Cass. Sez. III n. 14482 del 24 marzo 2017 (Ud 7 dic 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Renoldi Imputato: Bevilacqua e altro
Alimenti.Pubblicazione della sentenza di condanna

È esclusa l'applicazione della pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna prevista dai commi 4 e 5 dell'art. 6 Legge n. 283 del 1962 qualora con la sentenza di condanna sia stato accertato solo un cattivo stato di conservazione degli alimenti, ex art. 5 lett. b) della stessa legge, senza riferimenti ad effetti intossicanti o pericolosi per la salute.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 16/12/2015 il Tribunale di Verbania condannò B.D. e T.R. alla pena di 1.000,00 Euro di ammenda ciascuno in quanto ritenuti colpevoli del reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, comma 1, lett. b), per avere, nella loro qualità di legali rappresentanti della società La Comunella di B.D. e T.R. esercente attività di ristorazione sotto l'insegna (OMISSIS), detenuto, in vista della successiva distribuzione per il consumo, sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione (capo B). Con lo stesso provvedimento i due imputati furono, altresì, condannati alla pena accessoria della pubblicazione, per estratto, della sentenza di condanna e per una sola volta sulla cronaca locale del quotidiano (OMISSIS). B. e T. furono, invece, assolti, perchè il fatto non sussiste, in relazione ai reati di commercio di sostanze alimentari nocive ex art. 444 c.p. (capo A) e di "tentata frode alimentare" di cui all'art. 56 e 515 c.p. (capo C).

2. Avverso la predetta sentenza gli imputati propongono ricorso per cassazione, a mezzo del difensore fiduciario.

2.1. Con un primo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 533 c.p.p., comma 1. La sentenza di condanna, violando il canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, avrebbe omesso di considerare le risultanze istruttorie e una serie di elementi di valutazione portati dagli imputati a sostegno della tesi difensiva, come la testimonianza del cuoco del ristorante, Bo.Pa., il quale avrebbe riferito di non aver mai utilizzato gli alimenti detenuti in cattivo stato di conservazione per la preparazione dei piatti offerti al pubblico e che gli stessi sarebbero avanzati dopo il cambio di menu, venendo colà conservati dai titolari per il successivo consumo personale o per essere donati, come nel caso del pane vecchio, per darlo agli animali. Inoltre, i ricorrenti deducono, a sostegno della tesi difensiva, una serie di argomenti logici, quali: la circostanza che nessuno di tali alimenti fosse indicato tra quelli contenuti nel menu acquisito dai Carabinieri nel corso dell'ispezione effettuata; che essendo state rinvenute "materie prime ricoperte da copiosa polvere" sarebbe illogico pensare che esse venissero quotidianamente utilizzate dagli imputati per la preparazione dei piatti; che esistendo, all'interno del ristorante, un locale deposito con una cella frigorifera di dimensioni rilevanti e perfettamente a norma, costato "ingenti investimenti", sarebbe stato illogico utilizzare, per conservare alimenti da somministrare al pubblico, il gazebo situato all'esterno del locale. Quanto, poi, al rinvenimento del pesce denominato "tilapia", indicato come sostanza alimentare presente nel menu del ristorante all'epoca dell'ispezione, esso sarebbe stato, in realtà, rinvenuto nel congelatore a colonna posto nel locale deposito, situato al piano terreno del ristorante, sicchè il Tribunale avrebbe travisato il contenuto del verbale di sequestro 18/08/2012 allegato al decreto di citazione.

2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l'inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione alla L. n. 283 del 1962, art. 6, e art. 36 c.p., che prevedono la pubblicazione della sentenza di condanna nei soli casi di "frode tossica o comunque dannosa per la salute".

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente censura, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), in relazione all'art. 190 c.p.p., e art. 495 c.p.p., commi 2 e 4, la mancata assunzione di una prova decisiva a discarico (testimonianza di P.L.), inizialmente ammessa dal Tribunale e, poi, revocata con l'ordinanza 10/12/2015 in quanto ritenuta superflua.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono solo parzialmente fondati e, dunque, devono essere accolti per quanto di ragione.

2. Il primo e il terzo motivo presentano evidenti profili di connessione che ne suggeriscono una trattazione unitaria.

Preliminarmente è opportuno ricordare che la L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), punisce chi impiega nella preparazione di alimenti o bevande, detiene per vendere o comunque distribuisce per il consumo sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione.

2.1. Orbene, il giudice di prime cure ha posto in luce una serie di concreti elementi di fatto che sono stati ritenuti indicativi, in maniera non illogica, del cattivo stato di conservazione di alimenti rinvenuti, in occasione del sopralluogo da parte dei Carabinieri, su alcune scaffalature ed in un congelatore a pozzetto, a loro volta custoditi in un gazebo presente nell'area del ristorante. La sentenza impugnata, infatti, ha evidenziato che detti alimenti dovessero pacificamente considerarsi "in cattivo stato di conservazione". Ciò in quanto i prodotti presenti nel congelatore, in origine freschi, erano stati congelati senza essere sottoposti a processi di abbattimento della temperatura, venendo conseguentemente "invasi da brina e da bruciature da freddo"; mentre sugli scaffali erano state rinvenute materie prime coperte da polvere, prive di protezione contro l'eventuale contaminazione da animali e/o insetti infestanti, suscettibili di essere deteriorate per effetto degli "sbalzi di temperatura, particolarmente significativi attesa la stagione estiva". Con riferimento al predetto elemento di fattispecie, dunque, la sentenza risulta sostenuta da un adeguato apparato motivazionale, sul quale, del resto, la difesa non muove, nella sostanza, alcuna particolare censura.

