2020 e Decreto Clima, il primo pilastro del Green New Deal. O no?
di Gianfranco AMENDOLA
Ci aspetta un 2020 così verde che più verde non si può. Almeno questo è quello che risulta leggendo i comunicati stampa del Ministero dell’ambiente.
Apprendiamo così che il 2019 si è concluso con l’apoteosi della conversione in legge del cd. “decreto clima”[1]: “un successo del ministro dell’ambiente, che ha fortemente voluto questa norma per rendere più efficace l’azione di contrasto ai cambiamenti climatici[2]. Anzi, “il cd. decreto clima, che investe in energie rinnovabili, è stato definito dal Ministro dell’Ambiente Sergio Costa come il primo del nuovo esecutivo che celebra l’esordio del Green New Deal, ovvero “il primo pilastro di un edificio le cui fondamenta sono la legge di bilancio e il Collegato ambientale, insieme alla legge Salvamare, in discussione alla Camera, e a Cantiere ambiente, all’esame del Senato”[3]. E, se qualcuno ha dubbi, basta leggere il comunicato integrale del Ministero, il quale ci informa che “il decreto clima cerca di dare il suo contributo all’azione di contrasto ai cambiamenti climatici, con misure concrete, destinate a coinvolgere le amministrazioni (a più livelli), gli esperti e i cittadini. Uno degli obiettivi è quello di cambiare il paradigma culturale, per orientarlo verso la protezione dell’ambiente e della biodiversità. La misura normativa appena varata in senato interviene in molti ambiti, per dare le attese risposte: acqua, agricoltura, biodiversità, costruzioni ed infrastrutture, energia, prevenzione dei rischi industriali rilevanti, salute umana, suolo ed usi correlati, trasporti”[4].
E allora, per iniziare bene il nuovo anno, diamo un’occhiata a questo primo pilastro del Green New Deal che certamente, con le sue “misure concrete destinate a coinvolgere le amministrazioni (a più livelli), gli esperti e i cittadini”, nel 2020 ci darà le “attese risposte” per “acqua, agricoltura, biodiversità, costruzioni ed infrastrutture, energia, prevenzione dei rischi industriali rilevanti, salute umana, suolo ed usi correlati, trasporti”; e metterà a tacere per sempre le esagerazioni pessimistiche dei giovani gretini sulla inerzia dei governi verso il cambiamento climatico.
Anzi, assaporiamolo, articolo per articolo:
– art. 1: Misure urgenti per la definizione di una politica strategica nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria.
In verità, nell’art. 1 queste misure urgenti non ci sono. Ma, per fortuna, arriveranno entro 90 giorni con “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministro della salute e gli altri Ministri interessati, nonchè sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”, che stabilirà anche “le risorse economiche disponibili a legislazione vigente per ciascuna misura con la relativa tempistica attuativa”.
Non vorremmo essere disfattisti, ma il termine di 90 giorni- incluse le festività di Natale e Capodanno- ci sembra un po’ poco, visto che il Ministro dell’ambiente deve sentire il Ministro della salute, tutti gli altri Ministri interessati e la conferenza Stato-Regioni per poi elaborare tutte le misure di competenza nazionale da porre in essere al fine di assicurare la corretta e piena attuazione della normativa europea e nazionale in materia di contrasto al cambiamento climatico e della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008; per cui dovrà anche trovare le risorse economiche.
E allora, per esultare, dobbiamo, comunque, aspettare di vedere il decreto attuativo con le sue misure urgenti e le sue risorse finanziarie.
– art. 1 bis: Coordinamento delle politiche pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
In verità, con questo art. 2 non si coordina niente, ma si stabilisce solo che a decorrere dal 1° gennaio 2021 il Comitato interministeriale per la programmazione economica cambierà nome e si chiamerà Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS): insomma da CIPE a CIPESS. A volte bastano due esse per coordinare le politiche pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. E noi che non ci avevamo pensato!
