Cass. Sez. III n. 1442 del 11 gennaio 2013 (Ud 6 nov. 2012)
Pres. Franco Est. Ramacci Ric. Pallone
Beni Ambientali. Modificazione strada preesistente in area vincolata

La modificazione, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, di una preesistente strada sterrata mediante innalzamento del piano e copertura del manto con massetto di cemento non rientra tra gli interventi di manutenzione straordinaria e deve essere preceduta dal rilascio del permesso di costruire e dalla autorizzazione dell'autorità proposta alla tutela del vincolo, in quanto comporta una modificazione ambientale di carattere stabile ed incide sull'assetto urbanistico a causa del potenziale incremento del traffico veicolare.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. FRANCO Amedeo - Presidente - del 06/11/2012
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - SENTENZA
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - N. 2590
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere - N. 30628/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PALLONE SALVATORE N. IL 01/05/1942;
avverso la sentenza n. 942/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 04/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Nicolari Pietro di Lecce.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 5.5.2012, ha parzialmente riformato, concedendo il beneficio della non menzione della condanna sul certificato penale, la decisione con la quale, in data 6.4.2011, il Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di Tricase, aveva riconosciuto Salvatore PALLONE responsabile dei reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 e art. 734 cod. pen. (commessi in Salve il 28.8.2007), per aver realizzato, in zona soggetta a vincolo paesaggistico e caratterizzata dalla presenza di macchia mediterranea, lavori di cementificazione di uno stradone interpoderale di m. 120 di lunghezza e m. 3 di altezza, senza essere in possesso del permesso di costruire e dell'autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo ed alterando le bellezze naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 129 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, rilevando che il giudice del gravame avrebbe omesso di dichiarare la prescrizione del reato, intervenuta nelle more del giudizio di appello e risultante dalle dichiarazioni del teste indotto dal Pubblico Ministero, Isp. TAGLIENTE Nicola del Corpo Forestale dello Stato, il quale aveva dichiarato, nel corso della sua deposizione, di aver ricevuto la segnalazione dell'abuso dal suo comando provinciale "in data 8 maggio 2006", cosicché il termine massimo di prescrizione, tenuto conto anche del periodo di sospensione, sarebbe spirato il 2.10.2011. 3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 603 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, rappresentando che, tenuto conto delle dichiarazioni rese dal summenzionato teste e della diversa data di commissione del reato risultante dalle sue dichiarazioni, ha richiesto di poterlo nuovamente escutere, ricevendo, però, un diniego da parte della Corte territoriale, giustificato, in modo ritenuto del tutto irrazionale, dal fatto che la dichiarazione resa dall'ufficiale di polizia giudiziaria era frutto di mero errore materiale.
Assume, inoltre, che dagli atti risultava verosimile l'indicazione di tale data, considerato il tempo intercorrente tra la ricezione della segnalazione e l'accertamento sui luoghi, preceduto da complessa attività investigativa volta all'identificazione dei proprietari dei terreni percorsi dalla strada interpoderale e tale situazione giustificava, quindi, una nuova deposizione del teste. 4. Con un terzo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione alla individuazione della effettiva consistenza delle opere eseguite, effettuata valorizzando, senza specifica giustificazione, la sola testimonianza del teste dell'accusa, il quale aveva indicato l'estensione dei lavori per tutti i 120 metri della strada, rispetto a quelle, di diverso tenore, dei testi indotti dalla difesa, che ridimensionavano la consistenza degli interventi, affermando che gli stessi avevano interessato solo una porzione della strada pari a 30 metri.
5. Con un quarto motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione e la violazione di legge, rappresentando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso che le opere realizzate rientrassero nel novero degli interventi di manutenzione straordinaria, per essere tale tipologia non riferibile ad interventi diversi da quelli eseguiti sugli edifici e senza considerare la natura pertinenziale della strada interpoderale, in quanto posta a servizio dell'edifico cui conduce.
L'erroneità di tale assunto, aggiunge, era ricavabile anche dal tenore del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, comma 1, lett. a) il quale menziona la manutenzione straordinaria anche con riferimento "allo stato dei luoghi".
