Cass. Sez. III n. 35484 del 27 settembre 2021 (CC 15 dic 2021)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric.Trapanese
Urbanistica.Sanatoria e acquisizione al patrimonio comunale
Il rilascio di concessione o permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull'opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l'organo adottante l'atto presupponente (permesso in sanatoria) - ufficio tecnico comunale - e l'organo competente alla adozione dell'atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. Raffaele Trapanese ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 02/03/2020 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca della sentenza di condanna del 03/11/2019 del medesimo tribunale (irr. il 21/06/2011) ed in subordine dell’ordine di demolizione con essa disposto.
1.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. a), cod. proc. pen., in relazione all’art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché agli artt. 40 e 107, d.lgs. n. 267 del 2000. Sostiene che la legittimità del permesso di costruire in sanatoria non può essere messa in discussione dalla mancata adozione della delibera consiliare che attesta la conformità dell’opera abusiva agli interessi pubblici, urbanistici e ambientali, trattandosi di delibera che non è finalizzata a convalidare il titolo concessorio.
1.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, lett. a), cod. proc. pen., in relazione all’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché all’art. 39, comma 19, legge n. 724 del 1994, in attuazione dell’art. 7, comma terzo, legge n. 47 del 1985. Afferma che il giudice penale non può disapplicare il permesso di costruire in sanatoria trattandosi di potestà riservata alla pubblica amministrazione ed, in particolare, all’ente che ha emesso l’atto, l’unico titolato ad annullarlo e/o a revocarlo. Contesta, inoltre, che nel caso di specie l’immobile sia stato acquisito al patrimonio comunale non essendo stato neppure avviato l’iter procedimentale del quale l’interessato deve essere notiziato. Non vi è dunque alcun automatismo che comporti l’acquisizione del bene al patrimonio comunale per il sol fatto della constatata inadempienza dell’ordine di demolizione.
1.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’illegittima sterilizzazione degli effetti sananti del permesso di costruire in sanatoria che osta alla demolizione dell’immobile.
1.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione sulla richiesta di applicazione della sospensione condizionale della pena e di revoca della pena accessoria in conseguenza del rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
1.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione mancante e/o contraddittoria nella parte in cui l’ordinanza impugnata disapplica il permesso di costruire in sanatoria, pur riconoscendone la regolarità formale e sostanziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e proposto da persona non legittimata e priva di interesse.
3. Con sentenza del 03/11/2009 (irr. il 21/06/2011) il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva condannato il Trapanese alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui, tra gli altri, all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, ed aveva ordinato la demolizione dell’opera abusivamente realizzata (soprelevazione di un villino) subordinando il concesso beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione entro sessanta giorni dalla irrevocabilità della sentenza.
3.1. Il precedente 03/06/2008, con ordinanza notificata il 06/06/2008, il Comune di Castel Volturno aveva già ingiunto al Trapanese la demolizione dell’opera in questione, siccome realizzata in assenza di permesso di costruire.
3.2. Il 21/07/2009 il Trapanese aveva chiesto il rilascio del permesso di costruire in sanatoria; la domanda era stata respinta con provvedimento del 19/06/2012.
3.3. Il 26/05/2017 il medesimo Comune di Castel Volturno aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione di un sottotetto non abitabile.
3.4. Il 07/10/2019 il Trapanese aveva proposto incidente di esecuzione chiedendo la revoca della condanna o comunque della “pena accessoria” (così nel testo) con contestuale riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena in conseguenza del sopravvenuto conseguimento della concessione in sanatoria con la opportuna rideterminazione della pena.
4. Con il provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione ha rigettato la domanda osservando quanto segue:
4.1. è compito del giudice dell’esecuzione valutare la compatibilità, con le determinazioni della pubblica amministrazione, dell’ordine di demolizione impartito con sentenza irrevocabile di condanna, sempre che l’incompatibilità sia effettiva e non meramente eventuale;
4.2. nel caso di specie, con ordinanza del 02/06/2008, il Comune di Castel Voltuno aveva già intimato la demolizione delle opere abusive oggetto di condanna senza che il Trapanese avesse ottemperato, determinando l’acquisizione di diritto del bene al patrimonio comunale;
4.3. il permesso di costruire in sanatoria è, pertanto, illegittimo in quanto emesso a favore di un soggetto che non era più titolare del bene, spettando al comune di stabilire se mantenere o demolire l’opera.
