Cass. Sez. III n. 6299 del 8 febbraio 2013 (Ud 15 gen. 2013)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Simeon ed altro
Beni Ambientali. Reato paesaggistico e ripristino dei luoghi senza intervento umano per decorso del tempo
Il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 42\2004, ha natura di reato di pericolo astratto, per il quale non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente e richiede, per il suo perfezionamento, l'esecuzione di interventi in assenza di preventiva autorizzazione che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato. Detto reato si configura anche nel caso in cui, per il mero decorso del tempo e senza l'intervento dell'uomo gli effetti prodotti dalla condotta illecita siano venuti meno, restituendo ai luoghi l'originario assetto.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 15/01/2013
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 85
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - N. 46320/2012
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
SIMEON GIANNINO N. IL 19/02/1951;
FIORETTO ANTONIO N. IL 27/11/1957;
avverso la sentenza n. 85/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 17/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/01/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro A. che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione;
Udito il difensore avv. N. Bertello in sost. avv. M. Bruno. RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 17.5.2012, ha confermato la decisione emessa il 16.6.2011 dal Tribunale di Gorizia, appellata dal Procuratore Generale presso la Corte medesima e da dannino SIMEON e Antonio FIORETTO, entrambi imputati, nelle rispettive qualità di committente e direttore dei lavori, dei reati di cui all'art. 110 cod. pen., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, lavori in difformità dai titoli abilitativi rilasciati, eseguendo la escavazione della sponda di un canale, per 68 metri, non prevista nell'autorizzazione e posizionando il materiale escavato all'interno delle barene anziché addossarlo sulla sponda come pure stabilito nella medesima autorizzazione.
Avverso tale pronuncia i predetti presentano un unico ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che gli interventi eseguiti, considerata la particolare conformazione delle barene - terreni molli in continuo movimento - non avrebbero determinato alcuna alterazione dello stato dei luoghi, tanto che, all'esito del giudizio di primo grado, il giudice non ne ha ordinato la rimessione in pristino poiché lo stato dei luoghi si era, nel frattempo, naturalmente reintegrato.
Tale circostanza, aggiungono, consentirebbe, quanto meno, di ritenere integrata la causa estintiva di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, stante l'impossibilità di una condotta riparatrice e la evidente disparità di trattamento che altrimenti si verificherebbe tra coloro che possono rimediare all'intervento eseguito e coloro il cui intervento non ha determinato alcuna modifica dei luoghi.
Rilevano, inoltre, che i lavori eseguiti non supererebbero la soglia della "variazione essenziale" prevista dalla norma per la configurazione del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c).
3. Con un secondo motivo di ricorso deducono la insussistenza dell'elemento soggettivo del reato per essere stati gli imputati fuorviati dalla particolare tipologia del terreno e confortati dalla consapevolezza di non produrre modificazioni dello stato dei luoghi e di non aver agito in difformità dai titoli abilitativi conseguiti. Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Con memoria in data 31.12.2012 rilevano che dal contenuto di un verbale di accertamento sui luoghi, allegato in copia, emergerebbe che la data effettiva di accertamento del reato sarebbe quella del 14.1.2008, coincidente con l'espletamento dell'atto e non anche quella del 16.1.2008 che è invece quella di redazione materiale del verbale, con la conseguenza che il decorso del termine quinquennale di prescrizione risulterebbe maturato il 14.1.2013. CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
Occorre in primo luogo rilevare che le questioni dedotte in ricorso sono sostanzialmente coincidenti con quelle prospettate nell'atto di appello, che sono state puntualmente confutate dai giudici del gravame.
5. Ciò premesso, è necessario ricordare quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento ai reati paesaggistici.
Si è in particolare precisato (Sez. 3^ n. 28277, 18 luglio 2011) che il reato contemplato dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, è un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione (v. Sez. 3^ n. 2903, 22 gennaio 2010 ed altre prec. conf.) e che è di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato art. 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull'originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione. Si è pure ricordato, nella medesima occasione, che l'individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve inoltre essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all'ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato (v. ex pl. Sez. 3^ n. 14461, 28 marzo 2003; n. 14457, 28/3/2003; n. 12863, 20 marzo 2003;
n. 10641, 7 marzo 2003). Per tali ragioni è dunque richiesta la preventiva valutazione da parte dell'ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia. Tali principi sono stati successivamente ribaditi (Sez. 3^ n. 34764, 26 settembre 2011) anche con riferimento all'ipotesi delittuosa disciplinata dal medesimo D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, precisando, in quell'occasione, che relativamente agli abusi paesaggistici il principio di offensività deve essere considerato non tanto sulla base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale, quanto, piuttosto, per l'attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto e richiamando quanto osservato, in tema, dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247 del 1997) e da questa stessa Corte, rinviando alla compiuta analisi delle diverse posizioni dottrinarie e giurisprudenziali già effettuata (Sez. 3^ n. 2733, 7 marzo 2000; Sez. 3^ n. 44161, 10 dicembre 2001). Si tratta di principi certamente condivisibili e sicuramente applicabili anche nella fattispecie in esame, ove la astratta lesività della condotta posta in essere dai ricorrenti è stata dalla Corte del merito ritenuta, con accertamento in fatto del tutto privo di salti logici o manifeste contraddizioni, chiarendo che l'intervento eseguito, consistente in opere di escavazione e di riposizionamento del materiale di riporto, aveva modificato la conformazione della barena e distrutto la vegetazione tipica della zona ("cannuccia") che rappresenta un habitat specifico per determinate specie di uccelli e costretto l'amministrazione provinciale ad avviare la bonifica del sito all'esito della caratterizzazione del materiale escavato.