6. Con un quinto motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione nella parte in cui la Corte di appello non ha ritenuto applicabile, nella fattispecie, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 escludendo che gli interventi in contestazione possano collocarsi nell'ambito dell' "attività edilizia libera" ai sensi del comma 2, lett. e) della menzionata disposizione in quanto "opere di pavimentazione di spazi esterni" ad un edificio principale e ad esso funzionali o, in subordine, ai sensi della lettera a) del medesimo articolo.
Da ciò conseguirebbe l'assenza di rilevanza penale in caso di inosservanza delle richiamate disposizioni
7. Con un sesto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta necessità, per le opere in questione, dell'autorizzazione paesaggistica, che si assume esclusa in forza del disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, comma 1, lett. a) trattandosi di interventi di manutenzione straordinaria non producenti, per la loro minima consistenza, alterazione dello stato dei luoghi.
8. Con un settimo motivo di ricorso rileva il vizio di motivazione per non avere i giudici del gravame accolto la richiesta di rinvio giustificata dalla pendenza, innanzi al Consiglio di Stato, di un giudizio concernente il parere negativo espresso dalla competente sovrintendenza sugli interventi realizzati.
9. Con un ottavo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in relazione all'ordine di demolizione delle opere realizzate impartito dal giudice del merito, ritenendo tale imposizione di competenza esclusiva dell'autorità amministrativa.
10. Con un nono motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla riconosciuta sussistenza del reato di cui all'art. 734 cod. pen., attesa la sostanziale inoffensività degli interventi in contestazione che non avrebbero determinato alcuna alterazione o distruzione delle bellezze naturali dei luoghi interessati, che la Corte territoriale neppure indica. 11. Con un decimo motivo di ricorso lamenta, infine, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta congruità della pena da parte dei giudici del gravame, che indica, invece, come sproporzionata rispetto alla gravita dei fatti contestati.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. 12. In data 18.10.2012 depositava in cancelleria "motivi nuovi" rilevando che l'estinzione del reato per prescrizione era desumibile da un verbale di dichiarazioni spontanee rese il 13 gennaio 2007 da tale Giuseppe RICCHIUTO al personale del Corpo Forestale dello Stato - Stazione di Tricase, che allega e dal quale emerge che, a quella data i reati erano stati già consumati, tanto che il personale di polizia stava svolgendo indagini sulla "sistemazione di uno stradone interpoderale preesistente, tramite la realizzazione di massetto in cemento".
CONSIDERATO IN DIRITTO
13. Il ricorso è solo in parte fondato.
Occorre preliminarmente osservare come lo stesso tratti, sostanzialmente, questioni già dedotte ed affrontate compiutamente dalla Corte territoriale, attraverso una personalissima lettura dei fatti che, non trova però riscontro alcuno nel complesso dei dati fattuali analizzati dai giudici del merito.
14. Ciò premesso, va considerato il primo motivo di ricorso, laddove si ritiene di poter sostenere che i reati contestati sarebbero travolti dalla prescrizione sulla base di un calcolo effettuato sulla base di una data riferita da un ufficiale di PG, escusso come teste, che la Corte del merito ha ritenuto frutto dì mero errore. Nel provvedimento impugnato viene infatti evidenziato che l'erroneo rifermento del teste all'anno 2006 anziché al 2007 è ricavabile dal complessivo tenore della deposizione, laddove si precisa che, ricevuta la notizia dal Comando provinciale, l'ufficiale aveva provveduto ad alcuni accertamenti che conducevano all'identificazione dell'imputato, procedendo poi ad un sopralluogo che risulta avvenuto il 31.8.2007.
