TAR Sicilia (CT) Sez. I n.2174 del 15 settembre 2020
Acque.Bonifica, acque sotterranee e punto di conformità

Diversamente dalla precedente disciplina di cui al d.m. n. 471 del 1999, quella attuale prevede gli obblighi di bonifica, con redazione di apposito progetto, soltanto nel caso risultino superati i valori di CSR, in quanto soltanto in tal caso il legislatore qualifica il sito come «contaminato», mentre definisce «sito non contaminato» quello in cui sono stati rilevati valori superiori alle CSC e non alle CSR, eccetto il caso previsto dall’Allegato 1 al Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prescrive che nel «punto di conformità» delle acque sotterranee, cioè nel punto a valle idrogeologico della sorgente di inquinamento «fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica», per ciascuna sostanza contaminante devono essere rispettati i valori di CSC. Per le acque sotterranee il punto di conformità rappresenta, dunque, il punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali e che, in attuazione del principio generale di precauzione, deve essere di norma fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica e la relativa CSR per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all’Allegato 5 della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006.


Pubblicato il 15/09/2020

N. 02174/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01500/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1500 del 2019, proposto da Air Liquide Italia Produzione s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Sallicano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- l’ARPA Sicilia - Agenzia Regionale Protezione Ambiente; l’Assessorato territorio e ambiente della Regione Siciliana; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, tutti in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato presso i cui uffici distrettuali sono per legge domiciliati in Catania, via Vecchia Ognina, n. 149;

nei confronti

- il Libero consorzio comunale di Siracusa, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

«1) della nota dell’ARPA Sicilia, Struttura Territoriale UOC di Siracusa, datata 17 giugno 2019,

n. 0031541, avente per oggetto “SIN Priolo – Air Liquide Italia Produzione srl, Centrale ASU in

c.da Biggemi: Validazione Monitoraggio Acque di falda – Giugno 2017” […];

2) della nota dell’ARPA Sicilia, Struttura Territoriale UOC di Siracusa, datata 17 giugno 2019,

n. 0031542, avente per oggetto “SIN Priolo – Air Liquide Italia Produzione s.r.l., Centrale IA in c.da Giannalena: Validazione Monitoraggio Acque di falda – Giugno 2017” […];

3) di ogni altro atto presupposto collegato, consequenziale e/o comunque, connesso».


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di ARPA Sicilia - Agenzia Regionale Protezione Ambiente, Palermo; dell’Assessorato territorio e ambiente della Regione Siciliana; del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

Viste le memorie delle parti;

Vista l’ordinanza di questo T.a.r. n. 677/2019 e la successiva ordinanza Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n. 118/2020;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2020, tenutasi con le modalità di cui all’art. 84 d.l. n. 18 del 2020 nel testo risultante dalla legge di conversione, il dott. Giuseppe La Greca;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1.- Air Liquida Italia Produzione s.r.l. (di seguito «ALIP») è titolare di impianti industriali siti in due distinte località. Il primo, riguardante, tra le altre, l’attività di frazionamento dell’aria, sito in c. da Biggemi, zone industriale di Priolo Gargallo (c.d. Centrale IA, Istrument Air, ex centrale II); il secondo impianto (articolato in tre aree, A, B e C), nel quale sono svolte analoghe attività, sito nel medesimo Comune, c. da Giannalena.

2.- I predetti impianti sono pervenuti alla ricorrente da trasferimento di altri operatori industriali e sottoposti a iniziative di ampliamento e adeguamento.

3.- I siti, negli anni, avrebbero costituito oggetto di monitoraggio dell’esistenza di sostanze inquinanti e, secondo quanto esposto, nel novembre 2008 sarebbe stato sottoscritto un accordo di programma per il risanamento.

4.- Rinvenuto, ad opera di ARPA Sicilia, il superamento di alcuni parametri di legge, la conferenza di servizi presso il Ministero dell’ambiente, in adesione alla proposta di ALIP, nel dicembre 2014 avrebbe dettato specifiche prescrizioni.

