Cass. Sez. III n. 24717 del 7 luglio 2025
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric.Barletta
Ambiente in genere.Principio di legalità in materia ambientale
Il principio di legalità in materia ambientale impone il rispetto assoluto delle norme poste a tutela del bene ambiente, indipendentemente dalla natura pubblicistica o urgente dell’intervento. La violazione delle norme penali a tutela dell’ambiente costituisce reato anche se motivata da esigenze straordinarie o di pubblica utilità
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Tribunale di Catanzaro, pronunciata in data 5 dicembre 2024, Salvatore Barletta veniva assolto dal reato di abusiva produzione di emissioni in atmosfera, previsto dall’art. 279 del Testo Unico Ambientale, contestato come commesso secondo le modalità esecutive e spazio-temporali meglio descritte nell’imputazione. L’assoluzione veniva disposta per essere il fatto di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
2. Avverso la predetta sentenza Salvatore Barletta ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, di seguito enunciato ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 279 del D. lgs. n. 152 del 2006 in relazione all’articolo 269 del medesimo decreto e correlato vizio di motivazione circa la inesistenza di elementi giuridicamente, oltre che tecnicamente, validi su cui fondare la sussistenza del reato, nonché il vizio di illogicità della motivazione in ordine ad elementi fondamentali e risolutivi addotti dalla difesa nelle memorie difensive, superati con travisamento probatorio sugli elementi costituenti il presupposto essenziale del reato contestato.
In sintesi, sostiene il ricorrente che la sentenza avrebbe ricostruito i fatti in maniera incompatibile rispetto alla violazione contestata. Il giudice avrebbe ritenuto, sulla base di un travisamento probatorio e di riferimenti giurisprudenziali non pertinenti al caso in esame, di dover affermare che il reato contestato al ricorrente sarebbe stato posto in essere, pur peraltro assolvendo il ricorrente a norma dell'articolo 131-bis, cod. pen. L'imputato sarebbe stato condannato nella qualità di legale rappresentante della società Soteco, società aggiudicataria di un appalto a seguito di gara, che avrebbe, tramite la sua struttura e i suoi dipendenti, gestito e condotto in maniera pessima un impianto di depurazione di proprietà del Comune di Catanzaro, che sarebbe risultato non provvisto dell'idonea autorizzazione riferita all'attività e alle emissioni in atmosfera conseguenti alle attività depurative. Si evidenzia come, in sede di merito, la difesa aveva documentato che il detto impianto era stato consegnato con procedura d'urgenza al vincitore della gara di appalto, sul presupposto che il funzionamento dello stesso non potesse essere interrotto per motivi di igiene, trattandosi dell'impianto di depurazione dei reflui fognari di Catanzaro. La sentenza non avrebbe tuttavia spiegato come, e quale tipo di attività, avrebbe potuto realizzare la Soteco SPA quando l'impianto era già funzionante, oltretutto nell'ambito di una procedura amministrativa con pluralità di problematiche di carattere pubblico, come evidenziato in una nota del 25 ottobre 2021 rimessa dalla provincia di Catanzaro alla Regione Calabria e ad altri enti. La sentenza non avrebbe tenuto in considerazione la specificità della previsione normativa secondo cui l'autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento e che i singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni. La lettura di tale norma avrebbe dovuto quindi risolvere il problema del soggetto obbligato a richiedere l'autorizzazione quando la stessa debba essere connessa all'intero stabilimento. Quest'ultimo, nella sua interezza, era stato affidato ad un gestore operativo a mezzo di una gara di appalto, ragion per cui il concorrente che sarebbe diventato, in caso di aggiudicazione, l'affidatario dell'impianto (da non fermare nella sua operatività), non avrebbe mai nemmeno potuto immaginare di andare a gestire una struttura priva delle dovute autorizzazioni. Oltretutto, in tali condizioni, tutto l'impianto non avrebbe potuto nemmeno essere oggetto di un appalto pubblico, a meno che non si evidenziasse che vi era un onere relativo a problemi autorizzativi e che, dunque, la durata dell'appalto avrebbe avuto una sua decorrenza, non dalla consegna, bensì dal momento in cui fossero state perfezionate le autorizzazioni. La sentenza sarebbe, poi, viziata anche da un evidente travisamento probatorio laddove essa attinge il ricorrente precisando che nessun significato o valore potesse avere per la identificazione del responsabile il superamento o meno dei valori stabiliti dalla legge in tema di emissioni in atmosfera. Secondo la difesa, infatti, una cosa è la responsabilità sostanziale