Osservano a tale proposito i giudici del gravame che sarebbe impensabile che gli operanti avessero atteso un anno e tre mesi per procedere alla prima verifica sui luoghi all'esito di accertamenti che non presentavano alcuna difficoltà, tanto più che di tale collocazione temporale degli interventi nel 2006 e della conseguente prescrizione mai prima di allora avevano parlato l'imputato o il suo difensore, cosicché deve ritenersi ragionevole collocare le opere ai primi giorni del maggio 2007, escludendo, tenuto conto anche dei periodi di sospensione, l'intervenuta prescrizione, Le considerazioni svolte dalla Corte di appello appaiono però formulate del tutto apoditticamente, senza il sostegno di un'adeguata motivazione che consenta di superare il principio del favor rei operante in materia di prescrizione quando vi sia incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine prescrizionale.
La ritenuta inverosimiglianza di una ingiustificata inerzia nella verifica della notizia di reato ricevuta a fronte di accertamenti da eseguire con estrema facilità e probabilmente esauriti attraverso la visura dei registri immobiliari al fine di risalire alla proprietà dell'area interessata dagli interventi abusivi resta una mera congettura, mentre non assume rilievo determinante la circostanza che la questione non sia stata mai sollevata dall'imputato e dal suo difensore prima dell'escussione del teste, potendosi attribuire tale evenienza a cause diverse.
Eventuali dubbi potevano dunque essere fugati attraverso un nuovo esame dell'ufficiale di polizia giudiziaria finalizzato a chiarire tale significativo particolare.
Dall'esame del verbale delle dichiarazioni rese dal teste, consentito a questa Corte stante la natura della censura, emerge che lo stesso ha fatto riferimento ad una data ben precisa riferendosi, tuttavia, ad una segnalazione concernente la "apertura di una strada", senza alcun riferimento specifico alle opere oggetto di contestazione. Il riferimento temporale, inoltre, sembra riguardare la notizia del reato e non anche la sua consumazione che, come è noto, coincide con l'ultimazione dell'intervento abusivo: il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui cessazione dell'attività edificatoria abusiva (v. SS. UU. n. 17178, 8 maggio 2002) e la cessazione di tale attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio (ex pl. Sez. 3 n. 38136, 24 ottobre 2001). Vi è dunque una situazione di obiettiva incertezza che poteva essere superata dalla Corte territoriale.
15. La questione assume ulteriore rilievo se sì tiene conto di quanto dedotto con i motivi nuovi.
Va in primo luogo rilevato che il documento allegato ai motivi nuovi non può essere prodotto in questa sede di legittimità. Si è più volte affermato, infatti, che nel giudizio di legittimità non possono essere prodotti nuovi documenti ad eccezione di quelli che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 3 n. 8996, 08 marzo 2011; Sez. 5 n. 25897, 19 giugno 2009; Sez. 5 n. 10382, 1 settembre 1999) e ciò in quanto il codice di rito attualmente in vigore non ha previsto, all'articolo 613, diversamente dall'abrogato art. 533, tale facoltà (Sez. 4 n. 1835, 18 gennaio 2006; Sez. 5 n. 4940, 19 agosto 1998). Ciò posto, il ricorrente ha affermato di essere venuto in possesso del documento soltanto in data 9.8.2012 per averne ricevuto copia direttamente da Giuseppe RICCHIUTO e, cioè, dalla persona che aveva reso le dichiarazioni al personale di polizia giudiziaria. L'assunto è inverosimile.
In primo luogo risulta dal verbale che dello stesso sono stati redatti due esemplari, di cui uno trasmesso all'autorità giudiziaria ed un altro trattenuto agli atti della Stazione del Corpo Forestale, mentre non viene dato atto del rilascio di copia al dichiarante, circostanza peraltro non prevista da alcuna disposizione di legge. In secondo luogo, si tratta di un atto che, come risulta dalla attestazione dei verbalizzanti, è stato trasmesso all'autorità giudiziaria e concerneva le indagini per i fatti per cui è processo, cosicché deve presumersi che lo stesso fosse contenuto nel fascicolo delle indagini preliminari che il Pubblico Ministero deve aver necessariamente depositato e posto a disposizione anche dell'imputato e del suo difensore con l'emissione dell'avviso di cui all'art. 415- bis cod. proc. pen..