Si tratta, a ben vedere, di una condotta che non solo astrattamente, ma ben concretamente ha negativamente inciso sullo stato dei luoghi, non soltanto per quanto riguarda l'aspetto esteriore, ma anche per quanto riguarda la vita e lo sviluppo della fauna locale, sicché del tutto correttamente poteva ritenersi configurato il reato paesaggistico.
6. Obiettano tuttavia i ricorrenti che l'offensività concreta della condotta e, conseguentemente, la sussistenza della violazione in esame, devono ritenersi esclusi per il fatto che, a distanza di tre anni dall'accertamento dei fatti, lo stato dei luoghi si sarebbe naturalmente ripristinato senza necessità di specifico intervento umano.
L'assunto è, però, destituito del tutto di fondamento. Invero, la circostanza che i lavori eseguiti abbiano determinato una concreta alterazione dello stato dei luoghi risulta non soltanto accertata nel merito dall'esito dell'istruzione dibattimentale valorizzato dai giudici del gravame, ma anche dal fatto che, affinché via sia un ripristino dell'originario stato dei luoghi, ancorché determinato dal mero decorso del tempo e da cause naturali, è necessario che l'assetto originario dell'area soggetta a vincolo sia precedentemente mutato e perché tale mutazione possa lecitamente effettuarsi è necessaria una preventiva valutazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo ed uno specifico titolo abitativo. In secondo luogo, come si è già detto, la natura di reato di pericolo della violazione in esame non richiede la causazione di un danno ed, anzi, la sua assenza non rileva neppure qualora venga attestata dall'amministrazione competente (Sez. 3^ n. 10463, 17 marzo 2005).
7. I principi dianzi enunciati, pienamente condivisi dal Collegio, devono pertanto essere ribaditi, affermando nuovamente che il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, ha natura di reato di pericolo astratto, per il quale non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente e richiede, per il suo perfezionamento, l'esecuzione di interventi in assenza di preventiva autorizzazione che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, con l'ulteriore precisazione che detto reato si configura anche nel caso in cui, per il mero decorso del tempo e senza l'intervento dell'uomo gli effetti prodotti dalla condotta illecita siano venuti meno, restituendo ai luoghi l'originario assetto.
8. Parimenti infondata risulta l'ulteriore deduzione concernente l'applicabilità, nella fattispecie, della speciale causa estintiva di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies. Il tenore della disposizione è, infatti, inequivocabile e ne confina l'efficacia ai soli casi in cui la rimessione in pristino delle aree o degli immobili vincolati interessati dall'intervento abusivo sia effettuata spontaneamente dal trasgressore prima che venga disposta d'autorità ed, in ogni caso, prima che intervenga la condanna. Sono inoltre del tutto condivisibili le ulteriori considerazioni svolte dalla Corte territoriale, la quale ha giustamente sottolineato la natura premiale della speciale causa estintiva, la cui ragion d'essere trova esclusivo fondamento nella spontanea iniziativa del responsabile dell'abuso paesaggistico, la cui azione ripristinatoria resta improduttiva di effetti estintivi del reato se provocata dall'intervento dell'autorità.
9. Quanto alle osservazioni svolte dai ricorrenti sulla riconducibilità o meno degli interventi eseguiti nell'ambito della "variazione essenziale", deve ricordarsi che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), sanziona, tra l'altro, gli interventi edilizi eseguiti nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso di costruire. Con riferimento a tale disposizione si è già precisato che, quando un intervento edilizio è realizzato in zona soggetta a vincolo paesaggistico, risulta indifferente, ai fini della sua qualificazione giuridica e dell'individuazione della sanzione penale applicabile, la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale e ciò perché il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 32, comma 3, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, compresi quelli in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali (Sez. 3^ n. 16392, 27 aprile 2010;
Sez. 3^ n. 2733, 31 gennaio 1994).
Ciò posto, si rileva che, come accertato dai giudici del merito, gli interventi oggetto di imputazione risultano effettivamente eseguiti in difformità da quanto effettivamente autorizzato e tanto basta, alla luce del principio appena richiamato, perché il reato contestato possa ritenersi configurato.
10. Per quanto riguarda, poi, il secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che lo stesso è connotato da estrema genericità e si risolve nella formulazione di affermazioni apodittiche e prive di riferimenti specifici ai contenuti del provvedimento impugnato. In ogni caso, in disparte l'ovvia osservazione che, vertendosi in tema di reato avente natura contravvenzionale, per quanto riguarda l'elemento soggettivo è sufficiente la colpa, ravvisabile anche nell'inottemperanza al preciso onere di informazione richiesto a chi intraprende, come nella fattispecie, un'attività rigorosamente disciplinata dalla legge, deve rilevarsi che la sussistenza di un atteggiamento quanto meno negligente da parte dei ricorrenti risulta accertato in fatto dal giudice del merito emergendo dalla sentenza di primo grado (pag. 10) come al punto 4 dell'autorizzazione ambientale fosse specificamente indicato che ogni variante al progetto autorizzato comportante modifiche esteriori ai manufatti e/o allo stato dei luoghi avrebbe dovuto ottenere l'autorizzazione al pari del progetto originano.
11. Resta da aggiungere, con riferimento alla memoria prodotta, che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione (Sez. 4^ n. 18641, 22 aprile 2004) e che, in ogni caso, il documento allegato alla memoria non evidenzia comunque con certezza l'ultimazione dei lavori, descrivendo, al contrario, all'atto del sopralluogo, un intervento ancora in atto, atteso che, riferendosi ai lavori sulla sponda destra si parla espressamente di "lavori in corso d'opera ... già iniziati" e di un mezzo meccanico che "stava operando" e, con riferimento a quelli sulla sponda sinistra si attesta che "in quest'ultima zona la chiatta Moro MN2623 della ditta Colussi di Grado, con una draga, stava operando la citata escavazione".
Infine, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2013