del gestore o conduttore (che scatta quando vi sono emissioni in violazione di legge), mentre altra cosa è la responsabilità di chi deve garantire la regolarità sul piano completo delle autorizzazioni ed il funzionamento di una struttura pubblica che deve funzionare per il pubblico interesse. L'aver fatto riferimento la sentenza ad una giurisprudenza di legittimità che non sarebbe pertinente al caso in esame non costituirebbe valido sostegno alla tesi sostenuta per ritenere la responsabilità del ricorrente, laddove si consideri la sua responsabilità, derivante esclusivamente da un'attività operativa presuntivamente non corretta o insufficiente, responsabilità che si reggerebbe su un travisamento della prova. Richiamata la giurisprudenza sul vizio di travisamento probatorio, la difesa sostiene che la sentenza, oltre a trascurare in assoluto le deduzioni difensive, segnatamente con riferimento alla nota depositata all'udienza del 5 dicembre 2024, avrebbe erroneamente ritenuto quale elemento fondamentale da cui far discendere la responsabilità dell'imputato, il fatto di fare riferimento ad affermazioni generiche e non provate, con particolare riguardo a quanto si legge a pagina 4 della sentenza (in cui si afferma che non vi sarebbe alcun dubbio circa l'emissione di sostanze inquinanti connesso all'esercizio del servizio di gestione e conduzione dell'impianto di depurazione affidato alla Soteco): laddove gli esiti delle verifiche tecniche, invece, avrebbero escluso ogni superamento dei limiti al di là dei quali non vi è danno da inquinamento. Infine, la sentenza sarebbe inficiata da un grave vizio di motivazione per carenza della stessa. Richiamata a tal proposito la giurisprudenza sul vizio motivazionale, la difesa del ricorrente ritiene assolutamente inadeguata la sentenza laddove trascura di considerare di dover dare risposta al fondamentale problema che la vicenda presentava, intrecciandosi con la problematica pubblicistica dell'affidamento non in concessione ma mediante gare d'appalto alle quali fanno seguito contratti che prevedono durate temporali precise e non legate a condizioni, il tutto come poteva evidenziarsi sia dalla nota richiamata del 25 ottobre 2021 che dai verbali di consegna del servizio in via d'urgenza. Conclusivamente, il fornitore delle prestazioni non potrebbe essere considerato collegato alla responsabilità formali che contrastano con la sua attività richiesta nel pubblico interesse.
3. In data 14 maggio 2025, sono pervenute le conclusioni scritte del Procuratore Generale presso questa Corte con cui si chiedeva il rigetto del ricorso, conclusioni rettificate nel corso dell’udienza pubblica dal medesimo P.G. con richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Osserva il P.G. come nella sentenza impugnata risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso mentre il ricorrente prospetta esclusivamente valutazioni (in parte vertenti su elementi di fatto non deducibili in questa sede) divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice di primo grado con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti. Quanto al dedotto travisamento della prova, deve ribadirsi per il PG che il controllo di legittimità al riguardo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti processuali. Ne consegue che, nella verifica della fondatezza dei motivi di ricorso formulati ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il giudice di legittimità non deve accertare la plausibilità e l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, proprie del giudizio di merito, ma soltanto stabilire se il giudice di merito abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione e fornito esauriente risposta alle deduzioni delle partì, applicando correttamente le regole processuali. Orbene, nel caso in esame il Tribunale ha esaminato tutti gli elementi (la consegna dell’impianto in procedura d’urgenza, il superamento o meno dei valori stabiliti dalla legge in tema di emissioni in atmosfera) di cui il ricorrente lamenta l’omessa considerazione tant’ è che ne ha ritenuto la rilevanza ai fini dell’applicazione della disposizione di cui all’art. 131-bis cod. pen. Né può essere ritenuto legittimo opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione una diversa e alternativa ricostruzione degli stessi - ancorché altrettanto logica - perché in tal caso verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito.
4. In data 19 maggio 2025, la difesa ha chiesto la trattazione orale del ricorso.
Successivamente, con memoria di replica depositata in data 6 giugno 2025, il difensore di fiducia del ricorrente ha replicato alla requisitoria scritta del Procuratore generale, insistendo per l’accoglimento del ricorso e conseguente annullamento del provvedimento impugnato e soffermandosi su due questioni.