Pur essendo dunque inammissibile la produzione, deve osservarsi che il contenuto del documento, se effettivamente presente agli atti o prodotto dal ricorrente potrà essere oggetto di valutazione da parte dei giudici del merito per quanto concerne la individuazione della data di commissione del reato.
Il documento dimostrerebbe infatti che, alla data di assunzione delle informazioni, erano già in corso indagini per l'intervento per cui è processo (sebbene senza indicazione specifica del luogo ove i lavori venivano eseguiti).
L'apparato motivazionale del provvedimento impugnato si presenta dunque, sul punto, lacunoso e comporta, quale conseguenza, l'annullamento con rinvio.
16. Quanto al secondo motivo di ricorso, va rilevato che il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale risulta motivata, nel verbale di udienza 4.5.2012, dalla tardività della richiesta in quanto formulata in sede di formulazione delle conclusioni, tuttavia la necessità di individuare con certezza la data di commissione del reato avrebbe giustificato, per le ragioni dianzi indicate, una nuova escussione del teste.
17. La infondatezza del terzo motivo di ricorso, afferente la effettiva consistenza dei lavori ricavabile da divergenti deposizioni testimoniali è, invece, evidente.
Occorre preliminarmente ricordare, a tale proposito, che questa Corte ha già avuto modo di ritenere che, in sede di legittimità, non è sindacabile la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione (Sez. 2 n. 20806, 25 maggio 2011; Sez. 4 n. 8090, 11 settembre 1981).
Nella fattispecie la contraddittorietà della motivazione che il ricorrente ha denunciato è, in realtà, insussistente. La Corte territoriale, con motivazione che risulta, in questo caso, assistita da tenuta logica e coerenza strutturale, ha chiarito che, sulla base delle risultanze dell'istruzione dibattimentale, le opere realizzate consistono nella cementificazione di un preesistente tracciato stradale in terra battuta mediante realizzazione di un massetto di cemento dello spessore di cm. 10 per tutta la lunghezza, pari a 120 metri lineari (per metri 3 di larghezza).
I giudici del merito fondano tale convinzione non soltanto sulla base delle dichiarazioni del teste dell'accusa ma, cosa più importante, sulla conferma alle suddette dichiarazioni fondata sul dato obiettivo fornito dalla documentazione fotografica versata in atti laddove, precisa la Corte d'appello, l'apposizione dello strato di cemento risulta interessare l'intero percorso della strada interpoderale Senza alcuna soluzione di continuità.
La rilevanza attribuita a tale determinante dato fattuale giustifica anche la diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi indotti dalla difesa, i cui contenuti non sono stati ignorati e vengono menzionati anche per confutare la qualificazione degli interventi di cui trattano i successivi motivi di ricorso.
Va ulteriormente osservato, a tale proposito, che le argomentazioni svolte sul punto dal ricorrente e della cui infondatezza si dirà subito dopo, appaiono tutte fortemente condizionate dalla diversa consistenza immotivatamente attribuita agli interventi realizzati, poiché nell'articolarle, il ricorrente non si riferisce alle opere così come accertate dalla Corte del merito e, cioè, alla cementificazione dell'intero percorso stradale, bensì a più modesti lavori di consolidamento di un tratto di appena 30 metri, interessato da fenomeni di dilavamento, circostanza, questa, motivatamente esclusa nel provvedimento impugnato, come si è già detto, con argomentazioni in fatto che non presentano la minima cedevolezza quanto a coerenza e logicità e che, per tali ragioni, restano sottratte al giudizio di legittimità.
È dunque alle opere come accertate dai giudici del merito che dovrà farsi riferimento nella valutazione dei successivi motivi di ricorso. Ciò posto, deve ricordarsi che, come indicato nella sentenza che definisce l'appello, come non sia in contestazione il fatto che le opere realizzate difettassero dei necessari titoli abilitativi e, segnatamente, del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica.
18. A fronte di tale situazione, il ricorrente sostiene che di tali titoli non vi fosse necessità e così, con il quarto motivo di ricorso, qualifica gli interventi realizzati come collocabili tra quelli di manutenzione straordinaria.
