Corte dei Conti Sent. 429 del 15 ottobre 2008 - Sezione Prima centrale di Appello -

In tema di efficacia interruttiva della prescrizione dell’azione di responsabilità, ad opera della costituzione di parte civile nel processo penale avente ad oggetto il medesimo fatto
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REPUBBLICA ITALIANA 429/2008/A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

Sezione Prima Giurisdizionale Centrale - composta dai Magistrati:

DOTT. VITO MINERVA                                                                   PRESIDENTE
DOTT. DAVIDE MORGANTE                                           CONSIGLIERE REL
DOTT. MARIA FRATOCCHI                                                          CONSIGLIERE
DOTT. RITA LORETO                                                                   CONSIGLIERE
DOTT. PIERGIORGIO DELLA VENTURA                            CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio d’appello in materia di responsabilità, iscritto al n.27110 del Registro di Segreteria, proposto dal Procuratore Generale avverso la sentenza n. 184/06 in data 9-16 marzo 2006 della Sezione Giurisdizionale Regionale per la Lombardia e nei confronti di R.M., T..M. e L.C..

Visti l’atto d’appello, le memorie di costituzione e difesa, nonché gli altri atti e documenti della causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 17 giugno 2008, il Consigliere relatore Dott. Davide Morgante, gli Avvocati Vittorio Biagetti e Giulio Tagliabue, rispettivamente per gli appellati M. T. e M. R., nonché il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale Dott.ssa Emma Rosati, non costituito l’appellato L.C.;

Ritenuto in

FATTO

Con sentenza n. 184/2006 la Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei conti per la Lombardia ha dichiarato l’estinzione per prescrizione dell’azione di responsabilità promossa dal Procuratore Regionale nei confronti di T..M., R.M. e L.C., rispettivamente, presidente dell’Azienda municipalizzata servizi pubblici di S. (Milano), assessore ai lavori pubblici e presidente della commissione di gara e membro consulente tecnico della commissione medesima, per sentirli condannare al pagamento di Euro 103.291/38 (oltre degrado monetario, interessi e spese) a titolo di danno all'immagine dell'Ente locale per avere i medesimi percepito una tangente di pari importo in occasione dell'affidamento nel 1990 dell'appalto del servizio di nettezza urbana del Comune alla Ditta IGM S.p.A.

L'intervenuta prescrizione dell'azione di responsabilità è stata argomentata dalla Corte Territoriale nel riflesso che i fatti di causa risalgono al 1990, che la trasmissione, da parte della Procura della Repubblica alla Procura della Corte dei conti della richiesta di rinvio a giudizio per corruzione è stata effettuata nell'aprile del 1995; donde alle date di notifica agli interessati dell'invito a dedurre (aprile 2005) e dell'atto di citazione (dicembre 2005) era già decorso il termine prescrizionale, dovendo ritenersi irrilevante, ai fini interruttivi della prescrizione dell'azione contabile l'intervenuta costituzione di parte civile (in data 14.11.1995, rinnovata nel 1998 e nel 2000) dell'Amministrazione danneggiata nel parallelo processo penale.

Ciò, tenuto conto che l'attribuzione in favore del Giudice Contabile della giurisdizione in materia di danno erariale sarebbe da ritenere esclusiva e non concorrente con la giurisdizione ordinaria; per cui, contrariamente a quanto ritenuto dall'Organo Requirente, sarebbe irrazionale ancorare il fatto costitutivo del danno all'immagine all'avvio od all'esito del giudizio penale.

Avverso la sentenza della Corte Territoriale Contabile ha interposto appello il Procuratore Generale, deducendone l'illegittimità ed erroneità nella parte in cui ha dichiarato la prescrizione dell'azione contabile ed, in particolare, nel punto in cui ha ritenuto che il termine prescrizionale non sia stato validamente interrotto dalla costituzione di parte civile attuata dall'Ente Territoriale nel processo penale.

Secondo l'appellante Procuratore Generale il decisum della Corte Territoriale contrasterebbe con il dettato normativo, nonché con il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile e della Cassazione (cfr. SS.RR.: dec. 18.3.1996, n. 14/A; n. 8/Q.M. del 25.11.2004; Cass.: n. 5945/2000; n. 11835 del 15.11.1995) in ordine all'effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno correlato alla costituzione di parte civile nel processo penale per tutta la durata di quest'ultimo.

La stessa Corte Costituzionale nella sentenza 773/1988 nell'affrontare ex professo il problema dei rapporti tra costituzione di parte civile nel processo penale ed azione di responsabilità promossa dal P.M. Contabile ha chiarito che spetta alla Pubblica Amministrazione lesa la potestà di esercitare l'azione civile nel processo penale e che ipotizzare che l'Amministrazione debba limitarsi a chiedere ed il Giudice penale a pronunciare solo una condanna generica ai danni, priverebbe la prima dei fondamentali poteri e diritti processuali spettanti alla parte civile, e sarebbe in contrasto con il generale obbligo del Giudice di pronunciarsi sulla domanda e del potere di liquidazione del danno dedotto; di modo che la preclusione indotta dal giudicato penale, al riguardo, potrebbe logicamente valere soltanto nel caso in cui non solo è stata riscontrata la responsabilità penale, ma vi è stata liquidazione del danno e cioè che il danno inferto all'Amministrazione sia stato risarcito.

Altrimenti, non può sussistere alcuna preclusione per il contemporaneo o successivo giudizio di responsabilità amministrativa.

Osserva, altresì, il Procuratore Generale che a riprova della descritta complementarità tra l'azione civile in sede penale e l'azione contabile, pur nell'autonomia delle due giurisdizioni, è stata normativamente rafforzata la cooperazione tra Procura della Repubblica e Procura Contabile, con la codificazione del principio dell'obbligo, per il Pubblico Ministero che ha esercitato l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno all'Erario, di informare il Procuratore Generale della Corte dei conti della relativa imputazione (art. 129 D. L.vo 28 luglio 1989, n. 271).

Inoltre, l’art. 7 della L. n. 97 del 2001 stabilisce che la sentenza irrevocabile di condanna, nei confronti di pubblici operatori, per i delitti contro la Pubblica Amministrazione di cui al Capo I del Tit. II del Libro Secondo C.P., è comunicata al competente Procuratore Regionale Contabile, affinché promuova l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale; donde è evidente la concorrenza della costituzione di parte civile con l'azione di responsabilità contabile e la imprescrittibilità di quest'ultima fino al passaggio in giudicato della sentenza penale.