La prima riguarda il rapporto tra la società SOTECO e la pubblica amministrazione di riferimento (quella dalla quale dipendeva ed alla quale rispondeva, che, nel caso di specie, era il comune di Catanzaro che aveva conferito l’appalto per la conduzione dell’impianto di depurazione, per due periodi temporali). Sostiene la difesa che ci si trova di fronte ad un’attività che non poteva essere sospesa, perché collegata a rilevanti e non trascurabili interessi in tema ambientale oltre che di igiene e sanità. Inoltre, se è vero che la responsabilità dell’autorizzazione per l’immissione in atmosfera compete oltre che al proprietario anche al gestore (soggetto diverso dal conduttore), è anche vero che la norma, quando parla di autorizzazione, riferisce quest’ultima allo stabilimento e non alle sue parti. Ne consegue, pertanto, che non può trascurarsi la posizione subalterna del soggetto privato al soggetto pubblico e, quindi, l’assoluta non responsabilità della SOTECO, che non può essere ritenuta responsabile per aver fatto affidamento al soggetto pubblico. Del resto, la pubblica amministrazione di riferimento, pur essendo a conoscenza che gli organi competenti avevano sollevato problemi sul rilascio delle autorizzazioni, nulla aveva riferito a SOTECO ed ai suoi amministratori, che continuavano a fare affidamento su quanto disponeva e/o prospettava l’ente pubblico). Una tale situazione determinava un affidamento legittimo nella SOTECO in ordine al comportamento conforme alle disposizioni normative dell’Ente comunale.
La seconda questione riguarda il vizio di travisamento della prova ed il vizio motivazionale. La difesa censura la parte della sentenza impugnata laddove essa – trascurando i dati di un monitoraggio della qualità dell’aria posto in essere per oltre un mese dal Servizio Tematico Aria dell’ARPACAL – sostiene che “il reato è configurabile, dunque, indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi invece fare riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti, di per sé connaturate alla natura formale del reato” (Sez. 3, n. 48474 del 2011). Sostiene la difesa che la giurisprudenza richiamata e le altre di riferimento non tengono conto che vi è stato un intervento normativo, il d. lgs. 155/2010, che ha regolamentato, in maniera più incisiva e precisa, oltre i valori limite anche i valori obiettivo, parlando di soglie di allarme e soglie di informazione; in questo ambito, per la difesa, non sembra più giuridicamente corretto soffermarsi e valorizzare valutazioni di carattere quasi soggettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato oralmente a seguito della richiesta difensiva di discussione orale, accolta dal presidente titolare della sezione, è complessivamente infondato.
2. In via preliminare, occorre osservare che la difesa tenta di trascinare questa Suprema Corte sul terreno del fatto, dovendosi ricordare, a tal proposito, che al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
2.1. In ogni caso, con riferimento al vizio di travisamento della prova (su cui insiste ancora la difesa anche con il secondo rilievo di cui alla memoria di replica depositata in limine litis), questo ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Tuttavia, in sede di giudizio di legittimità, la Corte di Cassazione, investita di un ricorso che indichi in modo specifico come il giudice di merito abbia, non erroneamente interpretato, ma indiscutibilmente travisato una prova decisiva acquisita al processo ovvero omesso di considerare circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati può, nei limiti della censura dedotta, verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto (Sez. 3, n. 39729 del 18/0672009, B., Rv. 244623-01).
3. Nel caso di specie, si può constatare come il Tribunale di Catanzaro ha idoneamente valutato tutti gli elementi costituenti il presupposto essenziale del reato ex art. 279 d. lgs. 152/2006.
3.1. Premesso che trattasi di reato permanente – per la cui sussistenza è sufficiente l’esercizio di uno stabilimento che produce emissioni in assenza della prescritta autorizzazione – e di pericolo, essendo sufficiente la sola sottrazione dell’attività al preventivo controllo degli organi di vigilanza, senza necessità di verificare se le emissioni in atmosfera in concreto verificatesi superino o meno i valori limite stabiliti dalla legge e, poiché si tratta di reato proprio, riferibile al “gestore dell’attività” da cui provengono le emissioni, soggetto obbligato a richiedere l’autorizzazione (Sez. 3, n. 38182 del 26/10/2021, non massimata), nel caso di specie, tale obbligo incombeva pacificamente sull’odierno ricorrente.
3.2. In tal senso, rileva la circostanza per cui il servizio di gestione e conduzione dell’impianto di depurazione era svolto dalla SO.TE.CO. S.p.A. nell’interesse del Comune di Catanzaro, previo affidamento del servizio stesso. Pertanto, è corretto individuare nel ricorrente, in qualità di dirigente del Settore Gestione del Territorio del Comune di Catanzaro, il soggetto tenuto a richiedere la predetta autorizzazione.