5. Tanto premesso, il ricorso, come detto, è manifestamente infondato.
5.1. L'art. 606, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., indica, quale motivo di ricorso per cassazione che giustifica l'annullamento senza rinvio della sentenza (art. 620), l'esercizio da parte del giudice di merito di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri (cd. carenza di potere).
5.2. L'esercizio di una potestà riservata agli organi della amministrazione si realizza quando il giudice con il provvedimento impugnato usurpi poteri amministrativi (ad esempio, annullando o revocando un atto amministrativo) e cioè eserciti una potestà tipica spettante alla pubblica amministrazione. La norma va letta in correlazione con gli artt. 2 e 479 cod. proc. pen. che attribuiscono al giudice penale il compito di risolvere, incidentalmente, ogni questione da cui dipende la decisione, e di conoscere della legittimità degli atti amministrativi quando ciò sia necessario.
5.3. Non sussiste pertanto l'esercizio di una potestà tipica dell'amministrazione allorché il giudice non annulli, ma disapplichi l'atto amministrativo ritenuto illegittimo o decida sul comportamento tenuto dagli organi della pubblica amministrazione o dai dipendenti di essa in relazione al caso concreto e detto comportamento costituisca violazione di una norma penale, posta a tutela di interessi che il legislatore ha ritenuto meritevoli di tutela (così Sez. 1, n. 2653 del 23/10/1990, dep. 1991, Rv. 186658 - 01, in un caso in cui era stata ritenuta la penale responsabilità di taluni dipendenti dell’ANAS per aver omesso di collocare i prescritti segnali di pericolo a seguito della intervenuta avaria di uno dei due semafori posti ai due capi di una galleria).
5.4. Peraltro, in tema di reati edilizi, costituisce ormai principio consolidato di diritto quello per il quale il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Rv. 273218 - 01; Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Rv. 271170 - 01). Più specificamente, è stato affermato, e deve essere ribadito, che l'accertamento della sussistenza di tutti i presupposti ed i requisiti per conseguire la speciale causa estintiva prevista dalla normativa sul condono edilizio, non costituisce disapplicazione di un atto amministrativo preteso illegittimo (la c.d. attestazione di congruità dell'oblazione ovvero, nei casi in cui sia contestato un reato attinente alla tutela di un vincolo, della concessione in sanatoria subordinata all'autorizzazione dell'autorità competente per detta protezione ex art. 39 ottavo comma legge n. 724 del 1994), ma rientra tra i compiti del giudice penale, cui è deferita la dichiarazione di improcedibilità dell'azione penale per l'applicazione della predetta specifica causa di estinzione dei reati (Sez 3, n. 9963 del 22/09/1997, Rv. 209243 - 01; in senso conforme, Sez. 5, n. 736 del 12/02/1999, Rv. 212884 - 01; Sez. 3, n. 18764 del 27/02/2003, Rv. 224731 - 01; Sez. 3, n. 19236 del 15/02/2005, Rv. 231834 - 01; Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Rv. 240728 - 01).
5.5. L’errore di prospettiva nel quale cade il ricorrente è evidente: quando la fattispecie estintiva del reato indica, quale fatto idoneo a produrre l’effetto, un provvedimento della pubblica amministrazione, rientra nell’attribuzione del giudice penale verificare se il provvedimento è conforme ai presupposti di fatto e di diritto che lo consentono, non potendosi, in virtù dei principi di legalità e di obbligatorietà dell’azione penale di cui agli artt. 25 e 112 Cost., e della separazione dei poteri, attribuire alla discrezionalità della pubblica amministrazione il potere di estinguere un reato. In realtà, il provvedimento amministrativo costituisce, in questi casi, solo un presupposto di fatto dell’effetto estintivo, effetto che non deriva dal provvedimento in sé quale sua conseguenza immediata e diretta (non costituendone la causa tipica) bensì dalla applicazione, al caso concreto, della fattispecie estintiva prevista dalla legge, applicazione la cui valutazione, come detto, compete esclusivamente al giudice penale. In tali casi, dato come oggetto della decisione il verificarsi dell’effetto estintivo, il giudice deve risolvere ogni questione dalla quale tale decisione dipende e, dunque, l’effettivo verificarsi del “fatto presupposto”, i.e.: l’esistenza del provvedimento amministrativo, il potere di adottarlo, la sua conformità ai presupposti di fatto e di diritto previsti dalla legge.