Per quanto attiene l'effetto interruttivo permanente della costituzione di parte civile osserva, altresì, il Procuratore Generale che, secondo la Corte di Cassazione, l'eccezione di interruzione della prescrizione, in quanto eccezione in senso lato, può essere rilevata d’ufficio in qualunque stato e grado del processo sulla base di prove ritualmente acquisite agli atti; di modo che, nella specie, la Corte Lombarda non avrebbe potuto arbitrariamente abrogare di fatto la normativa generale relativa all'interruzione della prescrizione e non tener in conto la normativa penale di cui al menzionato art. 7 della L. n. 97/2001.

Alla stregua delle estese considerazioni chiede, pertanto, il Procuratore Generale che, tenuto conto dell'intervenuta costituzione di parte civile dell’Amministrazione nel processo penale, venga affermata la tempestività dell’azione proposta dalla Procura Regionale Contabile, con riforma in parte qua della sentenza impugnata e trattenimento della causa da parte del Giudice di appello per l’esame del merito, ai sensi dell’art.105 co.1 del Regolamento di procedura approvato con R.D. n.1038/1933, avendo la questione di prescrizione, da parte del Primo Giudice, comportato un vaglio preliminare di merito.

Nel merito ritiene il Procuratore Generale che le vicende della controversia penale in ordine all’ascritto reato corruttivo consentono di delineare la sussistenza di un danno erariale da discredito dell’immagine dell’ente locale di appartenenza, imputabile alla condotta dolosa dei convenuti.

La circostanza che il Tribunale di Milano, Sez.IV penale con sentenza n.9962 del 20 ottobre 2003 abbia dichiarato di non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione, non ha impedito un esame del merito della fattispecie penale né il giudizio di colpevolezza sulla condotta dei medesimi, che non è pervenuto a condanna solo per il decorso del periodo prescrizionale e per il parziale ristoro, in via stragiudiziale, dei danni patrimoniali inferti al Comune di S.; donde quella pronuncia penale non assume alcun effetto preclusivo per il parallelo ed autonomo processo contabile in ordine all'azionato danno patrimoniale da disdoro d'immagine, comprovato dal notevole strepitus e clamor fori, nonché quantificato nell'indicato importo di Euro 103.291,38, corrispondenti alla tangente percepita, oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di giustizia per i quali é chiesta condanna.

La richiesta di condanna, secondo la Parte Pubblica appellante, deve essere ritenuta in solidum alla stregua dell’ascritta condotta dolosa correlata ai gravi reati perpetrati dai convenuti.

In ipotesi di proscioglimento chiede il Procuratore Generale che le spese di giustizia e quelle sostenute dagli appellati per il loro patrocinio legale vengano compensate, considerato il danno comunque inferto al Comune.

A seguito dell'appello, ritualmente notificato agli appellati, l’appellato R.M. si è costituito in giudizio con apposita memoria depositata in data 26 maggio 2008, rappresentato e difeso dall'Avv. Giulio Tagliabue.

In tale atto la difesa appellata formula le seguenti censure in ordine al proposto atto d'appello:

- in via pregiudiziale inammissibilità dell'appello del Procuratore Generale nella parte relativa alla domanda di merito (domanda di condanna) per genericità e/o per mancanza di specificità dei motivi d'impugnazione.

Al riguardo, reputa la difesa che non sarebbe sufficiente il mero richiamo alle conclusioni assunte in primo grado dal Procuratore Regionale contenute nell'atto d'appello (pag. 30 e segg.).

Lamenta, altresì l’indicata difesa la mancata specificazione e distinzione delle condotte illecite ascrivibili a ciascun partecipante;

- legittimità della declaratoria di intervenuta prescrizione dell'azione contabile assunta dal Primo Giudice.

Ciò, nel riflesso che rispetto all'epoca (1990) di accadimento dei fatti, all'esposto in data 1.3.1993 del Sig. A.G. che ha originato il procedimento penale, nonché alla trasmissione alla Procura Contabile (aprile 1995), da parte della Procura della Repubblica, della richiesta di rinvio a giudizio, l'invito a dedurre è stato notificato a R.M. solo in data 28 aprile 2005 e solo in data 14.12.2005 è stato notificato l'atto di citazione; di talché rispetto all'indicata data di ricezione della comunicazione del rinvio a giudizio penale, il Procuratore Contabile ha atteso oltre dieci anni per promuovere l'azione di competenza.

Ne segue che l'azione di responsabilità è da ritenere prescritta, non essendo idonea la costituzione di parte civile, come attestata dal Primo Giudice, ad interrompere il decorso del termine prescrizionale contabile;

- in ipotesi di superamento delle eccezione di inammissibilità dell'appello e di prescrizione dell'azione contabile, la causa va rinviata alla Corte Territoriale Lombarda per la celebrazione del giudizio di merito che è del tutto mancato in prime cure ove il giudice si è pronunciato soltanto su una questione di carattere preliminare.

Reputa, infatti, la difesa appellata che nella presente sede d'appello, l'effetto devolutivo deve ritenersi limitato al decisum in primo grado, occorrendo garantire il doppio grado di giurisdizione.

Il chiesto rinvio si renderebbe necessario anche per consentire al convenuto, nella denegata ipotesi in cui nel grado di rinvio venisse emessa sentenza di condanna, la possibilità di avvalersi della normativa di condono prevista dall’art. 1, commi, 231, 232 e 233 della L.n. 266/2005;

- per l’ipotesi in cui il Giudice d’appello ritenga di poter decidere anche nel merito, censura quale difforme dalle risultanze del processo penale, l’affermazione dell’appellante Procuratore Generale, secondo cui in sede penale sarebbe stata accertata la colpevolezza degli imputati.