– art. 1 ter : Campagne di informazione e formazione ambientale nelle scuole
Si stanziano 2 milioni di euro per i prossimi 3 anni al fine di “avviare campagne di informazione, formazione e sensibilizzazione sulle questioni ambientali, e in particolare sugli strumenti e le azioni di contrasto, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, nelle scuole di ogni ordine e grado”. Per capirne di più bisognerà aspettare che le scuole elaborino e presentino apposite proposte progettuali coerenti con il Piano triennale dell’offerta formativa. Ma, prima ancora, bisognerà aspettare che “con regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da adottare con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinati i criteri di presentazione e di selezione dei progetti nonché le modalità di ripartizione e assegnazione del finanziamento”.
E anche stavolta dobbiamo aspettare per esultare.
– art. 2: Misure per incentivare la mobilita’ sostenibile nelle aree metropolitane.
Adesso sì che arriviamo al primo pilastro del Green New Deal.
L’art. 2, infatti, prevede un fondo sperimentale per la mobilità con cui, per le città e le aree sottoposte a infrazione europea sulla qualità dell’aria (circa 25 milioni di abitanti), si eroga un buono mobilità fino a 1500 euro per la rottamazione dell’auto sino alla classe euro 3 e fino a 500 euro per i motocicli sino agli euro 2 e 3 a due tempi. Ma, intendiamoci, non è la solita rottamazione. Infatti questo buono deve essere utilizzato “entro i successivi tre anni, per l’acquisto, anche a favore di persone conviventi, di abbonamenti al trasporto pubblico locale e regionale nonché di biciclette anche a pedalata assistita o per l’utilizzo dei servizi di mobilità condivisa a uso individuale”.
E, contemporaneamente, si istituisce un fondo per i Comuni di 40 milioni per la realizzazione, il prolungamento, l’ammodernamento o la messa a norma di corsie preferenziali.
Insomma, una bella pensata. Anche perché l’Italia inquinata è piena di gente che aspetta di liberarsi della vecchia auto inquinante per servirsi finalmente del servizio pubblico; oppure di comprarsi una bella bicicletta a pedalata assistita senza correre il rischio di intossicarsi per le strade, visto che, grazie all’effetto del bonus mobilità, lo smog scomparirà da un giorno all’altro.
Certo, c’è il rischio che qualcuno, oltre all’abbonamento ai mezzi pubblici, aggiungendo qualcosa, si compri anche un’altra auto, magari diesel e usata, ma niente paura. Basta aspettare, anche questa volta, il decreto che il Ministro per l’ambiente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dello sviluppo economico, sentita la conferenza Stato-Regioni, dovrà emanare entro 60 giorni per “definire le modalita’ e i termini per l’ottenimento e l’erogazione del beneficio di cui al presente comma, anche ai fini del rispetto del limite di spesa”. E analogo decreto (entro 90 giorni) ci vorrà per attivare il fondo per i progetti di corsie preferenziali che dovranno presentare i Comuni.
Insomma, anche stavolta meglio aspettare ad esultare.
– art. 3: Disposizioni per la promozione del trasporto scolastico sostenibile
L’art. 3 istituisce un fondo di 10 milioni ciascuno per gli anni 2020 e 2021 da destinare ai Comuni “per il finanziamento degli investimenti necessari alla realizzazione di progetti sperimentali per la realizzazione o l’implementazione del servizio di trasporto scolastico per i bambini della scuola dell’infanzia statale e comunale e per gli alunni delle scuole statali del primo ciclo di istruzione con mezzi di trasporto ibridi o elettrici, selezionati dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in base all’entità del numero di studenti coinvolti e alla stima di riduzione dell’inquinamento atmosferico”. Ma non a tutti i Comuni, bensì solo a quelli “con popolazione superiore a 50.000 abitanti interessati dalle procedure di infrazione comunitaria … per la non ottemperanza dell’Italia agli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria”.
