lett. b) cod.proc.pen., non è soggetto ad alcuna limitazione processuale circa i termini per la sua acquisizione e costituisce atto contenuto nel fascicolo del dibattimento e come tale utilizzabile. I rilievi fonometrici sono tipici accertamenti "a sorpresa" da inquadrare fra le attività svolte dalla polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 348 e 354, comma 2, cod. proc. pen. e non tra gli accertamenti tecnici irripetibili riguardanti cose e luoghi il cui stato é soggetto a modificazione, per i quali l'art. 360 cod. proc. pen. richiede, in quanto non ripetibili, il previo avviso all'indagato.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 settembre 2016, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città con la quale Gallelli Clelio era stato condannato, alla pena di mesi due di arresto, per il reato di cui all’art. 659 comma 1 cod.pen. perché, quale legale rappresentante della società ARPA 360 coop. a.r.l., gestore dello spazio esterno adibito a discoteca con attività di intrattenimento, emettendo mediante impianto stereo, schiamazzi degli avventori, emissioni acustiche al di sopra dei limiti di legge, disturbava il riposo e l’occupazione dei residenti, accertato in Firenze il 23 giugno 2012.
Con la medesima sentenza l’imputato era stato condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale di € 5.000,00.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Gallelli Clelio (dep. 27/07/2017) personalmente, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunciati nei limiti necessari per la motivazione secondo il disposto di cui all’art. 173 disp.att.cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. c) cod.proc.pen. in relazione alla nullità assoluta della sentenza per omesso avviso all’imputato del decreto di citazione nel giudizio di appello.
L’imputato, dopo la pronuncia della sentenza del Tribunale, in data 10/07/2011, nominava quale ulteriore difensore di fiducia l’avv. Gianpaolo Carabelli ed eleggeva nuovo domicilio in Aulla, viale Resistenza 40, mentre il decreto di citazione nel giudizio di appello era stato notificato al domicilio eletto presso il difensore di fiducia avv. Nicola Ceccuzzi. L’omessa notificazione del decreto di citazione a giudizio integrerebbe una nullità assoluta che determina la nullità della sentenza.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. c) cod.proc.pen. in relazione all’omesso avviso all’indagato del compimento di atti irripetibili, con riferimento alle misurazioni fonometriche eseguiti dalla Polizia Giudiziaria in data 23 giugno 2012, con conseguente inutilizzabilità dei risultati dell’accertamento.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’erronea applicazione della legge extrapenale n. 447/95 e del Decreto Ministero dell’Ambiente 16/03/1998.
Argomenta il ricorrente che la misurazione fonometrica effettuata dalla Polizia giudiziaria sarebbe stata compiuta in violazione delle disposizioni indicate dal Decreto Ministero dell’Ambiente 16/03/1998 che detta “Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico”, sicchè deriverebbe l’inutilizzabilità dell’accertamento compiuto in violazione delle citate disposizioni.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 659 cod.pen., e il vizio di motivazione sotto il profilo della carenza e illogicità della motivazione in punto idoneità della condotta ad arrecare disturbo alla quiete pubblica in presenza di un unico soggetto che lamentava il disturbo al riposo, poi costituito parte civile, non potendo valere quale prova l’esposto di alcuni cittadini residenti nella zona in quanto precedente all’inizio della apertura del locale discoteca all’aperto.
2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza che avrebbe escluso il rilievo che l’imputato aveva ottenuto il Nulla Osta Acustico in data 22/05/2012, dietro certificazione tecnica del rispetto delle prescrizioni dettate dal provvedimento per ridurre al massimo la produzione di rumori disturbanti.
2.6. Con il sesto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’omessa derubricazione del fatto quale illecito amministrativo di cui all’art. 10 comma 2 della legge n. 447/95 o, in subordine, dell’art. 659 comma 2 cod.pen.
2.7. Con il sesto motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione al rigetto della domanda di oblazione ex art. 162 bis cod.pen. poichè permanevano conseguenze dannose o pericolose eliminabili da parte dell’imputato, laddove il Tribunale aveva negato la domanda di oblazione perché non aveva risarcito il danno, motivazione contra ius.
2.8. Con il settimo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione al trattamento sanzionatorio, al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
2.9. Con il nono motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’omessa motivazione in ordine alla condanna al risarcimento dei danni e al pagamento di una provvisionale in assenza di prova del danno non dimostrato dalla parte civile Brenzini.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.  