Ciò, in quanto il processo penale si è concluso con una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione, senza che venisse nemmeno iniziata la fase istruttoria del processo e che quindi minimamente accertata alcuna responsabilità a carico dei convenuti, ne celebrato alcun dibattimento;

- il proprio assistito non ha mai reso confessione o ammesso i fatti contestati, avendo contestato ogni partecipazione ( peraltro, nessun contributo risulterebbe comunque versato al partito in cui militava, poiché l'eventuale beneficiario risulterebbe essere stato il solo Partito politico;

- ove il Giudice d'appello, ai fini della condanna, ritenesse di far uso di alcuni atti di indagini, richiamati nell'atto di citazione, se ne oppone l'inutilizzabilità, con particolare riguardo ai verbali di interrogatorio resi dai coindagati al Pubblico Ministero Penale in sede di indagini preliminari, pena la violazione dell’art. 111 Cost. (in quanto acquisite al di fuori del dibattimento senza le garanzie della difesa e del contraddittorio);

- né contro il proprio assistito potrebbe essere utilizzata la chiamata in correità del Sig. Gianmario C. che lo avrebbe coinvolto nella vicenda in un ruolo che non avrebbe mai avuto (come confermato da altre dichiarazioni rese, in fase di indagini preliminari, da compagni di partito del C., poiché questo ultimo sarebbe persona assolutamente inattendibile, soggetto all'epoca a numerosi altri procedimenti penali)

- nel merito chiede pertanto la difesa che la domanda risarcitoria venga respinta per assoluta mancanza di prova, oltre che sulla colpevolezza del proprio assistito, sul presunto danno all'immagine;

- la domanda risarcitoria andrebbe, altresì, respinta prendendo atto del risarcimento ricevuto dal Comune di S., da parte di altri coimputati durante il processo penale, per un importo di £ 163 milioni, da qualificarsi come risarcimento del danno non patrimoniale, da ritenersi ampiamente satisfattivo;

- nell'ipotesi di ravvisata esistenza di un danno risarcibile chiede la difesa che, in considerazione della percezione da parte del Comune di S. dell'indicata somma, l'importo a debito venga diminuito anche in applicazione dell'art.1 quater della L. n. 20/1994, non essendo consentito un ingiustificato arricchimento dell'Ente ed una duplicazione di risarcimenti;

- per l'ipotesi di denegato rinvio del giudizio di merito alla Corte Territoriale e trattenimento della causa in appello, precisa la difesa che, ove il Collegio pervenga ad un giudizio di responsabilità nei confronti del proprio assistito, lo stesso avanza "sin da ora" istanza di condono ex Art. 1, commi 231, 232 e 233 della L. n. 266/2005 per la definizione dell'appello, mediante versamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno eventualmente quantificato in sentenza.

In via istruttoria la difesa chiede l'audizione di testimoni e l'acquisizione dei verbali del Consiglio Comunale e/o della Giunta, con cui venne richiesto all’Azienda Municipale Servizi Pubblici di S. (ora AEB) la possibilità di gestire il servizio rifiuti, nonché di altra documentazione a favore del convenuto.

A seguito dell'appello si è costituito in giudizio anche T..M., Presidente dell'Azienda Municipalizzata Servizi Pubblici di S., rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Barberi, Adriano Carcano e Vittorio Biagetti che nella memoria di costituzione e difesa, depositata in data 27 maggio 2008, hanno opposto quanto appresso.

- in via preliminare, intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità, in quanto, come attestato nella sentenza impugnata, la costituzione di parte civile in sede penale non può essere ritenuta idonea ai fini interruttivi del termine prescrizionale;

- sempre in via preliminare, difetto di giurisdizione della Corte dei conti, dappoichè il capo d'imputazione è stato elevato al convenuto quale esponente locale della sinistra socialista e non già nell’asserita qualifica di esponente dell'Azienda Municipalizzata Servizi Pubblici di S.; di modo che all'epoca dei fatti per cui è causa sarebbe da escludere qualsiasi rapporto di servizio e/o funzione pubblica rivestiva dal proprio assistito nei confronti dell’Amministrazione Comunale.

Infatti, precisa la difesa che l’illecito asseritamene commesso dal proprio assistito sarebbe stato realizzato tra la fine del 1989 e l’inizio del 1990, mentre l’atto di nomina all’Azienda Municipalizzata è del 25 settembre 1990 e dunque in tata successiva alla commissione dell’illecito. Peraltro, l’atto di nomina è stato annullato dal CO.RE.CO. nella seduta del 10 dicembre 1990 e prima che T..M. potesse esercitare alcuna funzione quale Presidente dell’Azienda Municipalizzata.

Inoltre, all’epoca dei fatti il Servizio di nettezza urbana era gestito dall’Amministrazione comunale di S. ed in tale periodo il M. non era né Consigliere Comunale, né Assessore del Comune di S.;

-inammissibilità dell’azione contabile per omessa indicazione nell’atto di citazione dell’incidenza partecipativa di ogni soggetto asseritamene responsabile nell’evento lesivo;

-infondatezza nel merito dell’accertata colpevolezza con sentenza passata in giudicato in sede penale del convenuto, in quanto la dichiarazione di non luogo a procedere per prescrizione è stata assunta ex art.469 cod.proc.pen., prima della fase dibattimentale ed in assenza di ogni istruttoria; di modo che, pur nell'autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale, la Procura Contabile non può desumere alcun convincimento dalla sentenza n.9962/03 del Tribunale penale di Milano;

- insussistenza della condotta criminosa dell'appellato T..M., fondata, secondo la costruzione della Procura Regionale Contabile, su meri indizi, mai in alcun modo provati; di modo che gli unici elementi sintomatici si baserebbero sulle dichiarazioni rese da Daniele C. che sarebbero però contrastate recisamente dal proprio assistito (cfr. verbale di interrogatorio di T..M.) e non avrebbero mai trovato riscontro effettivo;

- mancata prova in ordine all’assunto danno patrimoniale per discredito dell’immagine dell’Amministrazione che costituirebbe mera affermazione apodittica senza dimostrazione ed alligazione alcuna in ordine alle spese sostenute dall'Ente danneggiato per il ripristino del bene immateriale leso e senza indicazione dei parametri di riferimento sui quali si fonda la quantificazione in via equitatativa ex art.1226 cod.civ. del danno ascritto.

Ne segue che il proprio assistito andrebbe mandato assolto dalla domanda attorea;

- in via subordinata, poiché il fatto dannoso è ascrivibile a più persone, andrebbero valutate le singole responsabilità con condanna di ciascuno dei responsabili per la parte che vi ha preso, essendo venuta meno normativamente la relativa coobligazione e solidarietà tra i corresponsabili;

-in via di estremo subordine la difesa appellante chiede che in ipotesi di condanna del proprio assistito, questa venga definita ex art.1, commi 231, 232 e 233 della L.n.266/2005 mediante la corresponsione di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno eventualmente quantificato.