Adesso siamo veramente ammirati. Pensavamo, infatti, che il miglior rimedio allo smog metropolitano fosse l’uso di un trasporto pubblico “sostenibile”. E, ignari dell’enorme fonte di inquinamento provocato dagli scuolabus attuali, non avevamo mai pensato che ci volesse un “trasporto scolastico sostenibile” per farci uscire dalle procedure di infrazione per il nostro smog. Che poi lo si possa fare, anche se solo in via sperimentale, con soli 10 milioni complessivi per le nostre città maggiormente popolate (e inquinate), è veramente un colpo di genio italico di cui sicuramente la UE dovrà tenere conto.
Anche se, come al solito, dovrà aspettare (entro 90 giorni) il solito decreto del Ministro dell’ambiente ecc. ecc. che dovrà “stabilire le modalita’ di presentazione delle domande e le spese ammissibili ai fini del finanziamento”.
– art. 4, 4 bis, 4 ter e 4 quater: la riforestazione, ZEA e ITALIA VERDE
Arriviamo così ad un altro pilastro del Green New Deal: la riforestazione.
Con l’art. 4 si prevedono 30 milioni (nel 2020 e 2021) per un programma sperimentale di messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane, nelle città metropolitane, la piantumazione e il reimpianto di alberi, di silvicoltura, creazione di foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane. Ma anche in tal caso ci vorrà, entro 90 giorni, il solito decreto ministeriale di attuazione, in base al quale ciascuna città metropolitana presenterà al Ministero dell’ambiente le progettazioni, corredate dai programmi operativi di dettaglio con i relativi costi. E così, forse, capiremo come sarà finalmente possibile, spendendo in sperimentazioni 15 milioni l’anno, avere delle foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane.
Così come, anche per l’art. 4bis converrà aspettare il decreto attuativo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per capire come sarà possibile, “contrastare il dissesto idrogeologico nelle aree interne e marginali del Paese”, con un fondo di 1 milione per il 2020 e 2 milioni per il 2021.
Per fortuna, segue l’art. 4ter, il quale dispone testualmente che “al fine di potenziare il contributo delle aree naturalistiche a livello nazionale per il contenimento delle emissioni climalteranti e di assicurare il rispetto dei limiti previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, nonché di favorire in tali aree investimenti orientati al contrasto ai cambiamenti climatici, all’efficientamento energetico, all’economia circolare, alla protezione della biodiversità e alla coesione sociale e territoriale e di supportare la cittadinanza attiva di coloro che vi risiedono, il territorio di ciascuno dei parchi nazionali costituisce una zona economica ambientale (ZEA)”.
A parte la bella sigla nuova, però, come si raggiungono tutti questi meravigliosi obiettivi? Semplice: concedendo “nell’ambito delle suddette zone, nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente e nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, forme di sostegno alle nuove imprese e a quelle gia’ esistenti che avviano un programma di attivita’ economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale” compatibili con l’ambiente.
Peccato, però che non si capisce nemmeno quali saranno le “risorse disponibili”, visto che dovranno essere ricavate come “una quota dei proventi delle aste di competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per gli anni 2020, 2021 e 2022”.
E allora, in attesa della ZEA, leggiamo l’art. 4quater che si inventa il “programma ITALIA VERDE”.
Stabilisce, infatti, che “al fine di favorire e accelerare progetti, iniziative e attività di gestione sostenibile delle città italiane e di diffondere le buone prassi, anche attraverso forme di confronto e di competizione tra le diverse realtà territoriali, promuovendo la crescita verde e i relativi investimenti, nonché il miglioramento della qualità dell’aria e della salute pubblica, ai fini dell’adesione ai programmi europei «Capitale europea verde» e «Foglia verde», il Consiglio dei ministri conferisce annualmente il titolo di «Capitale verde d’Italia» ad una città italiana, capoluogo di provincia, sulla base di un’apposita procedura di selezione definita con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Il titolo di «Capitale verde d’Italia» e’ conferito, in via sperimentale, a tre diverse città italiane, una per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022”. Aggiungendo che il conferimento del titolo avverrà sulla base della presentazione di un “dossier di candidatura che raccoglie progetti cantierabili volti a incrementare la sostenibilità delle attività urbane, migliorare la qualità dell’aria e della salute pubblica, promuovere la mobilita’ sostenibile e l’economia circolare, con l’obiettivo di favorire la transizione ecologica” e che “i progetti contenuti nel dossier di candidatura della città proclamata «Capitale verde d’Italia» sono finanziati dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nell’anno del conferimento del titolo, nel limite di 3 milioni di euro”
E’ vero che anche in questo caso bisognerà aspettare il solito decreto del Ministero dell’ambiente ecc. per le modalità attuative ma, per fortuna, le candidature a questo titolo prestigioso (inclusi i dossier sui progetti cantierabili) devono essere presentate entro il 31 dicembre 2019. Chissà quante sono.