Tale assunto, tuttavia, risulta del tutto infondato in relazione alla consistenza dell'intervento come motivatamente individuato dai giudici del merito.
Va a tale proposito rammentato come, in linea generale, la realizzazione di strade e piste sia soggetta a permesso di costruire, senza alcuna distinzione riguardo alle caratteristiche costruttive, dimensioni e finalità, ritenendosi sempre necessario il titolo abilitativo anche per l'esecuzione di strade o piste sterrate (Sez. 3 n. 14417, 8 aprile 2008) o realizzate su un preesistente tracciato (v. Sez. 3 2 luglio 1994, n. 7556) e ciò in quanto trattasi di opere che consentono ed incrementano il traffico veicolare, determinando una trasformazione urbanistica del territorio (Sez. 3 n. 45456, 9 dicembre 2008; conf. Sez. 3 n. 19568, 18 maggio 2011; Sez. 3 n. 30594, 3 giugno 2004).
Si è peraltro escluso che anche l'abbassamento del livello di una strada abbia le caratteristiche di attività di straordinaria manutenzione, trattandosi di trasformazione urbanistica (Sez. 3 n. 30652 aprile 1997).
Nel caso di interventi del genere realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico si è ulteriormente stabilita la necessità dell'autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo (Sez. 3 n. 33186, 2 agosto 2004; Sez. 3 n. 26110, 10 giugno 2004; Sez. 3 n. 9965, 06 novembre 1997; Sez. 3 n. 9912, 4 agosto 1999; Sez. 3 n. 8507, 27 luglio 1995).
Date tali premesse, appare di tutta evidenza che, nel caso di specie, per la consistenza dei lavori eseguiti erano necessari entrambi i titoli abilitativi e doveva escludersi, come correttamente ha fatto la Corte territoriale, la possibilità di collocare le opere nel novero di quelle di manutenzione straordinaria, perché tanto per la disciplina urbanistica che per quella paesaggistica detti interventi, in quanto riferiti al recupero del patrimonio edilizio esistente, presuppongono la preesistenza di un edificio sul quale eseguire le opere di manutenzione (cfr. Sez. 3 n. 33002, 5 agosto 2003 e, con riferimento proprio alla realizzazione di una strada in zona vincolata, Sez. 3 26110, 10 giugno 2004, cit.) ricavandosi chiaramente dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 che dette opere devono intervenire su edifici preesistenti e, ovviamente, ultimati e devono inoltre riguardare parti (ancorché strutturali) e non, pertanto, l'intero edificio.
Inoltre, avuto riguardo al disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149 l'autorizzazione paesaggistica non è richiesta per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo a condizione che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, circostanza, questa, anch'essa motivatamente esclusa dalla sentenza impugnata.
Si tratta, dunque, di un intervento che, per struttura ed estensione, è senz'altro modificativo dell'assetto urbanistico del territorio - il che ne esclude, per tale ragione, la natura pertinenziale pure prospettata in ricorso - e negativamente incidente su quello paesaggistico.
19. Deve conseguentemente affermarsi senz'altro il principio secondo il quale la modificazione, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, di una preesistente strada sterrata mediante innalzamento del piano e copertura del manto con massetto di cemento non rientra tra gli interventi di manutenzione straordinaria e deve essere preceduta dal rilascio del permesso di costruire e dalla autorizzazione dell'autorità proposta alla tutela del vincolo, in quanto comporta una modificazione ambientale di carattere stabile ed incide sull'assetto urbanistico a causa del potenziale incremento del traffico veicolare.
20. Le caratteristiche dell'intervento come sopra individuate escludono radicalmente anche l'applicabilità del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 rivendicata nel quinto motivo di ricorso e già motivatamente esclusa dalla Corte di appello.