A seguito dell’appello, ritualmente notificato ai tre convenuti, l’appellato L.C. non si è costituito in giudizio.

L’avviso dell’odierna udienza dibattimentale non risulta essere stato notificato all’appellato non costituito L.C..

Alla pubblica udienza del 17 giugno 2008 gli Avvocati Giulio Tagliabue e Vittorio Biagetti per i rispettivi assistiti R.M. e T..M., hanno sviluppato e ribadito le considerazioni e le richieste conclusionali rese nelle rispettive comparse di costituzione e risposta.

Il Pubblico Ministero ha confermato i motivi e le richieste rese nell’atto d’appello.

L’appellato L.C. non si è costituito in giudizio.

DIRITTO

Va, in via preliminare, dichiarata , ex art.171 cod. proc. civ., la contumacia dell’appellato L.C., per la sua mancata costituzione nel presente giudizio, nonostante la rituale notifica al medesimo dell’atto d’appello ed al quale, pertanto, come chiarito al dibattimento, il Procuratore Generale ha ritenuto di non dover notificare il decreto presidenziale di fissazione della relativa udienza.

Invero, costituisce giurisprudenza pacifica che, qualora, come nella specie, la citazione d’appello sia stata regolarmente notificata, la mancata costituzione dell’appellato dà luogo alla declaratoria della sua contumacia, indipendentemente dalla notifica al medesimo della data di fissazione d’udienza, in quanto rappresenta precipuo onere dell’appellato accertarsi delle sorti della causa e non è a lui dovuta, se non costituito in giudizio, alcuna comunicazione, di ufficio o di parte, di eventi o provvedimenti capaci di influire sul corso del processo (cfr, per tutte, Cass. 9 maggio 1983, n.3189).

In via preliminare, in ordine alla vicenda tangentizia per cui è causa, il Collegio non può esimersi, altresì, dall’osservare che, pur se la stessa, alla stregua dell’ormai consolidata giurisprudenza cassatoria e contabile (cfr.: Cass. S.U. sent. 4 aprile 2000, n.98; Corte Conti Sez. I Giurisd. Centrale, sent.: n.88 del 17 marzo 2005; sent.n.239 del 29 maggio 2008) avrebbe offerto il destro per condurre al vaglio del Giudice Contabile anche l’ipotesi lesiva più “direttamente” indotta al patrimonio erariale dalla percezione, da parte dei convenuti, della tangente, per l’intuitiva esposizione dell’Ente locale di appartenenza, a costi superiori a quelli ottenibili da una libera formazione dell’offerta del prezzo di gara, il Procuratore Regionale ha ritenuto di contenere la propria azione al danno patrimoniale c.d. “indiretto” indotto all’Ente medesimo dai costi di ripristino della sua immagine e prestigio lesi dalla riprovevole condotta dei propri operatori infedeli.

La necessità di un vaglio giudiziale di quella posta lesiva sarebbe stata tanto più opportuna nella specie, a fronte di una estimazione negativa sul danno fatta curare non da un organismo tecnico neutrale, bensì da un consulente incaricato dal medesimo ente locale presuntivamente danneggiato.

Ciò posto, l’attuato contenimento della pretesa attorea, preclude, comunque, a questi Giudici, per i limiti imposti dalle censure d’appello, ogni pronuncia sulla indicata posta di danno, la cui azionabilità resterà rimessa, in prospettiva, alle valutazioni del Requirente Contabile.

Passando all’esame della dedotta vicenda lesiva, l’appellata sentenza ha dichiarato l’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità promossa dal Procuratore Regionale nei confronti degli amministratori locali di cui in narrativa, nelle rispettive qualità di Presidente dell’Azienda Municipalizzata servizi pubblici di S. (Milano), assessore ai lavori pubblici e membro consulente tecnico della Commissione di gara, per il ristoro del danno da discredito d’immagine dai medesimi arrecato all’Ente territoriale per aver percepito una tangente in occasione dell’affidamento nel 1990, alla Ditta I.G.M. S.p.a., del servizio di nettezza urbana del Comune, nell’ascritta violazione dei doveri di correttezza ed imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Per tale vicenda nei confronti dei convenuti risulta celebrato procedimento penale per il reato di corruzione ex artt.319 e 319 bis cod. pen., nel quale il Comune si è costituito parte civile, conclusosi con sentenza n. 9962/03 in data 6 novembre 2003 del Tribunale di Milano – IV Sezione Penale che ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dei tre prevenuti per gli ascritti reati in quanto estinti per intervenuta prescrizione.

La realizzazione della causa estintiva è stata argomentata dalla Corte Contabile Lombarda nel duplice riflesso che, avuto riguardo all'epoca (1990) di accadimento dei fatti di causa, il primo atto interruttivo del decorso della prescrizione, dopo la trasmissione della notitia damni dalla Procura Penale a quella Contabile, va individuato nell’invito a dedurre notificato ai convenuti nell’aprile 2005; donde a tale data ed a quella (dicembre 2005) di notifica dell’atto di citazione il termine prescrizionale era già decorso, dovendo ritenersi irrilevante, secondo quella Corte Territoriale, ai fini interruttivi dell’azione contabile l’intervenuta costituzione dell’Amministrazione locale danneggiata, quale parte civile nel processo penale, attuata in data 14 novembre 1995 e rinnovata nel corso degli anni 1998 e 2000.

Ciò, in ragione della ritenuta esclusività della giurisdizione contabile in materia di danno erariale.

Avverso l’assunta pronuncia estintiva dell’azione contabile, si è gravato il Procuratore Generale, censurandone l’illegittimità sia sotto il profilo dell’erronea individuazione del dies a quo della prescrizione, sia per la attestata esclusione di rilevanza, ai fini interrottivi della prescrizione contabile, dell'intervenuta costituzione di parte civile dell'Amministrazione nel parallelo processo penale celebrato a carico dei tre convenuti.

Entrambe le censure, pur se con talune precisazioni, si appalesano sostanzialmente fondate.