5.- All’esito delle attività eseguite dalla ricorrente sui siti in argomento, sarebbe emerso il seguente esito:

a) in relazione alla Centrale ASU (c.da Biggemi) non sarebbe emerso il superamento dei valori di CSC (concentrazione soglia di contaminazione) e di CSR (concentrazioni soglia di rischio), sicché la stessa ricorrente non avrebbe proceduto all’elaborazione di un documento di analisi di rischio sanitario;

b) in relazione alla Centrale IA (c.da Giannalena) sarebbe stato rinvenuto il superamento delle CSC: la ricorrente avrebbe evidenziato che nessuno dei parametri ricercati supererebbe i valori delle rispettive CSC nei tre piezometri di valle flusso (Pn1, Pn2 e Pn3) e che gli unici elementi per i quali potrebbe pensarsi ad un «percorso» sanitario (ai fini delle CSR) sarebbero il tricloroetilene e il tetracloroetilene (art. 268, comma 1, lettera II, d.lgs. 152 del 2006), ma non risulterebbe l’esistenza di edifici nell’immediata vicinanza del piezometro P1 e di attività lavorative continuative.

6.- Data la predetta scansione temporale delle attività svolte, l’ARPA:

a) con riferimento al sito di c.da Biggemi (Centrale ASU), ha dato atto del campionamento di tutti i piezometro interni al sito (P1, P2, PN1 e PN2); ha validato nel 1° livello di screening i parametri per i quali tutti i valori di concentrazione risultavano inferiori alla metà delle corrispondenti CSC; ha verificato, nel 2° livello di screening, i valori di concentrazione >50% delle CSC e, con riferimento al tricolorometano (cloroformio), ha prescritto «azioni di messa in sicurezza che ALIP dovrà tempestivamente intraprendere e comunicare ai sensi dell’art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, con particolare riferimento al punto di conformità»;

b) con riferimento al sito di c.da Giannalena (Centrale IA), ha dato atto del campionamento di tutti i piezometri interni al sito (P1, PN1, P2, PN2, PN3, PN4 e PN6); ha validato nel 1° livello di screening i parametri per i quali tutti i valori di concentrazione risultavano inferiori alla metà delle corrispondenti CSC; ha verificato, nel 2° livello di screening, i valori di concentrazione >50% delle CSC e, con riferimento all’arsenico (As), benzene e composti alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni, ha, anche qui, prescritto le azioni di messa in sicurezza secondo quanto sopra detto.

7.- Il ricorso si articola in un unico motivo di doglianza con il quale la ricorrente ha dedotto i vizi di violazione di legge (artt. 240 e 242 d. lgs. n. 152 del 2006) ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Il punto focale della doglianza di parte ricorrente è dato dall’asserita sovrapposizione, ad opera dell’Amministrazione, delle CSC e delle CSR relative alle acque di falda. Premesso che le CSC, per la loro natura di strumenti volti a riconoscere la presenza di sostanze inquinanti, rappresenterebbero i livelli di contaminazione delle matrici ambientali al di sopra dei quali sono richiesti la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio specifica, le CSR riguarderebbero valori – soglia per dar luogo agli interventi di bonifica e di messa in sicurezza all’esito della caratterizzazione.

8.- Nella lettura che ne dà parte ricorrente, i provvedimenti impugnati volti a prescrivere le azioni di bonifica non sarebbero in linea con il dato normativo di riferimento in considerazione che:

- non sussisterebbe l’accertamento che soggetti ricettori possano trovarsi in corrispondenza della sorgente (on-site) o ad una certa distanza (off-site) tale da subire l’esposizione con conseguente rischio cronico per la salute dell’uomo e per l’ambiente (in tal senso non sarebbero riportati elementi istruttori);

- la decisione sarebbe incoerente - se non contraddittoria - con le precedenti decisioni ARPA di riconoscimento di non pericolosità delle CSC riscontrate, incoerenza che si evincerebbe dall’intimazione di azioni di ripristino immediate, disposta a distanza di tempo dagli accertamenti risalenti al 2017.