Si è infatti già avuto modo di rilevare, con riferimento all'attività edilizia libera disciplinata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 come la stessa riguardi alcune tipologie di opere che si ritiene non abbiano alcun impatto sull'assetto territoriale e, come tali, non soggette ad alcun titolo abilitativo caratteristiche che, si è già visto, non sono certamente riferibili alle opere in esame. La disposizione richiamata specifica, inoltre, che vengono fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e non si prescinde dal rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, dalle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico- sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004.
Dal tenore letterale del testo si è così ritenuto che l'elencazione non sia tassativa ma esemplificativa, con la conseguenza che deve ritenersi richiesto il rispetto di tutta la normativa di settore, ancorché non menzionata, che abbia comunque rilevanza nell'ambito dell'attività edilizia, con la conseguenza che devono essere esclusi dall'applicazione di tale particolare regime di favore tutti gli interventi eseguiti in contrasto con le disposizioni precettive degli strumenti urbanistici comunali ed in violazione delle altre disposizioni menzionate (Sez. 3 n. 19316, 17 maggio 2011). Deve dunque escludersi che un intervento della consistenza di quello realizzato dal ricorrente possa comunque rientrare nell'ambito dell'attività edilizia libera anche perché eseguito senza il rispetto della normativa di settore ed, inoltre, perché non rientrerebbe comunque, in generale, in nessuna delle categorie di interventi contemplate dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 ed, in particolare, tra gli interventi di manutenzione straordinaria di cui al comma 2, lett. a) in quanto, come si è detto sopra, quello eseguito non appartiene a tale categoria che, anche nella disposizione in esame, è palesemente riferita agli edifici e neppure tra le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni di cui alla lett. c) del medesimo comma, perché trattasi di interventi chiaramente riguardanti le aree esterne poste in relazione con preesistenti edifici e non suscettibili di autonoma destinazione. 21. Anche l'infondatezza del sesto motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza, avendo la Corte del merito decisamente escluso la inoffensività dell'intervento eseguito rivendicata in ricorso. Anche in questo caso le considerazioni svolte in ricorso sul punto risultano platealmente smentite dalla accertata consistenza delle opere realizzate di cui si è più volte detto in precedenza, nonché dai condivisibili principi giurisprudenziali anzi richiamati circa la necessità dell'autorizzazione paesaggistica per l'esecuzione di interventi di modificazione di una strada preesistente in zona vincolata.
Osserva la Corte di appello che le opere realizzate hanno alterato senz'altro l'originario assetto dei luoghi mediante l'innalzamento dell'originario livello della strada e la copertura in cemento della terra battuta, che bene si inseriva nel contesto ambientale circostante, interessato anche dalla presenza di macchia mediterranea.
Si tratta, anche in questo caso, di apprezzamenti in fatto coerenti ed adeguatamente motivati, che non possono essere riesaminati in questa sede e che risultano perfettamente allineati alla giurisprudenza di questa Corte.
È appena il caso di ricordare, infatti, che il reato previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 è formale e di pericolo e si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione dì interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione (v. Sez. 3 n. 2903, 22 gennaio 2010 ed altre prec. conf.). È di tutta evidenza, attesa la posizione di estremo rigore del legislatore in tema di tutela del paesaggio, che assume rilevo, ai fini delle configurabilità del reato contemplato dal menzionato art. 181, ogni intervento astrattamente idoneo ad incidere, modificandolo, sull'originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico ed eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione.
L'individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi deve inoltre essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accettare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all'ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato (v. ex pl. Sez. 3 n. 14461, 28 marzo 2003; n. 14457, 28 marzo 2003; n. 12863, 20 marzo 2003; n. 10641, 7 marzo 2003).
È quindi richiesta la preventiva valutazione da parte dell'ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento, anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia.
Si è inoltre affermato che assume rilevanza il mutamento della consistenza estetica di un manufatto e, cioè, la sua fisionomia e l'aspetto esteriore (Sez. 3 n. 2903, 22 gennaio 2010, fattispecie relativa alla mera chiusura con elementi vetrati di un portico di abitazione) e che, per la configurabilità del reato in esame, è sufficiente che l'agente faccia del bene protetto un uso diverso da quello cui esso è destinato, atteso che il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio stesso (Sez. 3 n. 564, 11 gennaio 2006; Sez. 6 n. 19733, 8 giugno 2006).