Per quanto attiene al primo profilo di doglianza, reputa il Collegio di dover chiarire, in via preliminare, che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza, il danno da discredito all’immagine, oggetto di scrutinio da parte del Giudice Contabile, è costituito dai costi che l’Amministrazione Pubblica, anche in prospettiva, è costretta a sostenere per il ripristino di quell’immagine, prestigio ed onorabilità, risultati compromessi della condotta riprovevole tenuta dai propri dipendenti nell’esercizio delle funzioni di istituto, così suscitando allarme sociale in ragione del rapporto di immedesimazione che lega la stessa ai suoi operatori (cfr., per tutte: Cass. S.U. civ., sent.25 giugno 1997, n.5668 e Corte dei conti, Sez. I giurisdiz. Centrale, sent. n.239/1998/A).

Nell’indicata prospettiva la promovibilità e riconoscibilità di siffatta ipotesi lesiva, da parte rispettivamente, del Requirente e del Giudice Contabili, resta in modo imprescindibile subordinata al concorso di tre presupposti: la riprovevole condotta dell’operatore pubblico, l’idoneità della stessa, in ragione dell’eco negativa avuta nell’opinione pubblica, a pregiudicare il prestigio e l’affidabilità dell’Amministrazione (c.d. clamor o strepitus fori), l’esborso patrimoniale a cui l’Amministrazione è astretta per la restituito in pristinum dell’immagine e prestigio lesi.

In tale ottica va, altresì, chiarito che, ai fini realizzativi della figura damni per cui è causa, ciò che anzitutto rileva è il giudizio di sussistenza e fondatezza della condotta illecita, assumendo il “c.d. clamor fori” funzione meramente strumentale alla diffusione della supposta vicenda lesiva; di talchè ove, come nel caso di specie, quella condotta possa concretare al contempo un illecito penale ed un illecito amministrativo, l’appuramento attuato in sede penale e comunque la definizione del processo penale, anche nella fase predibattimentale, vengono necessariamente (ex artt.651 e 652 c.p.p.) a condizionare o possono significativamente orientare (ex art.469 c.p.p.) alla stregua delle emergenze in atti e dell’autonomia del processo contabile, il giudizio di illiceità di quella condotta e della sua idoneità all’insorgenza di una giustificata eco negativa nella collettività che, altrimenti, sarebbe destinata a degradare, a seguito del giudiziale appuramento dei fatti, a falsa risonanza connessa all’esercizio del diritto di cronaca proprio dei mezzi informativi (cfr., in termini, di questa Sezione Centrale, sent. n.203/2008/A dell’11 gennaio 2008).

Ne segue che, come più correttamente chiarito da questa Sezione in precedenti giurisprudenziali, quale quello testè segnalato, in punto di diritto, appare più validamente sostenibile il criterio che individua il dies a quo della prescrizione nel momento in cui il giudizio sulla sussistenza dell’imprescindibile presupposto del “clamor fori” unitamente a quello connesso all’ascritta “figura criminis” possano conseguire ad una definitoria pronuncia penale.

Tale criterio, oltrechè corrispondere alla chiarita peculiare costruzione del danno patrimoniale da discredito d’immagine della Pubblica Amministrazione, di cognizione contabile, sembra trovare conforto anche nella più recente disciplina legislativa in tema di rapporti tra procedimento penale e procedimento contabile, per quanto attiene, in particolare, agli effetti del giudicato penale reso nei confronti di dipendenti di Amministrazioni pubbliche colpevoli di delitti contro la P.A. di cui al Capo I del Titolo II del libro secondo del C.P.

Si riferiscono, in particolare, questi Giudicanti all’art.7 della L.27 marzo 2001, n.97, ove, onde assicurare il tempestivo e proficuo esercizio dell’azione pubblica risarcitoria in materia di danno erariale, fa carico al Giudice penale di comunicare al Procuratore Contabile territorialmente competente le “sentenze irrevocabili di condanna” pronunciate nei confronti dei dipendenti pubblici dichiarati colpevoli degli indicati reati.

In siffatte ipotesi, invero, stante l’identità del “fatto” posto a base dell’azione penale e di quella contabile, indipendentemente dall’effetto di giudicato che l’accertamento di quel fatto in sede penale è chiamato ad esplicare ex artt.651 e 652 c.p.p. nel giudizio contabile la pendenza di un giudizio penale che investa quel “medesimo fatto” esplica ex lege una sorta di giustificata cautela ed attesa nell’esercizio dell’azione contabile, destinata ovviamente a venir meno con la comunicazione, da parte del Giudice penale al Pubblico Ministero Contabile della sentenza irrevocabile di condanna del dipendente pubblico responsabile o comunque definitoria del giudizio penale.

Tale costruzione non pregiudica in alcun modo l’autonomia dell’azione e del giudizio contabili, dappoichè, ove il Procuratore Regionale della Corte dei conti ritenga, sulla base degli elementi in suo possesso e/o di quelli al medesimo pervenuti dal Pubblico Ministero Penale, sulla base delle informative che questi è tenuto a rendere ex art.129, commi 3 e 3 bis, delle disposiz. att. cod. proc. pen., nonché dell’art.6 della citata L.97/2001, di far luogo alla pertinente azione di responsabilità contabile, questa ed il conseguente giudizio restano pienamente validi, pur potendo essere intuitivamente influenzati, nel prosieguo, dell’esito del giudizio penale.

Quanto sopra premesso osservano i Giudicanti che in fattispecie la sentenza definitiva penale di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione nei confronti degli attuali appellanti, per gli ascritti reati corruttivi, pur se in fase predibattimentale ex art. 469 c.p.p., risulta assunta dal Tribunale di Milano – IV Sezione penale, in data 6 novembre 2003; di modo che da tale data il Procuratore Regionale Contabile è stato posto in grado di attivare gli strumenti giuridici di pertinenza, anche prodromici all’esercizio, entro il termine quinquennale previsto dall’art.1, co.2, della L.n.20/1994 dell’azione di responsabilità, volta, non temerariamente, al ristoro del danno patrimoniale sofferto dall’Erario in conseguenza dell’assunto disdoro arrecato dagli attuali appellati all’immagine dell’Amministrazione di appartenenza.

Poiché, anche a prescindere dall’atto in data 14 novembre 1995, rinnovato nel 1998 e nel 2000, di costituzione dell’Amministrazione quale parte civile nel giudizio penale (sulla cui valenza, ai fini interruttivi del termine prescrizionale contabile, verrà più avanti trattato), rispetto all’indicata data (6.11.2003) del pronunciato penale, la prescrizione quinquennale si sarebbe compiuta nel novembre 2008, sia gli inviti a dedurre (dell’aprile 2005) che il libello di responsabilità, del successivo 20 ottobre 2005, risultano tempestivamente assunti.