5. Va, preliminarmente apprezzato il primo motivo di carattere processuale con cui il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello all’imputato, esso è manifestamente infondato.
E’ dato incontestato che l’imputato, dopo la pronuncia della sentenza del Tribunale, aveva nominato, quale difensore di fiducia, anche l’avv. Gianpaolo Carabelli ed aveva eletto domicilio in Aulla, viale Resistenza n. 40 (studio dell’avv. Carabelli). Risulta dagli atti che il decreto di citazione nel giudizio di appello è stato notificato all’imputato, a mezzo pec, presso il difensore avv. Nicola Ceccuzzi, precedente domicilio. Risulta, poi, che alla prima udienza del giudizio di appello era presente l’avv. Carabelli anche in sost. dell’avv. Ceccuzzi e che nessuna eccezione in merito alla notificazione del decreto di citazione all’imputato era stata sollevata.
Ora, deve rammentarsi che, a far tempo dalla pronuncia delle S.U. n. 119 del 2004, Palumbo, la giurisprudenza di legittimità ha distinto i casi di omessa notificazione di un atto da quelli nei casi in cui il vizio attiene al procedimento di notificazione dello stesso ed ha affermato che la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato, mentre la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539; Sez. 5, n. 8826 del 10/02/2005, Bozzetti, Rv. 231588; Sez. 6, n. 34170 del 04/07/2008, Fonzi, Rv. 240705; Sez. F, n. 39159 del 12/08/2008, Ladisa, Rv. 241124; Sez, 2, n. 48260 del 23/09/2016, Zinzi, Rv. 268431).
Nella specie la notificazione, pur eseguita in forme irregolari, è stata tuttavia idonea a determinare la conoscenza dell'atto in capo all'imputato in quanto il decreto di citazione è stato consegnato via PEC al difensore di fiducia avv. Ceccuzzi, difensore di fiducia, E’ principio più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la nullità conseguente alla notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato è di ordine generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore (Sez. 4, n. 40066 del 17/09/2015, Bellucci, RV 264505; Sez. 1, n. 17123 del 07/01/2016, Fenyves, RV 266613).
Ne consegue che la citazione dell’imputato come intervenuta nel caso di specie non possa considerarsi inesistente e quindi equiparabile ad una notificazione "omessa", ma debba piuttosto reputarsi idonea, in concreto, a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, con la conseguenza che la nullità determinatasi essendo non assoluta ma generale e di natura intermedia, avrebbe dovuto essere dedotta entro i termini di cui all’art. 182 cod.proc.pen. ed essendo soggetta alla sanatoria di cui all’art. 184 cod.proc.pen., non può essere eccepita per la prima volta in cassazione.

6. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Risulta in punto di fatto (cfr. pag. 2) che la Polizia Municipale aveva effettuato, con apposita apparecchiatura, le misurazioni fonometriche, nelle prime ore del 23/06/2012, che il verbale di accertamento era stato acquisito ed era stato sentito l’agente di P.G. che aveva effettuato le misurazioni che attestavano l’eccessività dei rumori anche scorporando il rumore di fondo (il rumore saliva fino al 48,9 dB).
Ciò premesso, deve rammentarsi che, per costante indirizzo interpretativo di questa Corte di legittimità, il verbale di polizia giudiziaria relativo all'accertamento in ordine alla rumorosità costituisce un accertamento urgente su cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire modificazioni o di scomparire in tempi brevi e, in quanto atto irripetibile, ai sensi dell'art. 431, comma primo, lett. b) cod.proc.pen., non è soggetto ad alcuna limitazione processuale circa i termini per la sua acquisizione e costituisce atto contenuto nel fascicolo del dibattimento e come tale utilizzabile (Sez. 3, n. 36965 del 12/07/2007, Di Luzio, Rv. 237393). I rilievi fonometrici sono tipici accertamenti "a sorpresa" da inquadrare fra le attività svolte dalla polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 348 e 354, comma 2, cod. proc. pen. e non tra gli accertamenti tecnici irripetibili riguardanti cose e luoghi il cui stato é soggetto a modificazione, per i quali l'art. 360 cod. proc. pen. richiede, in quanto non ripetibili, il previo avviso all'indagato (Sez. 1, n. 632 del 07/12/2006, Curcio, Rv. 236561). Consegue la manifesta infondatezza della censura di violazione della legge processuale e inutilizzabilità dell’accertamento compiuto dalla Polizia Giudiziaria.

7. Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, che attengono a diversi profili dell’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 659 cod.pen. e possono essere trattati congiuntamente, sono anch’essi manifestamente infondati.
Deve preliminarmente rilevarsi che il reato contestato all’imputato, quale gestore dello spazio discoteca all’aperto, è quello di aver arrecato disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone, ex art. 659 cod.pen., da cui la non conferenza del tema delle modalità di acquisizione della prova dell’inquinamento acustico, secondo il D.M. n. 447/95 e del Decreto Ministero della Salute del 16/03/1998.
In altri termini, la contravvenzione di cui all’art. 659 cod.pen. è integrata allorchè l’attività posta in essere dall’autore del fatto sia concretamente idonea ad arrecare disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, da cui la conseguenza che la prova del disturbo può essere liberamente raggiunta, purchè il convincimento del giudice sia sorretto da adeguata motivazione.
In tale ambito è stato condivisibilmente affermato che la responsabilità per il reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell'effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l'idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato (Sez. 1, n.44905 dell’11/11/2011, Mistretta, Rv. 251462), di tal chè priva di rilievo è l’ulteriore censura secondo cui la circostanza che il disturbo sia stato arrecato ad un’unica persona (poi costituita parte civile) esclude il reato. Ed ancora, la prova dello stesso, poi, ben può essere argomentata sulla scorta degli elementi di prova in atti non essendo condizionata dalla osservanza delle norme dettate in tema di inquinamento acustico. Da cui la manifesta infondatezza della dedotta violazione di legge di cui all’art. 659 cod.pen..
Infatti, dalla sentenza impugnata risulta che l’imputato era stato autorizzato a gestire una discoteca all’aperto con prescrizione di ridurre al massimo le emissioni sonore e che, in data 23/06/2012, era stato rilevato il superamento dei decibel consentiti e che il rumore risultava particolarmente elevato e caratterizzato da musica, voci, schiamazzi e cori degli avventori, che i residenti della zona avevano depositato numerosi esposti lamentando l’eccessivo rumore prodotto dalla discoteca, situazione confermata, in particolare, dal teste Brenzini presso la cui abitazione erano stati svolti i rilievi fonometrici, e da tali elementi ha tratto la prova del reato che ha congruamente argomentato.
Non ricorre la fattispecie di cui all’art. 10 comma 2 della L. 447/95.
Come argomentato dal recente arresto - Sez. 3, n. 25424 del 5/6/2015 (dep. 20/6/2016), Pastore, non massimata – la Corte di cassazione, ripercorrendo la ricostruzione della fattispecie prevista dall'art. 659 cod. pen. nel suo complesso e dei rapporti intercorrenti tra il primo e secondo comma e tra la norma penale e l'illecito amministrativo, delineato dall'art. 10 comma 2 della L. 447/95, ha ribadito il principio in forza del quale l'ambito di operatività dell'art. 659 cod.pen., con riferimento ad attività o mestieri rumorosi, deve essere individuato nel senso che l'illecito amministrativo ricorre solo nella residuale ipotesi in cui si verifichi soltanto il mero superamento dei limiti di emissione fissati secondo i criteri dettati dalla menzionata Legge quadro sull'inquinamento acustico, attuato attraverso l'impiego o l'esercizio delle sorgenti individuate dalla legge medesima; mentre, quando la condotta si sia concretizzata nella violazione di disposizioni di legge o prescrizioni dell'autorità che regolano l'esercizio del mestiere o dell'attività, sarà applicabile la contravvenzione sanzionata dall'art. 659 c.p., comma 2; ed ancora, nel caso in cui le attività di cui sopra vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, in modo da attuare una condotta idonea a turbare la pubblica quiete, sarà configurabile la violazione sanzionata dall'art. 659 c.p., comma 1°.
Dall’accertata circostanza che la rumorosità eccessiva e disturbante era anche prodotta dagli schiamazzi degli avventori e, perfino, dai cori di costoro, discende la prova della condotta punita ex art. 659 cod.pen.
Da cui la manifesta infondatezza del sesto motivo di ricorso. Nel richiamare l’approfondita ricostruzione della fattispecie prevista dall'art. 659 cod. pen. nel suo complesso e dei rapporti intercorrenti tra il primo e secondo comma, e tra la norma penale e l'illecito amministrativo, delineato dall'art. 10 comma 2 della L. 447/95, operata nella giurisprudenza di legittimità (da ultimo da Sez. 3, n. 42026 del 18/09/2014, Claudino, Rv. 260658, e ancor più di recente in Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015, Giuffrè, Rv. 261885 anche richiamata dal ricorrente), la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte ed ha correttamente escluso la ricorrenza della fattispecie amministrativa.
Infine, in tale ambito è inconferente che il ricorrente avesse ottenuto il Nulla Osta Acustico. In primo luogo, non copre l’illiceità dei rumori prodotti da schiamazzi degli avventori tenuto conto che al gestore è imposto l'obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo "ius excludendi" o all'autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica (Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015, Gallo, Rv. 264501) e, comunque, non impedisce che si verifichi il superamento in concreto in un contesto temporale che integra la condotta di disturbo del riposo delle persone.