Ne consegue che vanno sanzionati, a mente della richiamata disposizione, tutti quegli interventi astrattamente idonei ad arrecare pregiudizio all'originario assetto dei luoghi incidendo sul loro aspetto esteriore e, tra questi, certamente rientra quello realizzato dal ricorrente, essendo indubbio che l'innalzamento di un piano stradale, originariamente in terra battuta, mediante copertura in cemento non incide astrattamente sullo stato dei luoghi ma ne costituisce una materiale ed inequivocabile alterazione. 22. Infondato è anche il settimo motivo di ricorso.
Nessuna sospensione o rinvio del processo era dovuta in primo ed in secondo grado per la pendenza di una procedura di compatibilità paesaggistica (il cui esito non è peraltro vincolante per il giudice penale, che dispone comunque del potere-dovere di valutare la sussistenza dei requisiti di sanabilità dell'abuso) rispetto alla quale era pendente un giudizio innanzi al giudice amministrativo, come diffusamente spiegato nel provvedimento impugnato. Invero, la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all'art. 181, comma 1 ter e art. 1 quater non determina alcuna sospensione del processo penale in assenza di espressa previsione normativa, mentre la richiesta del permesso di costruire in sanatoria opera per un termine massimo di sessanta giorni dalla data del deposito della domanda, corrispondente a quello fissato dalla legge per la definizione del procedimento e decorso il quale la domanda stessa si intende rigettata e, nel caso in esame, la Corte di appello ha dato atto della circostanza che la inutile decorrenza di detto termine era già stata rilevata dal primo giudice.
Non vi erano, dunque, le condizioni di legge per disporre il rinvio richiesto dal ricorrente, ne' può genericamente invocarsi, in questa sede, l'inosservanza di un non meglio precisato criterio di ragionevolezza che avrebbe dovuto ispirare i giudici del merito e l'inosservanza del quale determinerebbe il vizio di motivazione denunciato, neppure con riferimento al possibile esito del giudizio amministrativo.
Si è infatti escluso, con riferimento alla disciplina urbanistica (Sez. 3 n. 24545, 24 giugno 2010; Sez. 3 n. 2198, 19 gennaio 2006) che la proposizione di un ricorso al giudice amministrativo sulla legittimità del rifiuto di sanatoria possa produrre un effetto sospensivo, non esistendo in materia una pregiudiziale amministrativa, ne' un vincolo per il giudice penale all'esito del procedimento instaurato innanzi al giudice amministrativo, l'accoglimento da parte del quale dell'istanza di sospensione dell'ingiunzione a demolire è altrettanto inidonea alla produzione di effetti sospensivi dell'azione penale.
23. Neppure l'ottavo motivo di ricorso merita di essere condiviso. L'ordine giudiziale di demolizione, che il ricorso inopinatamente attribuisce alla esclusiva competenza dell'autorità amministrativa, ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell'autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (così Sez. 3 n. 37120, 13 ottobre 2005). Del tutto legittima è, inoltre, la subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive. Tale possibilità, secondo un primo orientamento confermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (SS.UU. n. 1, 4 gennaio 1988), non era originariamente ammessa. Tuttavia, una successiva pronuncia delle medesime Sezioni Unite (SS. UU. n. 714, 3 febbraio 1997) ha fornito un condivisibile indirizzo interpretativo, ammettendo la legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione che appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (cfr. Sez. 1 n. 7660, 2 agosto 1996; Sez. 5 n. 10309, 30 settembre 1998; Sez. 3 n. 38071, 16 ottobre 2007).
24. Quanto al nono motivo di ricorso, appare ancora una volta determinante l'accertamento della consistenza dell'intervento effettuato dai giudici del merito, il quale consente di ritenere pienamente giustificata la ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 734 cod. pen..