Sotto l'indicato profilo respinta l'eccezione di prescrizione, non può comunque il Collegio esimersi dall'osservare che, come correttamente dedotto dal Procuratore Generale nell'atto d'appello, anche ove si abbia riguardo all’intervenuta costituzione di parte civile dell'Amministrazione nel parallelo processo penale, l’invocata causa estintiva deve intendersi non realizzata, tenuto conto dell'effetto interruttivo permanente del sottostante diritto risarcitorio univocamente riconosciuto a tale istituto (cfr., per tutte, Cass. 10 dicembre 1994, n. 1057), nonché della sua compatibilità con l'azione contabile di pertinenza del Procuratore Regionale della Corte dei conti, correttamente ed ampiamente illustrate dal Procuratore Generale nel suo atto d'appello ed al dibattimento, con richiamo alla consolidata giurisprudenza contabile e della Cassazione, nonché al contenuto chiarificatore, sul punto della Corte Costituzionale espresso con la recente sentenza n. 272/2007, nella doverosa salvezza degli effetti di coordinamento delle giurisdizioni indotta dall’art.538, comma secondo, del cod.proc.pen.

Alla stregua dell’indicata costruzione, con la quale il Collegio conviene, appare del tutto fuorviante ed inconferente il rilievo dato dal Primo Giudice al carattere esclusivo della giurisdizione contabile, onde disancorare dall’avvio e/o dall’esito del giudizio penale il fatto costitutivo ed il dies a quo per l’esercizio dell’azione di danno di pertinenza del Requirente Contabile in ragione del disdoro d’immagine dell’Amministrazione interessata.

Non ha tenuto conto, invero, quel Giudice dell’assorbente considerazione che titolare del sottostante diritto risarcitorio è comunque l’Erario, nella sua unitarietà, e che nulla osta, sotto il profilo giuridico, a che il titolare dell’azione contabile possa avvantaggiarsi, ai fini del suo esercizio, di atti interrottivi del medesimo credito posti in essere da un Organo che rappresenti pur sempre l’Amministrazione creditrice, tanto più ove gli stessi, come l’attuata costituzione di parte civile, abbiano, alla stregua della consolidata giurisprudenza, effetto permanente interruttivo per l’intera durata del parallelo processo penale (cfr. in termini, per tutte, Cass.: 23 aprile 1982, n.2534; 18 ott.1980, n.5616; 6 genn.1984, 80).

Così dichiarata, anche sotto tale ultimo profilo la tempestività dell’azione promossa dal Procuratore Regionale, nell’iter logico di trattazione della questioni indotte dal proposto atto d’appello va ora delibata l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Contabile, formulata dalla difesa dell’appellato T..M., nell’assunta assenza in capo al medesimo di un rapporto di servizio che all’epoca dei fatti di causa lo astringesse all’Ente locale assertivamente danneggiato.

Oppone, invero, quella difesa che l’imputazione mossa in sede penale vede convenuto il proprio assistito per l’ascritto reato corruttivo, quale esponente locale del partito politico di appartenenza e non già quale Presidente dell’Azienda municipalizzata di servizi pubblici di S., tenuto, altresì, conto che l’atto di conferimento di tale incarico è di data (25 settembre 1990) successiva alla commissione dell’illecito, che risalirebbe all’inizio del 1990, e che sarebbe stato annullato dal CO.RE.CO. nella seduta del 10 dicembre 1990.

L’eccezione è infondata.

Infatti, emerge dagli atti che il libello di responsabilità è stato proposto dal Requirente Contabile nei confronti del convenuto nell’indicata qualità di pubblico amministratore e che i fatti corruttivi ascritti in sede penale afferiscono genericamente all’anno 1990 e sembrano estendersi ad un arco temporale che va oltre tale annualità (cfr. interrogatorio in data 1.4.1993 di Loris Zaffra e in data 3.4.1993 di Gianmario C.).

Peraltro, l’annullamento dell’atto di nomina all’incarico da parte del CO.RE.Co. non si appalesa idoneo ad escludere l’esercizio medio tempore, pur se in via di fatto, da parte del convenuto di funzioni pubbliche e pertanto, del rapporto di servizio che astringe l’ascritta ipotes lesiva nella cognizione del Giudice Contabile.

L’accoglimento dell’appello del Procuratore Generale in punto di tempestività della proposta azione contabile e la conseguente riforma della sentenza impugnata pongono, quindi, al Collegio la problematica indotta dell’ulteriore richiesta, di entrambe le difese delle parti appellate costituite, di rimessone della causa, come finora definita in appello, al Primo Giudice perché svolga l’esame di merito sulla contestata responsabilità, che sarebbe del tutto mancato in prime cure per l’accoglimento della preliminare eccezione di prescrizione.

L’esigenza del rinvio viene argomentata da quelle difese con richiamo al contenuto dell’art.105, comma primo, del Regolamento di procedura di cui al R.D. n.1038/1933 ove recita che “quando in prima istanza la competente Sezione giurisdizionale si sia pronunciata soltanto su questioni di carattere pregiudiziale, su queste esclusivamente deve pronunciarsi il Giudice d’appello.”

Secondo le difese appellate, il riferimento a pronuncie “pregiudiziali” operato dalla richiamata norma procedurale sarebbe comprensivo delle questioni “preliminari di merito” quale quella relativa alla prescrizione, che, al pari delle prime, avrebbe escluso ogni esame di merito dell’azionata pretesa lesiva.

Peraltro, la necessità del rinvio sarebbe imposta dalla stessa struttura dell’appello, ove l’effetto devolutivo, rimanendo contenuto al decisum in prime cure, comprometterebbe sostanzialmente, in ragione di siffatta limitazione, la garanzia del doppio grado in ordine ad una integrale difesa del convenuto al quale resterebbe, altresì, preclusa la possibilità, in ipotesi di condanna, di avvalersi del condono contabile previsto dall’art.1, commi 231, 232 e 233, della L.n.266/2005 (legge finanziaria per il 2006).