8. Il settimo motivo di ricorso è, nuovamente, manifestamente infondato.
La Corte d’appello a pag. 5, ha correttamente escluso che potesse essere accolta la domanda di oblazione, ex art. 162-bis cod.pen., e ciò in ragione della permanenza delle conseguenze dannose o pericolose eliminabili da parte del contravventore.
Come è noto l’art. 162 bis cod.pen. subordina l’accoglimento della domanda di oblazione, nei casi di reati puniti con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose (art. 162 bis comma 3 cod.pen.), sicchè correttamente i giudici del merito avevano rigettato la domanda  e, la Corte d’appello ha argomentato che, a fronte del rigetto della domanda di oblazione da parte del Tribunale, il ricorrente neppure aveva offerto dimostrazione che tali conseguenze erano invece cessate.

9. Il nono motivo di ricorso con cui il ricorrente censura la sentenza in punto trattamento sanzionatorio, diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena, è manifestamente infondato e, anche in parte, generico.
La Corte d’appello, in continuità con la pronuncia del Tribunale, ha congruamente argomentato che la condotta di reato era proseguita anche negli anni successivi all’episodio contestato, che il ricorrente non aveva indicato elementi positivi che avrebbero giustificato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Al riguardo deve rammentarsi che non può formare oggetto di ricorso per Cassazione il lamentato vizio di motivazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Botta, Rv. 262700).
Ne consegue, con riguardo al caso in scrutinio, che il motivo per cassazione proposto è inammissibile sul rilievo della genericità originaria dello stesso. Va peraltro rilevata anche la manifesta infondatezza del motivo attesa la congrua e adeguata motivazione avendo la corte territoriale confermato il trattamento sanzionatorio sul rilievo della permanenza della condotta, permanenza che giustifica la pena detentiva e che non consente una prognosi favorevole di astensione dalla commissione di altri reati, valutazione necessaria per la concessione del beneficio di cui all’art. 163 cod.pen. che ha, così, negato.

10. L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile per le ragioni qui esposte.
Nella recente pronuncia S.U. n. 53153 del 27/10/2016, C., Rv 268179, la Corte di cassazione, nella sua massima espressione, ha statuito, in motivazione (par. 9.2), che il provvedimento con il quale viene condannato l’imputato al pagamento di una provvisionale non è autonomamente ricorribile per cassazione ove la doglianza involga il quantum debeatur, in assenza di censure che involgano la sussistenza del diritto alla provvisionale.
Nel caso in esame, dai motivi di appello (pag. 7) risulta che il ricorrente si era limitato a chiedere la revoca dell’esecutività della provvisionale ex art. 600 comma 3 cod.proc.pen., ma non conteneva censure in punto sussistenza del diritto alla provvisionale. Ora non possono essere svolte nuove censure inerenti al diritto al risarcimento del danno in favore della parte civile e alla provvisionale.

11. Il Collegio rileva che la prescrizione è maturata in data 23/02/2017, in epoca successiva alla deliberazione della sentenza impugnata pronunciata il 26/09/2016. Peraltro, va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p." (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).

12. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12/07/2018