Ciò premesso, va ricordato che la natura di reato di danno determina, per la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 734 c.p., la necessità di una effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi protetti. Tale evento può essere determinato attraverso qualsiasi condotta attiva od omissiva in considerazione della natura di reato a forma libera.
L'alterazione che tale condotta comporta non deve, tuttavia, essere necessariamente grave e irreparabile, non incidendo sulla configurabilità del reato, in tale ultimo caso, la circostanza che l'intervento eseguito consenta il successivo ripristino dello stato dei luoghi preesistente attraverso la rimozione dell'opera o in altro modo.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche precisato che la configurabilità del reato non è esclusa dalla preesistenza di altri interventi, ben potendo un'opera abusiva seguire ad altre e concorrere all'alterazione dell'originaria conformazione del paesaggio (SS.UU. n. 72, 10 gennaio 1994) sempre che il giudice motivi adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito (Sez. 3 n. 46992, 9 novembre 2004).
Alla luce delle considerazioni appena espresse, si osserva che, sul punto, i giudici dell'appello hanno compiutamente adempiuto agli obblighi motivazionali loro imposti, dando conto della circostanza che l'intervento, oggettivamente considerato, era idoneo a determinare una permanente alterazione dell'area soggetta a speciale protezione.
Afferma infatti la Corte territoriale, anche in questo caso con accertamento in fatto pienamente coerente e logico, che l'apposizione di un "vistoso" manto cementizio sulla strada interpoderale in terra battuta snodantesi in un contesto naturalistico inalterato caratterizzata dalla presenza di macchia mediterranea e dall'assenza di edifici costituisce senz'altro alterazione idonea a configurare la contravvenzione sanzionata dall'art. 734 cod. pen.. A tale affermazione i giudici del gravame giungono attraverso la valutazione dell'ambiente in cui si sono svolti i fatti documentato dalle fotografie versate in atti e dalle considerazioni svolte dal tecnico dell'imputato nella relazione allegata alla richiesta di sanatoria, riportate testualmente e nelle quali individuano la piena consapevolezza dell'impatto visivo determinato dall'intervento eseguito, tanto da indicare gli interventi ritenuti necessari per limitarne negativi effetti.
La semplice descrizione della consistenza e delle modalità dell'intervento, la indicazione del contesto generale nel quale esso si colloca e la valorizzazione degli altri dati fattuali rendono esaurientemente conto della sussistenza del danno concreto che l'art. 734 cod. pen. richiede, tanto più che la valutazione degli effetti negativi dei lavori eseguiti è stata in precedenza analizzata nel dettaglio con riferimento al concorrente reato sanzionato dall'art. 181 del cit. D.Lgs..
25. A conclusioni analoghe deve infine pervenirsi per quanto attiene al decimo motivo di ricorso ove si censurano le valutazioni dei giudici del gravame in punto di congruità della pena. Invero il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall'art. 133 c.p..
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale attribuito al giudice di merito che risulta legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi indicati nella richiamata disposizione (Sez. 4 n. 41702, 26 ottobre 2004). Quanto alla motivazione, si è osservato che una specifica e dettagliata giustificazione sulla quantità della pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto nel caso in cui essa sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, ritenendosi negli altri casi adeguato il riferimento all'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. mediante espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2 n. 36245, 18 settembre 2009). Nella fattispecie, i giudici del gravame hanno espressamente specificato di aver considerato tutti i criteri fissati dal più volte richiamato art. 133 c.p. richiamando le determinazioni del primo giudice ed osservando che la pena risultava adeguata alla gravita del fatto ed alla personalità dell'imputato mediante la concessione delle attenuanti generiche e che il lieve scostamento dal minimo edittale era pienamente giustificato dall'entità del danno arrecato, mentre l'aumento applicato per la continuazione risulta congruo e non eccessivo.
Nulla di più era dovuto dalla Corte di appello, che, anche in questo caso, si è perfettamente adeguata alle disposizioni codicistiche concretamente applicate e non è affatto venuta meno agli obblighi motivazionali impostigli dalla legge.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2013