Comunque, oppone la difesa appellata che anche ove questi Giudici, in sede applicativa dell’art.105, co.1, del R.D. n.1038/1933, ritenessero di dover trattenere la causa anche per il merito, l’appello del Procuratore Generale dovrebbe essere dichiarato inammissibile per violazione dell’art.342 cod. proc.civ., dappoiché non recante gli specifici motivi di censura mossi nel merito alla sentenza impugnata e delle singole condotte illecite ascrivibili a ciascun convenuto, in contrasto con l’ormai consolidata giurisprudenza, che impone il contenimento dell’effetto devolutivo, proprio di tale mezzo di impugnazione, alle sole questioni ivi espressamente riproposte.

Entrambe le estese costruzioni, per gli effetti consequenziali, che rispettivamente, se ne intendono trarre, si appalesano infondate.

Per quanto attiene all’esegesi operata dalle parti appellate in ordine alla portata applicativa dell’art.105, comma unico, del R.D. n.1038/1933, reputano questi Giudicanti che tale norma va ricondotta nell’alveo della generale disciplina dettata per l’appello dalla codicistica processuale civile, secondo cui, dato il principio dell’assorbimento o conversione delle nullità nei motivi di gravame, il Giudice d’appello, fuori dai casi tassativamente stabiliti negli artt.353 e 354 cod.proc.civ., deve decidere nel merito, quali che siano i vizi del giudizio di prime cure); di guisa che la deroga a quel principio viene normativamente circoscritta ai casi in cui (per difetto di giurisdizione o competenza, nullità di notifica della citazione, di mancata integrazione del contraddittorio o indebita estromissione di una parte), nel merito il primo grado di giudizio possa dirsi del tutto mancante e restato così vulnerato il principio del doppio grado di giurisdizione.

A tale ratio, peraltro sempre accolta nel codice di rito, deve ritenersi ispirata la più recente legge 21 luglio 2000, n.205, ove all’art.10, co.3, nell’abrogare il secondo comma del menzionato art.105 del Regolamento di procedura contabile, per l’ipotesi in cui il Primo Giudice si sia pronunciato su sole questioni di carattere “pregiudiziale”, ha contenuto il sindacato e la pronuncia d’appello soltanto a tali questioni, così confermando la disciplina codicistica dettata dagli artt.353 e 354 cod.proc.civ.

Né a tale costruzione osta, secondo questi Giudici, l’invocato principio del doppio grado di giurisdizione il quale, oltre a non trovare inderogabile garanzia costituzionale nel nostro ordinamento, né specificamente nel sistema processuale civile e contabile, postula soltanto, alla stregua della consolidata giurisprudenza, che una domanda o questione vengano successivamente proposte a due giudici di grado diverso e non che le stesse siano effettivamente decise da entrambi (cfr., per tutte, Cass.: 9 luglio 1987, n.5976; 21 novebre 1986, n.6836).

Quanto sopra premesso, il carattere di pregiudizialità, quale testè inteso, non è dato riscontrare in presenza, come nella specie, di un’eccezione di prescrizione, che concreta una c.d. preliminare di merito la quale impone e presuppone, comunque, un esame del merito, pur se contenuto nei limiti resi necessari dalla pronuncia da rendere in tema di sussistenza o meno della causa estintiva e tanto più penetrante in ipotesi di occultamento doloso del fatto lesivo, ove, al cennato fine decisorio, il Giudice deve intuitivamente scendere al sindacato di talune componenti della responsabilità amministrativa (art.1, comma secondo, della L..20/1994 e succ. mod. e integraz.).

Per quanto attiene, poi, alla subordinata eccezione di inammissibilità dell’appello, argomentata dalla difesa delle parti appellate con l’assunta violazione, da parte del Procuratore Generale dell’art.342 cod. proc. civ. per l’assenza nella sua impugnazione di specifici motivi di censura mossi nel merito della vicenda lesiva, nonché delle specifiche condotte illecite, distintamente ascrivibili a ciascun convenuto, va anzitutto chiarito che, nella specie, la lamentata carenza può ritenersi connaturale e fisiologica alla specificità della pronuncia di prime cure, rimasta contenuta, necessariamente, alla declaratoria di insussistenza della causa estintiva; di modo che le richieste di merito del Requirente appellante non potevano che restare astrette, come in concreto è avvenuto, alla conferma del costrutto accusatorio sviluppato dal Procuratore regionale nel libello di responsabilità, nonché al rigetto delle avverse prospettazioni dei convenuti, quali evidenziate in prime cure, ritenendosi così soddisfatto l’onere di esposizione sommaria dei fatti e dei motivi di impugnazione, nonché delle indicazioni prescritte dall’art.163 c.p.c. poste a carico dell’appellante dal menzionato art.342.

Ciò risulta evidente nella formulazione dell’appello del Procuratore Generale che, peraltro, ben consapevole dell’effetto devolutivo del praticato strumento impugnatorio, nonché della possibilità offerta agli appellati, oltrechè di resistere, di ampliare il quantum devolutum a mezzo di appello incidentale, ha confermato l’impalcatura accusatoria attuata nell’originario atto di citazione, anche con riguardo agli elementi probatori versati in primo grado che ha puntualmente riproposto ex adverso alle prospettazioni dei convenuti (cfr. infra pagg.29 e 30 dell’appello).

Ne segue che l’appello del Procuratore Generale, avendo fornito ai controinteressati ed al Giudice adito gli elementi necessari per l’individuazione dell’oggetto e delle ragioni del gravame, soddisfa al requisito di esposizione sommaria degli elementi conoscitivi richiesti dal menzionato art.342 cod. proc. civ. (cfr., in termini per tutte, Cass. 14 nov. 1982, n.4831; 26 genn. 1989, n.449).

Il superamento delle invocate doglianze preliminari consente ora al Collegio, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, l’esame dei motivi più strettamente di merito espressi dalle difese degli appellati onde opposi alla configurazione ed all’assunta fondatezza, sotto il profilo probatorio, dell’ascritto danno da compromissione dell’immagine dell’Amministrazione di appartenenza dei propri assistiti, quale formulata dal Requirente Regionale e confermata dal Procuratore Generale nell’atto d’appello.

Anche per tale aspetto il Collegio non può che convenire con la costruzione del danno all’immagine, quale danno-conseguenza elaborata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella nota sentenza n.5668/1997, nonché nel rilievo dato dal Requirente Contabile, onde sostenere la pretesa erariale, al fatto tangentizio penalmente emergente a carico degli attuali appellati nel quadro di un illecito corruttivo quale evidenziato dal Tribunale di Milano -IV Sezione Penale nella sentenza n.9962/03 del 6 novembre 2003, pur se dichiarativa di non doversi procedere per estinzione dei erati ascritti per intervenuta prescrizione.