9.- Ha affermato ALIP di non essere responsabile dell’inquinamento e di non poter essere chiamata a rispondere di colpe altrui.

10.- Si sono costituite in giudizio tutte le intimate Amministrazioni le quali, con articolata memoria, hanno concluso per l’infondatezza delle pretese della parte privata.

Esse hanno argomentato che:

a) quanto alla Centrale ASU di c.da Biggemi, nei diversi piezometri sarebbero state rinvenute concentrazioni di valore di talune sostanze superiori alle soglie di legge: poiché detti piezometri hanno la minore quota assoluta in falda devono essere considerati quali c.d. punti di conformità (all. 1, parte IV, titolo V, d lgs. n. 153 del 2006). Ne discenderebbe che poiché il superamento dei valori di CSC al punto di conformità costituisce una contaminazione (e non, in tesi, una potenziale contaminazione), andrebbero imposte misure di prevenzione e di messa in sicurezza ai sensi dell’art. 242 d. lg. n. 152 del 2006 a cui, invero, avrebbe dovuto provvedere la ricorrente già dal 2017 anche nella qualità di «soggetto interessato non responsabile della contaminazione», senza necessità di autorizzazioni.

11.- Con una seconda memoria la parte pubblica – nel dubitare financo della impugnabilità degli atti con i quali sono state dettate le prescrizioni in considerazione che l’Amministrazione si sarebbe limitata a richiamare gli obblighi di legge – ha ribadito l’asserita erroneità della ricostruzione di ALIP circa la dedotta sovrapposizione di CSC e CSR in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione e, quanto al compendio degli obblighi gravanti sulla parte privata, ha richiamato la circostanza che ha visto la stessa ALIP attivarsi autonomamente e spontaneamente con la presentazione del piano di caratterizzazione, dovendosi nel caso di specie fare applicazione del principio di precauzione.

12.- All’esito della delibazione dell’istanza cautelare il Collegio l’ha respinta; in sede d’appello è stata disposta la sollecita fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

13.- Va dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare poiché estraneo alla vicenda procedimentale.

14.- In via preliminare devono disattendersi i dubbi circa l’ammissibilità del ricorso in ragione della natura delle note impugnate: le stesse, infatti, seppur in asserita applicazione del dato legislativo di riferimento, costituiscono, seppur genericamente, un ordine di facere alla società ricorrente la quale in modo rituale ha adito questo Tribunale al fine di giungere all’invocata pronuncia caducatoria.

15.- Il ricorso, alla stregua di quanto di seguito si dirà, è infondato.

16.- Diversamente dalla precedente disciplina di cui al d.m. n. 471 del 1999, quella attuale prevede gli obblighi di bonifica, con redazione di apposito progetto, soltanto nel caso risultino superati i valori di CSR, in quanto soltanto in tal caso il legislatore qualifica il sito come «contaminato», mentre definisce «sito non contaminato» quello in cui sono stati rilevati valori superiori alle CSC e non alle CSR, eccetto il caso previsto dall’Allegato 1 al Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prescrive che nel «punto di conformità» delle acque sotterranee, cioè nel punto a valle idrogeologico della sorgente di inquinamento «fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica», per ciascuna sostanza contaminante devono essere rispettati i valori di CSC.

Per le acque sotterranee il punto di conformità rappresenta, dunque, il punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali e che, in attuazione del principio generale di precauzione, deve essere di norma fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica e la relativa CSR per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all’Allegato 5 della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006.

In altre parole, è la legge che fissa, in tal senso, la soglia oltre la quale deve ritenersi sussistente una contaminazione.