– Art. 4 quinquies. Il programma MANGIAPLASTICA
Intanto, dopo le ammirevoli trovate della ZEA e dell’ITALIA VERDE, arriviamo, con l’art. 4quinquies, al programma sperimentale MANGIAPLASTICA con cui si stanziano complessivamente, per gli anni 2019-2024, 27 milioni di euro per incentivare i Comuni a installare ecocompattatori “al fine di contenere la produzione di rifiuti in plastica”. Contributi che, però, varranno fino ad esaurimento delle risorse e “nel limite di uno per Comune ovvero di uno ogni 100.000 abitanti”.
– Gli articoli 5 e 5 bis non sono direttamente operativi in quanto si occupano di potenziare strutture tecnico amministrative esistenti per interventi in materia di discariche abusive ed acque reflue sotto infrazione comunitaria nonché per la gestione dei rifiuti in Campania.
– Art. 5 ter: i CASCHI VERDI PER L’AMBIENTE
Ma subito dopo, ecco, con l’art. 5ter, un’altra ammirevole invenzione: i CASCHI VERDI PER L’AMBIENTE, un programma sperimentale “con lo scopo di realizzare, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, iniziative di collaborazione internazionale volte alla tutela e salvaguardia ambientale delle aree nazionali protette e delle altre aree riconosciute in ambito internazionale per il particolare pregio naturalistico, anche rientranti nelle riserve di cui al programma «L’uomo e la biosfera» – MAB dell’Unesco, e di contrastare gli effetti derivanti dai cambiamenti climatici. Insomma, arriveranno i caschi verdi per contrastare i cambiamenti climatici e per la tutela e salvaguardia di aree protette nazionali ed internazionali. Come e quando questo avverrà ce lo dirà questo ardito programma sperimentale, con la modica spesa di “2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022”. E, quindi, dovremo aspettare.
– Segue l’art. 6 che si occupa di meglio precisare la pubblicità dei dati ambientali rilevati dalle pubbliche amministrazioni e, quindi, non rileva direttamente ai fini del contenimento del cambiamento climatico.
– Così come non rileva l’art. 8 che si occupa di differimento termini per le popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016.
– Art. 7: l’incentivazione di prodotti sfusi o alla spina
Resta l’art. 7 che, se anche conta poco per il clima, tuttavia ha il merito di iniziare, quanto meno, a tentare di limitare, sempre in via sperimentale, la produzione di rifiuti alla fonte.
Esso, infatti, riconosce un contributo a fondo perduto “pari alla spesa sostenuta e documentata per un importo massimo di euro 5.000 ciascuno, corrisposto secondo l’ordine di presentazione delle domande ammissibili, nel limite complessivo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, sino ad esaurimento delle predette risorse” a favore di esercenti commerciali per incentivare la vendita di detergenti o prodotti alimentari, sfusi o alla spina. Il contributo può essere utilizzato anche per l’apertura di nuovi negozi esclusivamente dedicati alla vendita di prodotti sfusi. Il beneficio è concesso a condizione che il contenitore offerto dall’esercente sia riutilizzabile e rispetti la normativa vigente in materia di materiali a contatto con alimenti. Possono essere utilizzati contenitori di proprietà del cliente purché riutilizzabili, puliti e idonei all’uso alimentare; in tal caso, l’esercente può rifiutare l’uso di contenitori che ritenga igienicamente non idonei.