6. Nel caso di specie il Giudice dell’esecuzione ha ritenuto che il permesso di costruire in sanatoria non potesse essere rilasciato dal Comune a favore di persona non più titolare del bene siccome acquisito al patrimonio comunale a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione.
6.1. Va innanzitutto ribadito che, diversamente da quanto opina il ricorrente, secondo il più recente e ormai consolidato orientamento della Corte di cassazione, l’ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'Autorità amministrativa determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente. L'effetto acquisitivo si verifica senza che sia necessaria né la notifica all'interessato dell'accertamento dell'inottemperanza né la trascrizione, in quanto il primo atto ha solo funzione certificativa dell'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo per l'immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell'art. 2644 cod. civ. (Sez. 3, n. 1163 del 15/11/2016, dep. 2017, Rv. 268737 - 01; Sez. 3, n. 23718 del 08/04/2016, Rv. 267676 - 01; Sez. 3, n. 22237 del 22/04/2010, Rv. 247653 - 01; Sez. 3, n. 39075 del 21/05/2009, Rv. 244891 - 01; Sez. 3, n. 1819 del 21/10/2008, dep. 2009, Rv. 242254 - 01).
6.2. Va ricordato che, come anticipato, il Trapanese non solo non aveva ottemperato all’ordine di demolizione ma non aveva nemmeno presentato domanda di sanatoria nei novanta giorni successivi alla notificazione dell’ordine stesso (effettuata il 06/06/2008). Solo il 21/07/2009 aveva presentato domanda, peraltro respinta.
6.3. Orbene, l’art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che il permesso di costruire in sanatoria può essere richiesto fino alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, e 34, comma 1, stesso decreto e, comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative.
6.4. Secondo l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa, la presentazione della domanda di accertamento di conformità successiva alla emanazione dell'ordinanza di demolizione comporta che l'Amministrazione non può che constatare che l'istanza è stata presentata da chi non sia più proprietario, se essa è stata proposta dopo l'acquisizione ipso iure della proprietà ai sensi dell'art. 31, comma 3, del t.u. n. 380 del 2001, per il decorso del termine di novanta giorni (Cons. St., Sez. VI, n. 5654 del 30/11/2017; Cons. St., Sez. VI, n. 5653 del 30/11/2017).
6.5. Anche questa Corte di cassazione ha riconosciuto che i limiti temporali posti dall’art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, alla facoltà del responsabile dell’abuso o dell’attuale proprietario del bene di chiedere il rilascio del permesso di costruire entro il termine di cui all’art. 31, comma 3, d.P.R. n. 309 del 1990, sono coerenti con le conseguenze dell’inutile spirare di tale termine, privando di legittimazione alla domanda il loro inutile decorso chi non è più proprietario del bene stesso (così, in motivazione, Sez. 3, n. 3261 del 17/11/2020, dep. 2021). Una volta acquisita al patrimonio comunale, solo il Comune può stabilire, con deliberazione consiliare, l’esistenza di prevalenti interessi pubblici sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali. La spoliazione di diritto della proprietà del bene sottrae sostanza giuridica all’interesse vantato nei suoi confronti dal precedente proprietario degradandolo a mero interesse di fatto che, privandolo della legittimazione ad agire in difesa del bene stesso, impedisce persino la restituzione in suo favore caso di dissequestro (Sez. 3, n. 1163 del 2016, cit.; Sez. 3, n. 42637 del 26/09/2013, Rv. 258308 - 01; Sez. 3, n. 45705 del 26/10/2011, Rv. 251321 - 01; Sez. 3, n. 4962 del 28/11/2007, dep. 2008, Rv. 238804 - 01).
6.6. Ne consegue, ulteriormente, che il rilascio di concessione o permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull'opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l'organo adottante l'atto presupponente (permesso in sanatoria) - ufficio tecnico comunale - e l'organo competente alla adozione dell'atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali (Sez. 3, n. 3261 del 17/11/2020, dep. 2021, Rv. 280870 - 01).
6.7. Correttamente, pertanto, il Giudice dell’esecuzione ha rigettato la domanda del ricorrente il quale non essendo più proprietario del bene abusivamente realizzato non era legittimato a chiedere il permesso di costruire in sanatoria, provvedimento - quest’ultimo - emesso in totale carenza di potere, tantomeno a chiedere la revoca dell’ordine di demolizione.
8. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15/12/2020.