2.2. Controverso, invece, è il secondo elemento che connota la contravvenzione contestata: e segnatamente la destinazione delle sostanze alimentari in questione alla vendita o, comunque, alla somministrazione a terzi.

A questo riguardo, le censure mosse dai ricorrenti alla sentenza impugnata sono di due tipi: da un lato sarebbero stati pretermessi importanti elementi di prova offerti alla valutazione del giudice; e, dall'altro lato, una decisiva fonte di prova testimoniale non sarebbe stata assunta a causa della revoca, ritenuta ingiustificata e dunque illegittima, dell'ordinanza istruttoria che la concerneva.

Sotto il primo profilo, giova innanzitutto porre in luce che non è necessario che il giudice di merito sviluppi, nella motivazione, la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente che la sentenza contenga una ricostruzione dei fatti che conduca a rigettare le deduzioni difensive implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa; sicchè, ove il provvedimento indichi le circostanze ritenute determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per giungere alla decisione adottata, il denunciato vizio di preterizione non è correttamente prospettabile (in termini v. Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, dep. 7/07/2011, Caruso e altro, Rv. 250900).

In questa prospettiva, il giudice è partito dalla considerazione che, in uno spazio riferibile all'esercizio di ristorazione, e segnatamente nella scaffalatura e nel congelatore a pozzetto presenti in un gazebo posto "in spazi di pertinenza del ristorante", erano presenti ingenti quantitativi di sostanze alimentari (ovvero circa Kg. 10 di pesce ed i circa Kg. 30 di pane all'interno di congelatore, nonchè circa Kg. 200 di alimenti nella scaffalatura) e che dette sostanze erano in parte coperte di polvere (quelle rinvenute sulle scaffalature) e in parte conservate con modalità non corrette (quelle all'interno del congelatore), posto che le stesse presentavano "brina e bruciature".

Partendo da tale accertamento di fatto, il giudice ha ritenuto "ragionevole" la spiegazione per cui dette sostanze non potessero che essere destinate alla preparazione dei cibi e, quindi, alla somministrazione al pubblico, ritenendo implicitamente non ragionevole il complesso della prospettazione difensiva, peraltro fondata in larga parte sulla testimonianza di un potenziale concorrente nella contravvenzione (il cuoco Bo.Pa.), secondo cui ingenti quantitativi di sostanze coperte di polvere o malamente conservate potessero essere destinate al consumo di chi le aveva tenute in quello stato, potenzialmente nocivo per la propria salute, tanto più che, proprio in quanto finalizzate al consumo proprio, sarebbe stato logico che le stesse venissero al limite stivate all'interno della cella frigorifera sita nel locale principale del ristorante.

Su tali basi, dunque, il primo giudice ha logicamente interpretato il materiale probatorio raccolto all'esito dell'istruttoria dibattimentale, fornendo una "lettura" del tutto plausibile alla luce di massime di comune esperienza; lettura che i ricorrenti cercano di sostituire, con operazione ricostruttiva non consentita in sede di legittimità, attraverso una spiegazione alternativa che, con apprezzamento di merito, il tribunale piemontese ha ritenuto di disattendere.

In questa prospettiva, appare non illogica anche la decisione di non procedere all'esame della compagna dell'imputato, P.L., la quale, secondo la stessa prospettazione della difesa, avrebbe sostanzialmente confermato una versione che, per le ragioni esposte, era parsa contraddetta dagli altri elementi istruttori e, soprattutto, logicamente insostenibile.

In proposito, peraltro, è appena il caso di rilevare che la revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, dep. 6/03/2015, Rizzello, Rv. 263210). Ne consegue che, in ogni caso, la relativa censura sarebbe aspecifica, non avendo i ricorrenti espressamente dedotto, in sede di ricorso per cassazione, di avere tempestivamente eccepito la lamentata nullità.

3. Il secondo motivo di impugnazione è, invece, fondato.

Sul punto giova, infatti, rilevare che in materia di alimenti, in forza del combinato disposto della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 6, commi 4 e 5, la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna è prevista, in considerazione del particolare allarme sociale comunemente ingenerato da tali specifiche condotte, per i soli casi di "frode tossica o comunque dannosa alla salute". In tale ambito, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità rientra il caso del fatto reato, previsto negli artt. 5 e 6 della cit. Legge, "insidioso per se stesso o produttivo di effetti insidiosi, da cui derivi un'attitudine della sostanza a produrre effetti intossicanti o comunque un pericolo di danno per la salute del consumatore da accertarsi in concreto" (in tal senso Sez. 3, n. 16452 del 17/10/2012, dep. 11/04/2013, Conti, Rv. 255394, in motivazione; Sez. 3, n. 5975 del 5/12/2012, dep. 7/02/2012, Massaro e altro, non massimata; Sez. 3, n. 13535 del 5/02/2009, Mascagni, Rv. 243388; Sez. 3, n. 7311 del 3/06/1994, dep. 23/06/1994, Cardaci, Rv. 198208).

Nel caso di specie, peraltro, la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento ad effetti intossicanti o pericolosi per la salute, che siano stati accertati in concreto attraverso esami di laboratorio o altre modalità di controllo, sicchè deve escludersi l'applicazione della suddetta pena accessoria sulla base della mera contestazione di una ipotesi di cattivo stato di conservazione, contemplata dalla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), (così Sez. 3, n. 26863 del 27/05/2014, dep. 20/06/2014, Moscardino, non massimata; Sez. 3, n. 42428 del 28/10/2010, dep. 30/11/2010, Li Suiwen, non massimata).

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla applicazione della pena accessoria, che deve essere conseguentemente eliminata. Nel resto, i ricorsi devono essere rigettati.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla applicazione della pena accessoria, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.