Tale pronuncia, invero, pur non potendo spiegare efficacia di giudicato nel giudizio contabile, non preclude, comunque a questi Giudici, proprio in virtù della chiarita autonomia di quest’ultimo, che dalla stessa possano trarre elementi utili ed attendibili, sotto il profilo probatorio, ai fini della pronuncia da rendere in questa pertinente sede giudiziale.

Emergono, infatti, dal fascicolo processuale penale sufficienti elementi onde attestare il coinvolgimento degli attuali appellati nella vicenda tangentizia per cui è causa, quali soggetti investiti di importanti funzioni istituzionali e di garanzia nella corretta aggiudicazione del contratto di appalto per lo smaltimento dei fiuti del Comune di S. alla I.G.M. s.p.a., i quali, in evidente violazione e stravolgimento degli obblighi indotti da quelle funzioni le hanno utilizzate quale strumento onde conseguire illeciti introiti, pur nella episodicità del fatto ascrivibile all’appellato T. Mariano (cfr. infra pagg. 2 e 3 della menzionata sentenza penale).

Tali elementi risultano, peraltro, suffragati dalle dichiarazioni confessorie rese in sede penale da soggetti in vario modo coinvolti nella vicenda della Società appaltatrice (cfr. verbali di interrogatorio resi presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza in data 3 aprile e 4 maggio 1993 da tale Gianmario C., in data 3 aprile 1993 da Gianstefano Milani ed in data 1 aprile e 24 maggio 1993 da Loris Zaffra).

Tale vicenda, invero, lesiva del decoro ed immagine dell’Ente territoriale di appartenenza di T. e R.M. nelle rispettive figure esponenziali di Presidente dell'Azienda municipalizzata dei servizi pubblici di S. e Presidente della Commissione di gara, comporta, da parte dell’Ente medesimo, l’intuitiva assunzione di costi, ai fini della reductio ad integrum di quell’immagine ed estimazione nei confronti della collettività amministrata e comunque all’esterno.

Correttamente, pertanto, il Requirente Contabile, ravvisando nell’attestata violazione da parte dei convenuti dei munera connessi al proprio ufficio e nello strepitus fori indotto dal celebrato processo penale un palese pregiudizio al decoro dell’Ente locale di appartenenza, ha chiesto nell’originario libello e nel proposto atto d’appello la condanna di tutti i tre prevenuti al ristoro patrimoniale dei consequenziali costi ripristinatori sofferti e/o sopportandi dall’Amministrazione.

Quanto all’entità del danno, al riguardo addebitato ai convenuti, reputa il Collegio che, contrariamente alle doglianze delle difese appellate, il Procuratore Regionale e quello Generale hanno fatto corretto uso del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 cod. civ., determinando sostanzialmente nell'importo della tangente percepita la somma di Euro 103.291/38 posta a carico in via solidale dei tre convenuti e da ripartire tra ciascuno in parti uguali nel rapporto interno.

Ciò, in ragione della gravità del fatto tangentizio, della condotta dolosa ascrivibile a ciascuno dei prevenuti, nonché della risonanza avuta dalla vicenda e della prevedibile durata nel tempo delle energie e dei costi che l'Amministrazione dovrà impiegare per il recupero della propria estimazione.

La condotta dolosa dei convenuti non lascia spazio a questi Giudici per accedere alla richiesta riduzione dell'addebito, restando, altresì, preclusa dalla definitività della resa pronuncia di condanna la richiesta formulata in appello, da entrambi gli appellati costituiti nel presente grado di giudizio, di accesso al condono previsto dall'articolo 1, commi 231, 232 e 233, della L. n. 266/2005, a cui avrebbe, comunque, ostato la riconosciuta connotazione dolosa della condotta dei convenuti.

Alla stregua delle estese considerazioni, l'appello del Procuratore Generale va accolto e disposta la condanna dei tre appellati al pagamento in favore del Comune di S. (Milano) della somma di Euro 103.291/38 posta a carico, in via solidale tra gli stessi, all'indicato titolo ripristinatorio ed in parti uguali nel rapporto interno.

Sull'indicato importo è dovuta, altresì, la rivalutazione monetaria, a decorrere dalla data (20 ottobre 2005) dell'atto di citazione fino alla data di pubblicazione della presente sentenza.

Sull'importo rivalutato sono dovuti dai tre convenuti gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino al soddisfo.

Di quanto già versato dagli appellati nel giudizio penale, al medesimo titolo risarcitorio, verrà tenuto conto in sede di esecuzione.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale - definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza e deduzione reiette, decide quanto appresso:

- dichiara la contumacia dell'appellato L.C. ex Art. 171 cod. proc. civ.;

- in reiezione dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’appellato T..M., dichiara il potere cognitivo della giurisdizione contabile nella vicenda lesiva di cui in narrativa;

- in accoglimento dell’appello del Procuratore Generale ed annullamento della sentenza impugnata, dichiara non prescritta l’azione del Requirente Contabile;

- trattenendo la causa per il sindacato di merito ex art. 105, comma unico, del R.D. n. 1038/1933, condanna T..M., R.M. e L.C. al pagamento in solido in favore del Comune di S. (Milano) della somma di Euro 103.291/38 (centotremiladuecentonovantuno/38), nonché della rivalutazione monetaria del predetto importo dalla data (20 ottobre 2005) dell’atto di citazione fino alla data di deposito della presente sentenza.

Condanna, altresì, gli indicati soggetti al pagamento sull’importo complessivo rivalutato degli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino al soddisfo.

Di quanto già versato dagli indicati soggetti nel giudizio penale al medesimo titolo risarcitorio per cui è stata causa verrà tenuto conto in sede di esecuzione.

Dichiara, altresì, la ripartizione in parti uguali tra gli appellati dell’indicato importo complessivo nel rapporto interno fra gli stessi.

Respinge l’istanza di condono formulata da T..M. e R.M. ex art. 1, commi 231,232 e 233 della L. n. 266/2005.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 1640,48 (Milleseicentoquaranta/48)

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 17 giugno 2008.

L’ESTENSORE                                                          IL PRESIDENTE

Depositata in Segreteria il 15/10/2008

IL DIRIGENTE LA SEGRETERIA