Comunque, anche per questo esperimento, bisognerà aspettare, entro 60 giorni, il solito decreto del Ministero dell’ambiente ecc. per conoscere “le modalità per l’ottenimento del contributo nonché per la verifica dello svolgimento dell’attività di vendita per un periodo minimo di tre anni a pena di revoca del contributo”.
E così siamo arrivati alla fine: abbiamo letto insieme tutto il “decreto clima”. Di modo che il lettore possa formarsi un suo giudizio. A noi -diciamo la verità- sembra una legge ben lungi dall’essere il primo pilastro del Green New Deal; ci sembra, invece, una legge che mette insieme, alla rinfusa, di tutto e di più, senza alcun disegno politico, serio e univoco, atto a contrastare realmente il gravissimo fenomeno dei cambiamenti climatici in atto.
Del resto, non a caso si tratta quasi sempre di “programmi sperimentali”; e non potrebbe essere altrimenti vista l’entità delle risorse allocate o da allocare.
In altri termini, come si può pretendere di intervenire seriamente se non si appresta prima un disegno complessivo, con adeguati stanziamenti di risorse, per ridurre drasticamente gli inquinamenti e contemporaneamente avviare la transizione verso un tipo diverso di sviluppo?
Insomma, il “decreto clima” certamente non ha niente a che vedere con le mirabolanti visioni evocate dai comunicati del Ministero dell’ambiente; ma purtroppo, nonostante il nome, serve anche ben poco (per usare un eufemismo) per il contrasto ai gravissimi cambiamenti climatici in atto e si risolve, di fatto, in qualche sigla suggestiva da usare a livello giornalistico e in qualche tentativo sperimentale di scarsa efficacia (sempre per usare un eufemismo) rispetto alla gravità della situazione.
Peccato, perché invece, la prima proposta elaborata dal Ministero dell’Ambiente conteneva una misura veramente significativa per il contrasto ai cambiamenti climatici: e cioè la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili che, secondo Legambiente, solo nel 2018 sono stati 18,8 miliardi di euro. Con questi sì che si poteva fare qualcosa. Altro che programmi sperimentali! Ma la cancellazione è stata cancellata. E questo è quello che è rimasto.
Una ultima osservazione. Come abbiamo visto, la operatività delle misure contenute nella legge dipende dalla emanazione dei decreti di attuazione di tipo interistituzionale. Decreti che la legge prevede siano emanati in un periodo di tempo compreso tra 45 e 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge che li prevede. Il decreto legge n. 111/2019 è entrato in vigore il 15 ottobre 2019 e la legge di conversione n. 141/2019 è entrata in vigore il 14 dicembre 2019. Quindi, i termini per la emanazione dei decreti attuativi decorrono, a seconda dei casi, da queste due date[5].
E allora, quanto meno, pur senza essere troppo pignoli sul rispetto di questi termini, dovremmo presto leggere almeno i primi decreti ministeriali. Perché è vero che sono termini ordinatori ma, visto che si tratta del primo pilastro del Green New Deal, siamo certi che il Ministero dell’ambiente si è già attivato da tempo per rendere il “decreto clima” operativo al più presto. ZEA, ITALIA VERDE, MANGIAPLASTICA e CASCHI VERDI non possono aspettare troppo. E neanche i cambiamenti climatici aspettano.
Riferimenti
[1] legge 12 dicembre 2019, n. 141 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111, recante misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria e proroga del termine di cui all’articolo 48, commi 11 e 13, del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229”.
[2] Comunicato stampa Minambiente 22 novembre 2019
[3] ALTALEX, 14 ottobre 2019
[4] Comunicato stampa Minambiente 22 novembre 2019
[5] A norma dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione: in questo caso, quindi, dal 14 dicembre 2019.