Sul punto va ricordato che nel documento di ALIP denominato «Risultati del monitoraggio delle acque sotterranee – Giugno 2017» (doc. all. n.8 produzione di parte ricorrente) emerge, al §3.2 «Risultati analitici delle analisi effettuate sui campioni delle acque di falda», che:

a) con riferimento al sito di c.da Biggemi, durante il campionamento effettuato a giugno 2017 sono stati rilevati «superamenti per il cloroformio nei piezometri P1, PN2 e P2, rispettivamente pari a 0,31 µg/L, 1,7 µg/L e 0,31 µg/L rispetto ad una CSC di 0,15 µg/L» e che il punto PN1 costituisce, per tale sito, il punto di conformità;

b) con riferimento al sito di c.da Giannalena, è incontestato che durante il campionamento effettuato a giugno 2017 è stata rilevata nel Piezometro PN3 una concentrazione di tetracloroetilene « pari a 78 µg/l e un valore di sommatoria di organoalogenati pari a 79 µg/l» e che il punto PN3 costituisce anch’esso, punto di conformità.

17.- Tale quadro delle risultanze delle indagini ambientali esclude il correlato dedotto difetto di istruttoria: i dati emergenti dalla documentazione predisposta dalla parte ricorrente e di cui si è fatto cenno imponevano, in forza della surrichiamata disciplina che definisce il punto di conformità, l’adozione delle dovute iniziative da parte della pubblica amministrazione.

18.- Diversa è la questione – adombrata in ricorso da parte ricorrente in modo del tutto generico e poi ripresa nelle memorie – se tali misure potevano o dovevano essere prescritte quali obblighi in capo alla parte ricorrente la quale, come si è detto, quantomeno in parte ritiene non essere responsabile dell’inquinamento.

19.- Giova ricostruire, per quanto qui di interesse, il quadro normativo di riferimento relativo agli obblighi gravanti sul responsabile dell'inquinamento e sul proprietario dell'area.

19.1- L’articolo 240, comma 1, lettere m) e p), del d.lgs. n. 152 del 2006 definisce le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica dei siti inquinati.

19.2- L'art. 242 disciplina gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile dell'inquinamento, che si tratti di contaminazione recente o storica, per quanto riguarda in particolare l'adozione delle necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d'urgenza, la comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti e l'esecuzione delle attività di bonifica.

19.3- L'art. 244 disciplina i casi in cui sia stato accertato che la contaminazione abbia superato i valori di concentrazione soglia di contaminazione.

In questo caso, l’Amministrazione diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione «a provvedere ai sensi del presente titolo» e quindi anche all'adozione delle misure indicate nell'art. 242».

Il comma 3 stabilisce che «l'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 253».

Il successivo comma 4 stabilisce che «se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'articolo 250».

19.4.- L'articolo 245 al comma 1 stabilisce che: «Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili».

Secondo il comma 2 della medesima disposizione, «Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità».

10.5.- L'articolo 250 stabilisce che «Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio».

20.1.- Dal quadro normativo illustrato, secondo l'approdo interpretativo del Consiglio di Stato compendiato nell'ordinanza dell'Adunanza plenaria n. 21 del 2013 (richiamata in Cons. Stato, sez. IV, n. 7121 del 2018), emerge che è il responsabile dell'inquinamento il soggetto sul quale gravano, ai sensi dell’art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006, gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione.

20.2.- Il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione (da riferirsi anche alle contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione).

20.3.- A carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun ulteriore obbligo di facere; in particolare, egli non è tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area libera da pesi (art. 245).

20.4.- Nell'ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso - e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dall'amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253).

21.- La giurisprudenza (cfr., tra tutte, la giurisprudenza ampiamente richiamata in Cons. Stato, sez. IV, n. 7121 del 2018, cit. e qui riportata) ha ricordato che:

- nella materia di cui trattasi ci si trova «al cospetto di una ipotesi (quantomeno assimilabile ad una fattispecie) di responsabilità ex art. 2043 cc»; con l'ulteriore conseguenza che tale inquadramento, nell'ipotesi in cui l'inquinamento derivi da una pluralità di contributi, comporta "di necessità una fattispecie ascrivibile sub art. 2055 cc (solidarietà passiva)» (Cons. St., sez. IV, n. 5668 del 2017);