Egli era, peraltro, il legale rappresentante della società che, nel periodo di tempo di interesse, si occupava del servizio di depurazione, il quale avrebbe dovuto accertarsi di operare in presenza dell’autorizzazione, ciò che destituisce di fondamento anche il primo rilievo mosso nella memoria depositata in limine litis dalla difesa. A ciò va aggiunto che non vi siano particolari dubbi in ordine alla configurabilità della responsabilità del ricorrente, poiché la stessa sentenza richiama l’esistenza del capitolato speciale di appalto allegato al contratto sottoscritto con la società amministrata dall’imputato, il quale conteneva l’espressa previsione sulla cui base l’impresa appaltatrice si assumeva ogni responsabilità civile e penale anche in relazione alla mancanza delle pertinenti autorizzazioni, e ciò lo si rinviene anche nel capitolato speciale di appalto posto a compendio del contratto di affidamento del 28 aprile 2021.
3.3. Inoltre, l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 279, d. lgs. 152/2006 per l’emissione in atmosfera di sostanze (pericolose e non) in assenza di autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da parte dell’impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti (Sez. 3, n. 28355 del 01/07/2019). E, nel caso di specie, non vi è dubbio circa l’emissione di sostanze inquinanti connesse all’esercizio del servizio di gestione e conduzione dell’impianto di depurazione affidato alla SO.TE.CO. S.p.A., atteso che ciò emerge dalla relazione redatta all’esito del monitoraggio eseguito sull’area di interesse.
4. Infine, anche al fine di evidenziare l’assoluta mancanza di pregio del rilievo svolto nella memoria depositata dal difensore in limine litis, occorre osservare che la procedura d’urgenza – con cui è stato consegnato l’impianto al vincitore della gara di appalto sul presupposto che il funzionamento dello stesso non poteva essere interrotto per motivi di igiene (trattavasi di impianto di depurazione dei reflui fognari di Catanzaro) – può giustificare l’adozione di misure straordinarie, ma non può mai giustificare la violazione delle norme ambientali: queste ultime devono essere rispettate anche in situazioni di urgenza, salvo specifiche deroghe previste dalla legge, nella specie insussistenti.
4.1. Non può, infatti, ritenersi invocabile la categoria dell’inesigibilità, come prospettato dalla difesa, la quale sostiene, in sostanza, che il funzionamento dell’impianto non poteva essere interrotto per motivi di igiene.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte, soprattutto in materia ambientale, è rigorosa e pacifica. Si è infatti già affermato, ad esempio in materia di smaltimento di rifiuti tossici o nocivi, che, per escludere la responsabilità dell'agente, cioè di colui che ha commesso l'azione incriminata (nel caso già esaminato da questa Corte, la gestione non autorizzata di discarica: Sez. 3, n. 4441 del 06/03/1996, Rv. 204423 – 01), è necessario rinvenire una determinata causa di giustificazione fra quelle positivamente disciplinate dall'ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità (oggettiva o soggettiva). In tal senso, è speciale causa di esclusione della punibilità quella prevista dall'art. 191, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui il sindaco può emettere, per un periodo massimo di 18 mesi, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, nel rispetto, comunque, delle disposizioni contenute nelle direttive dell’Unione europea, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. In mancanza dell’ordinanza, tuttavia, la pubblica amministrazione non può invocare a giustificazione della accertata condotta illecita la necessità di tutelare la salute della popolazione. Questa Corte ha, poi, evidenziato come la gestione dei rifiuti costituisce infatti per i Comuni una assoluta priorità, in quanto incide su interessi di rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, sicché non ha rilievo giuridico la insufficienza delle risorse, dovendo le stesse essere destinate in via prioritaria al soddisfacimento delle anzidette esigenze, rispetto ad altre (Sez. 3, n. 2109 del 10/01/2000, Mucci, Rv. 215527 - 01).
4.2. Il ricorso ad una procedura d'urgenza non può, conclusivamente, mai giustificare la violazione delle norme ambientali.
La tutela dell’ambiente è un valore costituzionale primario e assoluto (art. 9 e art. 41 Cost., riformati nel 2022). Nessuna esigenza, nemmeno quella dell’urgenza nei contratti pubblici, può prevalere su tale principio. L’urgenza procedurale non consente pertanto deroghe alla normativa ambientale, sicché anche in caso di somma urgenza ex art. 163 del Codice dei contratti pubblici, è obbligatorio il rispetto delle disposizioni ambientali.
4.3. Può dunque affermarsi il seguente principio: “Il principio di legalità in materia ambientale impone il rispetto assoluto delle norme poste a tutela del bene ambiente, indipendentemente dalla natura pubblicistica o urgente dell’intervento. La violazione delle norme penali a tutela dell’ambiente costituisce reato anche se motivata da esigenze straordinarie o di pubblica utilità".
5. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616, cod. proc. pen., la condanna al pagamento delle spese processuali del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 12/06/2025