- quanto all’individuazione del soggetto responsabile dell'inquinamento, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta delle indicazioni derivanti dalla Corte di giustizia UE, esclude l'applicabilità di una impostazione «penalistica» (incentrata sul superamento della soglia del «ragionevole dubbio») , trovando invece applicazione, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area ed inquinamento dell'area medesima, il canone civilistico del «più probabile che non» (cfr., ancora, in termini la sentenza n. 5668 del 2017 ed i precedenti ivi indicati);

- la Corte di giustizia UE, nell'interpretare il principio «chi inquina paga» (che consiste nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l'inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento;

- per poter presumere l'esistenza di un siffatto nesso di causalità «l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all'art. 4, n. 5, della direttiva n. 2004/35/CE, un'ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione» (Corte giustizia UE, n. 534 del 2015; cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9 marzi 2010, in causa C-378/08);

La prova può quindi essere data «in via diretta o indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c.» (Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).

22.- Nel caso di specie è sostanzialmente incontroversa tra le parti (cfr. memoria di parte pubblica del 21 ottobre 2019) la carenza di responsabilità di ALIP nelle vicende di inquinamento che hanno interessato la centrale di c.da Giannalena, mentre non lo è in relazione all’altra centrale, quella di c.da Biggemi, in relazione alla quale i valori rilevati (posti a base della difesa dell’Amministrazione) denoterebbero il carattere recente dell’inquinamento, affermazione che si scontra con le considerazioni di parte ricorrente, secondo cui la presenza di solventi clorurati nelle acque di falda non può essere attribuita a una sorgente di contaminazione interna alla Centrale ALIP-ASU. Se così fosse - secondo ALIP - ci sarebbero valori di concentrazione sicuramente più elevati e con un andamento più stabile nel tempo; viceversa, l’andamento delle concentrazioni sembrerebbe, in tesi, riflettere maggiormente la variabilità tipica dei fenomeni di trasporto, attraverso i quali le sostanze inquinanti in fase disciolta migrano col deflusso naturale della falda.

23.- A parte la circostanza che in presenza di dati che vedono uno scostamento dei valori della centrale di c.da Biggemi nel senso di far dubitare della estraneità della ricorrente al fenomeno inquinante, ALIP «non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi” ma deve “provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell'inquinamento» (Cons. Stato, sez. IV, n. 5668 del 2017), un dato è qui certo: la genericità delle prescrizioni dell’Amministrazione va letta nel senso di lasciare ad ALIP la scelta del ventaglio delle soluzioni più idonee da attuare anche in relazione alle esigenze di continuità aziendale (peraltro dalla stessa vagamente allegate). Ne discende che i provvedimenti, più che porsi in una situazione di contrasto con lo schema dei poteri in materia ambientale tratteggiato dal d. lgs. n. 152 del 2006, si mostrano in un’ottica di continuità con le risultanze del procedimento al quale nel corso degli anni la ricorrente, la quale pure ha presentato il piano di caratterizzazione, ha attivamente partecipato. Essa, dunque, è qui per legge chiamata quanto alla centrale per la quale emerge la responsabilità dell’inquinamento all’attuazione delle iniziative proprie dei soggetti responsabili secondo la previsione dell’art. 242 d. lgs. n. 152 del 2006, quanto all’impianto per il quale la responsabilità non è accertata, alla – unica – specifica obbligazione di facere prevista per i soggetti non responsabili, ossia l'adozione delle misure di prevenzione di cui all'art. 245, comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006, attività, tutte, che muovono dall’iniziativa privata. In tal senso va ricordato che il proprietario non responsabile è tenuto – espressamente – alle «misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242», che il precedente art. 240, comma 1, lett. 1) definisce come «iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia».

24.- Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso va rigettato con compensazione delle spese di giudizio in ragione della peculiarità della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione prima), rigetta il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020, in collegamento simultaneo da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Pancrazio Maria Savasta, Presidente

Giuseppe La Greca, Consigliere, Estensore

Giuseppina Alessandra Sidoti, Primo Referendario